News 20 Luglio 2016 - Area Tecnica


NORMATIVA

Ambiente: pubblicata la legge sull'istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione e sulla disciplina dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale

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È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 166 del 18.7.2016 la LEGGE 28 giugno 2016, n. 132 recante "Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente e disciplina dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale". Per maggiori informazioni scarica la legge che si compone di 17 articoli ed entrerà in vigore il 14 gennaio 2017

 
Note Legali
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Errori nel Nuovo Codice Appalti: in Gazzetta Ufficiale le correzioni

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Un apposito avviso di rettifica è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.164 del 15-7-2016 nel quale si legge "Comunicato relativo al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante: «Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonche' per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture». (Decreto legislativo pubblicato nel Supplemento ordinario N. 10/L alla Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 91 del 19 aprile 2016)". Per saperne di più scarica l'avviso di rettifica.

 
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Un apposito avviso di rettifica è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.164 del 15-7-2016 nel quale si legge "Comunicato relativo al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante: «Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contr ... Continua a leggere

 
GIURISPRUDENZA

Gare pubbliche: la richiesta di rinnovo di un’attestazione SOA, che comprenda una categoria già in precedenza posseduta, produce gli stessi effetti della verifica di quest’ultima e consente di partecipare alle gare senza soluzione di continuità

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La Quinda Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 20 luglio 2016 n. 3270 ha affermato che la richiesta di rinnovo di un’attestazione SOA, la quale comprenda una categoria già in precedenza posseduta, produce gli stessi effetti della verifica di quest’ultima e consente di partecipare allepubbliche gare senza soluzione di continuità. "Ciò in base alla considerazione logica per cui la procedura di rilascio di una nuova attestazione che copra sia le categorie precedentemente possedute, sia categorie nuove, comprende gli stessi contenuti della procedura di verifica delle sole categorie già possedute, e quindi non può avere su queste ultime effetti deteriori" (così l’impugnata sentenza). A quanto sopra può aggiungersi che il procedimento di rinnovo si sostanzia in un’istruttoria a più ampio raggio, che coinvolge oltre agli elementi rilevanti in sede di verifica triennale (si veda art. 77, comma 5), anche elementi ulteriori rispetto a quelli da valutare ai fini di quest’ultima. Sarebbe, quindi, illogico attribuire al procedimento di rinnovo effetti minori o addirittura deteriori rispetto a quelli ricollegabili al procedimento di verifica. In definitiva ritiene il Collegio che, ove l'impresa richieda tempestivamente la verifica quinquennale, non vi sia soluzione di continuità nella propria qualificazione, per cui essa può, nelle more, partecipare alle pubbliche gare. Invero, la valenza costitutiva della certificazione rilasciata da una SOA va correlata con lo scopo che la funzione di certificazione persegue, cioè l'attestazione che l'impresa possiede determinati requisiti soggettivi per eseguire opere pubbliche di un certo importo e che li mantiene nel corso di validità del periodo di vigenza della relativa certificazione. Pertanto, il rinnovo, così come la verifica, di una SOA hanno effetti solutori della validità della stessa solo nel caso in cui venga accertata la perdita dei requisiti di qualificazione posseduti dall'impresa al momento del rilascio della prima attestazione; ciò vale anche per il periodo intertemporale tra due certificazioni SOA: il rilascio di un nuovo attestato SOA, in fatto, certifica non solo la sussistenza dei requisiti di capacità da un data ad un'altra, ma anche che l'impresa non solo non ha mai perso quei requisiti in passato già valutati e certificati positivamente ma che, indubitabilmente, li ha mantenuti anche nel periodo di rilascio della nuova certificazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21/6/2013, 3397). Alla luce di quanto sopra non ha alcuna rilevanza che il procedimento per la verifica e quello per il rinnovo si differenzino tra loro.

 
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Anomalia dell'offerta: la discrezionalità delle stazioni appaltanti di procedere a verifica facoltativa della congruità

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Nel giudizio in esame le imprese facenti parte del raggruppamento censurano la decisione assunta dal seggio di gara alla prima seduta di sottoporre a verifica di anomalia la loro offerta. Le appellanti principali sostengono che la decisione sarebbe immotivata e che sarebbe pertanto violato l’art. 86, comma 3, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, a tenore del quale la facoltà in esso prevista di sottoporre a verifica di anomalia l’offerta può essere esercitata «in base ad elementi specifici», nel caso di specie non risultanti dal verbale. La Quinta Sezione del Consiglio di Stato con sentenza del 20 luglio 2016 n. 3271 ha richiamato l'orientamento ormai ampiamente consolidato a tenore del quale l’ampia discrezionalità che la citata disposizione del codice dei contratti pubblici attribuisce alle stazioni appaltanti di procedere a verifica facoltativa della congruità dell’offerta non deve essere particolarmente motivata (Sez. VI, 10 novembre 2015, n. 5102) e può essere sindacata solo in caso di macroscopica irragionevolezza (Sez. III, 9 dicembre 2015, n. 5597; Sez. IV, 4 giugno 2013, n. 3059; Sez. V, 6 maggio 2015, n. 2274). La Sezione ritiene quindi di dovere dare continuità a questo orientamento, il quale si fonda sul rilievo che la verifica in questione costituisce un momento fondamentale delle procedure di affidamento di contratti pubblici, poiché attraverso il contraddittorio con l’impresa interessata l’amministrazione è in grado di acquisire tutti gli elementi in grado di ritenere se l’offerta presentata in sede di gara sia effettivamente sostenibile e, quindi, se la medesima offerta consenta di realizzare l’interesse pubblico inerente al contratto da aggiudicare. Le valutazioni che sottostanno alla scelta di procedere a verifica costituiscono quindi una tipica manifestazione del merito amministrativo, suscettibile di essere sindacato in sede di giurisdizione di legittimità quando siano evidentemente arbitrarie e non rispondenti alla causa tipica del potere

 
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Aggiudicazione: l'annullamento in autotutela per mancanza della dichiarazione di precedenti penali

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Oggetto dell’appello giunto all'attenzione della Quinta Sezione del Consiglio di Stato è la sentenza con la quale il T.a.r. della Toscana ha respinto il ricorso di una Banca avverso l’annullamento in via di autotutela da parte di un Comune del provvedimento di aggiudicazione del servizio di tesoreria comunale, annullamento dovuto alla mancata dichiarazione da parte del vice Presidente dell’istituto bancario appellante di un precedente penale a suo carico, consistente in un decreto penale di condanna non opposto al pagamento di un’ammenda di €. 103,00 per il reato di cui all’art. 650 del codice penale. Secondo l’appellante il provvedimento impugnato avrebbe violato il principio di tassatività delle cause di esclusione di cui al comma 1 degli artt. 38 e 46 1 bis del d. lgs n. 163 del 2006, potendosi pronunciare l’esclusione da una gara solo per i reati di cui al comma 1 lett. C) del suaccennato art. 38, i quali soli andavano dichiarati; inoltre, ad avviso dell’appellante, si era verificata una causa di oggettiva impossibilità di dichiarare il precedente penale in questione, dal momento che, anche a prescindere dalla sua assoluta irrilevanza, il decreto penale non era stato regolarmente notificato ed era quindi del tutto ignoto al dichiarante, così come non era risultato anche da un’ordinaria misura al casellario giudiziale. Il Consiglio di Stato con sentenza del 20 luglio 2016 n. 3275 ha ritenuto infondato l’appello. "L’art. 38, comma 1, lett. c), del D. Lgs. n. 163 del 2006 stabilisce l’esclusione dalle pubbliche procedure di gara degli amministratori muniti del potere di rappresentanza nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna passate in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuta irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale. Detta previsione esprime una sorta di automatismo connesso ad un riconoscimento normativo di un insussistenza di requisiti morali e giuridici che colpiscono direttamente la figura degli amministratori - o del singolo amministratore - in quanto tali. Altro genere di previsione si rinviene nel comma 2 dello stesso art, 38, ove si stabilisce nella prima parte che "il candidato il concorrente attesta possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle previsioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n. 445, in cui indica delle condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione". Mentre l’esclusione predetta di cui alla lett. c) del comma 1 costituisce una regola automatica che prescinde da valutazioni discrezionali della stazione appaltante, la dichiarazione di cui al comma 2 è un obbligo per i soggetti chiamati a tale dichiarazione indipendentemente dalla gravità delle condanne, poiché in questo caso spetta alla P.A. procedente la valutazione sull’affidabilità dei soggetti partecipanti, con la possibilità di effettuare un vaglio ulteriore a quello tassativo già operato dal legislatore allo scopo di una conoscenza effettiva e generale della moralità e della professionalità dei soggetti concorrenti e per verificarne a fondo la reale affidabilità: naturalmente, mentre le esclusioni di cui al comma lett. c) sono vincolanti, un’esclusione fondata su condanne di altro genere potrà sempre essere sindacata dal giudice amministrativo per quanto concerne la sua ragionevolezza e la sua attinenza con i requisiti per contrattare con le pubbliche amministrazioni. Ciò dimostra che la dichiarazione di cui al comma 2 non è un inutile orpello o un passaggio burocratico ininfluente, ma costituisce lo strumento adeguato per svolgere un controllo generale sui rappresentanti delle ditte concorrenti. Né può essere chiamato in causa l’art. 46 comma 1 bis del codice dei contratti pubblici concernente la tassatività delle cause di esclusione: stabilisce infatti tale comma 1 bis l’esclusione dei candidati o dei concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal codice, dal regolamento ed altre disposizioni di legge vigenti; quindi non si tratta tanto di una previsione di esclusione autonomamente inserita dalla legge di gara - come nel caso di specie - ma della violazione di una rilevante prescrizione dello stesso codice dei contratti pubblici, un’omissione di un importante passaggio previsto da questo stesso e come correttamente osservato dal T.a.r. della Toscana, l’art. 46 comma 1 bis in questione, nel circoscrivere l’ipotesi di esclusione dalle gare, non collega quest’ipotesi alla presenza di una specifica previsione di estromissione, ma anche all’omissione di adempimenti doverosi, la cui pregnanza deve essere desunta dal loro ruolo (Cons. Stato, VI, 13 ottobre 2015 n. 4703; id., 2 febbraio 2015 n. 462; V, 3 dicembre 2014 n. 5972). Destituita di fondamento è poi l’asserzione che il decreto penale non potesse essere menzionato perché assente nel certificato del casellario giudiziale: è infatti stato prodotto in atti il certificato del vice presidente dell’istituto bancario aggiudicatario, a carico del quale risulta essere stato emesso il decreto penale in parola da parte del g.i.p. del Tribunale di Arezzo in data 7 gennaio 2010, esecutivo l’anno successivo. Si tratta di provvedimento antecedente la procedura di gara in controversia e l’elemento della "non menzione" riguarda i rapporti con i privati e non con le pubbliche amministrazioni. Si deve poi aggiungere per completezza che la consultazione del casellario rappresenta un onere per gli amministratori tenuti alle dichiarazioni di cui all’art. 38 del codice dei contratti pubblici e che le vicende specifiche rappresentate in causa, disconoscimento della notifica, successiva remissione in termini per l’opposizione e revoca del decreto, costituiscono fatti successivi al provvedimento impugnato e non possono comunque inficiarne la legittimità.

 
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La sdemanializzazione tacita di una strada richiede comportamenti inequivoci dell'ente proprietario

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La sdemanializzazione tacita di una strada richiede comportamenti inequivoci dell’ente proprietario, incompatibili con la volontà di conservare il bene all’uso pubblico, tali da non potere essere desunti dalla sola circostanza che un bene non sia più adibito anche da lungo tempo ad uso pubblico, (orientamento pacifico della giurisprudenza di legittimità, da ultimo espresso da Cass., Sez. un., 29 maggio 2014, n. 12062, 26 luglio 2002, n. 11101; Sez. II, 11 marzo 2016, n. 4827, 19 febbraio 2007, n. 3742).

 
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La sdemanializzazione tacita di una strada richiede comportamenti inequivoci dell’ente proprietario, incompatibili con la volontà di conservare il bene all’uso pubblico, tali da non potere essere desunti dalla sola circostanza che un bene non sia più adibito anche da lungo tempo ad uso pubblico, (o ... Continua a leggere

 

Contratto di avvalimento: la mancanza di corrispettivo in favore dell’ausiliario non è indice di per sé d’inefficacia

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Il contratto d’avvalimento, lungi dall’essere indeterminato, individua i requisiti soggettivi posseduti dall’impresa avvalsa che, in ragione dei principi di adeguatezza e proporzionalità, sono calibrati alla natura del servizio, di scarso contenuto tecnico ove assume peculiare e decisivo rilievo l’esperienza professionale maturata nel settore e la diligenza nell’esecuzione delle prestazioni più che la capacità finanziaria ed economica dell’impresa (cfr., in termini, Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2013 n. 911). È questo il principio ribadito dalla Quita Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 20 luglio 2016 n. 3277 nella quale si rileva altresi che la mancanza di corrispettivo in favore dell’ausiliario non è indice di per sé d’inefficacia del contratto d’avvalimento, una volta individuato, come nel caso in esame, l’interesse patrimoniale che ha indotto l’ausiliario ad assumere senza corrispettivo le obbligazioni derivanti dal contratto d’avvalimento e le relative responsabilità (cfr., C.G.A., 21 gennaio 2015 n. 35).

 
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Progetto esecutivo: le relazioni specialistiche costituiscono una parte coessenziale tale da qualificare come progettisti in senso proprio i professionisti chiamati a predisporle

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La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 20 luglio 2016 n. 3285 ha richiamato la recente giurisprudenza con la quale si chiarisce che, ai sensi del comma 1 dell’articolo 35 del d.P.R. 207 del 2010, le relazioni specialistiche costituiscono una parte coessenziale del progetto esecutivo, sì da qualificare come progettisti in senso proprio i professionisti chiamati a predisporle (in tal senso: Cons. Stato, V, sent. 1595/2016). A conclusioni non dissimili si giunge laddove si tenga conto (come suggerito da una parte della giurisprudenza – Cons. Stato, V, 630/2016 -) del disposto testuale del comma 1 dell’articolo 35, cit. (secondo cui "il progetto esecutivo prevede almeno le medesime relazioni specialistiche contenute nel progetto definitivo, che illustrino puntualmente le eventuali indagini integrative, le soluzioni adottate e le modifiche rispetto al progetto definitivo").

 
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Procedure di gara: il principio della segretezza dell'offerta economica

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Il Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza del del 20.7.2016 n. 3287 ha affermato che "In base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, laddove la procedura di gara sia caratterizzata (come nell'ipotesi di aggiudicazione con il sistema dell'offerta economicamente più vantaggiosa) da unanetta separazione tra la fase di valutazione dell'offerta tecnica e quella dell'offerta economica, il principio di segretezza comporta che, fino a quando non si sia conclusa la valutazione degli elementi tecnici, è interdetta al seggio di gara la conoscenza di quelli economici, per evitare ogni possibile influenza sull’apprezzamento dei primi. Il principio della segretezza dell'offerta economica è, infatti, presidio dell'attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, predicati dall'articolo 97 della Costituzione, sub specie della trasparenza e della par condicio dei concorrenti, intendendosi così garantire il corretto, libero ed indipendente svolgimento del processo intellettivo - volitivo che si conclude con il giudizio sull'offerta tecnica ed in particolare con l'attribuzione dei punteggi ai singoli criteri attraverso cui quest'ultima viene valutata. La delineata peculiarità del bene giuridico protetto dal principio di segretezza dell'offerta economica, impone che la tutela si estenda a coprire, non solo l’effettiva lesione del bene, ma anche il semplice rischio di pregiudizio al medesimo, perché anche la sola possibilità di conoscenza dell'entità dell'offerta economica, prima di quella tecnica, è idonea a compromettere la garanzia di imparzialità dell'operato dell'organo valutativo (fra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 29/2/2016, n. 825; Sez. V, 19/4/2013 n. 2214; 11/5/2012, n. 2734 e 21/3/2011, n. 1734). Conseguentemente nelle gare da aggiudicarsi col sistema i questione devono trovare applicazione i seguenti principi: a) la valutazione delle offerte tecniche deve precedere quella delle offerte economiche; b) le offerte economiche devono essere contenute in buste separate dagli altri elementi (documentazione e offerte tecniche) e debitamente sigillate; c) la Commissione non può aprire le buste delle offerte economiche prima di aver completato la valutazione delle offerte tecniche; d) nell'offerta tecnica non deve essere inclusa né l'intera offerta economica, né elementi consistenti dell'offerta economica o elementi che, comunque, consentano di ricostruirla; e) nell'offerta tecnica possono essere inclusi singoli elementi economici che siano resi necessari dagli elementi qualitativi da fornire, purché siano elementi economici che non fanno parte dell'offerta economica, quali i prezzi a base di gara, i prezzi di listini ufficiali, i costi o prezzi di mercato, ovvero siano elementi isolati e del tutto marginali dell'offerta economica che non consentano in alcun modo di ricostruire la complessiva offerta economica (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12/11/2015, n. 5181)". Per approfondire scarica la sentenza.

 
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Edilizia: i presupposti per ottenere il permesso in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 e l'inapplicabilità della sanatoria giurisprudenziale

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Il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, nella sentenza n. 3194 del 18 luglio 2016 ha ritenuto di condividere e di poter fare rinvio, anche ai sensi degli articoli 74 e 88, comma 2, lett. d) del cod. proc. amm. , alle argomentazioni e alle conclusioni delle sentenze di questo Consiglio di Stato nn. 2755 del 2014 e 2784 e 4552 del 2015 (si vedano anche i numerosi richiami giurisprudenziali operati da Cons. Stato n. 2755 del 2014), in base alle quali il permesso in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 è ottenibile solo a condizione che l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento sia della realizzazione del manufatto e sia della presentazione della domanda, venendo viceversa in questione, con la "sanatoria giurisprudenziale", un atto atipico con effetti provvedimentali che si colloca al di fuori di qualsiasi previsione normativa e che pertanto non può ritenersi ammesso nel nostro ordinamento, contrassegnato dal principio di legalità dell’azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione, alla stregua del principio di nominatività, poteri che non possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e l’invasione di sfere di attribuzioni riservate all’Amministrazione. A questo riguardo - aggiunge il Collegio - pare poi il caso di rammentare che a favore della incompatibilità della c. d. sanatoria giurisprudenziale con il dettato normativo di cui all’art. 36 del t. u. n. 380 del 2001 militano argomenti interpretativi letterali e logico –sistematici, oltre che attinenti ai lavori preparatori. Pertanto il motivo d’appello con il quale si deduce l’erroneità della sentenza per avere considerato inapplicabile la sanatoria giurisprudenziale e considerato invece necessario, ai fini del rilascio del permesso in sanatoria ex art. 36 cit. , l’accertamento della doppia conformità dell’intervento, non può essere accolto.

 
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Permesso di costruire: l'impugnazione da parte del vicino

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Nella sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 18.7.2016 n. 3191 si afferma che: - secondo consolidato orientamento giurisprudenziale condiviso da questo Collegio, in caso di impugnazione da parte del vicino di un permesso di costruire rilasciato a terzi, il termine di impugnazione inizia bensìa decorrere in linea di principio dal completamento dei lavori o, comunque, dal momento in cui la costruzione realizzata è tale che non si possono avere dubbi in ordine alla portata dell’intervento, ma, al contempo, il principio di certezza delle situazioni giuridiche e di tutela di tutti gli interessati comporta che non si possa lasciare il soggetto titolare di un permesso di costruire edilizio nell’incertezza circa la sorte del proprio titolo oltre una ragionevole misura, poiché, nelle more, il ritardo dell’impugnazione si risolverebbe in un danno aggiuntivo connesso all’ulteriore avanzamento dei lavori che, ex post, potrebbero essere dichiarati illegittimi (v., ex plurimis, Cons. Stato, IV Sez., 28 ottobre 2015, n. 4909; Cons. Stato, IV, Sez. 10 giugno 2014, n. 2959): infatti, se da un lato deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall’altro lato deve parimenti essere salvaguardato l’interesse del titolare del permesso di costruire a che l’esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente o colposamente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche in contrasto con gli evidenziati principi ordinamentali; - in questo senso la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha individuato una serie di fattispecie in cui, in ragione della natura delle doglianze mosse nei confronti dell’intervento edilizio, dei rilievi addotti con riguardo alla conformazione fisica o giuridica delle aree oggetto dello stesso, delle censure dedotte avverso il titolo in sé e per sé considerato, nonché delle conoscenze acquisite e delle attività poste in essere in sede procedimentale o comunque extraprocessuale, non sussistono oggettivamente ragionevoli motivi che possano legittimare l’interessato ad una impugnazione differita dei titoli edilizi alla fine dei relativi lavori.

 
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Nella sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 18.7.2016 n. 3191 si afferma che: - secondo consolidato orientamento giurisprudenziale condiviso da questo Collegio, in caso di impugnazione da parte del vicino di un permesso di costruire rilasciato a terzi, il termine di impugnazione inizia bensì ... Continua a leggere

 

Edilizia: decorsi trenta giorni dalla presentazione, la DIA costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace che può essere rimosso solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela decisoria

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Gli articoli 19 della legge n. 241 del 1990 e 23 e seguenti del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia) prevedono che, in presenza di dia in materia edilizia, decorsi il termine di trenta giorni dalla sua presentazione l’amministrazione può assumere determinazioni soltanto nel rispetto del condizioni prescritte per l’esercizio dei poteri di autotutela dall’art. 21-nonies della stessa legge n. 241 del 1990. Sulla base di tale premessa la Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 11 luglio 2016 n. 2016 ha affermato che la denuncia di inizio attività «una volta perfezionatasi, costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo equiparabile quoad effectum al rilascio del provvedimento espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela decisoria. Ne consegue l’illegittimità del provvedimento repressivo-inibitorio avente ad oggetto lavori che risultano oggetto di una d.i.a. già perfezionatasi (per effetto del decorso del tempo) e non previamente rimossa in autotutela» (Consiglio di Stato, VI, n. 4780 del 2014). Nel caso di specie, decorsi i termini previsti per l’esercizio dei poteri inibitori, l’amministrazione avrebbe pertanto dovuto attivare un nuovo procedimento che si sarebbe dovuto svolgere nel rispetto delle condizioni formali (garanzie del contradditorio) e sostanziali (valutazione dell’interesse pubblico concreto e dell’affidamento ingenerato nel privato) contemplate nel citato art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990.

 
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Condono edilizio: l'onere della prova sull'ultimazione dei lavori

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La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 28 giugno 2016 n. 2911 ha affermato che come evidenziato dal Comune l'appellante ha indicato l'esistenza solo di una struttura metallica senza copertura, che non sarebbe potuta, comunque, essere oggetto di sanatoria edilizia perché, come correttamente i giudici di prime cure hanno evidenziato, per accedere ai benefici previsti dalla legge n. 47/1985 è necessario che un manufatto abusivo abbia "raggiunto la funzionalità propria della destinazione d'uso per la quale è stato richiesto il condono" mentre, nel caso di specie, l'avvenuto completamento funzionale del manufatto non è supportato da "alcuna prova, laddove invece il provvedimento impugnato trova conforto negli accertamenti di fatto effettuati dal Comune …". Secondo la consolidata giurisprudenza (da ultimo: Cons. di Stato, sez. IV, 8 novembre 2013, n. 5336; sez. IV, 1 agosto 2014, n. 4089; sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4287), in sede di condono straordinario, ai sensi dell'art. 43, comma 5, della legge n. 47/1985, è consentito il completamento delle sole opere già funzionalmente definite alla data ultima del 31 dicembre 1993 (articolo 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724), che si realizza quando si è in presenza di uno stato di avanzamento nella realizzazione del manufatto tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione. In altri termini, l'organismo edilizio deve aver assunto una sua forma stabile ed una adeguata consistenza planovolumetrica (come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione "al rustico", ossia intelaiatura, copertura e muri di tompagno). Priva di fondamento è, poi, la censura dell'appellante, laddove lamenta che i giudici di prime cure non avrebbero "valutato l'oggetto effettivo dell'impugnazione" ed avrebbero ritenuto legittimo il provvedimento comunale, in assenza della prova del completamento o meno del manufatto abusivo, onere che sarebbe stato a carico dell'amministrazione ai sensi dell'art. 31, comma 3, della legge n. 47/1985. Diversamente da quanto assunto, l'onere della prova in ordine all'ultimazione dei lavori entro la data utile per ottenere la sanatoria grava, infatti, sul richiedente perchè, essendo le norme sul condono edilizio di carattere straordinario, esse sono anche di stretta interpretazione ed onerano rigorosamente il richiedente di fornire atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza in ordine alla realizzazione, anche sul piano temporale, dell'opera abusiva. Non può, invece, ritenersi sufficiente al riguardo, la sola allegazione della dichiarazione dell'interessato, senza il supporto di precisi riscontri documentali, eventualmente indiziari, purché altamente probanti, quali, ad esempio, le fatture, le ricevute relative all'esecuzione dei lavori o all'acquisto di materiali, rilievi aereofotogrammetrici, ecc. (Consiglio di Stato sez. V, 3 giugno 2013, n. 3034).

 
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Evidenza pubblica: le controversie sulle legittimità di atti o comportamenti assunti nello spazio temporale tra l'aggiudicazione e la stipula del contratto rientrano nella giurisdizione amministrativa

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Le controversie concernenti la legittimità di atti o comportamenti afferenti a procedure di evidenza pubblica assunti non solo prima dell'aggiudicazione, come accade nella specie, ma anche nel successivo spazio temporale compreso tra l'aggiudicazione e la stipula del contratto rientrano nella giurisdizione amministrativa perché attengono all'esercizio di potestà amministrativa sottoposto a norme di carattere pubblicistico, a fronte del quale la posizione giuridica dell'interessato ha consistenza di interesse legittimo e non di diritto soggettivo, in quanto la stazione appaltante, sia pure intervenuta l'aggiudicazione, conserva sempre il potere di non procedere alla stipulazione del contratto in ragione di valide e motivate ragioni di interesse pubblico. Infatti, una volta esclusa dall'art. 11, comma 7, del codice dei contratti pubblici d.lgs. n. 163-2006, ratione temporis applicabile (ma lo stesso deve ritemersi valere sotto l’attuale vigenza del d.lgs. n. 50-2016), l'idoneità dell'atto di aggiudicazione ad instaurare una relazione negoziale tra stazione appaltante e privato aggiudicatario, la quale sorge solo per effetto della stipulazione, l'aggiudicazione ha esclusivamente natura di provvedimento amministrativo ampliativo della sfera soggettiva del destinatario che, per effetto della stessa, così come diviene titolare di un interesse legittimo oppositivo alla sua conservazione, diviene al contempo titolare di un interesse legittimo pretensivo alla stipulazione del contratto, sicché nessuna posizione di diritto soggettivo a detta stipula può essere riconosciuta all'impresa aggiudicataria. In tale direzione, le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con sentenza 11 gennaio 2011, n. 391, hanno rappresentato che nelle procedure connotate da concorsualità aventi ad oggetto la conclusione di contratti da parte della pubblica amministrazione spetta al giudice amministrativo la cognizione dei comportamenti ed atti assunti prima dell'aggiudicazione e "nella successiva fase compresa tra l'aggiudicazione e la stipula del contratto", tra tali atti essendo compreso anche quello di revoca della aggiudicazione stessa (principio formulato nella sentenza n. 27169-2007 e confermato nelle successive decisioni n. 10443-2008, n. 19805-2008 e n. 20596-2008; cfr., anche Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 aprile 2014, n. 1781).

 
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Tribunale Superiore delle acque pubbliche: la giurisdizione in caso di ricorso contro l'ordinanza contigibile ed urgente del Sindaco per la messa in sicurezza di un'opera idraulica

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La giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione risulta costante nel ritenere che la giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche prevista dal citato art. 143 r.d. n. 1775 del 1933 sussiste ogniqualvolta l’atto impugnato, ancorché proveniente da organi dell’amministrazione non preposti alla cura degli interessi del settore delle acque pubbliche, abbia tuttavia una immediata incidenza sull’uso di queste ultime, interferendo così con le funzioni amministrative relative a tale uso (da ultimo: Cass., SS.UU, sentenze 17 aprile 2009, n. 9149, 20 novembre 2008, n. 27528, citata dal Comune appellato, 27 ottobre 2006, n. 23070, 21 giugno 2005, n. 13293; ordinanze 25 ottobre 2013, n. 24154, 12 maggio 2009, n. 10845, 8 aprile 2009, n. 8509). Come chiarito dalla Corte di Cassazione nelle pronunce richiamate, rientrano in questa ipotesi i provvedimenti che concorrono in concreto a disciplinare la gestione e l’esercizio delle opere idrauliche o a determinare i modi di acquisto dei beni necessari all’esercizio e alla realizzazione delle opere stesse, o a stabilire o modificarne la localizzazione o a influire nella loro realizzazione, sebbene gli stessi provvedimenti ineriscano a interessi più generali e diversi ed eventualmente connessi rispetto agli interessi specifici relativi alla demanialità delle acque o ai rapporti concessori di beni del demanio idrico (in termini analoghi si è espresso anche questo Consiglio di Stato; ex multis:V, 7 luglio 2014, n. 3436). Per contro, sono escluse dalla giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche le controversie aventi ad oggetto atti solo strumentalmente inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime delle acque, per la cui adozione non sono richieste le competenze giuridiche e tecniche, ritenute dal legislatore necessarie - attraverso la configurazione di uno speciale organo giurisdizionale, nella particolare composizione richiesta - per la soluzione dei problemi posti dalla gestione delle acque pubbliche (Cass., SS.UU., 19 aprile 2013, n. 9534, che ha esemplificativamente indicato come rientranti in quest’ultimo caso i provvedimenti compresi nei procedimenti ad evidenza pubblica volti alla concessione in appalto di opere relative alle acque pubbliche ed in genere concernenti la selezione degli aspiranti alla aggiudicazione dell’appalto o all’affidamento della concessione). Applicando il criterio dell’"incidenza diretta", che ha dunque riguardo all’oggetto del provvedimento anziché al fine pubblico con esso perseguito, detta giurisprudenza ha tra l’altro affermato la giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche nei giudizi di impugnazione di provvedimenti d’urgenza emanati in base alla legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del servizio nazionale della protezione civile), quando appunto il provvedimento d’urgenza riguardi comunque l’uso delle acque pubbliche (Cass., SS.UU., 12 gennaio 2011, n. 505; in termini analoghi la sentenza della Corte regolatrice dell’8 marzo 1993, n. 2761). Per contro, la giurisdizione del Tribunale Superiore è stata esclusa in un giudizio di impugnazione di un’ordinanza comunale con la quale venga disposto il divieto di utilizzazione come discarica di un’area di proprietà del demanio idrico (coincidente con il corso di un torrente), poiché in questa ipotesi il provvedimento non è rivolto in via diretta a disciplinare l’uso di un bene del demanio idrico (Cass., SS.UU, 9 novembre 2011, n. 23300). Tutto ciò premesso, nel caso di specie l’ordinanza contigibile ed urgente ai sensi del citato art. 54 del testo unico di cui al d.lgs. n. 267 del 2000 del sindaco del Comune che ha una diretta attinenza alla diga di sbarramento del torrente San Pietro, vale a dire di un’opera idraulica, tanto che essa costituisce oggetto l’oggetto del provvedimento, ed in particolare dei lavori di messa in sicurezza disposti dal sindaco. La giurisdizione in unico grado del Tribunale superiore delle acque pubbliche sulla presente controversia risulta pertanto incontestabile, in base al più volte citato art. 143 r.d. n. 1775 del 1933, ed in particolare in virtù del criterio dell’incidenza diretta del provvedimento sul regime delle acque pubbliche, ricavato dalla disposizione ora richiamata dall’elaborazione giurisprudenziale sopra ripercorsa. Come del pari finora osservato, non è decisivo in contrario il fine pubblicistico attinente alla causa del potere autoritativo esercitato, dal momento che l’elemento determinante ai fini della giurisdizione del Tribunale superiore è l’oggetto del provvedimento impugnato.

 
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Concessioni demaniali marittime e lacuali: la Corte di giustizia UE boccia il regime nazionale di proroga

segnalazione Della sentenza della Corte giust. sez. V

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L'articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati. (1) L'articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico-ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo. (2) (1-2) Con la sentenza in epigrafe la Corte di giustizia dell’UE ha formulato i principi di cui in massima rispondendo ai quesiti sollevati in via pregiudiziale dal Tar Milano e dal Tar Sardegna con ordinanze, rispettivamente, del 26 settembre 2014, n. 2401, e del 28 gennaio 2015, n. 224. L’oggetto del giudizio è rappresentato dalla (legittimità della) disciplina nazionale – di cui all’art. 18, comma 1, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito con l. 26 febbraio 2010, n. 25, come novellato dall’art. 34 duodecies, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, introdotto in sede di conversione dalla l. del 17 dicembre 2012, n. 221 – nella parte in cui, sostanzialmente, ha prorogato, fra le altre, le concessioni in atto di beni demaniali marittimi lacuali e fluviali con finalità turistico-ricreative prima fino al 2015 e successivamente fino al 2020. Questi gli argomenti essenziali sviluppati dalla Corte e posti a sostegno della decisione: a) gli atti di ammissione allo sfruttamento di beni appartenenti al demanio marittimo fluviale e lacuale con finalità turistico ricreative, avendo ad oggetto risorse naturali situate sulle rive del lago di Garda o sulle coste della Sardegna, devono qualificarsi in termini di concessioni di beni pubblici e non concessioni di servizi, come tali pertanto astretti alla disciplina sancita dalla direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123 - c.d. direttiva Bolkestein, recepita in Italia dal d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59 – e non a quella stabilita dalla direttiva 26 febbraio 2014, n. 2014/23; b) gli artt. da 9 a 13 della direttiva n. 123 cit. provvedono a un'armonizzazione esaustiva delle attività e dei servizi rientranti nel suo ambito regolatorio, pertanto il ricorso al diritto primario (Trattato FUE) ed alla successiva interpretazione, si pone come eventuale, ovvero solo nel caso in cui la disciplina armonizzata della direttiva n. 123 non sia applicabile ai procedimenti principali, circostanza che spetta ai giudici del rinvio stabilire; c) in particolare, in base all’art. 12, parr. 1, 2 e 3, della direttiva n. 123 cit. – sempre che sia in concreto ritenuto applicabile dal giudice nazionale: I) il rilascio di autorizzazioni, qualora il loro numero sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali, deve essere soggetto a una procedura di selezione tra i candidati potenziali che deve presentare tutte le garanzie di imparzialità e di trasparenza (in particolare un'adeguata pubblicità); II) è vietata una proroga ex lege della data di scadenza delle autorizzazioni perché equivale a un loro rinnovo automatico; III) la proroga automatica di autorizzazioni relative allo sfruttamento economico del demanio marittimo e lacuale di per se stessa ostacola (e non consente di organizzare) una procedura di selezione trasparente; IV) gli Stati membri possono tener conto, esclusivamente allorquando stabiliscono le regole della procedura di selezione, di considerazioni legate a motivi imperativi d'interesse generale fra cui la tutela del legittimo affidamento del concessionario, che richiede tuttavia una valutazione caso per caso che consenta di dimostrare che il titolare dell'autorizzazione poteva legittimamente aspettarsi il rinnovo della propria autorizzazione e ha effettuato i relativi investimenti; una siffatta giustificazione non può pertanto essere invocata validamente a sostegno di una proroga automatica istituita dal legislatore nazionale e applicata indiscriminatamente a tutte le autorizzazioni in questione, specie quando contestualmente alla proroga non sia stata indetta una procedura di gara; la necessità della proroga a tutela degli investimenti effettuati dall’originario concessionario, in quanto espressione della certezza del diritto, trova un ulteriore limite nella circostanza che al momento del rilascio della concessione era già stato chiarito che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo dovevano essere soggetti a obblighi di trasparenza, cosicché il principio della certezza del diritto non può essere invocato per giustificare una disparità di trattamento vietata in forza dell'art. 49 FUE; d) qualora non sia applicabile la disciplina stabilita dalla direttiva n. 123 cit., poiché le concessioni di cui ai procedimenti principali hanno ad oggetto il diritto di stabilimento nell'area demaniale finalizzato a uno sfruttamento economico per fini turistico-ricreativi, la disciplina applicabile al livello di diritto primario si rinviene nell'art. 49 FUE; e) in tal caso l’amministrazione, qualora intenda assegnare una concessione che non rientra neppure nell'ambito di applicazione delle direttive relative alle diverse categorie di appalti pubblici, è tenuta a rispettare le regole fondamentali del Trattato FUE, in generale, e il principio di non discriminazione, in particolare; sicché, ove la concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, la sua assegnazione in totale assenza di trasparenza ad un'impresa con sede nello Stato membro dell'amministrazione aggiudicatrice costituisce una disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate alla suddetta concessione, disparità che in linea di principio è vietata dall'articolo 49 cit.; l'esistenza di un interesse transfrontaliero certo deve essere accertata alla stregua di una valutazione basata su tutti i criteri rilevanti (quali l'importanza economica del rapporto, il luogo della sua esecuzione o le sue caratteristiche tecniche, la situazione geografica del bene). Per completezza si segnala quanto segue: f) a seguito di una procedura di infrazione aperta a carico dell’Italia – espressamente menzionata dalla decisione in commento – è stato abolito, ad opera del d.l. n. 194 del 2009 cit., il diritto di insistenza del concessionario di beni demaniali marittimi previsto dall’originario art. 37 del codice della navigazione; g) l’art. 3, comma 1, r.d. n. 2440 del 18 novembre 1923 – recante la legge sulla contabilità generale dello Stato – stabilisce il principio generale in forza del quale tutte le amministrazioni pubbliche sono tenute a rispettare le procedure della gara pubblica (dettagliata negli artt. 63 – 88 del regolamento di cui al r.d. n. 827 del 23 maggio 1924), se intendono stipulare contratti c.d. attivi (ovvero dai quali derivi una entrata per l’erario); h) è stata dichiarata l’incostituzionalità di una legge regionale che abbia previsto un diritto di proroga in favore dei titolari di concessioni demaniali marittime consentendo un rinnovo automatico della medesima (cfr. Corte cost. 20 maggio 2010, n. 180, in Foro it., 2010, I, 1977, con nota di richiami di dottrina e giurisprudenza, nazionale e comunitaria, relativa alla disciplina delle concessioni su beni pubblici e marittimi in particolare; i) secondo un consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St., sez. V, 31 maggio 2011, n. 3250, in Foro it., 2011, III, 637, con ampia nota di riferimenti di L. CARROZZA e F. FRACCHIA), su tutte le amministrazioni pubbliche in generale grava l’obbligo di ricorrere a procedure competitive ogni qualvolta si debbano assegnare beni pubblici suscettibili di sfruttamento economico; la mancanza di tale procedura introduce una barriera all’ingresso al mercato determinando una lesione alla parità di trattamento, al principio di non discriminazione ed alla trasparenza tra gli operatori economici, in violazione dei principî comunitari di concorrenza e di libertà di stabilimento; infatti, anche dopo il trattato di Lisbona, l’indifferenza comunitaria alla qualificazione nominale delle fattispecie consente di sottoporre al nucleo essenziale dei principî di evidenza pubblica l’affidamento di concessioni su beni pubblici, senza che a ciò vi osti la generica deduzione della occasionale partecipazione del privato all’esercizio dei pubblici poteri, dovendosi a tal fine riscontrare, con certezza, la traslazione effettiva di poteri pubblici autoritativi; né vi sono margini di tutela dell’affidamento dei precedenti concessionari, attraverso proroghe legali o amministrative, salvo casi eccezionali in cui si debba ripristinare la durata di un rapporto concessorio illegittimamente abbreviato rispetto alla sua scadenza naturale, ovvero per il tempo strettamente necessario alla definizione delle procedure per la stipula dei nuovi contratti; l) l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (cfr. sentenza 25 febbraio 2013, n. 5, in Foro it., 2013, III, 250, con ampia nota di riferimenti di A. TRAVI), ha stabilito che la procedura competitiva è quella che meglio garantisce, in caso di assegnazione di concessioni di beni pubblici - in considerazione della scarsità della risorsa o quando risulti di fatto contingentata - tutti i contrapposti interessi in gioco, fra cui la libertà di iniziativa economica e l’effettiva concorrenza fra gli operatori economici.

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