
News 18 Maggio 2017 - Area Tecnica
Contratti Pubblici: il terzo rapporto sugli affidamenti sopra i 40.000 euro

È stato ubblicato il terzo rapporto quadrimestrale 2016 relativo alle procedure di affidamento perfezionate di importo superiore o uguale a € 40.000. Il rapporto quadrimestrale è suddiviso in 4 sezioni: una di analisi generale contenente le statistiche aggregate per le tre tipologie di contratti pubblici (lavori, servizi, forniture); e tre sezioni di dettaglio, in cui viene effettuata un’analisi comparata con il quadrimestre dell’anno precedente, relative alle diverse tipologie di contratto. Vai ai Rapporti
È stato ubblicato il terzo rapporto quadrimestrale 2016 relativo alle procedure di affidamento perfezionate di importo superiore o uguale a € 40.000. Il rapporto quadrimestrale è suddiviso in 4 sezioni: una di analisi generale contenente le statistiche aggregate per le tre tipologie di contratti pu ... Continua a leggere
Gare: il comunicato sulla tenuta del Casellario Informatico

Con delibera n. 1386 del 21.12.2016 il Consiglio dell’Autorità ha fornito indicazioni in ordine alla tenuta del Casellario Informatico, con riguardo ai Modelli di comunicazione da adottarsi per l’inoltro delle notizie ritenuti utili, tra le quali sono contemplate, ai sensi dell’art. 213,c.10, del d.l.vo 50/2016, le fattispecie che possono dar luogo all’esclusione dalle gare per la ricorrenza dell’ipotesi disciplinata dall’art.80, c.5, del d.l.vo 50/2016, inerente i gravi illeciti professionali. La sussistenza di tali illeciti viene annotata, previa comunicazione inoltrata alle parti da parte dell’Autorità, in seguito alla specifica segnalazione delle S.A. in corso di esecuzione del contratto, con riferimento: - alle risoluzioni anticipate; - alle significative carenze che nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; - ai gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia l’integrità o affidabilità dell’o.e., come il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; - alla produzione, anche per negligenza, di informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero all’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione; L’inserimento dell’annotazione assume, dunque, valore di pubblicità/notizia del provvedimento assunto dalla Stazione appaltante in esito ad un apprezzamento, già operato da quest’ultima, dell’inadempimento in cui è incorso l’operatore economico colpito dalla risoluzione. Il potere di accertare la sussistenza e la gravità dell’inadempimento imputabile all’impresa esecutrice spetta, infatti, esclusivamente alla Stazione appaltante, giacché, ai sensi della normativa vigente, a seguito di segnalazione da parte di una Stazione appaltante di un provvedimento di esclusione dalla gara, l’Autorità è obbligata a iscrivere la relativa annotazione nel Casellario. Nell’ipotesi in cui pervenga documentata notizia dell’esistenza di contenzioso pendente in ordine ai presupposti che determinano l’obbligo di iscrizione, l’Autorità ne dà notizia nell’annotazione stessa. Per saperne di più vai al si Comunicati del Presidente Cantone
Con delibera n. 1386 del 21.12.2016 il Consiglio dell’Autorità ha fornito indicazioni in ordine alla tenuta del Casellario Informatico, con riguardo ai Modelli di comunicazione da adottarsi per l’inoltro delle notizie ritenuti utili, tra le quali sono contemplate, ai sensi dell’art. 213,c.10, del d ... Continua a leggere
Abusi edilizi: nessuna sanzione in caso di inottemperanza a ordini di demolizione di manufatti sottoposti a sequestro penale
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 17.5.2017

La Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 17 maggio 2'17 ha affermato che "Risulta, in particolare, fondata l’argomentazione, svolta soprattutto nel terzo motivo di appello, con cui la società appellante sostiene l’inapplicabilità delle sanzioni previste per l’inottemperanza a ordini di demolizione di manufatti abusivi, nelle ipotesi, quale quella in esame, in cui l’immobile sia sottoposto a sequestro penale. La questione, quindi, si risolve nella disamina della validità o dell’efficacia dei provvedimenti sanzionatori adottati sulla base del rilievo dell’omessa esecuzione di presupposti ordini di demolizione (o di riduzione in pristino) di opere abusive, che esulano, tuttavia, dalla disponibilità del destinatario dell’ordinanza rimasta inattuata, in quanto sequestrati dal giudice penale. Tale problema, tuttavia, implica anche la soluzione della (logicamente) presupposta questione della validità (e dell’efficacia) dell’ordine di demolizione, per la cui inottemperanza sono state irrogate le misure sanzionatorie previste dall’art. 31 del d.P.R. n.380 del 2001. Il Collegio non ignora che l’indirizzo giurisprudenziale prevalente, sia amministrativo (cfr. ex multis Cons. St., sez. VI, 28 gennaio 2016, n.283), sia penale (Cass. Pen., sez. III, 14 gennaio 2009, n.9186), ritiene irrilevante la pendenza di un sequestro, ai fini della legittimità dell’ordine di demolizione, della sua eseguibilità e, quindi, della validità dei conseguenti provvedimenti sanzionatori, sulla base della non qualificabilità della misura cautelare reale quale impedimento assoluto all’attuazione dell’ingiunzione, in ragione della possibilità, per il destinatario dell’ordine, di ottenere il dissequestro del bene ai sensi dell’art.85 disp. att. c.p.p.; ma reputa di dissentire da tale orientamento, per le ragioni di seguito sinteticamente (tenendo conto, per quanto possibile, della forma semplificata della presente sentenza) esposte. Con una prima, e, per certi versi, dirimente, argomentazione, l’ordine di demolizione di un immobile colpito da un sequestro penale dovrebbe essere ritenuto affetto dal vizio di nullità, ai sensi dell’art.21-septies l. n.241 del 1990 (in relazione agli artt. 1346 e 1418 c.c.), e, quindi, radicalmente inefficace, per l’assenza di un elemento essenziale dell’atto, tale dovendo intendersi la possibilità giuridica dell’oggetto del comando. In altri termini, l’ingiunzione che impone un obbligo di facere inesigibile, in quanto rivolto alla demolizione di un immobile che è stato sottratto alla disponibilità del destinatario del comando (il quale, se eseguisse l’ordinanza, commetterebbe il reato di cui all’art. 334 c.p.), difetta di una condizione costituiva dell’ordine, e cioè, l’imposizione di un dovere eseguibile (C.G.A.R.S., Sezioni Riunite, parere n. 1175 del 9 luglio 2013 – 20 novembre 2014, sull’affare n.62/2013). In quest’ordine di idee, l’ordine di una condotta giuridicamente impossibile si rivela, quindi, privo di un elemento essenziale e, come tale, affetto da invalidità radicale, e, in ogni caso, per quanto qui rileva, inidoneo a produrre qualsivoglia effetto di diritto. A tale conclusione si ritiene potersi pervenire con riguardo ai casi in cui – come in quello di specie – l’ordine di demolizione (o di riduzione in pristino stato) sia stato adottato nella vigenza di un sequestro penale (di qualsiasi genere; ma sulla distinzione tra i diversi tipi di sequestro del processo penale si tornerà infra). L’affermazione dell’eseguibilità dell’ingiunzione di demolizione di un bene sequestrato, per quanto tralatiziamente ricorrente nella giurisprudenza amministrativa, non può, infatti, essere convincentemente sostenuta sulla base dell’assunto della configurabilità di un dovere di collaborazione del responsabile dell’abuso, ai fini dell’ottenimento del dissequestro e della conseguente attuazione dell’ingiunzione. Tale argomentazione dev’essere, infatti, radicalmente rifiutata: sia perché riferisce a un’eventualità futura, astratta e indipendente dalla volontà dell’interessato la stessa possibilità (giuridica e materiale) di esecuzione dell’ingiunzione, mentre, come si è visto, l’impossibilità dell’oggetto attiene al momento genetico dell’ordine e lo vizia insanabilmente all’atto della sua adozione; sia perché, assiomaticamente, finisce per imporre al privato una condotta priva di qualsivoglia fondamento giuridico positivo; sia, infine, perché si risolve nella prescrizione di una iniziativa processuale (l’istanza di dissequestro) che potrebbe contraddire le strategie difensive liberamente opzionabili dall’indagato (o dall’imputato) nel processo penale, peraltro interferendo inammissibilmente nell’esercizio di un diritto costituzionalmente protetto, quale quello di difesa (basti porre mente, in proposito, al caso che il mantenimento del sequestro penale –sub specie probatorio, ex art. 253 c.p.p. – risulti funzionale ad assicurare, per il seguito delle indagini o per il dibattimento, la prova che quanto realizzato non fosse abusivo, o non fosse conforme a quanto contestato o ritenuto dalla pubblica accusa, ovvero avesse altre caratteristiche scriminanti o anche solo attenuanti l’illiceità penale del fatto ascritto). Si aggiunga, ancora, che le misure contemplate dall’art. 31, commi 3 e 4-bis, del d.P.R. n.380 del 2001, rivestono carattere chiaramente sanzionatorio e, come tali, esigono, per la loro valida applicazione, l’ascrivibilità dell’inottemperanza alla colpa del destinatario dell’ingiunzione rimasta ineseguita, in ossequio ai canoni generali ai quali deve obbedire ogni ipotesi di responsabilità. Sennonchè, nella situazione considerata, non è dato ravvisare alcun profilo di rimproverabilità nella condotta (necessariamente) inerte del destinatario dell’ordine di demolizione, al quale resta, infatti, preclusa l’esecuzione del comando da un altro provvedimento giudiziario che gli ha sottratto la disponibilità giuridica e fattuale del bene. Come si vede, quindi, l’irrogazione di una sanzione (chè di questo si tratta) per una condotta che non può in alcun modo essere soggettivamente ascritta alla colpa del soggetto colpito dalla sanzione stessa, non può che essere giudicata illegittima per il difetto del necessario elemento psicologico della violazione. Fermo restando il carattere assorbente delle considerazioni appena svolte, resta da aggiungere un argomento, tutt’altro che secondario, di equità (ma, come tosto si dirà, non solo equitativo): non può esigersi – e, giuridicamente, non lo si può soprattutto in difetto di un’espressa previsione di legge in tal senso, stante anche il divieto di prestazioni imposte se non che per legge, ex art. 23 Cost. – che il cittadino impieghi tempo e risorse economiche per ottenere la restituzione di un bene di sua proprietà, ai soli fini della sua distruzione. Si tratta di un’argomentazione la cui valenza logica e intuitiva esime da ogni ulteriore spiegazione, restando immediatamente percepibile l’iniquità dell’imposizione di un dispendioso onere di diligenza, finalizzato solo alla distruzione del bene (ancora) di proprietà del destinatario dell’ingiunzione. Per ulteriori considerazioni critiche in proposito – se il dissequestro, più o meno legittimamente, fosse negato, vi sarebbe anche un onere di gravame? E fino a che grado? O andrebbe riproposta l’istanza? E quando, e quante volte? – può rinviarsi al cit. parere del C.G.A.R.S. n. 62/2013; del quale però merita condividersi la conclusione, nel senso che "la tesi [qui avversata] si appalesa, quindi, poco approfondita in punto di diritto e apoditticamente sostenuta". Essa implica, infatti, l’imposizione di un onere di diligenza per il quale – al di là della sua assertiva invocazione ad opera di alcune prospettazioni giuridiche, che potrebbero forse sembrare più inopinatamente zelanti nella repressione degli abusi edilizi che adeguatamente attente al rispetto dei principi fondanti dell’ordinamento giuridico (ivi incluso quello ex art. 23 Cost., che si è già richiamato supra) – risulterebbe davvero complicato rinvenire un convincente fondamento normativo positivo; che, anzi, sembra da escludere, purché si tenga in adeguata considerazione l’esigenza che le sanzioni (non solo quelle penali: nemo tenetur se detergere; ma anche quelle amministrative) siano, almeno tendenzialmente, strutturate per essere applicate dai pubblici poteri, piuttosto che autoeseguite a proprio danno dallo stesso soggetto destinatario di esse. Nondimeno – sia per l’ipotesi che si ritenesse di poter prescindere dalla più persuasiva prospettazione, che si è sin qui illustrata, che qualifica in termini di nullità il vizio che affligge l’ordinanza di demolizione emanata nella pendenza del sequestro dell’immobile di cui trattasi; sia, comunque, con riferimento ai casi in cui l’ordine demolitorio o ripristinatorio sia stato adottato (e, in tal caso, validamente) in un momento in cui il bene non fosse sequestrato, ma venga invece sequestrato successivamente e nella pendenza del termine assegnato per ottemperare all’ingiunzione de qua – va ulteriormente indagato, per completezza di sistema, il tema dell’incidenza del sequestro penale (se non, in queste ipotesi, sulla validità) sull’efficacia dell’ordine di demolire e, derivativamente, sulla decorrenza o meno del termine a tal fine assegnato fintanto che il sequestro permanga efficace. Limitandocisi in questa sede a un mero richiamo delle argomentazioni dogmatiche più approfonditamente svolte nel più volte cit. parere del C.G.A.R.S. n. 62/2013 – in tema di distinzione tra nullità, come difetto strutturale originario di uno degli elementi essenziali dell’atto giuridico (sub specie, qui, di possibilità dell’oggetto), e inefficacia, allorché tali elementi essenziali (e qui, dunque, la ridetta possibilità), originariamente sussistenti, vengano meno successivamente in modo temporaneo o definitivo, in quest’ultimo caso dandosi adito a una causa estintiva degli efficacia dell’atto (per impossibilità sopravvenuta) e invece nel primo solamente a una temporanea sospensione di tale efficacia – occorre evidenziare che, finché il sequestro perdura, la demolizione (anche se validamente ingiunta: vuoi perché disposta anteriormente al sequestro, ossia in un momento in cui il suo destinatario, essendo in bonis, aveva la possibilità giuridica di ottemperarvi; vuoi, ipoteticamente, perché non si condivida la tesi, invero dogmaticamente più coerente, della nullità per impossibilità giuridica dell’oggetto del provvedimento che abbia ingiunto la demolizione in costanza di sequestro) certamente non può eseguirsi. A questo semplice rilievo consegue necessariamente – e perfino a prescindere dall’incoerente assunto, che pure si è già confutato, secondo cui il destinatario dell’ordine demolitorio sarebbe tenuto ad attivarsi per chiedere il dissequestro ai soli fini della demolizione: giacché certamente non lo si potrebbe pure onerare del fatto del terzo, ossia di ottenere tale risultato entro il termine di 90 giorni normalmente assegnatogli – che, per tutto il tempo in cui il sequestro perdura (e, qui si aggiunge, indipendentemente dalla condotta attiva o passiva serbata dall’autore dell’abuso rispetto al sequestro stesso), la non ottemperanza all’ordine di demolizione non può qualificarsi non iure, appunto a causa della già rilevata oggettiva impossibilità giuridica di procedervi. Ciò non può non implicare, come conseguenza giuridicamente necessaria, l’interruzione o, quantomeno, la sospensione del decorso del termine assegnato per demolire, per tutto il tempo in cui il sequestro rimane efficace. Detto termine, dunque, inizierà nuovamente a decorrere – per intero ovvero per la sua parte residua, secondo che si opti per l’interruzione o per la sospensione di esso in costanza di sequestro – solo allorché il sequestro venga meno, per qualunque ragione. Merita evidenziarsi che l’assunto, qui propugnato, che il destinatario dell’ordine di demolizione non possa considerarsi giuridicamente onerato di richiedere il dissequestro per poter demolire non implica affatto né che ciò gli sia precluso (potrebbe, infatti, avervi interesse, per esempio per azzerare la situazione di abusivismo e poter così richiedere ex novo un titolo edilizio urbanisticamente conforme per riprendere l’attività edificatoria secundum legem); né che il dissequestro non possa essere richiesto all’Autorità giudiziaria penale da parte di chiunque altro vi abbia interesse: ossia, in primis, dalla stessa Amministrazione che abbia ingiunto (prima del sequestro, secondo la tesi qui condivisa) o che intenda ingiungere (non appena venuto meno il sequestro) la demolizione, con l’effetto di far ripartire prima possibile il decorso del termine per demolire e di far produrre, in difetto, le ulteriori conseguenze (acquisitive) che la legge riconnette all’inutile decorso di detto termine; ma anche, nei congrui casi, ai soggetti pubblici e privati controinteressati al mantenimento dell’opera edilizia abusiva, che abbiano comunanza di intenti e di interessi con l’Amministrazione procedente. Infatti, il venir meno del sequestro – da chiunque provocato o indotto, e anche se spontaneamente disposto dall’Autorità giudiziaria procedente – consente ex se all’Amministrazione di ingiungere, o di reiterare, la demolizione; ovvero produce, parimenti in via automatica, l’effetto di far cessare la causa di sospensione (o interruzione) del decorso del termine entro cui deve essere eseguita la demolizione, con ogni ulteriore conseguenza di legge in difetto. Sicché, come ognun vede, si riduce a una mera petizione di principio – non suffragata, però, da adeguati indici normativi a suo supporto – l’assunto che il sistema non possa prescindere dall’onerare il proprietario di richiedere, contra se, il dissequestro al fine di demolire, e che perciò tale onere sia necessariamente insito nel sistema stesso. Tutto all’opposto, non solo di tale onere non è dato rinvenire alcun fondamento positivo – e neppure nell’art. 85 disp. att. al c.p.p., che viene solitamente invocato a tal fine, giacché esso contempla un’ipotesi, e peraltro soltanto "se l’interessato consente", ma non radica alcun obbligo in proposito – ma anzi i principi fondamentali dell’ordinamento sembrano deporre nel senso della sua esclusione: viepiù ove si consideri che la funzionalità dell’istituto in discorso (ossia dell’ordine di demolizione) è comunque assicurata, pur di fronte all’inerzia dell’Autorità giudiziaria procedente, dalla facoltà di attivarsi per richiedere a quest’ultima il dissequestro che deve riconoscersi all’Amministrazione, oltre che a ogni altro soggetto che possa vantare analogo interesse. Beninteso, l’Autorità giudiziaria adita da un’istanza di dissequestro, da chiunque proposta, potrebbe disporlo – benché "ai soli fini della demolizione" – solo laddove il mantenimento del sequestro non sia (più) funzionale alle pertinenti esigenze processuali penali: ossia, fisiologicamente, solo in casi tendenzialmente abbastanza limitati e particolari. Come è noto, infatti, il codice di procedura penale conosce essenzialmente tre tipologie di sequestro: quello (c.d. probatorio penale) ex art. 253 c.p.p., che disciplina "il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l'accertamento dei fatti"; quello (c.d. preventivo) ex art. 321 c.p.p., che è volto a prevenire "che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati"; e quello (c.d. conservativo) ex art. 316 c.p.p., che è volto a evitare "che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato". È del tutto evidente che solo il sequestro preventivo può considerarsi normalmente "cedevole" rispetto alle esigenze della demolizione (giacché essa tendenzialmente elide le conseguenza del reato e ne previene la commissione di ulteriori); laddove, almeno in linea di massima, le esigenze probatorie del sequestro penale e quelle di garanzia del sequestro conservativo dovrebbero essere considerate prevalenti su ogni altra. In tal senso pare in effetti disporre, abbastanza univocamente, l’art. 262 c.p.p., che disciplina la "Durata del sequestro e restituzione delle cose sequestrate" ("1. Quando non è necessario mantenere il sequestro a fini di prova, le cose sequestrate sono restituite a chi ne abbia diritto, anche prima della sentenza. Se occorre, l'autorità giudiziaria prescrive di presentare a ogni richiesta le cose restituite e a tal fine può imporre cauzione. 2. Nel caso previsto dal comma 1, la restituzione non è ordinata se il giudice dispone, a richiesta del pubblico ministero o della parte civile, che sulle cose appartenenti all'imputato o al responsabile civile sia mantenuto il sequestro a garanzia dei crediti indicati nell'articolo 316. 3. Non si fa luogo alla restituzione e il sequestro è mantenuto ai fini preventivi quando il giudice provvede a norma dell'articolo 321") Dall’esame congiunto dei suoi tre commi pare potersi cogliere, dunque, una comprensibile prevalenza delle esigenze sottese al c.d. sequestro probatorio penale, rispetto alle quali sono accessorie quelle tutelate dal sequestro conservativo; mentre risultano sostanzialmente residuali quelle sottese al sequestro preventivo. Nella misura in cui queste considerazioni colgano nel segno, risulterebbe fortemente svalutata nel sistema la tematica connessa alle istanze di dissequestro; il che costituirebbe un ulteriore argomento esegetico nel senso della fallacia delle tesi che non solo vorrebbero onerare (quantomeno praeter legem) il destinatario dell’ordine demolitorio a richiederlo, ma che tendono altresì a sanzionare l’inottemperanza a tale preteso onere con l’acquisizione. La quale, invece, sembra essere prevista dalla legge solo a fronte di una condotta, parimenti omissiva, ma ben diversa: ossia per chi, ovviamente potendolo giuridicamente fare, non demolisca l’immobile (e non anche per chi, assertivamente tenuto a chiedere al giudice il dissequestro, ometta di formulare istanze in tal senso). Sicché è anche il fondamentale principio di tipicità delle sanzioni a ulteriormente confortare la conclusione cui il Collegio qui perviene. Per approfondire vai alla sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 17.5.2017
La Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 17 maggio 2'17 ha affermato che "Risulta, in particolare, fondata l’argomentazione, svolta soprattutto nel terzo motivo di appello, con cui la società appellante sostiene l’inapplicabilità delle sanzioni previste per l’inottemperanza a ordi ... Continua a leggere
Edilizia: le opere destinate a contenere impianti serventi
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 17.5.2017

"Costituisce orientamento giurisprudenziale, qui condiviso, che la realizzazione di opere edilizie prive di alcuna autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi – quali quelli connessi alla condotta idrica, termica o all’ascensore – di una costruzione principale per esigenze tecnico-funzionali dell’edificio principale e che non possono essere ubicati nello stesso, integrino la nozione di volume tecnico, non affatto riconducibile – ancorché comportante un aumento volumetrico – a nuova costruzione (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 21 gennaio 2015 n. 175; Id., sez. VI, 29 gennaio 2015 n. 406; Id., sez. IV, 4 maggio 2010 n. 2565). Per approfondire vai alla sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 17.5.2017
"Costituisce orientamento giurisprudenziale, qui condiviso, che la realizzazione di opere edilizie prive di alcuna autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi – quali quelli connessi alla condotta idrica, termica o all’ascensore – di una costruzione pri ... Continua a leggere
Abusi edilizi: il decorso del tempo non rileva ai fini della legittimità dell'ordinanza di demolizione
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 17.5.2017

Il lungo periodo di tempo intercorrente tra la realizzazione dell'opera abusiva ed il provvedimento sanzionatorio è circostanza che non rileva ai fini della legittimità di quest'ultimo, sia in rapporto al preteso affidamento circa la legittimità dell'opera che il protrarsi del comportamento inertedel Comune avrebbe ingenerato nel responsabile dell'abuso edilizio, sia in relazione ad un ipotizzato ulteriore obbligo, per l'Amministrazione procedente, di motivare specificamente il provvedimento in ordine alla sussistenza dell'interesse pubblico attuale a far demolire il manufatto, poiché la lunga durata nel tempo dell'opera priva del necessario titolo edilizio ne rafforza il carattere abusivo. Infatti, è di per sé ordinariamente irrilevante – ad eccezione di casi particolari qui non sussistenti – il tempo intercorrente tra la commissione di un abuso edilizio e l’emanazione del provvedimento di demolizione. Quando risulta realizzato un manufatto abusivo, e malgrado il decorso del tempo, l’amministrazione deve senza indugio emanare l’ordine di demolizione per il solo fatto di aver riscontrato opere abusive: il provvedimento deve intendersi sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, essendo "in re ipsa" l'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4892; sez. V, 11 luglio 2014, n. 3568; sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955). Da un lato, quando è realizzato un abuso edilizio non è radicalmente prospettabile un legittimo affidamento. Dall’altro, il proprietario non si può di certo dolere del ritardo con cui l’amministrazione – a causa del mancato accertamento dell’abuso o per la connivenza degli organi pubblici pro tempore – abbia emanato il provvedimento che la legge impone di emanare immediatamente. La legge non ha mai attribuito rilievo sanante al ritardo con cui l’Amministrazione emana l’atto conseguente alla commissione dell’abuso edilizio, né si può affermare che l’inerzia o la connivenza degli organi pubblici possano comportare una sostanziale sanatoria, che la legge invece disciplina solo in casi tassativi, o con leggi straordinarie sul condono o con la normativa sull’accertamento di conformità. Inoltre, il procedimento di accertamento di conformità delle opere promosso dal ricorrente esclude la sussistenza di alcun affidamento, mentre l’interesse pubblico alla rimozione delle opere abusive è in re ipsa. Costituisce orientamento giurisprudenziale consolidato, da cui non sussistono giustificati motivi per qui discostarsi, che constatata l’esistenza di un abuso edilizio, l’ordine di demolizione – e, in caso d’inottemperanza, l’acquisizione al patrimonio del Comune – è atto vincolato che non richiede alcuna specifica valutazione di ragioni d’interesse pubblico e attuale alla demolizione, né comparazione con gli interessi privati coinvolti, non essendo configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione d’illecito permanente che il tempo non può legittimare in via di fatto (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 maggio 2016 n. 1948; Id., sez. VI, 5 maggio 2016 n. 1774). Per continuare la lettura vai alla sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 17.5.2017
Il lungo periodo di tempo intercorrente tra la realizzazione dell'opera abusiva ed il provvedimento sanzionatorio è circostanza che non rileva ai fini della legittimità di quest'ultimo, sia in rapporto al preteso affidamento circa la legittimità dell'opera che il protrarsi del comportamento inerte ... Continua a leggere
L'istanza di accertamento di conformità ex art. 36 d.P.R. 380/2001: gli effetti sull'ordinanza di demolizione
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 17.5.2017

La Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 17 maggio 2017 ha dato continuità all’indirizzo giurisprudenziale a mente del quale la proposizione d’istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 380/2001, successivamente all’emissione dell’ordinanza di demolizione, lungi da determinare tout court l’illegittimità della sanzione adottata, incide unicamente sulla potestà del Comune di portare ad immediata esecuzione la sanzione (cfr. Consiglio di Stato, sez, IV, 19 febbraio 2008 n. 849). Per continuare la lettura vai alla sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 17.5.2017
La Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 17 maggio 2017 ha dato continuità all’indirizzo giurisprudenziale a mente del quale la proposizione d’istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 380/2001, successivamente all’emissione dell’ordinanza di demolizi ... Continua a leggere
Il divieto di edificazione e la condonabilità dell'abuso
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 17.5.2017

Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, un divieto di edificazione è rilevante nel senso di escludere il condono ai sensi dell’art. 33 della l. 47/1985 anche se esso potrebbe venire meno per effetto di successive scelte di pianificazione urbanistica, che anzi esso è volto a salvaguardaredal fatto compiuto che un’edificazione incontrollata rappresenterebbe, ove fosse sanabile. In altri termini la liceità di un 'insediamento edilizio, e la possibilità di condonarlo se abusivo, devono essere verificate con esclusivo riferimento alla normativa urbanistica vigente all'epoca della sua realizzazione, e non ai possibili contenuti della normativa futura: così in particolare la sentenza 5725/2006. Per continuare nella lettura vai alla sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 17.5.2017
Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, un divieto di edificazione è rilevante nel senso di escludere il condono ai sensi dell’art. 33 della l. 47/1985 anche se esso potrebbe venire meno per effetto di successive scelte di pianificazione urbanistica, che anzi esso è volto a salvaguardare ... Continua a leggere
Abusi edilizi: il Comune deve senza indugio emanare l’ordine di demolizione per il solo fatto di aver riscontrato opere abusive
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 17.5.2017

La Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 17 maggio 2017 ha affermato che: quando risulta la realizzazione di abusi edilizi, il Comune «deve senza indugio emanare l’ordine di demolizione per il solo fatto di aver riscontrato opere abusive» (cfr. Consiglio Stato, Sez. VI, 30 marzo2017, n. 1486; Sez. VI, 6 marzo 2017, n. 1060 e n. 1058; Sez. V, 11 luglio 2014, n. 3568; Sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955) e cioè deve immediatamente emanare il provvedimento che ripristini la legalità; -tale principio si fonda sul dato testuale dell’art. 31, comma 2, del testo unico n. 380 del 2001, per il quale «il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione»; le questioni inerenti alla sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 33, comma 2, del medesimo testo unico (per il quale, «qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecunaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile») riguardano una fase procedimentale successiva ed eventuale, dal momento che il destinatario dell’ordine di demolizione può preferire – entro il termine di novanta giorni, decorso il quale si verifica il prospettato acquisto del bene da parte dell’Amministrazione comunale – di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto e di non pagare la somma corrispondente al doppio dell’aumento di valore dell’immobile; in altri termini, per l’applicabilità del medesimo art. 33, comma 2, occorre la sussistenza di alcuni presupposti, tra cui proprio la previa emanazione dell’ordine di demolizione, l’istanza tempestiva del destinatario dell’ordine ed un «motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale» sulla impossibilità materiale di ripristinare lo stato dei luoghi, configurabile soltanto quando «la demolizione, per le sue conseguenze materiali, inciderebbe sulla stabilità dell'edificio nel suo complesso» legittimamente realizzato (cfr. ex plurimis Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 marzo 2017, n. 1484; Sez. VI, 9 aprile 2013, n. 1912), il che non avviene – in linea di principio - quando si tratta di eliminare opere realizzate in aggiunta a un manufatto preesistente. Per continuare la lettura vai alla sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 17.5.2017
La Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 17 maggio 2017 ha affermato che: quando risulta la realizzazione di abusi edilizi, il Comune «deve senza indugio emanare l’ordine di demolizione per il solo fatto di aver riscontrato opere abusive» (cfr. Consiglio Stato, Sez. VI, 30 marzo ... Continua a leggere
Interdittiva antimafia: la prognosi di permeabilità
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 16.5.2017

"La formulazione della prognosi di permeabilità non può essere ancorata al mero dato formale dei passaggi societari, ma deve necessariamente addentrarsi nell’analisi della storia e dell’evoluzione della partnership, al fine di comprendere, alla luce anche dei tempi e delle modalità dei passaggi societari, nonché degli altri elementi extra societari di rilievo e del contesto di operatività, se siffatta partnership possa essere indice di condivisione di obiettivi e metodi. Ed infatti, la giurisprudenza è costante nell’affermare che l’interdittiva antimafia può legittimamente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo, purché dall'analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell'attività di impresa (cfr. Cons. Stato, sez. III, 5 febbraio 2016, n. 463)" Per approfondire vai alla sentenza della Terza Sezione del Consiglio d ìi Stato del 16 maggio 2017.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 16.5.2017
"La formulazione della prognosi di permeabilità non può essere ancorata al mero dato formale dei passaggi societari, ma deve necessariamente addentrarsi nell’analisi della storia e dell’evoluzione della partnership, al fine di comprendere, alla luce anche dei tempi e delle modalità dei passaggi soc ... Continua a leggere
La Pertinenza urbanistica
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 17.5.2017

Per la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. Sez. VI, 13 marzo 2017, n. 1155; Sez. VI, 16 febbraio 2017, n. 694), va «rimarcato come occorra il titolo edilizio per la realizzazione di nuovi manufatti, quand’anche sotto il profilo civilistico essi si possano qualificare come pertinenze».«La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica» (cfr. anche Cons. St., Sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 19; Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952; Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817; Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615).«Nell’ordinamento statale, infatti, vi è il principio generale per il quale occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente), quando si tratti di un ‘manufatto edilizio’ (cfr. Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952): salva una diversa normativa regionale o comunale, ai fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opera, come una tettoia, che ne alteri la sagoma».«Viceversa, il testo unico attribuisce rilevanza urbanistica ed edilizia alle pertinenze, ammettendo all’art. 3, comma 1, lett. e.6) che specifiche regole siano contenute nelle ‘norme tecniche degli strumenti urbanistici’».Per approfondire vai alla sentenza
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 17.5.2017
Per la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. Sez. VI, 13 marzo 2017, n. 1155; Sez. VI, 16 febbraio 2017, n. 694), va «rimarcato come occorra il titolo edilizio per la realizzazione di nuovi manufatti, quand’anche sotto il profilo civilistico essi si possano qualificare come pertinenze».«La qu ... Continua a leggere
Gare: la mancata attivazione del codice CIG
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 12.5.2017

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha analizzato il motivo di ricorso con il quale si deduce l’illegittimità della gara per mancata attivazione del codice CIG (codice identificativo gara), censurandosi la sentenza di prime cure secondo cui l’obbligo di indicazione del CIG attiene non già allafase di scelta del contraente, ma alla fase esecutiva del procedimento di gara, ed in particolare alla stipula del contratto. Ad avviso dell’appellante, tale soluzione trascura la finalità, connessa all’attribuzione del CIG, di determinazione dell’importo della contribuzione (in favore dell’ANAC) gravante sull’operatore economico che intende partecipare ad una gara. Nella sentenza del 12 maggio 2017 il Collegio ha rigettato tale motivo di appello ritenendo meritevole di conferma la sentenza di primo grado che ha collegato l’obbligatorietà dell’’indicazione del CIG alla stipula del contratto, essendo la stessa essenzialmente funzionale alla tracciabilità dei flussi finanziari, secondo quanto inferibile dall’art. 3, comma 5, della legge 13 agosto 2010, n. 136. A tale considerazione - conclude il Collegio - deve aggiungersi l’ulteriore che tiene conto della peculiarità del contratto oggetto di controversia, che partecipa della natura di contratto attivo (nella misura in cui si traduce nell’alienazione di beni pubblici, i rifiuti consistenti in indumenti ed accessori di abbigliamento) e di concessione di servizi (di smaltimento e riciclaggio dei rifiuti). L’asta oggetto di controversia non è dunque un appalto, ma anzitutto una vendita di beni, sì che può anche dubitarsi dell’applicabilità degli obblighi di tracciabilità. Per approfondire scarica la sentenza
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 12.5.2017
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha analizzato il motivo di ricorso con il quale si deduce l’illegittimità della gara per mancata attivazione del codice CIG (codice identificativo gara), censurandosi la sentenza di prime cure secondo cui l’obbligo di indicazione del CIG attiene non già alla ... Continua a leggere
Procedure di gara: a fronte di più possibili interpretazioni di una clausola della lex specialis non può legittimamente aderirsi all'opzione che comporterebbe l'esclusione dalla gara
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 12.5.2017

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 12 maggio 2'17 ha osservato che, a fronte di più possibili – e parimenti plausibili – interpretazioni di una clausola della lex specialis di gara, l’interprete deve, alla luce di generali principi, privilegiare quella che garantisca nellamisura maggiore possibile l’attuazione del generale canone eurounitario del favor participationis. E’ stato condivisibilmente osservato al riguardo che a fronte di più possibili interpretazioni di una clausola della lex specialis (una avente quale effetto l'esclusione dalla gara e l'altra tale da consentire la permanenza del concorrente), non può legittimamente aderirsi all'opzione che, ove condivisa, comporterebbe l'esclusione dalla gara, dovendo essere favorita l'ammissione del più elevato numero di concorrenti, in nome del principio del favor partecipationis e dell'interesse pubblico al più ampio confronto concorrenziale (in tal senso: Cons. Stato, V, 24 febbraio 2017, n. 869). Per approfondire scarica la sentenza
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 12.5.2017
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 12 maggio 2'17 ha osservato che, a fronte di più possibili – e parimenti plausibili – interpretazioni di una clausola della lex specialis di gara, l’interprete deve, alla luce di generali principi, privilegiare quella che garantisca nella ... Continua a leggere
Appalti: la prova per il risarcimento del danno da mancata aggiudicazione
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 12.5.2017

Per quanto riguarda i presupposti dell'obbligazione risarcitoria e i criteri di commisurazione del danno il Consiglio di Stato, Sez. V; nella sentenza del 12 maggio 2017 - alla stregua di consolidati principi (da ultimo richiamati da: Cons. Stato, IV, 23 maggio 2016, n. 211) - ha osservato: - che,ai sensi degli artt. 30, 40 e 124, comma 1, c.p.a., il danneggiato deve offrire la prova dell’an e del quantum del danno che assume di aver sofferto; - che spetta all'impresa danneggiata offrire la prova dell'utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, poiché nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.); quest'ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l'asimmetria informativa tra Amministrazione e privato la quale contraddistingue l'esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell'azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697, primo comma cod. civ.; - che la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ. è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità - o di estrema difficoltà - di una precisa prova sull'ammontare del danno; - che la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni; per la configurazione di una presunzione giuridicamente rilevante non occorre che l'esistenza del fatto ignoto rappresenti l'unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla base della regola della ‘inferenza necessaria’), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’‘id quod plerumque accidit’ (in virtù della regola della ‘inferenza probabilistica’), sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall'apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici; - non può trovare applicazione il risalente orientamento volto a riconoscere in siffatte ipotesi l'equivalente del 10 per cento dell'importo a base d’asta, sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché non può essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata (non potendo formularsi un giudizio di probabilità fondato sull’id quod plerumque accidit secondo il quale, allegato l’importo a base d'asta, può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile al 10% del detto importo); - anche per il c.d. danno curricolare il creditore deve offrire una prova puntuale del nocumento che asserisce di aver subito (il mancato arricchimento del proprio curriculum professionale), quantificandolo in una misura percentuale specifica applicata sulla somme liquidata a titolo di lucro cessante. Per approfondire scarica la sentenza
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 12.5.2017
Per quanto riguarda i presupposti dell'obbligazione risarcitoria e i criteri di commisurazione del danno il Consiglio di Stato, Sez. V; nella sentenza del 12 maggio 2017 - alla stregua di consolidati principi (da ultimo richiamati da: Cons. Stato, IV, 23 maggio 2016, n. 211) - ha osservato: - che, ... Continua a leggere
Gare pubbliche: la verifica dell'anomalia dell'offerta
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 12.5.2017

In virtù del consolidato orientamento giurisprudenziale: - nelle gare pubbliche il giudizio circa l'anomalia o l'incongruità dell'offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile dal giudice amministrativo solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale e, quindi, non può essere esteso ad una autonoma verifica della congruità dell'offerta e delle singole voci (Cons. Stato, Sez. V, 17/11/2016, n. 4755; Sez. III, 6/2/2017, n. 514); - il procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta non mira ad individuare specifiche e singole inesattezze nella sua formulazione ma, piuttosto, ad accertare in concreto che la proposta economica risulti nel suo complesso attendibile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto; - al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e aver portato a termine un appalto pubblico (Cons. Stato, Sez. V, 13/2/2017, n. 607 e 25/1/2016, n. 242; Sez. III, 22/1/2016, n. 211 e 10/11/2015, n. 5128). Per approfondire scarica la sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 12.5.2017
In virtù del consolidato orientamento giurisprudenziale: - nelle gare pubbliche il giudizio circa l'anomalia o l'incongruità dell'offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile dal giudice amministrativo solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale e, qu ... Continua a leggere
Procedure di gara: il requisito del pregresso svolgimento di "servizi analoghi" non è assimilabile con quello di "servizi identici"
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 12.5.2017

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 12 maggio 2017 ha richiamato la recente sentenza della Sezione nella quale si afferma che laddove la lex specialis: <<…chieda ai partecipanti di documentare il pregresso svolgimento di "servizi analoghi", la stazione appaltante non è legittimata ad escludere i concorrenti che non abbiano svolto tutte le attività oggetto dell'appalto nè ad assimilare impropriamente il concetto di "servizi analoghi" con quello di "servizi identici", atteso che la ratio sottesa alla succitata clausola del bando è il contemperamento tra l'esigenza di selezionare un imprenditore qualificato ed il principio della massima partecipazione alle gare pubbliche; aggiungasi che la locuzione "servizi analoghi" non s'identifica con "servizi identici", poiché la prima formula ("servizi analoghi") implica la necessità di ricercare elementi di similitudine tra i servizi presi in considerazione, che possono scaturire solo dal confronto tra le prestazioni oggetto dell'appalto da affidare e le prestazioni oggetto dei servizi indicati dai concorrenti al fine di dimostrare il possesso della capacità economico-finanziaria richiesta dal bando>> (così Cons. Stato, Sez. V, 6/4/2017, n. 1608; in termini anche Cons. Stato, Sez. V, 28/7/2015, n. 3717 e 25/6/2014, n. 3220). E’ stato anche precisato la prescrizione concernente lo svolgimento di servizi similari deve ritenersi soddisfatta ove il concorrente abbia, comunque, dimostrato di aver espletato servizi rientranti nel medesimo settore imprenditoriale o professionale al quale afferisce l'appalto (Cons. Stato, Sez. III, 19/2/2016, n. 695; Sez. IV, 5/3/2015, n. 1122). Per approfondire scarica la sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 12.5.2017
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 12 maggio 2017 ha richiamato la recente sentenza della Sezione nella quale si afferma che laddove la lex specialis: <<…chieda ai partecipanti di documentare il pregresso svolgimento di "servizi analoghi", la stazione appaltante non è legit ... Continua a leggere
Procedura di affidamento di un contratto pubblico: il principio tempus regit actum
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 12.5.2017

Per costante orientamento del Consiglio di Stato la procedura di affidamento di un contratto pubblico è soggetta alla normativa vigente alla data di pubblicazione del bando, in conformità al principio tempus regit actum ed alla natura del bando di gara, quale norma speciale della procedura che regola cui non solo le imprese partecipanti, ma anche l'amministrazione non può sottrarsi» (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 7 giugno 2016, n. 2433). Per approfondire scarica la sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 12.5.2017
Per costante orientamento del Consiglio di Stato la procedura di affidamento di un contratto pubblico è soggetta alla normativa vigente alla data di pubblicazione del bando, in conformità al principio tempus regit actum ed alla natura del bando di gara, quale norma speciale della procedura che rego ... Continua a leggere
Gare rette dal criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa: le modalità di assegnazione dei punteggi per evitare un ingiustificato svuotamento di efficacia della componente tecnica o di quella del prezzo
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 12.5.2017

La giurisprudenza ha, in diverse occasioni, confermato che le formule devono essere tali da rendere possibile l'attribuzione dell'intero range dei punteggi, variabile da zero al massimo fissato nel bando: le formule previste nel Regolamento, pur non obbligatorie, garantiscono il rispetto di tali principi: si tratta di formule di tipo lineare che garantiscono l'equilibrio tra i criteri di valutazione. In sostanza, la derivata prima della funzione ribasso deve essere costante e, di conseguenza, deve essere una retta: se, ad esempio, all'elemento economico (ribasso o prezzo) fosse assegnata una funzione che a grandi oscillazioni dello stesso elemento comportasse una variazione molto piccola del coefficiente, per quest'elemento di valutazione tutti i concorrenti si troverebbero praticamente sullo stesso piano e, ai fini della scelta, l'elemento sarebbe ininfluente e la scelta verrebbe compiuta sugli elementi qualitativi che, per definizione, sono discrezionali. Stabilito che tutti i coefficienti devono variare linearmente, ed essendo noto che per determinare una retta è sufficiente stabilirne due punti, la vigente normativa individua questi due punti tenendo conto del fatto che il coefficiente deve variare, appunto, tra zero ed uno. Quindi, anche sotto il profilo generale, le formule paraboliche, come quella in oggetto, non assicurano affatto il rapporto ponderale tra i vari elementi di valutazione fissati dal committente, specie se tale formula riguarda il prezzo, perché distorcendone la linearità sotto il profilo matematico, finisce per dare massimo valore ai criteri qualitativi che sono quelli più discrezionali e, quindi, potenzialmente più manipolabili dalla commissione di gara, in contrasto con i principi di trasparenza che permeano le gare pubbliche (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 18 ottobre 2011, n. 5583). Pertanto, nelle gare rette dal criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa ciò che conta è che nell'assegnazione dei punteggi venga utilizzato tutto il potenziale differenziale previsto dal bando per la voce in considerazione, al fine di evitare un ingiustificato svuotamento di efficacia della componente tecnica o di quella del prezzo. Per approfondire scarica la sentenza
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 12.5.2017
La giurisprudenza ha, in diverse occasioni, confermato che le formule devono essere tali da rendere possibile l'attribuzione dell'intero range dei punteggi, variabile da zero al massimo fissato nel bando: le formule previste nel Regolamento, pur non obbligatorie, garantiscono il rispetto di tali pr ... Continua a leggere
Edilizia: il permesso di costruire per "l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione"
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 12.5.2017

L'art. 3 co. 1 lett. e) punto 4 del D.P.R. 380/01 dispone chiaramente che rientri negli interventi di nuova costruzione che necessitano di permesso di costruire "l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione". È quanto affermato dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato che, nella sentenza del 12 maggio 2017, ha altresì rilevato che nel senso della necessità di munirsi di permesso di costruire anche per i soggetti autorizzati ai sensi del Codice delle comunicazioni elettroniche la Sezione del resto si è già puntualmente espressa, chiarendo che la sottoposizione di siffatti impianti al titolo abilitativo edilizio "non soffre eccezione per effetto della disciplina dettata dall'art. 87 del codice della comunicazioni elettroniche approvato con D.Lgs. n. 259 del 2003. Tale ultima disposizione reca una disciplina unitaria del procedimento autorizzatorio delle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici, abbinando all'interno di un unico procedimento - a fini di semplificazione ed accelerazione del rilascio dell'atto conclusivo - la verifica dell'osservanza dei limiti di esposizione alle emissioni radio-elettriche e di ogni altro interesse di rilievo pubblico che si colleghi alla porzione di territorio su cui interviene l'installazione dell'impianto, ma non reca alcuna prescrizione volta a derogare alla disciplina urbanistico/edilizia del sito interessato". La Sezione ha avuto cura di aggiungere che "La sottrazione al regime autorizzatorio non trova, inoltre, sostegno nell' assimilazione, ai sensi dell' art. 86, terzo comma, del D.Lgs. n. 259 del 2003, delle infrastrutture di comunicazione elettronica alle "opere di urbanizzazione primaria". Anche tali ultimi interventi - come espressamente previsto dall'art. 3, comma 1, lett. e), punto e.2) del D.Lgs. n. 380 del 2001 - per l'effetto modificativo dell'assetto del territorio ad essi peculiare si qualificano come "nuova costruzione" e non sono sottratti al controllo comunale previsto dall'art. 10 del D.Lgs. n. 380 del 2001 citato" (Cons. Stato Sez. III, Sent., 19/05/2014, n. 2521). Per approfondire scarica la sentenza
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 12.5.2017
L'art. 3 co. 1 lett. e) punto 4 del D.P.R. 380/01 dispone chiaramente che rientri negli interventi di nuova costruzione che necessitano di permesso di costruire "l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione". È quanto aff ... Continua a leggere
Procedure di gara: la mancata specificazione degli oneri di sicurezza aziendale
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 11.5.2017

Nel giudizio promosso dinanzi al Consiglio di Stato l’appellante si duole dell’erroneità dell’affermazione con cui il giudice di prime cure ha ritenuto che la mancata specificazione degli oneri di sicurezza aziendale in sede di offerta possa costituire causa di esclusione della procedura selettiva,pur in assenza di una specifica prescrizione in tale senso nella disciplina di gara. La pronuncia contrasterebbe, infatti, con i principi eurounitari di tutela del legittimo affidamento, di certezza del diritto, di libera circolazione, di libero stabilimento e di parità di trattamento. Ad avviso della Quinta Sezione del Consiglio di Stato la doglianza è fondata. L’impugnata sentenza richiama integralmente l’orientamento dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato di cui alle sentenze 20 marzo 2015, n. 3 e 2 novembre 2015, n. 9, riguardo alle conseguenze della mancata indicazione degli oneri della sicurezza aziendale in sede di offerta. Più di recente, però, la medesima Adunanza plenaria è nuovamente intervenuta sulla tematica con la sentenza 27 luglio 2016, n. 19 che, rettificando il precedente indirizzo, alla luce dei principi eurounitari della tutela dell’affidamento, della certezza del diritto, della parità di trattamento, della non discriminazione, della proporzionalità e della trasparenza, ha affermato che per le gare bandite anteriormente all'entrata in vigore del nuovo c.d. codice degli appalti pubblici e delle concessioni (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), nelle ipotesi in cui l'obbligo di indicazione separata dei costi di sicurezza aziendale non sia stato specificato dalla legge di gara, e non sia in contestazione che dal punto di vista sostanziale l'offerta rispetti i costi minimi di sicurezza aziendale, l'esclusione del concorrente non può essere disposta se non dopo che lo stesso sia stato invitato a regolarizzare l'offerta dalla stazione appaltante nel doveroso esercizio dei poteri di soccorso istruttorio (in termini anche Cons. Stato, V, 18 gennaio 2017, n. 194; 23 dicembre 2016, n. 5444; III, 27 ottobre 2016, n. 4527). Il nuovo orientamento ha trovato conferma nell’ordinanza della Corte di Giustizia U.E., VI, 10 novembre 2016, in C-140/16, C-697/15 e C-162/16, secondo cui: "il principio della parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza, come attuati dalla direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, devono essere interpretati nel senso che ostano all’esclusione di un offerente dalla procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico a seguito dell’inosservanza, da parte di detto offerente, dell’obbligo di indicare separatamente nell’offerta i costi aziendali per la sicurezza sul lavoro, obbligo il cui mancato rispetto è sanzionato con l’esclusione dalla procedura e che non risulta espressamente dai documenti di gara o dalla normativa nazionale, bensì emerge da un’interpretazione di tale normativa e dal meccanismo diretto a colmare, con l’intervento del giudice nazionale di ultima istanza, le lacune presenti in tali documenti. I principi della parità di trattamento e di proporzionalità devono inoltre essere interpretati nel senso che non ostano al fatto di concedere a un tale offerente la possibilità di rimediare alla situazione e di adempiere detto obbligo entro un termine fissato dall’amministrazione aggiudicatrice". La pronuncia riprende l’affermazione più generale fatta dalla stessa Corte di Giustizia nella sentenza della Sez. VI, 2 giugno 2016, in C–27/15, secondo la quale: "Il principio di parità di trattamento e l'obbligo di trasparenza devono essere interpretati nel senso che ostano all'esclusione di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico in seguito al mancato rispetto, da parte di tale operatore, di un obbligo che non risulta espressamente dai documenti relativi a tale procedura o dal diritto nazionale vigente, bensì da un'interpretazione di tale diritto e di tali documenti nonché dal meccanismo diretto a colmare, con un intervento delle autorità o dei giudici amministrativi nazionali, le lacune presenti in tali documenti. In tali circostanze, i principi di parità di trattamento e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano al fatto di consentire all'operatore economico di regolarizzare la propria posizione e di adempiere tale obbligo entro un termine fissato dall'amministrazione aggiudicatrice". Per approfondire scarica la sentenza
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 11.5.2017
Nel giudizio promosso dinanzi al Consiglio di Stato l’appellante si duole dell’erroneità dell’affermazione con cui il giudice di prime cure ha ritenuto che la mancata specificazione degli oneri di sicurezza aziendale in sede di offerta possa costituire causa di esclusione della procedura selettiva, ... Continua a leggere
Gara d’appalto: i principi giurisprudenziali consolidati in tema di determinazione del danno da mancata aggiudicazione
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 11.5.2017

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 11 maggio 2017 ha richiamato i principi ormai consolidati elaborati dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, in tema di determinazione del danno da mancata aggiudicazione di gara d’appalto (cfr. ex plurimis: Cons. Stato, IV, 23 maggio 2016, n. 2111; V, 21 luglio 2015, n. 3605, 31 dicembre 2014, nn. 6450 e 6453), secondo cui: ai sensi degli artt. 30, 40 e 124, comma 1, cod. proc. amm., il danneggiato deve offrire la prova dell’an e del quantum del danno che assume di avere sofferto; in particolare spetta all’impresa danneggiata offrire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito qualora fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, cod. proc. amm.); quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra amministrazione e privato la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre la medesima necessità non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, cod. civ. (e specificato per il risarcimento dei danni da mancata aggiudicazione dal sopra citato art. 124, comma 1, cod. proc. amm.); la valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., in combinato con l’art. 2056 cod. civ., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità o di estrema difficoltà di una precisa prova sull’ammontare del danno; la parte danneggiata non può sottrarsi all’onere probatorio su di essa gravante e rimettere l’accertamento dei propri diritti all'attività del consulente tecnico d’ufficio senza dedurre quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti; la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni, ma in conformità alla regola generale di cui all’art. 2729 cod. civ. queste devono essere dotate dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici; va esclusa la pretesa di ottenere l’equivalente del 10% dell’importo a base d’asta, sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché non può essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata, non potendo formularsi un giudizio di probabilità fondato sull’idquod plerumque accidit secondo il quale, allegato l’importo a base d’asta, può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile alla percentuale sopra indicata; anche per il cd. danno curriculare il creditore deve offrire una prova puntuale del nocumento che asserisce di aver subito in termini di mancato arricchimento del proprio curriculum professionale e della perdita di ulteriori commesse sulla base di una qualificazione mancata a causa dell’altrui illegittima aggiudicazione. Per approfondire vai alla sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 11.5.2017
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 11 maggio 2017 ha richiamato i principi ormai consolidati elaborati dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, in tema di determinazione del danno da mancata aggiudicazione di gara d’appalto (cfr. ex plurimis: Cons. Stato, IV, 23 m ... Continua a leggere
È legittimo il ricorso all'avvalimento pur se non espressamente previsto nel bando di gara
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 11.5.2017

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 11 maggio 2017 ha ricordato che: l’indicazione del nominativo del subappaltatore delle categorie di lavori scorporabili non costituisce requisito di partecipazione alla procedura di gara per la concorrente sprovvista delle relative qualificazioni, ma elemento che rileva nella fase di esecuzione del contratto (Cons. Stato, Ad. plen., sentenza 2 novembre 2015, n. 9; a tale pronuncia di nomofilachia si è quindi conformata la giurisprudenza successiva di questo Consiglio di Stato: III, 13 gennaio 2016, n. 76; IV, 9 febbraio 2016, n. 520; V, 21 aprile 2016, n. 1597, 16 marzo 2016, n. 1049, 15 marzo 2016, n. 1027, 27 gennaio 2016, n. 264, 11 dicembre 2015, n. 5655; VI, 29 gennaio 2016, n. 367); per le procedure di gara bandite in epoca precedente al nuovo codice dei contratti pubblici l’indicazione dei costi interni per la sicurezza non costituisce causa di esclusione, quando la stessa non è richiesta dal bando di gara e non è in discussione sul piano sostanziale la congruità di tale voce di spesa, come nel caso di specie (Cons. Stato, Ad. plen., 27 luglio 2016, n. 19; anche in questo caso con successiva giurisprudenza conforme: Cons. Stato, III, 13 febbraio 2017, n. 590, 18 gennaio 2017, nn. 179 e 194, 17 gennaio 2017, n. 157, 9 gennaio 2017, n. 30; V, 6 aprile 2017, n. 1608, 7 marzo 2017, n. 1073, 20 febbraio 2017, n. 749, 6 febbraio 2017, n. 500, 28 dicembre 2016, n. 5475, 23 dicembre 2016, n. 5444, 22 dicembre 2016, n. 5423,15 dicembre 2016, n. 5283, 17 novembre 2016, n. 4755, 7 novembre 2016, n. 4646, 11 ottobre 2016, n. 4182; VI, 31 marzo 2017, n. 1496); l’avvalimento è un istituto di carattere generale ammesso per finalità pro-concorrenziali di matrice europea ed è dunque legittimo farvi ricorso pur se non espressamente previsto nel bando di gara, anche nella forma dell’avvalimento plurimo o frazionato (cfr. Corte di Giustizia Ue 10 ottobre 2013, in causa C-94/12); peraltro, sin dal giudizio di primo grado il Comune ha contestato che l’aggiudicataria si sia avvalsa di altra impresa per qualificarsi ai fini della procedura di gara in contestazione e l’odierna appellante non ha controdedotto in modo puntuale sul punto. Per approfondire scarica la sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 11.5.2017
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 11 maggio 2017 ha ricordato che: l’indicazione del nominativo del subappaltatore delle categorie di lavori scorporabili non costituisce requisito di partecipazione alla procedura di gara per la concorrente sprovvista delle relative qualif ... Continua a leggere