News 10 Settembre 2015 - Area Tecnica


GIURISPRUDENZA

Installazione di container: attività di edilizia libera o intervento di nuova costruzione?

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Innanzi alla Sesta Sezione del Consiglio di Stato è stato discusso il ricorso in appello proposto da una società che gestisce in Roma un impianto sportivo (campo di calcio) su area di proprietà comunale. Il T.A.R. del Lazio, in primo grado aveva respinto il ricorso avverso il provvedimento con cuiil competente dirigente comunale aveva ordinato la rimozione di alcuni container destinati ad uso spogliatoio (container per i quali, nel 2003, era stato assentito "l’utilizzo temporaneo"). Con sentenza del 4 settembre 2015 n. 4116 il Consiglio di Stato nel rigettare l'appello ha esaminato la questione centrale ai fine del decidere ovvero se l’installazione e il mantenimento in loco di sei (degli otto) containers inizialmente collocati sull’area al servizio delle opere di cantierizzazione finalizzate al ripristino funzionale dell’impianto siano riconducibili - alla previsione di cui all’art. 6, co. 2, lettera b) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (secondo cui rientrano nell’ambito della c.d. ‘attività edilizia libera’ "le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni" (si tratta della tesi sostenuta dall’appellante), ovvero - alla previsione di cui costituisce intervento di ‘nuova costruzione’ (inter alia) "e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee e salvo che siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti". Peraltro, a seguito del passaggio in decisione del ricorso, la Corte costituzionale, con sentenza 24 luglio 2015, n. 189 ha dichiarato la (parziale) illegittimità costituzionale della disposizione da ultimo richiamata per violazione dell’art. 117, terzo e quarto comma, Cost. Sul punto, tuttavia, osserva il Collegio che (anche prescindendo da qualunque rilievo in ordine agli effetti di una pronuncia di incostituzionalità intervenuta all’indomani del passaggio in decisione di un ricorso nel cui ambito si faccia – appunto – questione dell’applicazione della disposizione dichiarata illegittima), la richiamata pronuncia di incostituzionalità non determina effetti ai fini del presente giudizio in quanto la declaratoria di incostituzionalità ha riguardato una parte della disposizione (quella che va dalle parole "e salvo che" fino a "turisti") che non rileva ai fini della presente decisione. Ad avviso del Collegio, al fine di impostare in modo corretto la soluzione della vicenda di causa occorre in primo luogo domandarsi se sussistano in atti sufficienti indizi i quali depongono nel senso che i sei containers in questione fossero effettivamente utilizzati quali spogliatoi al servizio degli atleti che fruiscono del Circolo sportivo e, in caso di risposta affermativa, quali siano le conseguenze ai fini della corretta qualificazione urbanistico-edilizia di tale cambiamento di destinazione d’uso. Ebbene, per quanto riguarda il primo dei richiamati quesiti il Collegio ritiene che sussistano agli atti di causa elementi i quali dimostrano in modo inequivoco l’effettivo utilizzo dei richiamati containers quali spogliatoi al servizio degli atleti. Si ritiene, infatti, che costituiscano indici del tutto persuasivi (e difficilmente confutabili) in tal senso: - la circostanza per cui, nel rilasciare un’autorizzazione in deroga alle previsioni di cui all’art. 3 del d.P.R. 380 del 2001 (atto in data 11 luglio 2012) il Presidente del V Municipio ebbe espressamente ad affermare che tale autorizzazione fosse – appunto - volta a consentire l’utilizzo dei baraccamenti di cantiere "a funzione di spogliatoi sportivi"; - la circostanza per cui, nel richiedere tale autorizzazione, la stessa società appellante (e con valenza sostanzialmente confessoria) avesse in effetti chiesto "[l’]utilizzo temporaneo di una parte dei baraccamenti di cantiere situati nell’impianto sportivo monotematico di via degli * a funzione di spogliatoi sportivi"; - la circostanza per cui, nel rendere la propria relazione alla Procura della Repubblica in data 30 novembre 2012, i tecnici comunali avessero – appunto – rilevato che i sei containers in questione fossero "allestiti ed accessoriati con panchine appendiabiti, w.c. e docce, idonei all’uso di spogliatoi". Vero è che, nell’ambito di tale relazione si riferisce che "nel corso dei sopralluogo non è stato possibile verificare il cambio di destinazione d’uso dei containers da spogliatoi a servizio dei campi sportivi, in quanto i suddetti containers risultavano liberi da persone e cose, vestiario e suppellettili varie". Tuttavia, precisa il Collegio "quanto nell’occasione riferito non assume affatto la valenza definitivamente liberatoria invocata dalla società appellante. Ed infatti, la relazione dei tecnici comunali - per un verso – conferma l’assoluta idoneità funzionale e strutturale dei containers in parola a fungere da spogliatoi per gli atleti; per altro verso si limita ad attestare che, al momento degli accessi, non fossero presenti gli atleti e le loro suppellettili. Tale circostanza è stata del tutto plausibilmente ricostruita dal Funzionario di P.L. della Sezione di P.G. nella sua relazione al Sostituto procuratore in data 15 gennaio 2013. Nell’occasione il F.P.L. ha osservato che la verifica al cui esito non era stata riscontrata la presenza di atleti nei containers "ha avuto luogo, presumibilmente, previo accordo intercorso col suddetto concessionario che, probabilmente, al fine di ovviare all’inconveniente di incorrere negli stessi addebiti che, a suo tempo, sono stati constatati dal locale Comando del V Gruppo (…), ha provveduto, per tempo, a interdire l’accesso e/o a rimuovere qualsivoglia elemento che avrebbero potuto indurre i tecnici a dare una diversa valutazione circa il loro uso"; - dalla circostanza secondo cui, nell’informativa in data 21 maggio 2012 resa dagli Operatori comunali del V Gruppo all’esito del sopralluogo ispettivo del precedente 15 maggio, era emerso che "i lavori erano fermi e non v’era alcun operaio nel cantiere sopra indicato, parimenti, all’interno di alcuni containers, presumibilmente, gli stessi avventori dei campi di calcio, avevano collocato sulle panche e sugli appendiabiti presenti, svariati capi di abbigliamento e varie borse sportive, tutte riportanti la dicitura ‘*, ritenendo, per tale motivo, che detti locali fossero utilizzati dai vari atleti". Né a conclusioni diverse rispetto a quelle appena tracciate può giungersi in relazione al fatto che il provvedimento impugnato in primo grado abbia descritto i containers in questione come poggianti "su una serie di plinti prefabbricati in cemento" (e non, come affermato dall’appellante, su una serie di manufatti in c.a.v. – pozzetti per cavidotti -). Il Collegio si soffermerà nel prosieguo sul se tale diversa prospettazione in fatto possa incidere sulla corretta individuazione del carattere di contingenza e temporaneità dei containers in questione. Ciò che interessa qui osservare è che tale circostanza non apporta alcun elemento effettivo in ordine alla circostanza, che qui rileva, relativa all’effettivo utilizzo dei containers in questione quali spogliatoi per gli atleti. Ma una volta rilevato (lo si ripete, sulla base di elementi univoci e difficilmente confutabili) che i containers in questione fossero stati effettivamente destinati (e per un periodo senz’altro lungo – almeno dal luglio 2012 -) alla diversa destinazione di spogliatoi per gli atleti, il Collegio ritiene che la fattispecie in esame sia stata correttamente inquadrata, da parte del Dirigente tecnico del IV Municipio (già V Municipio), nell’ambito applicativo dell’articolo 3, comma 1, lettera e.5) del d.P.R. 380 del 2001 (il quale, come si è già rilevato, ascrive alla nozione di ‘nuove costruzioni’ e assoggetta all’obbligo di permesso di costruire "[i] manufatti leggeri, anche prefabbricati, e [le] strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come (…) ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee (…)". E il fatto che i manufatti in questione non fossero destinati a soddisfare "esigenze meramente temporanee" risulta confermato dal diuturno utilizzo in questione e dalla circostanza per cui, secondo quanto rilevato dalla stessa appellante, tale utilizzo è destinato a perdurare fino a quando non sarà possibile completare le opere di ripristino funzionale del complesso (anche attraverso il completamento dei nuovi spogliatoi). Tuttavia, è la stessa appellante a riferire che al momento non si dispone di alcuna certezza in ordine a tale tempistica, anche a causa della mancata erogazione dei necessari finanziamenti (erogazione che, a sua volta, viene resa difficoltosa dalle complesse vicende amministrative e giudiziarie che hanno caratterizzato la vicenda). Ma al di là di qualunque valutazione di merito, il Collegio ritiene che il complesso di circostanze appena richiamate confermi ancora una volta il fatto che l’utilizzo dei containers quali spogliatoi per gli atleti non risulti certamente finalizzato a soddisfare "esigenze meramente temporanee", in tal modo rendendo inapplicabile la previsione di cui all’art. 6, comma 2, lettera b) del richiamato d.P.R. 380 del 2001 (il quale richiama, al contrario, "opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee"). Al riguardo si ritiene di richiamare l’orientamento secondo cui i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze stabili nel tempo vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la potenziale rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie. Ciò, in quanto il manufatto non precario (nel caso di specie: container) non risulta in concreto deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma viene destinato ad un utilizzo destinato ad essere protratto nel tempo. La ‘precarietà’ dell’opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (in tal senso: Cons. Stato, VI, 3 giugno 2014, n. 2842). Pertanto, conclude il Consiglio di Stato, deve essere confermata la tesi secondo cui gli interventi per cui è causa fossero riconducibili alla previsione di cui all’art. 3, co. 1, punto e.5) e non anche a quella di cui all’articolo 6, comma 2, lettera b) del d.P.R. 380 del 2001.

 
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Edilizia: il punto della giurisprudenza in materia di interventi di trasformazione soggetti a permesso di costruire

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La Sesta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza del 4 settembre 2015 ha affermato che: "L’attività edilizia deve essere compatibile con le destinazioni impresse sull’area dagli strumenti urbanistici. L’art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) dispone, inoltre, che: «Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino aumento di unita' immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso». La giurisprudenza del Consiglio ha già avuto modo di affermare, per definire l’ambito applicativo della norma riportata, che: i) «manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale» (Cons. Stato, sez. IV, 3 giugno 2014, n. 2842); ii) «non vi è dubbio sulla assenza della natura pertinenziale – ai fini edilizi – quando sia realizzato un nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio essendo ravvisabile la natura pertinenziale solo quando si tratti: a) di opere che non comportino un nuovo volume, come una tettoia o un porticato aperto da tre lati; b) di opere che comportino un nuovo e modesto volume ‘tecnico', confermandosi con ciò, in definitiva, che devono essere tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio o incidere sul carico urbanistico, caratteristiche queste la cui sussistenza deve essere peraltro dimostrata dall'interessato» (Cons. Stato, sez. VI, 29 gennaio 2015, n. 406).

 
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Farmacie comunali: la sentenza del Consiglio di Stato sull'in house providing

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Nella sentenza inesame il Consiglio di Stato precisa che "Allo stato e pur dopo l’abolizione dell’art. 23-bis del DL 112/2008 e del conseguente art. 15 del DL 25 settembre 2009 n. 135 (conv. modif. dalla l. 20 novembre 2009 n. 166) ad opera del referendum ed in forza del DPR 18 luglio 2011 n. 113,gli artt. 113 e ss. del d. lgs. 18 agosto 2000 n. 267 ha regolato l'intera materia sulle forme giuridiche di prestazione dei servizi pubblici locali, determinando l'abrogazione delle leggi anteriori che regolavano quelle inerenti ai i singoli servizi. Sicché il sistema di gestione dei servizi farmaceutici comunali ex art. 9, I c. della l. 475/1968 è stato abolito, pure nella parte in cui previde che le farmacie comunali potevano esser gestite mediante società di capitali, seppur a condizione che avessero come soci i farmacisti i quali, all'atto della costituzione di queste ultime, fossero in servizio nelle farmacie di cui il Comune avesse la titolarità (cfr. così Cons. St., III, 9 luglio 2013 n. 3647). Come si vede, l’abolizione sia del DL 112/2008, sia del DL 135/2009 ha definitivamente ricondotto i metodi di gestione delle sedi farmaceutiche sotto l’imperio della disciplina unitaria ed esclusiva recata dall’art. 113 del TUEL, onde non vi sono più, quand’anche vi fossero mai state, preclusioni all’in house providing. Ma tali preclusioni, al di là dell’opera di razionalizzazione discendente da detto referendum, neppure si sarebbero potute dire esistenti sotto la vigenza del ripetuto art. 9, I c., almeno per quanto attiene al mantenimento del servizio farmaceutico in mano pubblica. Infatti, l’impresa in house, appunto grazie al c.d. "controllo analogo", costituisce al contempo la nuova forma dell’azienda speciale ed il modello ordinario (e non certo derogatorio) di gestione pubblica dei servizi pubblici locali. Proprio per questo, pare al Collegio che nessuna utilità giuridica può esser ritratta dall’appellante dall’eventuale accoglimento del motivo sull’arresto procedimentale, a suo dire, rinvenibile nella nota del 21 dicembre 2009, con la quale l’AGCM ritenne di non rendere il parere ex art. 23-bis, c. 4 del DL 112/2008 che a suo tempo il Comune le richiese. Infatti, tal avviso dell’AGCM va letto non necessariamente come atto negativo (e, nella prospettazione dell’appellante, statuizione lesiva), ma come precisazione della sopravvenuta superfluità del parere stesso a seguito della novella recata dall’art. 15, c. 1, lett. a) e a-bis) del DL 135/2009. Poiché quest’ultimo escluse dalla disciplina generale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica il servizio di gestione delle farmacie, riconducendolo alla disciplina dell’art. 9, I c. della l. 475/1968, non si può dire più necessario detto parere e, al tempo stesso, preclusa la gestione in house, non incompatibile con la norma testé citata.

 
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