News 10 Marzo 2015 - Area Tecnica


NORMATIVA

Contratti pubblici: pubblicata la determinazione n. 3/15 sui rapporti tra soggetto aggregatore e la stazione unica appaltante

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L'Autorità Nazionale Anticorruzione ha pubblicato in data 9.3.2015 la determinazione n. 3 del 25 febbraio 2015 con la quale si affronta la tematica dei rapporti tra l'istituto del Soggetto aggregatore (e della centrale unica di committenza) e quello della stazione unica appaltante (SUA). Più in particolare è trattata la relazione sussistente tra l’adempimento dell’obbligo prescritto dall’art. 33, comma 3-bis del Codice e l’adesione alla SUA, laddove già istituita, verificando il duplice effetto che si produrrebbe, vale a dire di soddisfare contemporaneamente sia le finalità per cui, ai sensi dell’art. 13 della legge 13 agosto 2010, n. 136 è istituita la SUA (assicurare la trasparenza, la regolarità e l’economicità della gestione dei contratti pubblici e prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose) sia le finalità di contenimento della spesa pubblica, sottese alla disposizione di cui al citato comma 3-bis. La determinazione affronta, altresì, una serie di tematiche connesse all'applicazione di quest'ultimo comma, così come di recente novellato e appena entrato in vigore per quanto riguarda i servizi e le forniture. Per scaricare la Determinazione n.3 del 25/2/2015 cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 
Note Legali
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L'Autorità Nazionale Anticorruzione ha pubblicato in data 9.3.2015 la determinazione n. 3 del 25 febbraio 2015 con la quale si affronta la tematica dei rapporti tra l'istituto del Soggetto aggregatore (e della centrale unica di committenza) e quello della stazione unica appaltante (SUA). Più in par ... Continua a leggere

 
GIURISPRUDENZA

Appalti: l'Amministrazione può sospendere, annullare o revocare in sede di autotutela la procedura di gara e l’aggiudicazione se sussiste l’interesse pubblico alla eliminazione di atti illegittimi o non più rispondenti all’interesse pubblico medesimo

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 9.3.2015

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La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 9 marzo 2015 ha affermato che in materia di contratti pubblici, l’amministrazione può sospendere, annullare o revocare in sede di autotutela la procedura di gara e l’aggiudicazione se sussiste l’interesse pubblico alla eliminazione di attiillegittimi o non più rispondenti all’interesse pubblico medesimo, salvo naturalmente il rispetto dei principi di correttezza, che nel caso in esame risultano essere stati rispettati. Invero, il venir meno, in corso di gara, della corrispondenza tra quanto offerto in vendita e l’effettiva situazione dell’immobile integra indubbiamente un valido presupposto per l’annullamento in autotutela della gara, essendo uno dei principi cardine delle pubbliche gare l’immutabilità dell’oggetto della gara posta a tutela della par condicio dei concorrenti. Ne consegue che la disponibilità manifestata dall’appellante a modificare i termini dell’offerta in relazione al minor valore dell’immobile perché gravato da vincoli reali non poteva trovare ingresso, non essendo stata prevista una tale facoltà nell’avviso della gara di cui trattasi. Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 9.3.2015

 
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La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 9 marzo 2015 ha affermato che in materia di contratti pubblici, l’amministrazione può sospendere, annullare o revocare in sede di autotutela la procedura di gara e l’aggiudicazione se sussiste l’interesse pubblico alla eliminazione di atti ... Continua a leggere

 

Accordo di Programma: le convenzioni accessive all’accordo costituiscono strumenti di attuazione e rivestono carattere negoziale a valenza pubblicistica

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.3.2015

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L’accordo di programma, per consolidata giurisprudenza, riveste la natura di atto di pianificazione programmazione urbanistica volto alla riqualificazione di aree a mezzo di una disciplina sostanzialmente concordata tra i firmatari dell’atto stesso (cfr Cons. Stato Sez. IV 22/5/2008n. 2470).Sempresecondo un ben noto orientamento giurisprudenziale le convenzioni accessive all’accordo costituiscono strumenti di attuazione, rivestono carattere negoziale a valenza pubblicistica (cfr Cons. Stato Sez. IV 19/2/2008 n. 535; idem 19/5/2003 n. 5152) e sono quindi soggette alla disciplina di diritto pubblico degli accordi ex art.11 della legge n.2412/90 (cfr Cons. Stato Sez. IV 13/1/2005 n. 222).Detto ciò, parte appellante con i ricorsi di primo e secondo grado ha in concreto invocato la disapplicazione della convenzione accessoria, perché, a suo dire, in contrasto (o comunque di diverso contenuto per la parte che interessa) con l’accordo di programma che prevede la cessione di tutte le aree relative alla urbanizzazione primaria e secondaria di pertinenza comunale. Ma se così è, una siffatta pretesa fatta valere solo ora, senza la tempestiva impugnazione degli atti qualificativi degli interessi giuridicamente tutelabili insorti in capo alla medesima, si rivela improponibile sotto il profilo processuale e anche sotto quello di diritto sostanziale.La vicenda all’esame va dunque inquadrata in un contesto regolamentare ben preciso, quello caratterizzato da una disciplina di carattere pubblicistico che vede a monte l’accordo di programma e via via la convenzione accessiva e, a valle, la concessione edilizia, quale titolo in cui vengono trasfuse le prescrizioni recate dalla convenzione. In questo ambito giuridico la società risulta titolare unicamente di un interesse legittimo alla regolarità degli atti di pianificazione territoriale a vario titolo e livello intervenuti nella fattispecie; il che se da un lato non disattende la legittimazione ad agire, dall’altro lato delimita inequivocabilmente le modalità e i tempi di contestazione giudiziale delle prescrizioni recate in detti atti, ritenute lesive degli interessi della stessa società.Il che sta a significare che la Società avrebbe dovuto tempestivamente impugnare gli atti in questione in parte qua, per arrestarne l’effetto concretamente lesivo, non essendo concepibile accertare a notevole distanza di tempo effetti disapplicativi di atti e provvedimenti contestabili innanzi al giudice amministrativo (cfr Cons. Stato Sez. IV 10/2/2010n.1477) e ciò anche con specifico riferimento alle obbligazioni derivanti dalla convenzione che una volta trascritta ha conferito efficacia reale agli impegni assunti dal soggetto attuatore.Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provevdimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.3.2015

 
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L’accordo di programma, per consolidata giurisprudenza, riveste la natura di atto di pianificazione programmazione urbanistica volto alla riqualificazione di aree a mezzo di una disciplina sostanzialmente concordata tra i firmatari dell’atto stesso (cfr Cons. Stato Sez. IV 22/5/2008n. 2470).Sempre ... Continua a leggere

 

Appalti: solo per le gare indette dopo l'entrata in vigore della legge n. 114/2014 niente esclusione dalla gara, ma pagamento di una sanzione pecuniaria per la mancanza, incompletezza ed irregolarità essenziale delle dichiarazioni sostitutive sui requisiti di moralità

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato del 2.3.2015

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L’art. 39, comma 1, del decreto –legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ha introdotto il comma 2-bis all'art. 38 del Codice deicontratti pubblici secondo cui la mancanza, l’incompletezza e l’irregolarità essenziale delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento di una sanzione pecuniaria e non comporta l’esclusione dalla procedura; e se le irregolarità non sono essenziali, o le dichiarazioni mancanti o incomplete non sono indispensabili, la stazione appaltante non ne chiede la regolarizzazione, né applica alcuna sanzione. Precisa il Collegio però che, per il principio tempus regit actus, la nuova norma si applica solo alle procedure indette dopo la sua entrata in vigore. Anzi, riguardo al caso in esame proprio l’innovazione testuale conferma implicitamente che la regolarizzazione ex post non è consentita – ferma la giurisprudenza dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato - per le mancanze, le incompletezze o le irregolarità essenziali delle dichiarazioni, antecedenti alla modifica normativa. Ciò premesso, sempre in via preliminare va rammentato che per Cons. Stato, Ad. plen., 16 ottobre 2013, n. 23: -gli obblighi di dichiarazione dei requisiti di moralità prescritti per l'ammissione alle procedure di affidamento di concessioni e di appalti pubblici (imposti all'impresa partecipante del possesso, ex art. 38, comma 1, ett. b) e c), d. lgs. n. 163 del 2006) gravano su quelle persone fisiche che, in base alla disciplina codicistica ed allo statuto sociale, sono abilitate ad agire per l'attuazione degli scopi societari e che proprio in tale veste qualificano in via ordinaria, quanto ai requisiti di moralità e di affidabilità, l'intera compagine sociale; - peraltro, qualora l'onere di rendere la dichiarazione ex art. 38 d. lgs. n. 163 del 2006 per i procuratori ad negotia non sia contemplato, a pena di esclusione, dalla lexspecialis, l'esclusione può essere disposta non già per l'omissione di siffatta dichiarazione, ma soltanto laddove sia effettivamente riscontrabile l'assenza del requisito in questione. Qualora cioè la lex specialis non contenga una specifica comminatoria di esclusione, quest'ultima potrà essere disposta non già per la mera omessa dichiarazione ex art. 38 cit., ma soltanto là dove sia effettivamente riscontrabile l'assenza del requisito in questione. E’ vero che l’obbligo di rendere le dichiarazioni suddette da parte di tutte le persone abilitate ad agire per l’attuazione degli scopi societari risulta attenuato alla luce della sentenza Cons. Stato, Ad. plen.,30 luglio 2014, n. 16 con la quale si è considerato che "la dichiarazione sostitutiva relativa all'assenza delle condizioni preclusive previste dall'art. 38, d. lg. 12 aprile 2006, n. 163 non deve contenere la menzione nominativa di tutti i soggetti muniti di poteri rappresentativi dell'impresa, quando questi ultimi possano essere agevolmente identificati mediante l'accesso a banche dati ufficiali o a registri pubblici…". Peraltro, qualora la lex specialis consenta che un soggetto con legale rappresentanza possa rendere le dichiarazioni ex art. 38 anche per conto di altri legali rappresentanti della società concorrente, affinché tale dichiarazione sia validamente resa occorre che i soggetti in questione siano indicati in modo preciso, non potendo essere resa in modo valido una dichiarazione in incertam personam (per una fattispecie sotto alcuni aspetti analoga a quella odierna si fa rinvio, anche ai sensi degli articoli 60, 74 e 88, comma 2, lett. d), Cod. proc. amm., alla sentenza Cons. Stato, III, 7 aprile 2014, n. 1634, che ha affermato che la dichiarazione ex art. 38 formulata dal legale rappresentante della società anche con riguardo a soggetti terzi (qualora ciò sia consentito dal bando) non può essere resa in incertampersonam ma "deve necessariamente indicare il soggetto nei cui riguardi è rilasciata…comportando, inoltre, la dichiarazione resa l’assunzione di responsabilità sul piano penale per falsità o mendacio, deve necessariamente recare l’individuazione della persona che si afferma indenne dai pregiudizi che possono impedire la partecipazione alla gara, restando altrimenti vanificata la comminatoria di responsabilità. Va ancora aggiunto che l’eventuale controllo a campione nei ristretti termini previsti dal richiamato art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, della veridicità di quanto auto dichiarato, impone che da subito la stazione appaltante sia posta in condizione di conoscere i nominativi degli amministratori muniti del potere di rappresentanza nei cui confronti procedere al successivo riscontro documentale. Va, quindi, condivisa la conclusione cui è pervenuto il T.A.R. secondo la quale una dichiarazione del tutto astratta e generica, oltre a vanificare i poteri di verifica dell’ Amministrazione, è priva in radice di ogni valenza probatoria. Quando, pertanto, il dichiarante non si riferisca a sé stesso deve necessariamente identificare il terzo cui sono riferiti gli stati, fatti e qualità. La dichiarazione generica ed incompleta fa, pertanto, venir meno uno degli elementi essenziali della domanda prodotta per l’ammissione della gara e comporta l’esclusione del candidato proprio per l’omesso adempimento dell’onere certificativo del possesso dei requisiti prescritti per la valida partecipazione, indipendentemente da ogni espressa comminatoria nel bando di gara…". In base a questa condivisibile pronuncia, una dichiarazione ex art. 38 astratta, generica e incompleta preclude la possibilità di dare luogo al c. d. "soccorso istruttorio", dovendo venire in questione un’integrazione documentale, non consentita. Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato del 2.3.2015

 
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L’art. 39, comma 1, del decreto –legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ha introdotto il comma 2-bis all'art. 38 del Codice dei ... Continua a leggere

 

Gare a "doppio oggetto": il Consiglio di Stato chiarisce quando l’affidamento diretto di un servizio ad una società mista non è incompatibile con il diritto comunitario

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 2.3.2015

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La Quinta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza del 2 marzo 2015 ha definito il giudizio avente ad oggetto la procedura aperta indetta prr l’individuazione del socio privato di minoranza di una società di gestione del ciclo integrato dei rifiuti. Nella parte motiva della sentenza il Collegio ha ritenuto non fondata la censura con la quale si lamenta la violazione delle regole europee in materia di gare "a doppio oggetto", in quanto, alla stregua dei principi comunitari e della loro interpretazione desumibile dalla giurisprudenza nazionale (ex multis Cons. Stato, sez. V, 28 luglio 2011, n. 4527), l’affidamento diretto di un servizio a una società mista non è incompatibile con il diritto comunitario, a condizione che, come è accaduto nel caso di specie, la gara per la scelta del socio privato della società affidataria sia stata espletata nel rispetto degli artt. 43 CE e 49 CE, nonché dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza, e che i criteri di scelta del socio privato si riferiscano non solo al capitale da quest'ultimo conferito, ma anche alle capacità tecniche di tale socio e alle caratteristiche della sua offerta in considerazione delle prestazioni specifiche da fornire, in guisa da potersi inferire che la scelta del concessionario risulti indirettamente da quella del socio medesimo (cfr. anche Cons. Stato, sez. II, parere 18 aprile 2007, n. 456; sez. VI, 16 marzo 2009 n. 1555, secondo cui «è possibile l'affidamento diretto ad una società mista che sia costituita appositamente per l'erogazione di uno o più servizi determinati da rendere almeno in via prevalente a favore dell'autorità pubblica che procede alla costituzione, attraverso una gara che miri non soltanto alla scelta del socio privato ma anche allo stesso affidamento dell'attività da svolgere specificamente e enucleata e che limiti, nel tempo, il rapporto di partenariato, prevedendo allo scadere una nuova gara»). Per acquisire gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 2.3.2015

 
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La Quinta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza del 2 marzo 2015 ha definito il giudizio avente ad oggetto la procedura aperta indetta prr l’individuazione del socio privato di minoranza di una società di gestione del ciclo integrato dei rifiuti. Nella parte motiva della sentenza il C ... Continua a leggere

 

Appalti: la capogruppo mandataria deve comunicare alla stazione appaltante la modificazione della compagine dell’A.T.I. per consentirle la verifica della sussistenza in capo al nuovo soggetto dei requisiti per la prosecuzione del rapporto d’appalto

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 2.3.2015

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La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 2 marzo 2015 ha richiamato l'indirizzo giurisprudenziale (ex multis, Cons. St., V, 20 aprile 2012, n. 6646; sez. IV, 14 dicembre 2012, n. 6646), a tenore del quale l’aggiudicazione di un appalto disposta in favore di un costituendo o costituito raggruppamento temporaneo di imprese si intende effettuata in favore della composizione del medesimo raggruppamento, così come risultante dall’impegno presentato in sede di offerta, in virtù del principio di immodificabilità soggettiva dei partecipanti alle gare (arg. ex art. 37, comma 9, del D. Lgs. n. 163 del 2006). A tale principio (preordinato non solo a consentire all’amministrazione appaltante la verifica dei requisiti di idoneità morale, tecnico – organizzativa ed economica, nonché della legittimazione delle imprese che hanno partecipato alla gara, ma anche a presidiare la complessiva serietà delle imprese partecipanti e la migliore affidabilità del contraente), si sottraggono le sole ipotesi eccezionali di cui ai commi 18 e 19 del citato articolo 37 del D. Lgs. n. 163 del 2006, nelle ipotesi di fallimento del mandante, del mandatario e, se si tratta di imprenditore, di morte, interdizione o inabilitazione (oltre a quelle previste dalla normativa antimafia), che tuttavia riguardano situazioni indipendenti dalla volontà del soggetto partecipante alla gara e che trovano giustificazione nell’interesse della stazione appaltante alla continuazione della gara o dell’appalto affidato. Non può pertanto dubitarsi, precisa il Collegio, della necessità che la stazione appaltante sia tempestivamente ed adeguatamente edotta delle vicende che colpiscano le imprese facenti parte dei un costituendo o costituito raggruppamento temporaneo d’impresa, onde, nel caso di fallimento del mandatario (e se si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia) stabilire se proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dalla legge, purchè abbia i requisiti di qualificazione ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire ovvero in caso negativo se recedere dall’appalto, e nel caso di fallimento di uno dei mandanti (ovvero qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia) se sussistano in capo al mandatario tenuto (ove non indichi altro operatore che sia in possesso dei prescritti requisiti) alla esecuzione direttamente o a mezzo degli altri mandanti, oltre che in capo a questi ultimi, i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire. Non può neppure dubitarsi che l’onere di tale informativa incombeva quanto meno anche sull’impresa capogruppo, in virtù del mandato speciale conferito con il contratto di costituzione dell’A.T.I.. Nel caso di specie tuttavia l’appellante società, nella qualità di capogruppo mandataria dell’A.T.I., aggiudicataria dell’appalto in questione, non ha mai comunicato all’amministrazione appaltante la trasformazione della mandante. Precisa poi il Collegio che non è fondata la deduzione dell’appellante volta a sminuire l’importanza di tale mancanza, adducendo che la trasformazione sarebbe un mero "cambio di denominazione" del tutto irrilevante ai fini del rapporto di appalto. In realtà, quella trasformazione costituisce una rilevante modificazione soggettiva della compagine dell’A.T.I. aggiudicataria, in violazione del principio di immodificabilità soggettiva dei partecipanti alle gare (e dell’affidatario dell’appalto). Infatti, come più volte precisato dalla giurisprudenza, la trasformazione di una società da uno ad un altro dei tipi previsti dalla legge, ancorché dotato di personalità giuridica, benchè non si traduca nell'estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di un altro soggetto, in luogo di quello precedente, dà vita ad una vicenda (meramente evolutiva e) modificativa del medesimo soggetto, pur se non incide sui rapporti sostanziali e processuali che ad esso fanno capo, ciò in ossequio al principio di continuità dei rapporti giuridici a seguito della trasformazione della società, di cui all’art. 2948 c.c., così consentendo che il soggetto titolare dell'impresa conservi i diritti e gli obblighi ad essa precedenti e prosegua i rapporti sostanziali e processuali (Cass. civ. sez. II, 18 settembre 2012, n. 15622; 7 maggio 2013, n. 10958). In definitiva, all’amministrazione appaltante doveva essere comunicata dalla capogruppo la modificazione della compagine dell’A.T.I., onde consentirle la verifica della sussistenza in capo al nuovo soggetto dei requisiti soggettivi ed oggettivi per la prosecuzione del rapporto d’appalto. Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 2 marzo 2015 ha richiamato l'indirizzo giurisprudenziale (ex multis, Cons. St., V, 20 aprile 2012, n. 6646; sez. IV, 14 dicembre 2012, n. 6646), a tenore del quale l’aggiudicazione di un appalto disposta in favore di un costituendo o costi ... Continua a leggere

 

Vincolo archeologico: il ritrovamento di resti di insediamenti di epoche passate in un'area rende probabile la presenza di altri resti nelle immediate vicinanze ed è, quindi, legittima la scelta di vincolare non solo la particella in cui sono stati ritrovati i reperti, ma anche tutta la zona ad essa circostante

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 2.3.2015

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Il giudizio che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse(c.d. vincolo) culturale è, in rapporto al principio fondamentale dell’art. 9 Cost., un giudizio di ordine tecnico. Come tale, si sottrae al sindacato giurisdizionale, salvo sia basato su un percorso argomentativo travisanteo incongruo rispetto alle tecnica stessa, o comunque risulti oggettivamente inattendibile. È questo il principio sancito dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato che nella sentenza del 2 marzo 2015 ha ribadito, con ciò uniformandosi alla giurisprudenza che "costituisce…nozione di comune esperienza quella secondo cui il ritrovamento di resti di insediamenti di epoche passate in una determinata area rende probabile la presenza di altri resti nelle immediate vicinanze. L’attendibilità di tale conclusione è, nel caso di specie, rafforzata dal fatto che è stata riscontrata una coincidenza tra i luoghi del ritrovamento dei reperti e quelli che, nel passato, sulla base conoscenze disponibili, hanno costituito l’area di sedime di insediamenti di estese dimensioni (nella specie, appunto, una importante villa romana che disponeva di pertinenze ad essa strettamente collegate). È pertanto certamente ragionevole ad attendibile, sotto il profilo tecnico e scientifico, la scelta dell’Amministrazione di vincolare non solo la particella in cui sono esattamente stati ritrovati i reperti archeologici, ma anche tutta la zona ad essa circostante, coincidente con la presunta area di estensione della menzionata villa romana e delle sue pertinenze. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, con orientamento formatosi nella vigenza della legge 1° giugno 1939, n. 1089, ma con affermazioni estensibili al nuovo sistema, ha già avuto modo di rilevare che, ai fini della tutela vincolistica su beni archeologici, l’effettiva esistenza delle cose da tutelare può essere dimostrata anche per presunzione e che è ininfluente che i materiali oggetto di tutela siano stati portati alla luce o siano ancora interrati, essendo sufficiente che il complesso risulti adeguatamente definito e che il vincolo archeologico appaia adeguato alla finalità di pubblico interesse al quale è preordinato(Cons. Stato, VI, 1° marzo 2005, n. 805). La stessa giurisprudenza ha specificato che l’Amministrazione dei beni culturali ed ambientali può estendere il vincolo ad intere aree in cui siano disseminati ruderi archeologici particolarmente importanti: è necessario, però, in tal caso, che i ruderi stessi costituiscano un complesso unitario ed inscindibile, tale da rendere indispensabile il sacrificio totale degli interessi dei proprietari e senza possibilità di adottare soluzioni meno radicali, evitandosi, in ogni caso, che l'imposizione della limitazione sia sproporzionata rispetto alla finalità di pubblico interesse cui è preordinato (Cons. Stato, VI, 27 settembre 2005, n. 5069). Più recentemente la Sezione, in relazione ad una fattispecie analoga alla presente, ha affermato che "quando si tratta della imposizione del vincolo archeologico, è del tutto ovvio che l'autorità amministrativa ritenga di sottoporre a tutela una intera area complessivamente abitata nell'antichità e solo eventualmente cinta da mura, comprendendovi anche gli spazi verdi, dal momento che le esigenze di salvaguardia riguardano non i reperti in sé e solo in quanto addossati gli uni agli altri, ma complessivamente tutta la complessiva superficie destinata illo tempore all'insediamento umano" (Cons. Stato, VI, 29 gennaio 2013, n. 522)" (così, in modo testuale, Cons. St. , sez. VI, 1° aprile 2014, n. 1557). Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 2.3.2015

 
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Il giudizio che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse(c.d. vincolo) culturale è, in rapporto al principio fondamentale dell’art. 9 Cost., un giudizio di ordine tecnico. Come tale, si sottrae al sindacato giurisdizionale, salvo sia basato su un percorso argomentativo travisante ... Continua a leggere

 

Dichiarazione di interesse artistico e storico dell'immobile: non sono consentiti vincoli culturali di mera destinazione

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 2.3.2015

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La società proprietaria dell’immobile denominato cinema teatro Concordi ubicato in Padova, via San Martino e Solferino, ha chiesto la riforma della sentenza con la quale il Tribunale amministrativo del Veneto ha respinto, dopo averli riuniti, i ricorsi presentati avverso l’avvio del procedimento per la dichiarazione dell’interesse culturale del suddetto immobile e avverso il decreto recante la dichiarazione di interesse culturale particolarmente importante, ai sensi dell’art. 10, comma 3, lettera a) del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). L’intervento della Soprintendenza è stato determinato dalla presentazione al Comune di Padova, da parte della società appellante, di un progetto per cambio di destinazione d’uso, finalizzato, in sostanza, a trasformare il corpo della sala cinematografica in edificio a destinazione commerciale, residenziale e parcheggio per residenti e a rimuovere la cabina regia e i servizi, sostituendoli con un ulteriore piano residenziale, inserendo un nuovo sistema di scale a servizio delle esigenze residenziali. La Soprintendenza ha imposto il vincolo non solo sulla facciata, ma anche sul vano scale e sull’atrio. Il Consiglio di Stato con la sentenza del 2 marzo 2015 ha accolto l'appello precisando che: "Se è vero che l’apprezzamento circa l’importanza dell’interesse culturale dell’immobile considerato, e la conseguente necessità di sottoporlo al regime di tutela proprio dei beni che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante ai sensi dell’art. 10, comma 3 lettera a) e che siano, quindi, dichiarati beni culturali, appartiene alla valutazione propria dell’Amministrazione a ciò preposta, è anche vero che la valutazione non può prescindere, a pena di una astrazione pericolosa per la stessa sopravvivenza in concreto della cosa che costituisce il bene culturale, dalla considerazione delle concrete coordinate di spazio e di tempo in cui esso è calato. La valutazione dell’Amministrazione deve necessariamente tener conto di un complesso e integrato sistema attinente all’interesse pubblico in concreto, nel quale la concreta sopravvivenza della testimonianza culturale deve inevitabilmente collegarsi alla necessità di preservare, con il valore culturale, la stessa esistenza materiale e la vitalità del contesto del quale il bene stesso è parte integrante. Nella fattispecie in esame, va considerato che l’utilizzo della struttura per l’uso originario è stato da tempo dismesso e che allo stato non è più praticabile a causa di circostanze esterne ma per questo obiettive: l’effetto pratico è quello del conseguente inevitabile progressivo degrado dell’immobile. Per contro, il vincolo di cui qui si verte rende in pratica impossibile una destinazione d’uso diversa da quella teatrale o cinematografica e, quindi,, quanto a effetti pratici, si risolve in un vincolo di destinazione d’uso: il che non è esternato dall’atto, ma è un suo effetto reale. E questo, del resto, è dimostrato dalle rammentate circostanze in cui il vincolo è stato apposto. Insomma, sotto le apparenze di un vincolo strutturale qui il decreto di vincolo si risolve, per la sua analiticità, in un vincolo essenzialmente di destinazione d’uso, non potendosi più configurare utilizzazione diverse per il manufatto in questione. La giurisprudenza però non ammette i vincoli culturali di mera destinazione, specie per attività commerciale o imprenditoriali (cfr. Cons. Stato, VI, 16 settembre 1998, n. 1266; 13 settembre 1990, n. 819; 28 agosto 2006, n. 5004; 6 maggio 2008, n. 2009; 12 luglio 2011, n. 4198; IV, 12 giugno 2013, n. 3255). Più volte ha osservato questo Consiglio di Stato sin dalla vigenza della legge 1° giugno 1939, n. 1089 (ma è principio valido anche per le successive normative del settore) che non è sostenibile l'adattabilità di questo vincolo per la tutela funzionale di attività imprenditoriali in determinati immobili. Tale principio esclude che, normalmente, tra i beni tutelati possano essere comprese le gestioni commerciali o l'esercizio di specifiche attività, anche se attinenti a valori storici e culturali presi in considerazione dalla legge di riferimento. Vi si può aggiungere che per le dette ragioni un tale effetto di limitazione della destinazione d’uso sembra qui generare un’insostenibilità economica della utilizzazione: va dunque in ultimo a contraddire la stessa salvaguardia materiale del bene, cui la legge di tutela è orientata. Tirando le somme dalle considerazioni che precedono, può allora osservarsi che, nei limiti estrinseci nei quali è consentito l’esame del giudice amministrativo, non pare che l’Amministrazione abbia condotto, nel caso di specie, la propria indagine con sufficiente riguardo agli effetti pratici di superamento di tale limite intrinseco del vincolo di bene culturale; né dunque alla concreta situazione di fatto nella quale l’immobile è calato, né alla sostenibilità attuale della conservazione delle specifiche strutture attinenti all’uso di cinematografo-teatro, né all’effetto di compatibilità con altre destinazioni, né al raffronto dell’interesse espresso dal vincolo con le esigenze di garantire nella realtà economica la sopravvivenza stessa dell’immobile, nelle sue caratteristiche degne di conservazione e di tutela". Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 2.3.2015

 
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La società proprietaria dell’immobile denominato cinema teatro Concordi ubicato in Padova, via San Martino e Solferino, ha chiesto la riforma della sentenza con la quale il Tribunale amministrativo del Veneto ha respinto, dopo averli riuniti, i ricorsi presentati avverso l’avvio del procedimento pe ... Continua a leggere

 

Avvocati: sulla delibera di cancellazione di un avvocato dalle liste dei difensori d’ufficio decide il Consiglio Nazionale Forense

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 2.3.2015

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In base al combinato disposto di cui agli articoli 15 e 36 l. 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense), secondo cui il Consiglio Nazionale Forense (CNF) ha competenza giurisdizionale sui reclami in materia di albi, elenchi e registri, la controversia proposta contro la delibera, adottata da un COA, di cancellazione di un avvocato dalle liste dei difensori d’ufficio è devoluta alla giurisdizione speciale del medesimo CNF. È questo il principio sancito dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 2 marzo 2015 nella quale il Collegio ha evidenziato che alla stessa conclusione deve giungersi anche nel caso in cui, come nella specie, trovi applicazione la legge professionale previgente (v., in particolare, gli articoli 24 e 37 r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578; 3, 10 e 14 r. d. 22 gennaio 1934, n. 37, sulle pronunce di competenza del CNF sui ricorsi in materia anche di cancellazione dall’albo degli avvocati e dal registro dei praticanti), spettando ai COA la tenuta di albi ed elenchi e quindi, in modo simmetrico, al CNF la giurisdizione speciale nella materia delle iscrizioni e delle cancellazioni da albi ed elenchi degli avvocati in maniera tale da dare coerenza al sistema della competenza giurisdizionale speciale professionale generalizzata in materia dello stesso CNF.L’art. 36 l. n. 247 del 2012 non ha apportato alcuna modifica al sistema in punto di giurisdizione, nel senso che le controversie come quella in esame continuano a essere devolute alla giurisdizione speciale del CNF, viceversa, il mantenimento, in relazione al segmento di attività dei COA relativo alla tenuta e alla gestione delle liste dei difensori d’ufficio del Tribunale, di una competenza giurisdizionale amministrativa a questo punto "residuale" sulle questioni relative alla cancellazione o al diniego di iscrizione nelle liste suddette si manifesterebbe come disomogeneo e incoerente rispetto al sistema generale come sopra delineato venendosi a creare un irrazionale "frazionamento di tutela giurisdizionale" entro una medesima materia.Il CNF aveva ed ha una "cognizione generalizzata" in materia di tenuta e gestione di albi elenchi e registri.Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 2.3.2015

 
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In base al combinato disposto di cui agli articoli 15 e 36 l. 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense), secondo cui il Consiglio Nazionale Forense (CNF) ha competenza giurisdizionale sui reclami in materia di albi, elenchi e registri, la controversia pr ... Continua a leggere

 

Urbanistica: la giurisprudenza sull'esercizio del potere di pianificazione urbanistica e sulla motivazione delle scelte effettuate

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 26.2.2015

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Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha ribadito i principi già espressi dalla giurisprudenza in relazione all’esercizio del potere di pianificazione urbanistica ed alla natura della motivazione delle scelte in tal modo effettuate. Il potere di pianificazione urbanistica, a maggior ragione in considerazione della sua ampia portata in relazione agli interessi pubblici e privati coinvolti, così come ogni potere discrezionale, non è sottratto al sindacato giurisdizionale, dovendo la pubblica amministrazione dare conto, sia pure con motivazione di carattere generale, degli obiettivi che essa, attraverso lo strumento di pianificazione, intende perseguire e, quindi, della coerenza delle scelte in concreto effettuate con i detti obiettivi ed interessi pubblici agli stessi immanenti (Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012 n. 2710). Tanto affermato sul piano generale, occorre ricordare che l’onere di motivazione gravante sull’amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico, salvo i casi in cui le scelte effettuate incidano su zone territorialmente circoscritte ledendo legittime aspettative, è di carattere generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte predette, senza necessità di una motivazione puntuale e "mirata" (Cons. Stato, sez. IV, 3 novembre 2008 n. 5478), così come, nell’ambito del procedimento volto all’adozione dello strumento urbanistico, non occorre controdedurre singolarmente e puntualmente a ciascuna osservazione e opposizione (Cons. Stato, n. 2710/2012 cit.). Come questa Sezione ha già avuto modo di affermare (Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 2011 n. 3497): "le scelte urbanistiche, dunque, richiedono una motivazione più o meno puntuale a seconda che si tratti di previsioni interessanti la pianificazione in generale ovvero un’area determinata, ovvero qualora incidano su aree specifiche, ledendo legittime aspettative; così come mentre richiede una motivazione specifica una variante che interessi aree determinate del PRG., per le quali quest’ultimo prevedeva diversa destinazione (a maggior ragione in presenza di legittime aspettative dei privati), non altrettanto può dirsi allorchè la destinazione di un’area muta per effetto della adozione di un nuovo strumento urbanistico generale, che provveda ad una nuova e complessiva definizione del territorio comunale. Inoltre, come questa Sezione ha già avuto modo di affermare, con considerazioni che vengono riconfermate nella presente sede (Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012 n. 2710): "il potere di pianificazione urbanistica del territorio – la cui attribuzione e conformazione normativa è costituzionalmente conferita alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, ex art. 117, comma terzo, Cost. ed il cui esercizio è normalmente attribuito, pur nel contesto di ulteriori livelli ed ambiti di pianificazione, al Comune – non è limitato alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, ed in particolare alla possibilità e limiti edificatori delle stesse. Al contrario, tale potere di pianificazione deve essere rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica che non è limitato solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità, in tal modo definiti), ma che, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico – sociali della comunità locale (non in contrasto ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispetto e positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati (. . . ) Tali finalità, per così dire "più complessive" dell’urbanistica, e degli strumenti che ne comportano attuazione, sono peraltro desumibili fin dalla legge 17 agosto 1942 n. 1150, laddove essa individua il contenuto della "disciplina urbanistica e dei suoi scopi" (art. 1), non solo nell’"assetto ed incremento edilizio" dell’abitato, ma anche nello "sviluppo urbanistico in genere nel territorio della Repubblica". In definitiva, l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo. Uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli - non in astratto, bensì in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi –, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, sia delle esigenze economico – sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione "de futuro" sulla propria stessa essenza, svolta - per autorappresentazione ed autodeterminazione - dalla comunità medesima, attraverso le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora , attraverso la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio. In definitiva, il potere di pianificazione urbanistica non è funzionale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità (civile abitazione, uffici pubblici, opifici industriali e artigianali, etc.), ma esso è funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti. Ne consegue che, diversamente opinando, e cioè nel senso di ritenere il potere di pianificazione urbanistica limitato alla sola prima ipotesi, si priverebbe la pubblica amministrazione di un essenziale strumento di realizzazione di valori costituzionali, quali sono almeno quelli espressi dagli articoli 9, comma secondo, 32, 42, 44, 47, comma secondo, Cost..". Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento"

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 26.2.2015

 
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Appalti: l'impresa che partecipato in qualità di mandante a.t.i. può impugnare gli atti di una procedura di affidamento

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La legittimazione dell’impresa ad impugnare gli atti di una procedura di affidamento alla quale ha partecipato in qualità di mandante di a.t.i. "discende dai comuni principi della nostra legislazione in tema di legittimazione processuale e di personalità giuridica, tenuto conto che pacificamente ilfenomeno del raggruppamento di imprese non dà luogo a un’entità giuridica autonoma che escluda la soggettività delle singole imprese che lo compongono". Questa regola di diritto è stata espressa dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (sentenza n. 2155 del 15 aprile n. 2010), in relazione ad un’analoga eccezione formulata, in quel caso come quello ora in esame, nei confronti dell’impresa mandataria. E’ infatti indubbio, conclude il Consiglio di Stato, che l’ipotetico accoglimento di un ricorso proposto da un solo componente di costituenda a.t.i. potrebbe condurre all’accertamento del diritto al subentro nel contratto e che di tale accertamento potrebbero certamente giovarsi anche le altre imprese, nel caso presente le ditte mandanti, visto l’effetto di inammissibilità del ricorso di primo grado che si verrebbe a determinare. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 
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