
News 4 Maggio 2017 - Area Tecnica
Individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura semplificata: gli indirizzi del MIBACT sulle nuove disposizioni

Sulla Gazzetta ufficiale n. 68 del 22 marzo 2017 è stato pubblicato il decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017. n. 31 entrato in vigore il giorno 6 aprile 2017 relativamente al quale il Ministero dei beni culturali con circolare n. 15/2017 si è premurato di fornire una prima informativa di carattere generale delle nuove disposizioni, riservandosi di trasmettere ulteriori approfondimenti analitici con successivi atti, anche alla luce delle prime esperienze applicative e tenuto conto del fatto che la competente Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio, anche su indicazione del Sottosegretario, Onorevole Ilaria Borletti Buitoni, delegata per il paesaggio, intende a breve convocare, entro la fine del corrente mese, un apposito incontro tematico, avente ad oggetto una prima disamina più analitica del regolamento, con i titolari degli uffici periferici competenti. Per maggiori informazioni vai alla Nota Informativa dell'Ufficio legislativo recante "Individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura semplificata".
Sulla Gazzetta ufficiale n. 68 del 22 marzo 2017 è stato pubblicato il decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017. n. 31 entrato in vigore il giorno 6 aprile 2017 relativamente al quale il Ministero dei beni culturali con circolare n. 15/2017 si è premurato di fornire una prima inform ... Continua a leggere
Ambito di intervento dell’Anac: funzioni, competenze e segnalazioni

Il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione ha approvato nella seduta del 27 aprile 2017 un Comunicato del Presidente per richiamare l’attenzione sul perimetro di intervento dell’Anac ed evidenziare al contempo le tipologie di segnalazioni cui non possono far seguito attività di vigilanza overifica, in quanto l’oggetto è estraneo alle competenze assegnate dalla legge all’Autorità Nazionale Anticorruzione. Numerose, infatti, sono le segnalazioni e richieste di intervento inviate all’Anac sia da soggetti pubblici e operatori economici sia da comuni cittadini, riguardanti fattispecie che esulano dalle funzioni attribuite all’Anac e sulle quali non è possibile svolgere alcuna attività di accertamento o indagine. Il Comunicato ha quindi anche il duplice scopo di evitare che si producano nei soggetti richiedenti aspettative circa un intervento o una soluzione da parte dell’Anac su questioni chiaramente inconferenti e che la valutazione di tali richieste, comunque necessaria, possa rallentare l’attività istruttoria sulle questioni che invece sono di pertinenza dell’Autorità. Per approfondire vai al comunicato Comunicato del Presidente del 27 aprile 2017.
Il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione ha approvato nella seduta del 27 aprile 2017 un Comunicato del Presidente per richiamare l’attenzione sul perimetro di intervento dell’Anac ed evidenziare al contempo le tipologie di segnalazioni cui non possono far seguito attività di vigilanza o ... Continua a leggere
Procedure di gara: l'esclusione per irregolarità contributiva
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 4.5.2017

Per l’art. 38, comma 1, lett. i), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, sono esclusi dalle procedure di gara per i contratti pubblici coloro i quali "hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti" ed è pacifico che la regolarità contributiva deve sussistere fin dalla presentazione dell’offerta e permanere per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, restando irrilevante un eventuale adempimento tardivo dell’obbligazione contributiva (cfr. Cons. Stato, V, 29 aprile 2016 n. 1650; Cons. Stato, III, 9 marzo 2016, n. 955), secondo il principio già espresso da Cons. Stato, Ad. plen, 4 maggio 2012, n. 8, e non inciso dall’art. 31 (Semplificazioni in materia di DURC), comma 8, d. l. 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito con modificazioni dalla l. 9 agosto 2013 n. 98 sull’invito alla regolarizzazione, come recentemente ribadito da Cons. Stato, Ad. plen., 29 febbraio 2016, n. 5 e 6, secondo cui, anche dopo le disposizioni contenute nell’art. 31 citato, la regolarità dell’assolvimento degli obblighi previdenziali e assistenziali deve comunque permanere per l’intera durata la procedura concorsuale senza regolarizzazioni postume, posto che l’invito alla regolarizzazione (il c.d. preavviso di DURC negativo), di cui proprio all’art. 31 predetto riguarda i soli rapporti tra impresa ed ente previdenziale; ciò senza tralasciare che il termine di validità del Durc non può essere strumentalmente utilizzato per legittimare la partecipazione alla gara di imprese che al momento della presentazione della domanda non siano comunque più in regola con gli obblighi contributivi e ciò anche nel caso di durata abnorme del procedimento di gara. E’ pertanto immune da censure l’operato della stazione appaltante che, in sede di verifica postuma dei requisiti autocertificati effettuata ai sensi dell’art. 48 d. lgs. n. 163 del 2006, ha disposto l’esclusione dalla gara dell’odierna appellante, tenuto conto che la stessa era risultata priva del requisito della regolarità contributiva continuativa. Non merita favorevole considerazione neppure la doglianza circa la pretese illegittimità dell'incameramento della cauzione provvisoria per il mancato vaglio dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa, non essendo esso previsto dalla disposizione, secondo cui la cauzione ha la funzione di garantire la serietà dell'offerta fino alla mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'aggiudicatario, sia volontaria o meno (ex multis, Cons. Stato, ad plen. n. 8 del 2012; Cons. Stato, V, 10 agosto 2016 n. 3578). Per approfondire vai alla sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 4.5.2017
Per l’art. 38, comma 1, lett. i), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, sono esclusi dalle procedure di gara per i contratti pubblici coloro i quali "hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione itali ... Continua a leggere
Gare: le conseguenze della mancata presentazione del PassOE
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 4.5.2017

Si segnala la sentenza della Quinta sezione del Consiglio di Stato del 4.5.2015 nella quale si analizza la censura secondo cui la mancata presentazione del PassOE di per sé costituirebbe causa di esclusione dell’aggiudicataria. La questione è stata risolta dal Collegio tenendo conto sia della natura di tale atto, sia del principio generale di tassatività delle cause di esclusione dalle gare (exarticolo 46, comma 1-bis del d.lgs 163/06, applicabile ratione temporis). Sotto il primo profilo, il cd. PassOE altro non è che uno strumento (elettronico) attraverso cui l’operatore economico può essere verificato per mezzo del sistema ACVPass con il quale la stazione appaltante assolve all’obbligo di provvedere direttamente, presso gli enti certificanti convenzionati con l’ANAC, all’acquisizione dei documenti necessari alla verifica dei requisiti autodichiarati dai concorrenti in sede di gara. In breve, attraverso un’interfaccia web e la cooperazione applicativa dei vari enti certificanti, l’amministrazione può accedere in formato elettronico ai documenti posti a comprova delle dichiarazioni del concorrente. Sotto il secondo profilo, va chiarito che né il Codice dei contratti (articolo 6-bis), né la lex specialis di gara indicano il possesso del PassOE quale requisito di partecipazione previsto a pena di esclusione dalla procedura concorsuale; neppure può ritenersi, sotto il profilo operativo e funzionale, che lo stesso si configuri come elemento essenziale, incidente sulla par condicio dei concorrenti. Per l’effetto il collegio ha concluso che, nel caso di specie, la mancata produzione del PassOE in sede di gara integri una mera carenza documentale e non anche un’ipotesi di irregolarità essenziale: il PassOE non solo non costituisce quindi causa di esclusione del concorrente dalla procedura, ma può essere prodotto in un momento successivo a seguito di "soccorso istruttorio" – regolarizzando così la documentazione – senza che da ciò derivi, tra l’altro, la necessità per la stazione appaltante di applicare alcuna sanzione pecuniaria. Per approfondire scarica il testo integrale della sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 4.5.2017
Si segnala la sentenza della Quinta sezione del Consiglio di Stato del 4.5.2015 nella quale si analizza la censura secondo cui la mancata presentazione del PassOE di per sé costituirebbe causa di esclusione dell’aggiudicataria. La questione è stata risolta dal Collegio tenendo conto sia della natu ... Continua a leggere
Zona a traffico limitato: il quadro dei principi giurisprudenziali
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 4.5.2017

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 4 maggio 2017 ha delineato sinteticamente il quadro dei principi giurisprudenziali sulla disciplina limitata della circolazione veicolare, della sosta tariffata e del telecontrollo all'interno dei centri abitati (cfr., da ultimo, Cons. Stato, V, 6 maggio 2015, n. 2255; IV, 4 dicembre 2013, n. 5768; V, 13 febbraio 2009, n. 859; V, 13 febbraio 2009, n. 825; 3 febbraio 2009, n. 596; 4 marzo 2008, n. 824; Ad. plen. 6 febbraio 1993, n. 3; parere II, 26 gennaio 2011, n. 191/2006; Corte cost. 29 gennaio 2005, n. 66; 19 luglio 1996, n. 264: cui si rinvia anche ai sensi dell'art. 88, comma 2, lett. d), Cod. proc. amm.), in forza dei quali: a) l'art. 16 Cost. non preclude alla legge di adottare, per ragioni di pubblico interesse, misure che influiscano sul movimento della popolazione; è pertanto costituzionalmente legittima una previsione come quella dell'art. 7 del Codice della strada, in quanto l'art. 16 Cost. consente limitazioni giustificate in funzione di altri interessi pubblici egualmente meritevoli di tutela; conseguentemente non sono utilmente proponibili, contro atti amministrativi attuativi dell’art. 7, doglianze di violazione degli artt. 16 e 41 Cost. quando non sia vietato tout court l'accesso e la circolazione all'intero territorio, ma solo a delimitate, seppur vaste, zone dell'abitato urbano particolarmente esposte alle conseguenze dannose del traffico; b) la parziale limitazione della libertà di locomozione e di iniziativa economica è giustificata quando derivi dall'esigenza di tutela rafforzata di patrimoni culturali ed ambientali, specie di rilievo mondiale o nazionale; la gravosità delle limitazioni si giustifica anche alla luce del valore primario ed assoluto che Costituzione riconosce all'ambiente, al paesaggio, alla salute; c) è legittima la diversità del regime circolatorio in base al tipo, alla funzione ed alla provenienza dei mezzi di trasporto, specie quando una nuova disciplina sia introdotta gradualmente e senza soluzioni di continuità; d) i provvedimenti limitativi della circolazione veicolare all'interno dei centri abitati sono espressione di scelte latamente discrezionali, che coprono un arco esteso di soluzioni possibili, incidenti su valori costituzionali spesso contrapposti, che vanno contemperati secondo criteri di ragionevolezza la cui scelta è rimessa all'autorità competente; e) in particolare l'uso delle strade, specie con mezzi di trasporto, può essere regolato sulla base di esigenze che, sebbene trascendano il campo della sicurezza e della sanità, attengono al buon regime della cosa pubblica, alla sua conservazione, alla disciplina che gli utenti debbono osservare ed alle eventuali prestazioni che essi sono tenuti a compiere; f) la tipologia dei limiti (divieti, diversità temporali o di utilizzazioni, subordinazione a certe condizioni) viene articolata dalla pubblica autorità tenendo conto dei vari elementi rilevanti: diversità dei mezzi impiegati, impatto ambientale, situazione topografica o dei servizi pubblici, conseguenze pregiudizievoli derivanti dall'uso indiscriminato del mezzo privato; è una disciplina funzionale alla pluralità degli interessi pubblici meritevoli di tutela ed alle diverse esigenze, e sempre che queste rispondano a criteri di ragionevolezza il cui sindacato va compiuto dal giudice amministrativo in ossequio al principio di separazione dei poteri ed alla tassatività dei casi di giurisdizione di merito, ab externo nei limiti della abnormità. .....È compito invero essenziale dell'amministrazione pubblica la cura dei suoi interessi pubblici nel quadro di proprie scelte discrezionali, in considerazione anche degli interessi presenti nel caso concreto. L’esercizio della discrezionalità è funzionale alla scelta della soluzione che meglio consenta, nelle valutazioni proprie dell’amministrazione, di rapportare i diversi interessi rilevanti in concreto. L'assetto sostanziale degli interessi esprime comunque il merito amministrativo, che è in sé insindacabile, in virtù del principio fondamentale di separazione dei poteri, dal giudice amministrativo. Solo le modalità con cui l’amministrazione vi procede possono, se del caso, formare oggetto del vaglio di legittimità del giudice, ma solo ove ricorrano macroscopici vizi logici, o travisamento dei fatti. E nondimeno, il giudice deve arrestarsi a verificare la logicità, la congruità, la ragionevolezza e l'adeguatezza dell’atto e della sua motivazione, la regolarità del procedimento e la completezza dell'istruttoria, l'esistenza e l'esattezza dei presupposti di fatto a fondamento della deliberazione (cfr., ex multis, Cons. Stato, IV, 29 maggio 2015, n. 2694).......7. Dal punto di vista della normativa procedimentale rilevante, sono infondate le doglianze di mancata partecipazione o consultazione dei cittadini: le delibere impugnate sono atti amministrativi a carattere generale di natura programmatoria e non vi si applicano le disposizioni del Capo III l. 7 agosto 1990, n. 241, in tema di partecipazione al procedimento amministrativo, ai sensi di quell'articolo 13. L’art. 7, comma 9, d.lgs. 285 del 1992 inoltre non prevede, ai fini dell’istituzione di zone a traffico limitato, alcuna forma di consultazione o partecipazione dei cittadini, di altri soggetti portatori di interessi pubblici o privati, di associazioni esponenziali di interessi diffusi. Per approfondire scarica la sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 4.5.2017
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 4 maggio 2017 ha delineato sinteticamente il quadro dei principi giurisprudenziali sulla disciplina limitata della circolazione veicolare, della sosta tariffata e del telecontrollo all'interno dei centri abitati (cfr., da ultimo, Cons. Sta ... Continua a leggere
Rimozione dei rifiuti: l'obbligo del proprietario sorge in caso di corresponsabilità o comportamento omissivo doloso o colposo
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 4.5.2017

La Quarta sezione del consiglio di stato nella sentenza del 4.5.2017 ha affermato che "Dalla giurisprudenza di questo Consiglio emerge univocamente che, affinché il proprietario possa essere obbligato allo smaltimento dei rifiuti, è necessaria o la corresponsabilità con gli autori degli sversamenti, oppure un comportamento omissivo, doloso o colposo (CdS, sez. V, n. 4635 del 2012). D’altra parte, si è costantemente ritenuto che non sia ravvisabile un generale obbligo di recinzione, venendo in rilievo la ragionevole esigibilità e la possibile sproporzione di tale onere (CdS, sez V, n. 4504 del 2015); inoltre, si è ritenuto non ravvisabile un obbligo di rimuovere sversamenti di terzi (ibidem, n. 3786 del 2014)". Per approfondire vai alla sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 4.5.2017
La Quarta sezione del consiglio di stato nella sentenza del 4.5.2017 ha affermato che "Dalla giurisprudenza di questo Consiglio emerge univocamente che, affinché il proprietario possa essere obbligato allo smaltimento dei rifiuti, è necessaria o la corresponsabilità con gli autori degli sversamenti ... Continua a leggere
Istallazione pannelli fonoassorbenti: l’interesse pubblico alla mitigazione dell’aggressione acustica proveniente dal traffico autostradale
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.5.2017

Si segnala la sentenza della Quarta sezione del Consiglio di Stato depositata in data 3 maggio 2017 che si sofferma sulla qualificazione giuridica dell’installazione di pannelli fonoassorbenti. In particolare si legge espressamente che "l’intervento per cui è causa non ha comportato la creazione di alcun nuovo volume, né la modificazione della destinazione d’uso della res, né il consumo di suolo inedificato: i cennati pannelli, infatti, non racchiudono né delimitano alcun volume potenzialmente destinabile ad un qualsivoglia uso umano, non hanno alcun effetto in ordine alla concreta destinazione del bene cui afferiscono e, infine, sono stati realizzati in prosecuzione verticale del muro di sostegno laterale del tracciato autostradale, dunque nella colonna d’aria sovrastante una fascia di terreno appartenente al sedime autostradale o, comunque, ubicata nella relativa area di rispetto (cfr. nota Regione Liguria prot. n. 53750 del 15 aprile 2011) e già in precedenza interessata da attività lato sensu edilizia, certo integrante una trasformazione del suolo. Consta, poi, dal materiale in atti (cfr. la missiva inviata da Autostrade per l’Italia S.p.a. al legale dei resistenti in data 4 giugno 2013, il progetto esecutivo presentato da Autostrade per l’Italia S.p.a., nonché la relazione tecnica ed il compendio fotografico prodotto dai resistenti in primo grado) che detti pannelli, poggianti su un sottostante basamento in cemento armato in parte preesistente, si elevano fuori terra per complessivi quattro metri, di cui gli ultimi tre interamente costituiti da materiale trasparente: l’intervento, dunque, non priva i prospicienti edifici né della luce né - salvo che, in parte, per l’appartamento ubicato al piano terra - della pregressa veduta. La relativa installazione, inoltre, mira a "realizzare ed integrare" (cfr. d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380) un presidio tecnologico imposto ex lege a tutela proprio dell’interesse individuale dei vari proprietari frontisti e, più in generale, dell’interesse pubblico alla mitigazione delle propagazioni acustiche. Più in generale, il concetto di manutenzione straordinaria di opere pubbliche non si riduce, ad avviso del Collegio, al solo aspetto per così dire "statico" della sostituzione di elementi costitutivi ammalorati o, comunque, in via di obsolescenza, ma abbraccia anche un profilo dinamico ed evolutivo, esteso all’adozione ex novo di accorgimenti, addizioni, miglioramenti resi opportuni dallo sviluppo tecnologico - o addirittura, come nel caso di specie, prescritti da sopravvenute disposizioni normative - e finalizzati vuoi a meglio perseguire le originarie finalità pubblicistiche dell’opera (ad esempio, la realizzazione di strutture per la comunicazione in tempo reale all’utenza di notizie circa il traffico), vuoi a rispondere a nuove esigenze pubblicistiche di carattere "accessorio" (quale, appunto, la mitigazione dell’inquinamento acustico provocato dal transito dei veicoli tramite l’apposizione di opportuni diaframmi fisici rispetto all’ambiente circostante). Di converso, non ha rilievo l’affermazione dei resistenti secondo cui, prima dell’installazione dei pannelli, la misura delle immissioni acustiche all’interno del loro edificio fosse "assolutamente tollerabile": l’intervento in questione, infatti, va a beneficio non solo dei resistenti ma di tutti i proprietari frontisti e, più in generale, soddisfa l’interesse pubblico alla mitigazione dell’aggressione acustica proveniente dal traffico autostradale. Oltretutto, l’installazione delle barriere fonoassorbenti rispetta il vincolante ordine di priorità individuato dall’art. 5, comma 3, del d.m. 29 novembre 2000, che enumera in senso decrescente di desiderabilità gli "interventi effettuati direttamente sulla sorgente rumorosa", gli "interventi effettuati lungo la via di propagazione del rumore dalla sorgente al ricettore" (quale è quello di specie) e, solo da ultimo ed in via residuale, gli "interventi effettuati direttamente sul ricettore" (quale è l’apposizione di vetri ed infissi antirumore). ...Non vi è ab ovo ragione di predicare la necessità di V.A.S. o V.I.A.: la prima è prescritta solo in relazione ad attività esplicative di potestà pianificatorie dell’Amministrazione (cfr. art. 6, comma 1, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152), mentre qui si è in presenza di un intervento concreto e specifico, per quanto articolato; la seconda (cfr. art. 6, comma 5, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) attiene ai progetti precisamente individuati dal legislatore con ricorso ad un criterio tipologico (in cui non rientra quello di specie) o che, comunque, "possono avere impatti significativi e negativi sull’ambiente", quale prima facie non può essere l’apposizione di barriere antirumore realizzate in materiale trasparente". Per approfondire vai al testo integrale della sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.5.2017
Si segnala la sentenza della Quarta sezione del Consiglio di Stato depositata in data 3 maggio 2017 che si sofferma sulla qualificazione giuridica dell’installazione di pannelli fonoassorbenti. In particolare si legge espressamente che "l’intervento per cui è causa non ha comportato la creazione d ... Continua a leggere
Appalti: il comportamento scorretto dell'amministrazione che dopo l'aggiudicazione non stipula il contratto
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 2.5.2017

Nella vicenda giunta all'attenzione della Quinta sezione del Consiglio di Stato è stato valutato il comportamento di un Comune che, dopo l’adozione dell’aggiudicazione definitiva, ha omesso di addivenire, senza offrire alcuna plausibile giustificazione, alla stipula del relativo contratto. Per ilCollegio tale comportamento integra un comportamento contrario ai generali doveri di correttezza e di buona fede, i quali, come riconosciuta da una giurisprudenza ormai pacifica, trovano applicazione, nonostante la loro derivazione privatistica (cfr. art. 1337 c.c.), anche nell’ambito del procedimento amministrativo, a maggior ragione se si tratta di un procedimento di evidenza pubblica finalizzato alla stipula di un contratto. La responsabilità in esame è una responsabilità da comportamento (amministrativo) scorretto, non da provvedimento illegittimo: essa nasce dalla violazione di norme (come si è detto di derivazione privatistica) che hanno ad oggetto il comportamento della pubblica amministrazione, non l’invalidità del provvedimento. La responsabilità precontrattuale, pertanto, sussiste anche a prescindere dall’invalidità provvedimentale, perché il danno che il privato lamenta non discende dal provvedimento, ma dal comportamento tenuto dall’Amministrazione (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. VI, 1 febbraio 2013, n. 633) A differenza di quanto ritenuto dal Comune, la responsabilità precontrattuale non richiede, quindi, come presupposto l’illegittimità provvedimentale. In ordine all’elemento soggettivo della colpa, il consiglio di stato nella sentenza in esame, rileva in primo luogo come, secondo la tesi prevalente nella più recente giurisprudenza (da ultimo Cass. Civ., sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188), la responsabilità precontrattuale integra una ipotesi di responsabilità c.d. contrattuale da inadempimento di un’obbligazione di protezione (di lealtà e correttezza) che nasce, ex lege, in conseguenza del contatto sociale che si instaura tra le parti nel corso della trattativa precontrattuale. Trattandosi di responsabilità di matrice contrattuale, l’onere della prova trova la sua disciplina nell’art. 1218 c.c. e non nell’art. 2043 c.c. Non è, quindi, il danneggiato a dovere fornire la prova della colpa del danneggiante, ma è quest’ultimo, debitore di un’obbligazione ex lege, a dover fornire la prova liberatoria indicata dall’art. 1218 c.c. L’art. 1218 c.c., peraltro, prevede una prova liberatoria che non si esaurisce nella prova dell’assenza di colpa. La norma codicistica, al contrario, richiede al debitore uno sforzo probatorio maggiore, dovendo questi dimostrare che l’inadempimento è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da una causa (che lo stesso debitore ha l’onere di individuare, subendo il rischio della c.d. causa ignota) derivante da un fatto a lui non imputabile. Dunque, solo dopo che è stata provata l’impossibilità – da intendersi in senso oggettivo (anche se non assoluto, perché il criterio per determinare fino a quando la prestazione è ancora possibile a sua volta risente del canone generale della buona fede, che impone di considerare impossibile quelle prestazioni che, sebbene ancora astrattamente realizzabili, richiederebbero da parte del debitore, in concreto, uno forzo che travalica il limite di quanto è esigibile in base alle regole della correttezza) – e solo dopo che è stata individuata la causa di tale impossibilità, la colpa assume un ruolo, potendo, solo in questo momento, il debitore dimostrare che non è imputabile a colpa il fatto che ha oggettivamente causato l’impossibilità della prestazione. Nel caso di specie, il Comune non ha fornito questa articolata prova liberatoria, limitandosi ad invocare una, peraltro indimostrata, assenza di colpa. Non hanno pregio nemmeno le censure con cui si lamenta che il T.a.r. avrebbe mutato la qualificazione giuridica del titolo della responsabilità, ritenendola precontrattuale, ancorché la domanda risarcitoria non invocasse la responsabilità precontrattuale. Sotto tale profilo, deve richiamarsi il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui spetta al giudice la qualificazione giuridica della fattispecie, ben potendo, quindi, il giudice ritenere la natura precontrattuale della responsabilità, ancorché tale qualificazione giuridica non sia stata formalmente dedotta nella domanda introduttiva, specie nel caso, che è quello che ricorre nel presente giudizio, in cui la ricorrente ha sin dall’inizio fatto valere la scorrettezza comportamentale nella fase successiva all’aggiudicazione come titolo di responsabilità. Risulta, quindi, accertato l’an della responsabilità. In ordine al quantum del danno riconosciuto, le reciproche censure (formulate nell’appello principale ed incidentale) possono essere esaminate congiuntamente. Esse sono infondate, fatta eccezione per il motivo dell’appello principale diretto a lamentare il mancato riconoscimento della rivalutazione. Il danno è stato infatti correttamente riconosciuto nei limiti del c.d. interesse negativo, in coerenza con la natura precontrattuale della responsabilità. Esula dall’interesse negativo il c.d. danno curriculare, che, invece, è strettamente correlato al c.d. interesse positivo: esso deriva, infatti, dalla mancata esecuzione (e, quindi, dall’impossibilitò di indicare nel curriculum professionale dell’impresa, con conseguimento mancato rafforzamento della sua immagine professionale) di un contratto che si avrebbe avuto titolo ad eseguire. Esso, quindi, presuppone che l’impresa rivendichi l’aggiudicazione dell’appalto, mentre nel caso di specie l’odierna appellante si duole, facendo valere la responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione, dell’inutilità della "trattativa" (svoltasi nell’ambito della, a sua volta, inutile, procedura di evidenza pubblica), che non ha portato, per la scorrettezza del Comune, ad alcun contratto. Il danno da perdita della chance contrattuale alternativa, invece, rientrerebbe, in astratto nell’ambito del c.d. interesse negativo, ma nel caso di specie, non può essere riconosciuta, perché non supportato da alcuna prova. Per quanto concerne la liquidazione delle singole voci di danno, i reciproci motivi di appello sono infondati alla luce delle seguenti considerazioni. Vanno, anzitutto, richiamati i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di prova del danno: a) spetta all'impresa danneggiata offrire la prova dell'utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, poiché nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.); quest'ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l'asimmetria informativa tra Amministrazione e privato la quale contraddistingue l'esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell'azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall'art. 2697, primo comma, c.c.; b) la valutazione equitativa, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità - o di estrema difficoltà - di una precisa prova sull'ammontare del danno; c) le parti non possono sottrarsi all'onere probatorio e rimettere l'accertamento dei propri diritti all'attività del consulente tecnico d'ufficio neppure nel caso di consulenza cosiddetta "percipiente", che può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, demandandosi al consulente l'accertamento di determinate situazioni di fatto, giacché, anche in siffatta ipotesi, è necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti; d) la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni; per la configurazione di una presunzione giuridicamente rilevante non occorre che l'esistenza del fatto ignoto rappresenti l'unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla base della regola della «inferenza necessaria»), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'«id quod plerumque accidit » (in virtù della regola della «inferenza probabilistica»), sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall'apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici. Per approfondire scarica il testo integrale della sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 2.5.2017
Nella vicenda giunta all'attenzione della Quinta sezione del Consiglio di Stato è stato valutato il comportamento di un Comune che, dopo l’adozione dell’aggiudicazione definitiva, ha omesso di addivenire, senza offrire alcuna plausibile giustificazione, alla stipula del relativo contratto. Per il ... Continua a leggere
Contrabbando di sigarette: la sanzione della chiusura dell'esercizio commerciale
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 28.4.2017

La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 28 aprile 2017 ha richiamato quanto già precisare dalla stessa Sezione (Cons. Stato, sez. IV, 29 novembre 2016 n. 5015), che l'art. 5 L. n. 50 del 1994 configura la chiusura dell'esercizio commerciale come una misura sanzionatoria ulteriore ed accessoria, di natura amministrativa, rispetto alle eventuali e diverse sanzioni per la violazione delle norme dirette alla repressione del contrabbando, sicché dall'ampia formulazione della norma emerge che può essere sanzionata anche la mera detenzione, in locali pubblici non autorizzati, di quantitativi di generi di monopolio che non rispondano ad un immediato fabbisogno delle persone che prestano lavoro nei locali medesimi Si è altresì affermato (Cons. Stato, sez. IV, 1 giugno 2010 n. 3470) che la predetta disposizione comporta, nell'ambito dell'apprestamento di misure di inasprimento della lotta al contrabbando dei tabacchi lavorati, che all'accertamento del contrabbando legittimamente consegua anche la chiusura dell'esercizio incriminato secondo un rapporto di causa-effetto, essendo in tal campo lasciata alla discrezionalità dell'amministrazione soltanto la valutazione circa la durata della chiusura dell'esercizio, ovvero della sospensione della licenza o dell'autorizzazione dell'esercizio. Per saperne di piu scarica la sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 28.4.2017
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 28 aprile 2017 ha richiamato quanto già precisare dalla stessa Sezione (Cons. Stato, sez. IV, 29 novembre 2016 n. 5015), che l'art. 5 L. n. 50 del 1994 configura la chiusura dell'esercizio commerciale come una misura sanzionatoria ulterior ... Continua a leggere
L'inammissibilità dell'impugnativa diretta della DIA
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 28.4.2017

Il Tar non aveva accolto l’eccezione di inammissibilità dell’impugnativa diretta delle due DIA in quanto non aveva ritenuto che la disposizione di cui all’art. 19, comma 6 ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241 - che ha stabilito la non impugnabilità diretta della D.I.A. - trovasse applicazione ratione temporis alle controversie che, come nel caso di specie, fossero state instaurate in data anteriore alla sua entrata in vigore. Il Consiglio di Stato Sez. IV nella sentenza del 28.4.2017 sul punto rilevato che: a) la giurisprudenza del Consiglio di Stato, anche in epoca anteriore alla modifica legislativa di cui all’art.19, comma 6 ter della legge n. 241/1990, ha ritenuto inammissibile una domanda di annullamento di una DIA, atto che ha natura oggettivamente e soggettivamente privata (cfr. Cons. St., sez. IV, 13 maggio 2010, n. 2919; 12 marzo 2009, n. 1474; 19 settembre 2008, n. 4513); b) è evidente la naturale portata retroattiva della norma sancita dal più volte menzionato art. 19 comma 6 ter. Tale giurisprudenza si è formata in epoca anteriore e coeva a quella degli atti impugnati (DIA del 4 aprile 2008 e DIA del 25 marzo 2010) e comunque precedente alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 15 del 29 luglio 2011 (che pure ha confermato la natura privatistica della DIA), richiamata dal Tar nella motivazione della sentenza impugnata. Per approfondire scarica la sentenza per esteso.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 28.4.2017
Il Tar non aveva accolto l’eccezione di inammissibilità dell’impugnativa diretta delle due DIA in quanto non aveva ritenuto che la disposizione di cui all’art. 19, comma 6 ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241 - che ha stabilito la non impugnabilità diretta della D.I.A. - trovasse applicazione rat ... Continua a leggere
L'esclusione dalla gara per gravi illeciti professionali: l'acquiescenza al provvedimento di risoluzione anticipata del precedente contratto
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 27.4.2017

L’art. 80, comma 5, lett. c), del nuovo codice dei contratti pubblici consente alle stazioni appaltanti di escludere i concorrenti ad una procedura di affidamento di contratti pubblici in presenza di «gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità», con la precisazione che in tali ipotesi rientrano, tra l’altro, «significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata», le quali siano alternativamente non siano contestate in giudizio dall’appaltatore privato o – per venire al caso che interessa nel presente giudizio – sia stata «confermata all’esito di un giudizio». Nel caso giunto all'attenzione del Consiglio di Stato difetta quest’ultimo presupposto, perché risulta tutt'ora pendente il giudizio civile contro l’atto di risoluzione adottato dalla stazione appaltante, così come il parallelo contenzioso amministrativo contro lo stesso atto. Inoltre il collegio - richiamata espressamente la disposizione a tenore della quale: «le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni» - evidenzia come sulla base dell’interpretazione letterale della norma (ex art. 12 delle preleggi) si richiede quindi che al provvedimento di risoluzione sia stata prestata acquiescenza o che lo stesso sia stato confermato in sede giurisdizionale. E questa conferma non può che essere data da una pronuncia di rigetto nel merito della relativa impugnazione divenuta inoppugnabile, come si evince dalla locuzione (ancorché atecnica) «all’esito di un giudizio». A questo medesimo riguardo è invece da ritenersi evidentemente insufficiente la definizione di un incidente di natura cautelare, con decisione avente funzione interinale e strumentale rispetto a quella di merito. Per approfondire scarica la sentenza integrale.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 27.4.2017
L’art. 80, comma 5, lett. c), del nuovo codice dei contratti pubblici consente alle stazioni appaltanti di escludere i concorrenti ad una procedura di affidamento di contratti pubblici in presenza di «gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità», con la prec ... Continua a leggere
Appalti: il termine per impugnare l'aggiudicazione
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 27.4.2017

"Ai sensi del combinato disposto dei commi 5 e 5-bis dell’art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006, il termine per l’impugnativa avverso l’aggiudicazione non decorre prima che la comunicazione dell’aggiudicazione sia fatta secondo le inderogabili forme del comma 5-bis, e cioè con il corredo della relativa motivazione, a sua volta espressa attraverso «gli elementi di cui al comma 2, lettera c) » (Cons. Stato, V, 13 febbraio 2017, n. 592). Nel precedente ora richiamato si è precisato che attraverso le forme tipiche di legge i concorrenti «dispongono di informazioni adeguatamente dettagliate in ordine alle caratteristiche dell’offerta dell’aggiudicataria (e ciò, all’evidente fine di evitare che le imprese lese dall’aggiudicazione si trovino in condizione di dover impugnare un provvedimento di aggiudicazione del quale non conoscano le caratteristiche effettive e in relazione al quale non siano in grado di articolare difese compiute) ». Nella medesima linea si pone una decisione della VI Sezione, in cui si è affermato che in caso di procedure da aggiudicare secondo il criterio del massimo ribasso – come quella qui in contestazione e dunque assolutamente in termini con la presente fattispecie – l’obbligo di motivazione imposto dall’art. 79 è assolto dall’amministrazione attraverso il rispetto delle forme e modalità di comunicazione previste dalla medesima disposizione (Cons. Stato, VI, 1 aprile 2016, n. 1298). Ancora sul punto, si è espressa in termini di sufficienza ai fini del termine per impugnare delle forme tipizzate dall’art. 79 d.lgs. n. 163 del 2006 il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia (sentenza 7 novembre 2016, n. 389). Per contro, solo laddove la comunicazione non sia rispondente ai requisiti di legge è consentito al ricorrente di giovarsi dell’ulteriore termine di 10 giorni previsto per l’accesso agli atti di gara ai sensi del citato comma 5-quater dell’art. 79 d.lgs. n. 163 del 2006 (cfr. Cons. Stato, III, 25 novembre 2014, n. 5830; V, 10 febbraio 2015, n. 864). La giurisprudenza nazionale è anche in linea con il diritto sovranazionale e con l’interpretazione di esso fornita dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. Infatti, con la sentenza dell’8 maggio 2014, in causa C-161/13, la Corte ha affermato che «ricorsi efficaci contro le violazioni delle disposizioni applicabili in materia di aggiudicazione di appalti pubblici possono essere garantiti soltanto se i termini imposti per proporre tali ricorsi comincino a decorrere solo dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa violazione di dette disposizioni» (punto 37), e che «una possibilità, come quella prevista dall’articolo 43 del decreto legislativo n. 104/2010, di sollevare "motivi aggiunti" nell’ambito di un ricorso iniziale proposto nei termini contro la decisione di aggiudicazione dell’appalto non costituisce sempre un’alternativa valida di tutela giurisdizionale effettiva» (punto 40). Ciò in relazione al caso esaminato dalla Corte di giustizia, in cui il vizio di legittimità poi dedotto in giudizio era conseguito a fatti avvenuti dopo l’aggiudicazione definitiva e prima della stipula del contratto, di cui la ricorrente non aveva pertanto avuto notizia. Al di fuori di questa peculiare fattispecie, in linea generale il giudice europeo ha operato un riferimento espresso alla conoscibilità della violazione occorsa in sede di gara e questa possibilità non può che rimandare alle forme tipiche di legge della comunicazione del provvedimento conclusivo della gara previste dal più volte richiamato art. 79 d.lgs. n. 163 del 2006, le quali – giova sottolineare – sono state introdotte con il decreto legislativo 20 marzo 2010, n. 53, di «attuazione della direttiva 2007/66/CE che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE per quanto riguarda il miglioramento dell'efficacia delle procedure di ricorso in materia d'aggiudicazione degli appalti». Per approfondire vai al testo integrale della sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 27.4.2017
"Ai sensi del combinato disposto dei commi 5 e 5-bis dell’art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006, il termine per l’impugnativa avverso l’aggiudicazione non decorre prima che la comunicazione dell’aggiudicazione sia fatta secondo le inderogabili forme del comma 5-bis, e cioè con il corredo della relativ ... Continua a leggere
Concessione edilizia in sanatoria: le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 27.4.2017

La Quarta sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 27.4.2017 ha affermato che: "L’art. 32 d. l. 30 settembre 2003 n. 269, conv. in l. 24 novembre 2003 n. 326, nel prevedere la possibilità di concessione edilizia in sanatoria, in particolare per le "opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 mc." (co. 25), esclude dalla possibilità di sanatoria, tra l’altro, le opere che "siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici". La giurisprudenza amministrativa ha affermato che., ai sensi dell'art. 32, comma 27, lett. d), D.L. n. 269 del 2003 , le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) si tratti di opere realizzate prima della imposizione del vincolo; b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) siano opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria); d) vi sia il previo parere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo (da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 2 agosto 2016 n. 3487). In ogni caso, non possono essere sanate quelle opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, o comunque di inedificabilità, anche relativa (Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 2016 n. 1664; 17 marzo 2016 n. 1898). Allo stesso modo, la giurisprudenza penale afferma che il condono edilizio è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del citato D.L. (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (Cass. pen., sez. III, 20 maggio 2016 n. 40676). Questa Sezione ha affermato anche che non può essere consentito il rilascio di concessione edilizia in sanatoria per immobili realizzati dopo l’imposizione del vincolo ex l. n. 1497/1939 e che siano in contrasto con lo strumento urbanistico (Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2007 n. 4396)". Per maggiori informazioni scarica il testo integrale della sentenza.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 27.4.2017
La Quarta sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 27.4.2017 ha affermato che: "L’art. 32 d. l. 30 settembre 2003 n. 269, conv. in l. 24 novembre 2003 n. 326, nel prevedere la possibilità di concessione edilizia in sanatoria, in particolare per le "opere abusive che risultino ultimate entr ... Continua a leggere