News 12 Ottobre 2015 - Area Tecnica


GIURISPRUDENZA

Appalti: la risoluzione dei contrasti interni tra le disposizioni del bando, del disciplinare di gara e del capitolare speciale d'appalto

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Benché il bando, il disciplinare di gara e il capitolato speciale d’appalto, abbiano ciascuno una propria autonomia ed una propria peculiare funzione nell’economia della procedura, il primo fissando le regole della gara, il secondo disciplinando in particolare il procedimento di gara ed il terzo integrando eventualmente le disposizioni del bando (con particolare riferimento – di norma – agli aspetti tecnici anche in funzione dell’assumendo vincolo contrattuale, Cons. Stato, sez. V, 10 novembre 2005, n. 6286), tutti insieme costituiscono la lex specialis della gara (Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6154; sez. V, 5 settembre 2011, n. 4981; 25 maggio 2010, n. 3311; 12 dicembre 2009, n. 7792), in tal modo sottolineandosi il carattere vincolante che quelle disposizioni assumono non solo nei confronti dei concorrenti, ma anche dell’amministrazione appaltante, in attuazione dei principi costituzionali fissati dall’art. 97). Quanto agli eventuali contrasti (interni) tra le singole disposizioni della lex specialis ed alla loro risoluzione, è stato osservato che tra i ricordati atti sussiste nondimeno una gerarchia differenziata con prevalenza del contenuto del bando di gara (Cons. Stato, sez. V, 17 ottobre 2012, n. 5297; 23 giugno 2010, n. 3963), laddove le disposizioni del capitolato speciale possono soltanto integrare, ma non modificare le prime (Cons. Stato, sez. III, 29 aprile 2015, n. 2186; 11 luglio 2013, n. 3735; sez. V, 24 gennaio 2013, n. 439). L’interpretazione della lex specialis soggiace, come per tutti gli atti amministrativi, alle stesse regole stabilite per i contratti dagli articoli 1362 e ss., tra le quali assume carattere preminente quella collegata all’interpretazione letterale, in quanto compatibile con il provvedimento amministrativo, fermo restando, per un verso, che il giudice deve in ogni caso ricostruire l’intento perseguito dall’amministrazione ed il potere concretamente esercitato sulla base del contenuto complessivo dell’atto (c.d. interpretazione sistematica) e, per altro verso, che gli effetti del provvedimento, in virtù del criterio di interpretazione di buona fede, ex 1366 c.c., devono essere individuati solo in base di ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere (Cons. Stato, sez. III, 2 settembre 2013, n. 4364; sez. V, 27 marzo 2013, n. 1769). Sono questi i principi ribaditi dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 9.10.2015 n. 4684.

 
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Interdittiva antimafia: il quadro indiziario sul "condizionamento mafioso"

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L'interdittiva antimafia è volta a garantire un ruolo di massima anticipazione all’azione di prevenzione in ordine ai pericoli di inquinamento mafioso, con la conseguenza che è sufficiente che vi sia un quadro indiziario tale da generare un ragionevole convincimento sulla sussistenza di un "condizionamento mafioso" (Consiglio di Stato, sez. III, 21 dicembre 2012, n. 6618; 2734 del 3.6.2015). Secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, il Prefetto adotta legittimamente l’informativa ostativa sulla base di elementi sintomatici ed indiziari dai quali è deducibile il tentativo di ingerenza - quali una condanna non irrevocabile, l’irrogazione di misure cautelari, il coinvolgimento in un’indagine penale, collegamenti parentali, cointeressenze societarie e/o frequentazioni con soggetti malavitosi - che, nel loro insieme, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l’attività d’impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata. Anche i legami di natura parentale assumono rilievo qualora emerga un intreccio di interessi economici e familiari, dai quali sia possibile desumere la sussistenza dell’oggettivo pericolo che rapporti di collaborazione intercorsi a vario titolo tra soggetti inseriti nello stesso contesto familiare costituiscano strumenti volti a diluire e mascherare l’infiltrazione mafiosa nell’impresa considerata ( C.G.A. Reg. Sicilia Sez. giurisdizionale, n. 227 del 29 febbraio 2012; C.d.S., III Sez., 115 del 19.1.2015). È questo il principio ribadito dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza dell'8.10.2015 n. 4667.

 
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Annullamento d'ufficio della gara: nessun controinteressato in sede di aggiudicazione provvisoria

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Può essere qualificato come controinteressato, cui occorre notificare il ricorso ex art. 41, comma 2, c.p.a. chi sia portatore di un interesse qualificato alla conservazione dell’assetto recato dal provvedimento impugnato (nel caso di specie l’atto di annullamento d’ufficio della gara), che abbia natura uguale e contraria a quello del ricorrente, e dunque sia un controinteressato «in senso sostanziale», e sempre che sia stato nominativamente indicato nel provvedimento o sia almeno facilmente individuabile, e dunque sia un «controinteressato in senso formale». Ciò posto, il Consiglio di Stato nella sentenza del 6.10.2014 n. 4654 ha rilevato che, nel caso di specie, si devono individuare gli effetti tipici del provvedimento impugnato in primo grado, consistente in un atto di autotutela emesso nel corso del procedimento di gara: alla data di notifica del ricorso non era individuabile alcuna impresa tra quelle partecipanti e già ammesse alla gara che potesse vantare una posizione differenziata e giuridicamente protetta alla conservazione della propria situazione giuridica rispetto all’atto di annullamento degli atti di gara, non avendo a quella data l’Amministrazione ancora disposto l’aggiudicazione definitiva (poi avvenuta in favore dell’odierna appellante). Ed infatti, solo in presenza dell’aggiudicazione definitiva, quale atto ad effetto stabile suscettibile di accrescere e di consolidare la posizione giuridica del soggetto, si può prospettare una posizione di controinteressato, quando si impugni un atto comunque avente natura infraprocedimentale. Del resto, anche l’aggiudicazione provvisoria non costituisce ancora la definitiva scelta del soggetto aggiudicatario della gara, poiché essa, quale atto che determina una scelta non ancora definitiva del soggetto aggiudicatario della gara, non costituisce l’atto conclusivo del procedimento, facendo nascere in capo all'interessato una aspettativa alla conclusione del procedimento, senza attribuire in modo stabile il «bene della vita» (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 11 luglio 2012, n. 4116; sez. V, 23 giugno 2010, n. 3966).

 
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Procedure di gara: le variazioni migliorative non essenziali del progetto

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La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 6.10.2015 n. 4653 ha richiamato il principio per il quale le imprese – salvo che il bando disponga altrimenti - possono proporre variazioni migliorative, indispensabili o semplicemente utili sotto l'aspetto tecnico, con il limite intrinseco consistente nel divieto di alterare i caratteri essenziali della prestazione oggetto del contratto, in maniera da non modificare i profili strutturali, qualitativi o funzionali dell'opera, come definiti nel progetto posto a base di gara. In altre parole, sono sempre ammissibili variazioni migliorative non essenziali del progetto posto a base di gara, ossia tutte quelle variazioni migliorative che non si traducano in uno stravolgimento dell'oggetto del contratto, attraverso una sua diversa ideazione che si ponga come del tutto alternativa rispetto al disegno progettuale originario (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 novembre 2014, n. 5497; Consiglio di Stato, Sez. V, 16 aprile 2014, n. 1923).

 
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Associazione temporanea di imprese: la sentenza del Consiglio di Stato sui Consorzi ordinari

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La vicenda giunta all'attenzione della Quinta Sezione del Consiglio di Stato vede il ricorrente incidentale di primo grado dedurre l'illegittima partecipazione alla gara della società appellata, consorzio ordinario assumente la forma di società consortile ex art. 2602 c.c., costituito da due società. In quanto consorzio ordinario, la Società appellata ha dichiarato di partecipare in nome proprio e per conto di una sola impresa consorziata, che avrebbe eseguito il 100% del servizio, in ipotizzata violazione dell’art. 34 d.lgs. n. 163-2006, che, in merito ai consorzi ordinari, rimanderebbe integralmente alla disciplina delle ATI, nelle quali è necessario che tutte le imprese prendano parte alla gara ed alla relativa esecuzione del servizio. Al fine di comprendere la questione oggetto del giudizio il Collegio ha richiamato la dottrina e la giurisprudenza secondo cui l’associazione temporanea di imprese (ATI) sia un contratto associativo atipico, fondato sul mandato collettivo speciale e gratuito, con rappresentanza ed in rem propriam (nell’interesse del terzo committente) conferito da parte delle associate ad una di esse (cd. capogruppo), che perciò assume, nei confronti del committente, la rappresentanza esclusiva delle mandanti: dalla presentazione dell’offerta (che è l’unico aspetto disciplinato dall’ordinamento) sino all’estinzione di ogni rapporto giuridico. La possibilità di associarsi temporaneamente, senza obbligo di assumere vincoli societari che imporrebbero oneri e obblighi sproporzionati rispetto ad un rapporto caratterizzato dalla durata limitata e dalla unicità dell’affare, è compensata dalla responsabilità solidale che lega le imprese riunite, anche nei rapporti con i subappaltatori e fornitori (come previsto dall’art. 37, comma 5, del d.lgs. n. 163-2006, in continuità normativa con l’art. 13, comma 2, dell’abrogata L. n. 109-94). Dal punto di vista civilistico, del tutto diversa è la posizione del consorzio costituito in forma di società consortile, che è una società caratterizzata dal fatto di svolgere la propria attività perseguendo scopi consortili; infatti, esso può consistere in qualsiasi società prevista dal c.c., con esclusione della società semplice. Per quanto riguarda la disciplina degli appalti pubblici, il consorzio di imprese, se anche costituito in forma di società consortile ai sensi dell'art. 2615-ter del codice civile, è un soggetto con identità plurisoggettiva, con la conseguenza che ad esso risulta pienamente applicabile la disciplina di cui all'art. 34, lett. e), d. lgs. n. 163-2006 che, a sua volta, rinvia al successivo art. 37. La disciplina civilistica della società consortile e la personalità giuridica di cui è titolare non comportano che essa sia esentata dagli adempimenti richiesti dalla disciplina in materia di contratti pubblici, qualora la società consortile partecipi a gare d'appalto indette dalla pubblica amministrazione. Le società consortili, invero, non sono imprese autonome, ma consorzi, per la natura e le finalità mutualistiche in favore delle imprese consorziate, con l'unica differenza che è loro consentito di operare in forma societaria, sicché la «causa consortile» del contratto permane e prevale sulla forma societaria assunta. La circostanza che tale soggetto abbia personalità giuridica e si presenti alla gara come impresa singola, in limine, rileva ai fini dell'assunzione della responsabilità nei confronti della stazione appaltante, ma non può esimere dagli obblighi posti dal codice dei contratti pubblici ai consorzi, qualunque sia la loro forma giuridica assunta. L'art. 34, lett. e), indica tra i soggetti che possono partecipare alle procedure di gara «i consorzi ordinari di concorrenti di cui all'articolo 2602 del codice civile, costituiti tra i soggetti di cui alle lettere a), b) e c) del presente comma, anche in forma di società ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile». Peraltro, l’art. 37, comma 4, d.lgs. n. 163-2006 (apparentemente dedicato alle sole ATI, in base alla sua rubrica) specifica che «nel caso di forniture o servizi nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati», espressamente e letteralmente riferendosi, dunque, anche ai soggetti consorziati. Soltanto i consorzi di cui alle lett. b) e c) dell’art. 34 citato, ovvero i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro costituiti in applicazione della legge 25 giugno 1909, n. 422, e del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, i consorzi tra imprese artigiane di cui alla legge 8 agosto 1985, n. 443, nonché i consorzi stabili, costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile, tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro, secondo le disposizioni di cui all'art. 36, sfuggono alla disciplina di cui all’art. 37. Tuttavia, il consorzio appellato, consorzio ordinario assumente la forma di società consortile ex art. 2602 c.c., non dimostra (né ha dimostrato in sede di gara) di aver partecipato nelle qualità soggettive indicate dall’art. 34, lett. b) e c) d.lgs. n. 163-2006, con la conseguenza che ad esso doveva farsi integrale applicazione del successivo art. 37, che non prevede alcuna eccezione per le società consortili (anzi, espressamente includendole). Il TAR ha respinto il ricorso incidentale sulla base di una distinzione all’interno della figura dei consorzi ordinari, tra quelli costituiti nella «forma semplice» di cui agli art. 2602 e ss. c.c., privi di struttura organizzativa, e quelli costituiti con la forma della società consortile ai sensi dell’art. 2615-ter c.c., distinzione che però non ha alcuna base positiva e che è contraddetta dal tenore letterale delle disposizioni esaminate, come si è sopra rilevato. Pertanto, partecipando sotto forma di consorzio ordinario, l’appellata Società doveva prendere parte alla gara per entrambe le imprese consorziate e non solo per una di esse. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, il Consiglio di Stato con la sentenza del 6.10.2015 n. 4652 ha accolto l’appello per tale motivo e, per l’effetto, ha accolto il ricorso incidentale di primo grado che, avendo natura escludente in una gara in cui hanno partecipato 26 concorrenti, esime dall’esame «incrociato» del ricorso principale e, conseguentemente, dall’esame dei successivi motivi di appello che rimangono, quindi, assorbiti, poiché deve essere dichiarato inammissibile il ricorso principale di primo grado.

 
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Aggiudicazione definitiva: legittimo l'atto revoca anche se manca l'indicazione dell'ammontare dell'indennizzo

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In materia di contratti della P.A., il potere di revocare l’aggiudicazione definitiva di una gara ben può trovare fondamento, in via generale, in specifiche ragioni di pubblico interesse (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 21 aprile 2015, n. 2013) ed è irrilevante, come ha chiarito la giurisprudenza, ai fini della sua legittimità, la circostanza che l’Amministrazione nell’atto di revoca non abbia indicato anche l’ammontare dell’indennizzo da liquidare alla parte, atteso che la mancata previsione dell’indennizzo consente al privato di azionare la relativa pretesa patrimoniale (in presebza dei relativi presupposti), anche davanti al giudice amministrativo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 15 novembre 2011, n. 6039). È questo il principio da ultimo ribadito dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 6 ottobre 2915 n. 4650. Per approfondire s.carica gratuitamente il testo integrale del provvedimento

 
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Distanza tra pareti finestrate: il D.M. n. 1444/1968 non si applica ai lucernari di tipo velux

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La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 5.10.2015 n. 4628 si è occupata dell'art. 9 del D. M. n. 1444 del 1968 che fissa la distanza minima che deve intercorrere tra "pareti finestrate e pareti di edifici antistanti" . Nella sentenza viene precisato che sul piano formale tale norma fa espresso ed esclusivo riferimento alle pareti finestrate, per tali dovendosi intendere, secondo l'univoco e costante insegnamento della giurisprudenza unicamente " le pareti munite di finestre qualificabili come vedute, senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono semplici luci" ( cfr. Cass. Civ. Sez. II 6.11.2012 n. 19092; 30.04.2012 n. 6604 ; Cons. Stato Sez. IV 04.09.2013 ; 12.02.2013 n. 844 ) . Nel caso di specie, viceversa, la parete finestrata da cui a dire degli appellanti dovrebbe calcolarsi la distanza fissata dalla richiamata normativa, è il tetto dell'edificio di loro proprietà da cui prendono luce ed aria, mediante lucernari di tipo velux, gli ambienti situati al primo piano. Sennonché i velux in questione non possono di certo considerarsi "vedute" alla stregua dell'articolo 900 codice civile - non consentendo né di affacciarsi sul fondo del vicino (prospectio) né di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente (inspectio) -, ma semplici luci in quanto consentono il solo passaggio dell'aria e della luce. Pertanto, correttamente il primo giudice ha osservato al riguardo, come già sopra segnalato, che l'invocato art. 9 del D. M. n. 1444 del 1968 non può comunque "trovare applicazione in quanto nella specie non vengono in evidenza le distanze tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, e ciò perché non può considerarsi parete finestrata il tetto dell'abitazione del ricorrente solo perché caratterizzato da sette finestre di tipo velux" .

 
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Gare: per i requisiti di moralità in caso di cessione di ramo d'azienda il Consiglio di Stato applica il proverbiale detto "nel più sta il meno"

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Il Consiglio di Stato in data 2 ottobre 2015 ha depositato una interessante sentenza, la n. 4617, nella quale, tra l'altro, ha applicato il proverbiale detto "nel più sta il meno" per risolvere le problematiche afferenti la omessa dichiarazione dell’assenza dei fatti di reati tassativamente menzionati dall’art.38 del codice degli appalti per i quali è prevista la c.d. ‘esclusione automatica’. Più precisamente, si legge nella sentenza che "Posto che è incontrovertibile - come ben rappresentato da un proverbiale detto (atto ad esprimere con sintetica semplicità una intuitiva verità) - che "nel più sta il meno", appare evidente che la dichiarazione attestante l’assenza - in capo al soggetto ‘controllato’ - di qualsiasi reato grave che incida sulla moralità e sulla capacità professionale (dichiarazione che comporterebbe, nel caso di opposto contenuto, un onere di valutazione da parte della Stazione appaltante), non può non includere, seppur implicitamente (dunque: non può che implicare), anche l’affermazione dell’assenza - in capo al medesimo soggetto - dei più gravi fatti di reato,tassativamente menzionati dall’art.38 del codice dei contratti pubblici (nella specie: partecipazione ad una organizzazione criminale, corruzione, frode e riciclaggio), per i quali è prevista la c.d. ‘esclusione automatica’." Aggiunge poi il Collegio che anche a prescindere da tale considerazione, "non può essere ignorato che nella fattispecie dedotta in giudizio era lo stesso Disciplinare di gara (all’art.10 lett. C) che consentiva di formulare la dichiarazione di cui all’art.38 del codice degli appalti "in modo omnicomprensivo"; utilizzando, cioè, una pericope attestante la inesistenza di tutte le cause di esclusione previste dalla norma. Il che appare tranciante. E ciò non senza sottolineare: a) che la questione relativa all’asserita invalidità o inefficacia delle dichiarazioni rese (nelle succedutesi qualità di "legali rappresentanti" o di "legali rappresentanti cessati dalla carica di Amministratore Unico", oltre che di socie), ben poteva ritenersi - come correttamente ha fatto l’Amministrazione - definitivamente superata in considerazione dell’avvenuta formulazione (in sede di produzione della documentazione per l’accesso alla gara) di una più analitica, dettagliata e completa dichiarazione resa per loro (e sul loro conto) dalla società aggiudicataria; b) e che anche la questione relativa all’asserita invalidità o inefficacia delle dichiarazioni rese dai soggetti che avevano ceduto all’aggiudicataria rami d’azienda di loro società (...), ben poteva ritenersi - come ha fatto l’Amministrazione - non costitutiva di alcun reale intralcio all’aggiudicazione, posto che per analoga fattispecie (relativa a cessione di ramo d’azienda) l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (C.S., AD.PL. 16.10.2013 n.23) aveva già statuito - vista la non univocità della normativa (ingenerante incertezza in ordine alla sussistenza dell’obbligo a carico dei suddetti ‘soggetti cedenti’) - che finanche la totale omissione della dichiarazione (condotta più grave di quella dedotta in giudizio, consistente nell’aver formulato la dichiarazione in maniera asseritamente troppo generica) non giustifica l’esclusione dalla gara. E che pertanto nei casi di tal fatta (lo si ribadisce: di cessione di ramo d’azienda) deve applicarsi il principio secondo cui l’esclusione va disposta non già per il fatto (puramente formale) della mera omissione della dichiarazione, ma solamente in ragione ed a cagione dell’acclarata assenza (fatto rilevante e dirimente in quanto sostanziale) dei requisiti di moralità (C.D., Ad.Pl., 16.10.2013 n.23). Principio, quest’ultimo, che è informato a criteri di sostanziale giustizia. E che, ad avviso del Collegio, ben può essere esteso a tutte le fattispecie; non apparendo giusto né equo - ed è questa un’ulteriore ed assorbente ragione per ritenere infondata la doglianza dell’appellante - che un soggetto che possa dimostrare - eventualmente anche mediante strumenti procedimentali di c.d. "soccorso istruttorio" - di avere tutti i prescritti requisiti morali (oltre agli altri richiesti dal bando), e che abbia inteso dichiarare in buona fede di esserne in possesso, sia escluso da una procedura concorsuale per il solo e semplice fatto di aver errato nella esposizione delle sue affermazioni al riguardo (o per il semplice fatto di essersi discostato dalla pedissequa e formale riproduzione del modello di dichiarazione prescritto nel bando). Ovvero - ciò che è peggio - che venga escluso dalla gara (lo si ribadisce: non ostante il possesso di tutti i requisiti) per il solo e semplice fatto di aver reso una dichiarazione che pur se sostanzialmente ‘omnicomprensiva’ delle informazioni richieste dalla PA, sia stata espressa in forma sintetica (ma - si badi - non per questo linguisticamente e sintatticamente meno completa) anzicchè in forma analitica. Essendo ben noto - come teorizzato ed affermato in ogni sistema speculativo che si basi su criteri logici - che le formule definitorie ‘sintetiche’ non sono - per il semplice fatto di essere tali - fisiologicamente (e strutturalmente) meno efficaci e meno complete di quelle analitiche".

 
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Il Consiglio di Stato in data 2 ottobre 2015 ha depositato una interessante sentenza, la n. 4617, nella quale, tra l'altro, ha applicato il proverbiale detto "nel più sta il meno" per risolvere le problematiche afferenti la omessa dichiarazione dell’assenza dei fatti di reati tassativamente menzio ... Continua a leggere

 

Appalti: i poteri del Presidente del CdA della società aggiudicataria di sottoscrivere il contratto di avvalimento

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Quando un’impresa intenda avvalersi (mediante stipula di un c.d. ‘contratto di avvalimento’) dei requisiti finanziari di un’altra, la prestazione (oggetto specifico dell’obbligazione) è costituita non già dalla messa a disposizione da parte dell’impresa ausiliaria di strutture organizzative e mezzi‘materiali’, ma dal suo impegno a "garantire" con le proprie complessive risorse economiche - il cui indice è costituito dal fatturato - l’impresa ‘ausiliata’ (munendola, così, di un requisito che altrimenti non avrebbe e consentendole di accedere alla gara nel rispetto delle condizioni poste dal Bando) (C.S., III^, 6.2.2014 n.584) In altri termini ciò che la impresa ausiliaria ‘presta’ alla (rectius: mette a disposizione della) ‘impresa ausiliata’ è il suo valore aggiunto in termini di "solidità finanziaria" e di acclarata "esperienza di settore", dei quali il fatturato costituisce indice significativo. Ne consegue che non occorre che la dichiarazione negoziale costitutiva dell’impegno contrattuale si riferisca a specifici beni patrimoniali o ad indici materiali atti ad esprimere una determinata consistenza patrimoniale(dunque alla messa a disposizione di beni da descrivere ed individuare), essendo sufficiente che da essa (dichiarazione) emerga l’impegno (contrattuale) della società ausiliaria a ‘prestare’ (ed a mettere a disposizione della c.d. società ausiliata) la sua complessiva solidità finanziaria ed il suo patrimonio esperienziale, e garantire con essi una determinata affidabilità ed un concreto supplemento di responsabilità. Sono questi i principi ribaditi dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 2 ottobre 2015 n. 4617 nella quale, peraltro, il Collegio ha ritenuto del pari infondata la censura con la quale l’appellante lamenta che il Presidente della società aggiudicataria non aveva i necessari poteri (cc.dd. "poteri di rappresentanza") per sottoscrivere il contratto di avvalimento, non essendo stato espressamente autorizzato dall’Assemblea dei soci. La giurisprudenza afferma, al riguardo, che gli Amministratori (ed il Presidente del Consiglio di Amministrazione) delle società di capitali possono compiere tutti gli atti che rientrano nell’"oggetto sociale" della società amministrata (Cass., I^, 3.3.2010 n.5152). Ne consegue che tutti gli atti di tal genere (rientranti, cioè, nell’oggetto sociale in quanto fisiologicamente orientati al raggiungimento degli obiettivi statutari), vanno considerati "ordinari". E proprio perché compiuti nell’esercizio dell’"ordinaria" gestione dell’impresa, costituiscono, per essa, "atti di ordinaria amministrazione", che - perciostesso - ben possono essere compiuti dai soggetti che esercitano poteri di amministrazione e che hanno la rappresentanza del soggetto giuridico che esercita l’attività d’impresa. Sicchè, essendo evidente che l’atto di sottoscrizione di un contratto di avvalimento per la partecipazione ad una gara costituisce un atto di ordinaria amministrazione nel senso testè indicato - in quanto fisiologicamente volto a realizzare, quale "fatto di ordinaria gestione", gli obiettivi statutari - non appare revocabile in dubbio che il Presidente del CdA ben potesse sottoscriverlo nell’ordinario esercizio dei suoi poteri di rappresentanza e senza alcuna specifica autorizzazione al riguardo da parte dell’Assemblea dei soci. Precisa inoltre il Collegio come se a ciò si aggiunge che nella fattispecie non risulta che fossero operanti espresse limitazioni statutarie agli ordinari poteri di amministrazione e che in pendenza di giudizio è stata prodotta la delibera del CdA che autorizzava il Presidente della società a sottoscrivere il contratto di avvalimento, non resta che concludere che la condotta della Stazione appaltante resiste sotto ogni profilo alla doglianza in esame.

 
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