News 22 Settembre 2014 - Area Tecnica


NORMATIVA

QUESITO: il Comune chiede di sapere se immobili difformi dai titoli abilitativi rilasciati negli anni '60 e '70 possano essere considerati legittimi in considerazione del successivo rilascio del certificato di agibilità e dell'epoca risalente di edificazione.

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QUESITO: il Comune chiede di sapere se immobili difformi da titoli abilitativi rilasciati negli anni '60 e '70 possano essere considerati legittimi in considerazione del successivo rilascio del certificato di agibilità e dell'epoca risalente di edificazione. RISPOSTA: Con riferimento al quesitoproposto afferente la legittimità di immobili ai quali è stato rilasciato il certificato di agibilità nonostante si tratti di opere realizzati in difformità dalle licenze edilizie risalenti agli anni '60 - '70 ed in alcuni casi in carenza di nulla osta paesaggistico giova evidenziare quanto segue. Il permesso di costruire ed il certificato di agibilità, sono collegati a presupposti diversi e danno vita a conseguenze non sovrapponibili. Il certificato di agibilità ha, infatti, la funzione di accertare che l’immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti (come espressamente recita l’art. 24 del Testo unico dell’edilizia D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), mentre il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo edilizio. Corollario di tali premesse è che - come affermato dal Consiglio di Stato, Sez. V sentenza del 13.3.2014, n. 1220 - (http://www.gazzettaamministrativa.it/opencms/opencms/_gazzetta_amministrativa/_permalink_news.html?resId=cf7b19e0-b837-11e3-84ee-5b005dcc639c) i diversi piani ben possano convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le tipologie normative, sia in quella patologica di una loro divergenza. In tal senso la giurisprudenza non ha mancato di rilevare l’irrilevanza del rilascio del certificato di agibilità come fatto ostativo al potere di reprimere abusi edilizi (Consiglio di Stato, sez. V, 3 febbraio 1992 n. 87) oppure in senso opposto in cui si è affermata l’illegittimità del diniego della agibilità motivato unicamente con la difformità dell’immobile dal progetto approvato (id. 6 luglio 1979 n. 479). Si segnala, peraltro, anche sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 16.10.2013, n. 5025 pubblicata in Gazzetta Amministrativa del 20.10.2013(http://www.gazzettaamministrativa.it/opencms/opencms/_gazzetta_amministrativa/_permalink_news.html?resId=6cca4bf9-395f-11e3-81ad-5b005dcc639c) nella quale si afferma espressamente che "il rilascio del certificato di agibilità, lungi dall’essere subordinato all’accertamento dei soli requisiti igienico-sanitari, presuppone altresì la conformità urbanistica ed edilizia dell’opera.." Da quanto sopra esposto consegue evidente come non possa attribuirsi valore di sanatoria implicita al successivo rilascio del certificato di agibilità nel quale fosse rappresentato l’immobile difforme, se il titolo aveva per oggetto opere diverse da quelle difformi. Di qui l'impossibilità di qualificare tali immobili in termini di legittimità sulla base del solo presupposto dell'avvenuto rilascio del certificato di agibilità. Tale conclusione, peraltro, resta invariata anche ove si considerasse l'elemento temporale della risalente epoca di realizzazione. Sul punto risolutiva in senso ostativo ad una sopravvenuta implicita sanatoria delle difformità per decorso del tempo e' la giurisprudenza formatasi in materia di doppia conformità (art. 36 DPR 380/2001). Sulla base di tale principio la giurisprudenza (TAR Veneto n. 1077/2003) non ha mancato di rilevare come risulta non decisivo che all’epoca di realizzazione delle opere le modifiche rispetto al progetto fossero irrilevanti. L’accertamento di conformità di cui all’art. 36 del Dpr n. 380/2001 richiede, infatti, che sia soddisfatto il requisito della c.d. doppia conformità che, a sua volta, presuppone che l’opera sia conforme alla disciplina vigente in due differenti momenti storici: quello in cui l’opera era stata realizzata e, ancora, quello relativo al momento in cui viene presentata la domanda di sanatoria. L’intento del legislatore è stato quello di circoscrivere gli effetti "sananti", al fine di regolarizzare quelle opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza il previo rilascio del titolo, ma che risultano conformi, nella sostanza, alla disciplina urbanistica applicabile per l’area su cui sorgono (in questo senso T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 03-12-2010, n. 1931). Un costante orientamento giurisprudenziale (per tutti si veda T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 02-09-2010, n. 1887 e T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 12-10-2012, n. 751) ha sancito, infatti, che "in tema di violazioni inerenti la normativa edilizia, il permesso in sanatoria è un provvedimento tipico disciplinato, in maniera specifica, dall’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001. Siffatta rigida tipicità risulta ostativa rispetto ad una possibile estensione di tale potere al di fuori dei presupposti, inerenti alla necessità della doppia conformità (alla normativa vigente al momento della realizzazione ed a quella di presentazione dell’istanza), come dettati dalla citata norma di riferimento. Non sono ammessi, in altri termini, spazi residui che consentano di affermare la sopravvivenza della cosiddetta "sanatoria giurisprudenziale" o "impropria", ….". E’ allora del tutto evidente che nell’accertamento di conformità regolato dall’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 il Comune è chiamato a svolgere una valutazione da rapportare ad un assetto di interessi prefigurato dalla citata disciplina, con la conseguenza che la verifica dei presupposti sopra precisati assume una connotazione eminentemente oggettiva e vincolata, priva pertanto di appezzamenti discrezionali. L'Amministrazione Comunale, inoltre, richiede altresì parere in ordine alla "validità del titolo edilizio emesso in carenza del dovuto parere paesaggistico". L’art.159 del D.Lgs. 22.1.2004 n. 421, in via transitoria sino al 31 dicembre 2009 e, da quella data in via definitiva, l’art.146 del medesimo decreto legislativo, prevedono che "l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio" e l’art.159 specifica espressamente che "i lavori non possono essere iniziati in difetto di essa". Di qui consegue che l’autorizzazione paesaggistica non può essere intesa quale mero presupposto di legittimità del titolo legittimante l’edificazione, connotandosi piuttosto per una sua autonomia strutturale e funzionale rispetto al permesso di costruire. Al riguardo il Consiglio di Stato ha più volte affermato che: "l'autonomia strutturale dei due procedimenti, non consente di considerare la procedura per il rilascio del nulla osta quale "presupposto necessario" del procedimento per il rilascio della concessione edilizia, neppure nell'ipotesi di opere da realizzarsi su aree vincolate come bellezze di insieme "(C.d.S., sez. V, 11.3.1995, n. 376; C.d.S. Sez. VI, 19 giugno 2001 , n. 3242). Da quanto sopra deriva che non sussiste un nesso di antecedenza necessaria tra il rilascio del nulla osta ambientale e la conclusione del procedimento di rilascio del permesso di costruire trattandosi di due procedimenti distinti, ed entrambi necessari per l’avvio dei lavori edilizi. Di guisa che, in risposta al quesito formulato, il titolo edilizio e' valido anche in carenza del dovuto parere paesaggistico, ma si palesa sostanzialmente inefficace in quanto l'inizio dei lavori in zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio di ambedue i titoli. La mancanza di un’autorizzazione paesaggistica, infatti, rende non eseguibile le opere e ben giustifica, in caso di loro realizzazione, provvedimenti inibitori, e sanzionatorio – ripristinatori, quale un’ordinanza di riduzione in pristino (cfr TAR Campania Napoli, sez. VIII, 5 giugno 2012 n. 2652). Più volte la giurisprudenza amministrativa ha affermato che la concessione edilizia può essere rilasciata anche in mancanza di autorizzazione paesaggistica, fermo restando che è inefficace, e i lavori non possono essere iniziati, finché non interviene il nulla osta paesaggistico. La giurisprudenza è inoltre costante nel ritenere che l'inizio dei lavori è subordinato all'adozione di entrambi i provvedimenti. (in termini v. Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 2005, n. 2073; Cons. Stato, sez. V, 11 marzo 1995, n. 376; Cons. Stato, sez. V, 1 febbraio 1990, n. 61; Cons. Stato, sez. II, 10 settembre 1997, n. 468; Consiglio di Stato sez. VI n. 547 del 10.02.2006 ). La garanzia, quindi, che il territorio non venga compromesso da interventi assentiti con permesso di costruire ma privi di nulla osta paesaggistico, è data dall'impossibilità giuridica di intraprendere i lavori prima dell'acquisizione del necessario nulla osta paesaggistico. Quanto ad eventuali censure circa la violazioni delle legittime aspettative che oggi la parte privata potrebbe addurre in relazione all'aver edificato sulla base dell’avvenuto rilascio del permesso di costruire negli anni '60 e/o '70 e sull’avvenuta ultimazione dell’opera, la giurisprudenza sopra richiamata ha più volte evidenziato come "il suo effetto non può essere quello di consentire la realizzazione di opere in assenza di autorizzazione paesaggistica, come non può essere quello di considerare invalidi atti inibitori e sanzionatori fondati sull’assenza di quest’ultima, trattandosi di atti dovuti in base a legge." La violazione dell’affidamento ingenerato non è difatti sostenibile in presenza di attività vincolata dove all’amministrazione non è concessa discrezionalità amministrativa in ordine all’an delle sanzioni previste per la violazione della normativa di tutela ambientale. Ma v'è di più. Anche la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, sia in sede penale (Corte di Cassazione, Sez. III Penale sentenza 11.5.2010 n. 563) e come verrà in seguito chiarito anche in sede civile, non ha mancato di evidenziare come "l'autorizzazione paesaggistica nelle zone vincolate costituisce condizione di efficacia del titolo abilitativo edilizio nel senso che esso diviene efficace solo dopo l'autorizzazione predetta. Da ciò consegue che non è consentito iniziare i lavori prima della conclusione dell'intero procedimento configurandosi nel caso contrario sia il reato urbanistico che quello paesaggistico (cfr ex plurimis Cass. sez III n. 22824 del 2003).". Anche la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione con sentenza del 7.4.2006, n. 8244 ha rilevato che ove l'area per la quale si è conseguito il titolo alla trasformazione edilizia, sia interessata da altri tipi di vincoli, a tutela di diversi interessi, e tra questi viene in considerazione il vincolo paesaggistico, in via generale, non conferisce al bene una condizione di intangibilità, ma richiede, a sua volta, un provvedimento abilitativo che dipende dall'accertamento di non-incompatibilità della prospettata attività di trasformazione, rispetto all'interesse pubblico tutelato. Aggiunge la Suprema Corte che in presenza del vincolo estetico-culturale, l'esercizio dell'attività costruttiva presuppone non solo la concessione edilizia, di competenza dell'autorità preposta al controllo delle costruzioni, ma anche il nulla-osta paesaggistico, rimesso, nel corso del tempo e dell'evoluzione del concetto di tutela dei valori culturali e ambientali, alla valutazione dell'autorità statale, e successivamente, in via dì delega o, da ultimo, in virtù di vero e proprio conferimento di funzioni, dell'autorità regionale, e infine alla stessa autorità comunale per delega della regione. La necessità di un doppio titolo abilitativo osta, pertanto, ad una qualificazione dello ius aedificandi come facoltà acquisita per effetto del rilascio della concessione edilizia, ove difetti l'autorizzazione paesaggistica. L'autonomia dei due titoli, in nome della quale il giudice amministrativo può affermare che il mancato rilascio del nullaosta non legittima il Sindaco al ritiro della concessione edilizia, non toglie che l'inizio dei lavori in zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio di ambedue i titoli. Alla luce di tutto quanto sopra esposto - ed in risposta all'ultimo quesito formulato in ordine al regime sanzionatorio applicabile - nonostante la giurisprudenza ritenga superflua la comunicazione di avvio del procedimento laddove si tratti di atti vincolati per i quali l’apporto della parte privata sarebbe comunque ininfluente ai fini dell’adozione del provvedimento definitivo – è comunque auspicabile, nel caso di specie ed in considerazione del lungo lasso di tempo decorso dal rilascio del titolo abilitativo che l'amministrazione comunale prima di procedere ad adottare provvedimenti sanzionatorio – ripristinatori, quale appunto un’ordinanza di riduzione in pristino delle opere difformi, proceda a notificare alle parti private apposita comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 Legge n. 241/90 di verifica della conformità urbanisti-co-edilizia delle opere realizzate rispetto al permesso di costruire a suo tempo rilasciato, consentendo per tal via l'apertura del contraddittorio con la parte privata onde assicurare che, attraverso una completa ed esaustiva istruttoria, venga correttamente e legittimamente tutelato il preminente interesse pubblico alla tutela del proprio territorio comunale.

 
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QUESITO: il Comune chiede di sapere se immobili difformi da titoli abilitativi rilasciati negli anni '60 e '70 possano essere considerati legittimi in considerazione del successivo rilascio del certificato di agibilità e dell'epoca risalente di edificazione. RISPOSTA: Con riferimento al quesito ... Continua a leggere

 

Decreto Sblocca Italia: i 4 criteri ispiratori per le opere infrastrutturali

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Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con apposito comunicato ha evidenziato come il decreto Sblocca Italia per quanto riguarda le opere infrastrutturali si ispira a quattro criteri: 1. Semplificazione burocratica (articoli 1 e 2) Norme che sbloccano opere già finanziate in modo che icantieri possano partire con largo anticipo rispetto alle previsioni. È il caso della AV/AC Napoli-Bari (valore 6 miliardi e 700 milioni) che aprirà i cantieri nel novembre 2015 invece che nel gennaio 2018 e del collegamento ferroviario Palermo-Catania-Messina (valore 5 miliardi e 200 milioni, apertura cantieri dicembre 2015). Con lo stesso criterio vengono sbloccati gli interventi sugli aeroporti (Malpensa, Venezia, Genova, Firenze, Fiumicino, Salerno per un valore complessivo di 4 miliardi e 600 milioni) e gli investimenti previsti nel contratto di programma con Rfi per la manutenzione straordinaria degli impianti (220 milioni). Rientra in questa fattispecie (articolo 2) anche la defiscalizzazione degli investimenti privati per l'autostrada Orte-Mestre (10 miliardi 400 milioni). 2. La cantierabilità delle opere. Vengono sbloccate opere già finanziate con immissione di nuove risorse a condizione che i cantieri (non l'approvazione del piano finanziario, non il progetto né la gara di appalto) di queste opere aprano entro date certe nell'arco di dieci mesi dall'approvazione del decreto. Questo pacchetto di interventi è finanziato con quasi 4 miliardi di euro (3 miliardi 890 milioni), di cui 841 milioni dal fondo revoche del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e 3 miliardi 48 milioni dal Fondo di coesione e sviluppo. 3. L'aumento degli investimenti privati in infrastrutture autostradali (articolo 5) attraverso la revisione e quindi l'eventuale allungamento delle concessioni (la proposta è stata notificata dal ministro Lupi alla Commissione europea) con la contestuale moderazione degli incrementi tariffari dei pedaggi autostradali. Il valore delle opere realizzabili con questa norma, e sulle quali si sono impegnate le società concessionarie, è di 10 miliardi circa. 4. Semplificazione edilizia. Tra le norme quella per cui il cittadino diventa padrone in casa propria e può fare liberamente lavori (abbattere tramezzi, creare nuove stanze...) che non cambino la volumetria, basta una semplice comunicazione al Comune. Gli interventi in opere infrastrutturali sono articolati in: 1. Infrastrutture ferroviarie: Napoli-Bari, Palermo-Catania-Messina, Verona-Padova, Terzo Valico dei Giovi, Tunnel del Brennero, Lucca-Pistoia, soppressione dei passaggi a livello nel tratto pugliese della Bologna-Lecce 2. Infrastrutture viarie: Trieste-Venezia, quadrilatero Umbria-Marche, statale 131 e 291 in Sardegna, pedemontana Piemontese, Statale internazionale 340 (Tremezzina), Statale Telesina e statale 212 in Campania, due lotti sulla Salerno-Reggio in Calabria, l'asse Gamberale-Civitaluparella in Abruzzo 3. Opere nelle grandi aree urbane: Torino (passante ferroviario e metropolitana), Firenze (tramvia), Roma (metropolitana), Napoli (metropolitana) 4. Aeroporti: Malpensa, Venezia, Genova, Firenze, Fiumicino, Salerno 5. Proposte pervenute dalle amministrazioni locali alla presidenza del Consiglio Elenco opere decreto Sblocca Italia Opere sbloccate con norme di semplificazione Alta velocità / Alta capacità Napoli-Bari Linea ferroviaria Palermo-Catania-Messina Interventi infrastrutturali negli aeroporti di Milano Malpensa, Roma Fiumicino, Venezia, Genova, Firenze, Salerno Autostrada Orte-Mestre Opere finanziate con condizione che siano cantierabili entro il 31 dicembre 2014 Completamento della copertura del Passante ferroviario di Torino Completamento sistema idrico Basento-Bradano, settore G Asse autostradale Trieste-Venezia, terza corsia Interventi di soppressione e automazione di passaggi a livello sulla rete ferroviaria, individuati, con priorità per la tratta terminale pugliese del corridoio ferroviario adriatico Bologna-Lecce Tratta Colosseo-Piazza Venezia della Linea C di Roma Opere finanziate con condizione che siano cantierabili entro il 30 giugno 2015 Un lotto costruttivo della AV/AC Verona-Padova Completamento asse viario Lecco-Bergamo Messa in sicurezza dell’asse ferroviario Cuneo-Ventimiglia Completamento e ottimizzazione della Torino-Milano con la viabilità locale mediante l’interconnessione tra la SS 32 e la SP 299-Tangenziale di Novara-lotto 0 e lotto 1 Terzo Valico dei Giovi dell'Alta velocità Milano-Genova Continuità degli interventi per il Nuovo Tunnel del Brennero Quadrilatero autostradale Umbria-Marche Completamento della Linea 1 della metropolitana di Napoli Messa in sicurezza dei principali svincoli della Strada Statale 131 in Sardegna Rifinanziamento dell’art.1 comma 70 della legge 147/2014 (manutenzione straordinaria Anas per ponti, viadotti e gallerie) Opere finanziate con condizione che siano cantierabili entro il 31 agosto 2015 Metropolitana di Torino Tramvia di Firenze Lavori di ammodernamento ed adeguamento dell’autostrada Salerno-Reggio dallo svincolo di Rogliano allo svincolo di Atilia Autostrada Salerno-Reggio Calabria svincolo Lauretana Borrello Adeguamento della statale 372 "Telesina" tra Caianello e Benevento Completamento della statale 291 in Sardegna Variante della "Tremezzina" sulla strada statale internazionale 340 "Regina"; Collegamento stradale Masserano-Ghemme Ponte stradale di collegamento tra l’autostrada per Fiumicino e l’EUR Asse viario Gamberale-Civitaluparella in Abruzzo Primo lotto Asse viario S.S. 212 Fortorina Quadruplicamento della linea ferroviaria Lucca Pistoia Aeroporti di Firenze e Salerno Completamento sistema idrico integrato della Regione Abruzzo Opere segnalate dai Comuni alla Presidenza del Consiglio dei Ministri entro il 30 giugno 2014.

 
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GIURISPRUDENZA

Mutamento di destinazione d'uso e costo di costruzione, i principi del Consiglio di Stato

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.9.2014

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L'art. 19 comma 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 dispone, in modo affatto chiaro, che "Qualora la destinazione d'uso delle opere indicate nei commi precedenti...venga comunque modificata nei dieci anni successivi all'ultimazione dei lavori, il contributo di costruzione è dovuto nella misura massima corrispondente alla nuova destinazione, determinata con riferimento al momento dell'intervenuta variazione". La disposizione si riferisce in modo omnicomprensivo al contributo di costruzione, come definito dal precedente art. 16, senza distinzione tra le sue componenti, e quindi tanto alla quota parte riferibile agli oneri di urbanizzazione, quanto a quella relativa al costo di costruzione, e trova giustificazione nel diverso regime, più favorevole per gli immobili a destinazione industriale o artigianale (per i quali ai sensi del precedente comma 1 è dovuto contributo limitato ai soli oneri urbanizzativi) e più gravoso per gli immobili a destinazione turistica, commerciale, direzionale e a servizi (per cui invece ai sensi del comma secondo, oltre agli oneri urbanizzativi è dovuto un contributo commisurato anche al costo di costruzione, sebbene nella più ridotta misura ivi specificata, pari al 10% del costo di costruzione documentato). Ne consegue che, come chiarito da questa Sezione, la quota parte relativa al costo di costruzione è comunque dovuta "...anche in presenza di una trasformazione edilizia che, indipendentemente dall'esecuzione fisica di opere, si rivela produttiva di vantaggi economici ad essa connessi, situazione che si verifica per il mutamento di destinazione o comunque per ogni variazione anche di semplice uso che comporti un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico" (Cons. Stato, Sez. IV, 20 dicembre 2013, n. 6160; vedi anche 14 ottobre 2011, n. 5539, quest'ultima peraltro nel senso che anche la sola variazione di destinazione d'uso all'interno di una stessa categoria, da commercio all'ingrosso a commercio al dettaglio, giustifica il pagamento del contributo, anche per la quota afferente al costo di costruzione). D'altro canto, è indiscutibile che il mutamento di destinazione d'uso, ancorché senza opere edilizie, da una tipologia utilizzativa artigianale ad altra commerciale implica un mutamento del carico urbanistico, connesso ai ben diversi flussi di traffico e clientela, nonché della redditività, e quindi dei vantaggi economici connessi alla destinazione e all'attività. In relazione all'incontestato mutamento della destinazione d'uso comportante passaggio da una ad altra tipologia e/o categoria edilizia, d'altra parte, il Comune non era tenuto a supportare la propria richiesta con alcuna motivazione specifica, essendo sufficiente il richiamo al presupposto giuridico-fattuale, ciò che implica il superamento anche dei rilievi introdotti con la memoria di replica a prescindere dalla loro ritualità, contestata dal difensore dell'Amministrazione in sede di discussione.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.9.2014

 
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L'art. 19 comma 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 dispone, in modo affatto chiaro, che "Qualora la destinazione d'uso delle opere indicate nei commi precedenti...venga comunque modificata nei dieci anni successivi all'ultimazione dei lavori, il contributo di costruzione è dovuto nella misura massi ... Continua a leggere

 

Espropriazione illegittima: il Consiglio di Stato ribadisce l’impossibilità che il provvedimento ex art. 42 bis del Testo Unico espropriazioni possa essere emesso dal commissario ad acta eventualmente nominato per l’ottemperanza

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.9.2014

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La Quarta sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha evidenziato (seguendo Consiglio di Stato, sez. IV, 2 settembre 2011 n. 4970) come "la realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell'amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni. "Ne discende che, tranne che l’amministrazione intenda comunque acquisire il bene seguendo i sistemi che di seguito saranno evidenziati, è suo obbligo primario procedere alla restituzione della proprietà illegittimamente detenuta." Pertanto, ove l’amministrazione non intendesse procedere alla restituzione del bene, rimanendo in piedi l’obbligo di ricondurre a diritto la situazione di illegittima apprensione del bene privato, "l’amministrazione può legittimamente apprendere il bene facendo uso unicamente dei due strumenti tipici, ossia il contratto, tramite l’acquisizione del consenso della controparte, o il provvedimento, e quindi anche in assenza di consenso ma tramite la riedizione del procedimento espropriativo con le sue garanzie. L’illecita occupazione, e quindi il fatto lesivo, permangono quindi fino al momento della realizzazione di una delle due fattispecie legalmente idonee all’acquisto della proprietà, indifferentemente dal fatto che questo evento avvenga consensualmente o autoritativamente. "A questi due strumenti va altresì aggiunto il possibile ricorso al procedimento espropriativo semplificato, già previsto dall’art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità" ed ora, successivamente alla sentenza della Corte costituzionale, 8 ottobre 2010, n. 293, che ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, nuovamente regolamentato all’art. 42 bis dello stesso testo, come introdotto dall’articolo 34, comma 1, del D.L. 6 luglio 2011 n. 98 "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria", convertito in legge 15 luglio 2011 n. 111". A tale ricostruzione va solo aggiunto che la Sezione si è espressamente pronunciata in relazione all’impossibilità che il provvedimento ex art. 42 bis possa essere emesso dal commissario ad acta eventualmente nominato per l’ottemperanza (Consiglio di Stato, sez. IV, 13 marzo 2014 n. 1221 e n. 1222), evidenziando che "se è vero che, in sede di ottemperanza, il giudice amministrativo può sostituire l’amministrazione anche nelle scelte che toccano il merito dell’azione, è anche vero che il giudizio di ottemperanza altro non è che il portato esecutivo del giudizio di cognizione. Quindi, se è pacifico che il giudice dell’ottemperanza è vincolato dal contenuto della sentenza da eseguire, è del pari evidente che la sentenza di cognizione ottemperanda è a sua volta legata ai limiti dati dalla domanda proposta dalla parte in sede di ricorso introduttivo. Si tratta cioè di un rapporto di successiva delimitazione e progressiva messa a fuoco, dal quale non si può prescindere se non dimenticando le interconnessioni tra i vari momenti del processo. "Trasponendo tali lineari considerazioni nel caso concreto dell’esecuzione di sentenza di annullamento di una procedura espropriativa, si è di fronte ad una vicenda così riassumibile: la domanda posta è una domanda demolitoria degli atti espropriativi; l’accoglimento della domanda, cui consegue l’annullamento della procedura e il contestuale riconoscimento della mancata acquisizione alla mano pubblica della proprietà, comporta l’obbligo della restituzione del bene illegittimamente sottratto; stante l’inerzia dell’amministrazione, il giudice dell’ottemperanza deve muoversi con i poteri di merito e nell’ambito dei limiti della domanda proposta e accolta. "Appare quindi arduo immaginare che, di fronte alla domanda introdotta in giudizio e ivi considerata fondata, ossia alla domanda di declaratoria d’illegittimità della procedura espropriativa, il giudice dell’ottemperanza, chiamato dal ricorrente insoddisfatto a conseguire quanto ha diritto, decida nel senso di ordinare all’amministrazione di provvedere ex art. 42 bis. Si assisterebbe alla singolare situazione per cui lo stesso giudice, che in sede di cognizione ha ritenuto che il bene dovesse essere restituito al legittimo proprietario, in sede di ottemperanza ordinerà invece all’amministrazione di impossessarsi dello stesso bene, anzi addirittura la sostituirà, mandando un suo ausiliario a mettere in atto tale proposito. "Un tale anomalo esito, della cui coerenza con l’art. 24 della Costituzione è lecito dubitare, può essere invece superato se si tiene presente che l’unico obbligo scaturente dalla sentenza è quello di restituzione del bene, mentre le altre opzioni (come esaurientemente indicate nella citata sentenza n. 4969 del 2 settembre 2011) sono rimesse alle scelte dell’amministrazione, visto che si pongono su un piano diverso da quello dell’esecuzione del giudicato (in questo senso, Consiglio di Stato, IV, 30 settembre 2013, n. 4868)." L’eventuale giudizio di ottemperanza comporterà quindi l’intervento del commissario ad acta ai soli fini della restituzione del bene ai privati illegittimamente ablati. Venendo ora alle questioni risarcitorie, la Sezione ha di recente osservato (Consiglio di Stato, sez. IV, 27 gennaio 2014 n. 359) come la possibilità di un provvedimento ex art. 42 bis impedisca o renda quanto meno prematuro l’accoglimento della domanda di congrua liquidazione dell'indennizzo o di rettifica dei criteri liquidatori indicati nella sentenza gravata, "poiché l'art. 42 bis, a differenza di quanto prevedeva l'art. 43 previgente, non prevede più, né la possibilità per il giudice di ‘escludere la restituzione senza limiti di tempo’ né, conseguentemente, l'obbligo per l'amministrazione di emanare il provvedimento di acquisizione a seguito di un vaglio giurisdizionale di siffatto tenore. Nel nuovo schema dell'art. 42 bis, il provvedimento di acquisizione rimane nell'ambito della piena discrezionalità dell'amministrazione (‘valutati gli interessi in conflitto’ recita l'incipit della disposizione normativa), conscia che in ipotesi di mancato esercizio del potere dovrà restituire il suolo al legittimo proprietario, nonostante sul medesimo sorga un'opera pubblica". Nel caso in esame, si verte tuttavia in un’ipotesi risarcitoria, del tutto correlata alla situazione di apprensione del bene, già dichiarata illegittima, per cui, ferme rimanendo le opzioni rimesse alla discrezionalità dell’amministrazione, la mancata pronuncia sulla domanda ricadrebbe nel divieto del non liquet. Anche in questa situazione, quindi, si possono prendere a modello le decisioni precedentemente intervenute (in particolare, Consiglio di Stato, sez. IV, 27 gennaio 2012 n. 427) evidenziando modi e tempi della liquidazione del danno patito. Trattandosi di fattispecie che non ha determinato la traslazione del diritto dominicale, tanto da comportare l’obbligo di restituzione dell’immobile, non può certamente esserci spazio per il risarcimento del danno da perdita della proprietà, evento mai realizzatosi. "Il risarcimento del danno deve allora operare in relazione alla illegittima occupazione del bene, è illecito permamente, e deve pertanto coprire le voci di danno da questa azione derivanti, dal momento del suo perfezionamento fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie. "Ciò impone quindi la individuazione del momento iniziale e di quello finale del comportamento lesivo. "In relazione al termine iniziale, questo deve essere identificato nel momento in cui l’occupazione dell’area privata è divenuta illegittima, il che significa che decorre dalla prima apprensione del bene, ossia dalla sua occupazione, qualora l’intera procedura espropriativa sia stata annullata, oppure dallo scadere del termine massimo di occupazione legittima, qualora invece questa prima fase sia rimasta integra. "In relazione al termine finale, questo deve essere individuato nel momento in cui la pubblica amministrazione acquisterà legittimamente la proprietà dell’area." Ne consegue che l’illecito, e il conseguente obbligo di risarcimento, continueranno a sussistere fino al momento della conclusione di una legittima fattispecie acquisitiva. "Venendo ai profili quantificatori, stanti le premesse appena svolte, possono riferirsi unicamente a due diverse fattispecie: quella dell’acquisto del bene tramite moduli consensuali e quella della quantificazione del danno dovuto per l’occupazione illegittima avutasi medio tempore. "Come già la Sezione ha avuto modo di precisare (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 gennaio 2011, n. 676) in relazione al valore da corrispondere al privato, dovrà tenersi conto di quello di mercato dell'immobile, individuato ‘non già alla data di trasformazione dello stesso (non potendo più individuarsi in tale data, una volta venuto meno l'istituto della c.d. accessione invertita, il trasferimento della proprietà in favore dell'Amministrazione), e nemmeno a quella di proposizione del ricorso introduttivo (non potendo, come detto, ravvisarsi in tale atto un effetto abdicativo), bensì alla data in cui sarà adottato il più volte citato atto transattivo, di qualsiasi tipo, al quale consegua l'effetto traslativo de quo’. "In relazione poi al danno intervenuto medio tempore, e quindi a quello conseguente dall’illegittima occupazione, intercorrente tra i termini iniziali e finali sopra precisati, ‘i danni da risarcire corrisponderanno agli interessi moratori sul valore del bene, assumendo quale capitale di riferimento il relativo valore di mercato in ciascun anno del periodo di occupazione considerato; le somme così calcolate andrano poi incrementate per interessi e rivalutazione monetaria dovuti dalla data di proposizione del ricorso di primo grado fino alla data di deposito della presente sentenza’." Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su " Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.9.2014

 
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La Quarta sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha evidenziato (seguendo Consiglio di Stato, sez. IV, 2 settembre 2011 n. 4970) come "la realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, co ... Continua a leggere

 

Edilizia: e' necessario il permesso di costruire se il soppalco comporta aumento della superficie utile con conseguente aggravio del carico urbanistico

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.9.2014

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La questione centrale sottoposta all'attenzione della Quarta Sezione del Consiglio di Stato riguarda la violazione dell’art. 26 della legge n. 47/1985, in base al quale "non sono soggette a concessione né ad autorizzazione le opere interne alle costruzioni che non siano in contrasto con gli strumenti urbanistici adottati o approvati e con i regolamenti edilizi vigenti, non comportino modifiche della sagoma della costruzione, dei prospetti, né aumento delle superfici utili e del numero delle unità immobiliari, non modifichino la destinazione d'uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari, non rechino pregiudizio alla statica dell'immobile e, per quanto riguarda gli immobili compresi nelle zone indicate alla lettera A dell'art. 2 del decreto ministeriale 2-4-1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, rispettino le originarie caratteristiche costruttive". Al riguardo il TAR ha osservato che: "il soppalco realizzato, avente superficie di 20 mq. e posto a mt. 1,98 dal soffitto, amplia in maniera significativa la superficie calpestabile dell’immobile destinato ad attività commerciale di proprietà della ricorrente" e, creando una ulteriore superficie calpestabile ed autonomi spazi, " rientra nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, di cui alla lettera c) del comma primo dell'articolo 10 D.P.R. n. 380/01, dal momento che determina una modifica della superficie utile dell'appartamento con conseguente aggravio del carico urbanistico e, pertanto, necessita del permesso di costruire". In contrario l’appellante si limita a sottolineare come il soppalco possa essere utilizzato all’archivio di materiale e documenti, il che tuttavia, ad avviso del Collegio, non intacca il dato oggettivo dell’aumento della superficie utilizzabile (espressamente citato dalla norma come ostacolo al regime delle opere interne) e quindi non inficia la tesi seguita dal TAR. Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.9.2014

 
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Abusi edilizi: l'epoca remota di realizzazione dell'abuso non determina la legittimità dell'opera colpita da sanzione edilizia

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.9.2014

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Nel giudizio in esame l’appellante si duole che il primo giudice abbia rilevato l’inesistenza di una significativa risalenza dell’abuso; ma osserva il Collegio che l’epoca remota dell’abuso, quand’anche fosse affermata, non determinerebbe la legittimità dell’opera colpita dalla sanzione edilizia (inficiando quindi la sentenza sul punto) di cui si discute, atteso che in tali fattispecie il provvedimento edilizio repressivo emesso a seguito del diniego di condono, opera in stretta attuazione dei presupposti di legge e non necessita quindi (a differenza dell’ordinanza repressiva emessa in esercizio del potere generale di vigilanza dell’autorità) di un congruo apprezzamento del pubblico interesse in rapporto al lungo tempo trascorso rispetto all’abuso ed all’affidamento che si sia conseguentemente creato nel soggetto responsabile. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.9.2014

 
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Interdittiva antimafia tipica: il Consiglio di Stato ribadisce i principi giurisprudenziali consolidati

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 1.9.2014

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La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 1 settembre 2014 ha ribadito gli approdi cui è pervenuta la giurisprudenza in materia di interdittive antimafia. Con riferimento alla cd. interdittiva antimafia "tipica", prevista dall’art. 4 del D. Lgs. n. 490 del 1994 e dall’art. 10 delD.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 (ed oggi dagli articoli 91 e segg. del D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione) questa Sezione (sentenze n. 5995 del 12 novembre 2011 e n. 5130 del 14 settembre 2011) ha affermato: - che l'interdittiva prefettizia antimafia costituisce una misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione; - che, trattandosi di una misura a carattere preventivo, l’interdittiva prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente; - che tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati; - che, essendo il potere esercitato, espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata; - che anche se occorre che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo; - che di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell’impresa), ma occorre che l’informativa antimafia indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l’autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l’impresa esercitata da loro congiunti; - che, infine, gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 1.9.2014

 
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La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 1 settembre 2014 ha ribadito gli approdi cui è pervenuta la giurisprudenza in materia di interdittive antimafia. Con riferimento alla cd. interdittiva antimafia "tipica", prevista dall’art. 4 del D. Lgs. n. 490 del 1994 e dall’art. 10 del ... Continua a leggere

 
 
 
 
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