News 9 Ottobre 2014 - Area Tecnica


GIURISPRUDENZA

Il dovere di soccorso istruttorio: se in una gara d'appalto il concorrente non fornisca quantomeno un principio di prova sul possesso dei requisiti di capacità tecnica imposti dalla legge speciale, la stazione appaltante non può esperire il soccorso istruttorio

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 6.10.2014

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Se è vero che la più recente giurisprudenza amplia tale fattispecie, affermando che "da una lettura combinata dei due commi dell'art. 46, d.lg. n. 163 del 2006 si ricava la conclusione che l'esclusione dalla gara può essere disposta dall'Amministrazione solo in presenza delle fattispecie descrittenel comma 1 bis (incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali, violazione del principio di segretezza delle offerte) o, comunque, in caso di violazione di norme di divieto o di mancato adempimento di obblighi aventi una precisa fonte legislativa o regolamentare. In tal modo, viene escluso il potere della stazione appaltante di ampliare discrezionalmente la gamma degli adempimenti richiesti a pena di esclusione e, di conseguenza, viene meno il potere di autolimitare il campo di applicazione del dovere di «soccorso istruttorio» (ex aliis T.A.R. Roma –Lazio- sez. I 04/11/2013 n. 9376) è altresì pacifico che si verteva in una ipotesi di totale omessa indicazione di elementi essenziali afferenti la capacità tecnica (mezzi per eseguire il servizio messo a gara). In proposito, la costante giurisprudenza (ex aliis T.A.R. Toscana 05/12/2013 n.1689) afferma che ove in una gara d'appalto per l'aggiudicazione di un contratto pubblico il concorrente non fornisca quantomeno un principio di prova sul possesso dei requisiti di capacità tecnica imposti dalla legge speciale, la stazione appaltante non può esperire il soccorso istruttorio. Questo infatti è subordinato all'esistenza di dichiarazioni effettivamente rese o di atti effettivamente presentati, ancorché in modo non pienamente intelligibile o senza l'osservanza dei requisiti di forma. 3.7.1. In disparte la considerazione che, nel rispetto del principio della parità di trattamento, l'invito alla regolarizzazione è una facoltà, non un obbligo dell'Amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 10 maggio 2007, n. 2254), è insuperabile il rilievo che il rimedio della regolarizzazione documentale non si applica al caso in cui l'impresa concorrente abbia integralmente omesso la produzione documentale richiesta, con la conseguenza che alla stazione appaltante è precluso di sopperire, con l'integrazione, alla totale mancanza di un documento richiesto. Anche alla luce della (ormai abbastanza opinabile) circostanza che la disposizione, relativa al c.d. potere di soccorso, deve considerarsi di stretta interpretazione, l'integrazione presuppone evidentemente che un materiale integrabile esista; non può dunque trovare applicazione quando questo sia radicalmente inesistente (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28 dicembre 2011, n. 6965; Id., Sez. IV, 4 luglio 2012, n. 3925; Id., Sez. V, 6 agosto 2012, n. 4518).". L’approdo raggiunto dal Tar – e condiviso, come si è prima chiarito, dal Collegio – ha ricevuto ex post una significativa conferma dalle conclusioni raggiunte in punto di "dovere di soccorso" dalla prima richiamata decisione dell’adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 2013. Ivi, infatti, si è condivisibilmente posto in luce che "il "potere di soccorso" sancito dall’art. 46, comma 1, del Codice dei contratti pubblici - sostanziandosi unicamente nel dovere della stazione appaltante di regolarizzare certificati, documenti o dichiarazioni già esistenti ovvero di completarli ma solo in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione, chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi, fornire interpretazioni di clausole ambigue nel rispetto della par condicio dei concorrenti - non consente la produzione tardiva della dichiarazione o del documento mancanti o la sanatoria della forma omessa, ove tali adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal medesimo Codice, dal regolamento di esecuzione e dalle leggi statali." Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 6.10.2014

 
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Se è vero che la più recente giurisprudenza amplia tale fattispecie, affermando che "da una lettura combinata dei due commi dell'art. 46, d.lg. n. 163 del 2006 si ricava la conclusione che l'esclusione dalla gara può essere disposta dall'Amministrazione solo in presenza delle fattispecie descritte ... Continua a leggere

 

Vincoli preordinati all’esproprio e comunque comportanti l’inedificabilità: il Consiglio di Stato fa il punto sulla giurisprudenza

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 6.10.2014

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In linea generale, il Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha preliminarmente richiamato i principi espressi dalla Corte Costituzionale con la sentenza 20 maggio 1999 n. 179 (dichiarativa della illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7 n. 2, 3, 4 e 40 della legge 17 agosto 1942 n.1150 e 2, primo comma della legge 19 novembre 1968 n.1187 nella parte in cui consente all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità senza la previsione di un indennizzo), secondo cui i vincoli urbanistici non indennizzabili che sfuggono alla previsione del predetto art.2 della legge n.1187/68 sono quelli che riguardano intere categorie di beni, quelli di tipo conformativo e i vincoli paesistici, mentre i vincoli urbanistici soggetti alla scadenza quinquennale , che devono essere invece indennizzati sono: a) quelli preordinati all’espropriazione o aventi carattere sostanzialmente espropriativo in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà; b) quelli che superano la durata non irragionevole e non arbitraria ove non si compia l’esproprio o non si avvii la procedura attuativa preordinata all’esproprio con l’approvazione dei piani esecutivi; c) quelli che superano quantitativamente la normale tollerabilità secondo la concezione della proprietà regolata dalla legge nell’ambito dell’art.42 della Cost.. A migliore illustrazione del concetto di vincoli preordinati all’esproprio o sostanzialmente espropriativi e comunque comportanti l’inedificabilità, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha avuto modo di far presente come siano tali quelli che svuotano il contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene, in modo tale da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale ovvero diminuendone il suo valore di scambio (tra le tante, Cons. Stato Sez. IV 3/12/2010 n.8531; idem Sez. IV 23 dicembre 2010 n. 9772; Cons. Stato Sez. V 13 aprile 2012 n. 2116). Parimenti con riferimento alle prescrizioni recate dagli strumenti di pianificazione territoriale, va pure rammentato il preciso orientamento giurisprudenziale secondo cui non ogni vincolo posto alla proprietà privata dallo strumento urbanistico generale ha carattere espropriativo ed è dunque soggetto alla disciplina relativa (Cons. Stato Sez. IV 28/12/2012 n.6770; Cass. SS.UU. 25/11/2008 n.28501). Più specificatamente avuto riguardo ai criteri dettati per distinguere i vincoli di tipo conformativo da quelli a contenuto espropriativo, il vincolo a verde privato deve considerarsi appartenere alla prima delle suddette categorie poiché deve considerarsi connaturato a tale destinazione urbanistica l’imposizione di un vincolo particolare prescritto in funzione della localizzazione di un’opera pubblica la cui realizzazione non è compatibile con la proprietà privata (Cons. Stato Sez. IV 9/6/2008 n. 2837). Così, la classificazione a verde privato deve farsi rientrare tra quelle prescrizioni che regolano la proprietà privata alla realizzazione di obiettivi generali di pianificazione del territorio ai quali non può attribuirsi una natura ablatoria e/o sostanzialmente espropriativa (Cons. Stato Sez. IV 13 luglio 2011 n.4242; idem Sez. IV 19/1/2012 n. 244). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provevdimento".

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In linea generale, il Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha preliminarmente richiamato i principi espressi dalla Corte Costituzionale con la sentenza 20 maggio 1999 n. 179 (dichiarativa della illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7 n. 2, 3, 4 e 40 della legge 17 ag ... Continua a leggere

 

Permesso di costruire: la crisi congiunturale dell’edilizia non é motivo che può evitare il diniego di proroga dei lavori e di dichiarazione di decadenza del permesso di costruire

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 6.10.2014

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Nella controversia in esame la Quarta Sezione del Consiglio di Stato é chiamata a risolvere la questione della legittimità o meno dell’atto comunale di diniego di proroga dei lavori e di dichiarazione di decadenza del permesso di costruire. La richiesta di proroga è stata avanzata dagli interessati come esposto nel provvedimento in contestazione, per due precipue ragioni: a) per le incertezze economiche e finanziarie derivanti dall’operazione immobiliare in relazione al contenzioso intercorso col Comune circa la quantificazione del contributo di costruzione; b) per la grave crisi economica che ha afflitto il settore dell’edilizia con le relative, concrete ricadute. Ad avviso del Collegio occorre andare a verificare se tali ragioni collimano con le circostanze previste dall’art.15 del DPR n.380/2001 per farsi luogo alla proroga, come sostenuto dalla parte appellante, oppure no, come in sostanza assunto dall’Amministrazione comunale. Il citato articolo di legge prevede che "i termini possono essere prorogati con provvedimento motivato per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso" e ancora che … " la proroga può essere accordata con provvedimento motivato esclusivamente in considerazione della mole dell’opera da realizzare o delle particolari caratteristiche tecnico- costruttive:.." Ebbene, il diniego risulta essere stato correttamente adottato, atteso che le ragioni addotte a sostegno della richiesta di proroga appaiono eccedere l’ambito naturale descritto dal citato art.15 per la concessione del beneficio de quo. La norma in questione presuppone infatti una condizione ben precisa, costituita dalla sopravvenienza di fatti estranei alla volontà del titolare della concessione edilizia e tali non sono le circostanze dedotte dai sigg.ri Marconi. Quanto al motivo costituito dalla crisi congiunturale dell’edilizia, trattasi invero, di ragioni di carattere generale attinenti a considerazioni di tipo economico del tutto generiche, non aventi, per l’astrattezza delle stesse, rilevanza alcuna con l’obbligo di osservare i tempi di inizio e completamento dei lavori, sicché appare del tutto impossibile considerare la "crisi congiunturale" un motivo valido per giustificare l’inerzia. Alcuna incidenza diretta e concreta può altresì avere la pendenza tra le stesse parti del contenzioso in ordine alla quantificazione del contributo di costruzione, la cui determinazione, come stabilita dal Comune, peraltro, nasce ed è conosciuta in coincidenza del rilascio del titolo ad aedificandum (e non successivamente). Non si riesce in ogni caso a comprendere invero il ruolo per così dire "paralizzante" della questione del quantum degli oneri concessori con riguardo ai termini fissati dal citato art.15, se non come circostanza del tutto estranea alla tempistica dei lavori, dovendosi altresì rilevare, a voler entrare nell’ottica della " pesantezza" dei costi finanziari da sostenersi per l’operazione immobiliare, che non viene data dimostrazione della concreta incidenza sulla situazione finanziaria degli appellanti e tenuto altresì conto del fatto che in teoria un eventuale esito positivo della controversia consentirebbe la ripetizione degli oneri richiesti (in più) in pagamento. Ferma restando la inattendibilità ai fini della proroga delle circostanze addotte, neppure si invera la condizione, pure prevista dall’art.15 citato, secondo cui la proroga potrebbe essere possibile in considerazione della mole dell’opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico- costruttive : invero circostanze relative alla difficoltà di esecuzione delle modalità di realizzazione dell’opera edilizia non vengono minimamente in rilievo dalla documentazione di causa e comunque non sono rappresentate dagli interessati e tantomeno documentate. In definitiva sul punto occorre convenire che a sostegno della chiesta proroga parte appellante ha posto delle "problematiche" che non rispondono ai requisiti dettati dall’art.15 citato, perché non possono farsi rientrare tra i " fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso". Se così è, il Comune ha del pari correttamente proceduto a dichiarare la intervenuta decadenza del permesso di costruire, una volta accertata la impossibilità di accordare la chiesta proroga e quindi l’inverarsi di una colpevole inerzia nell’osservanza dei tempi di inizio e completamento dei lavori, quale presupposto di fatto e di diritto per la dichiarazione di decadenza (cfr Cons. Stato Sez. IV 7/9/2011 n. 5028; idem 29/1/2008 n. 249). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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Gara pubblica: la commissione deve aprire in seduta pubblica i plichi contenenti le offerte tecniche al fine di procedere alla verifica della presenza dei documenti prodotti

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 8.10.2014

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Con la sentenza n. 13 del 28 luglio 2011 l’Adunanza Plenaria in tema di apertura delle buste contenenti l’offerta tecnica ha affermato che l’operazione di verifica dell’integrità dei plichi non esaurisce la sua funzione nella constatazione che gli stessi non abbiano subito manomissioni o alterazioni, dovendo essere garantito altresì che "il materiale documentario trovi correttamente ingresso nella procedura di gara, giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato". Ricordando che ciò costituisce corretta interpretazione dei principi comunitari e di diritto interno in materia di trasparenza e di pubblicità nelle gare per i pubblici appalti, l’Adunanza Plenaria ha aggiunto che "…tale operazione (id est, apertura dei plichi contenenti l’offerta tecnica), infatti, come per la documentazione amministrativa e per l'offerta economica, costituisce passaggio essenziale e determinante dell'esito della procedura concorsuale, e quindi richiede di essere presidiata dalle medesime garanzie, a tutela degli interessi privati e pubblici coinvolti dal procedimento" (in termini, C.G.A., 6 marzo 2012, n. 276; Cons. St., sez. III, 4 novembre 2011, n. 5866). Sotto il profilo normativo deve aggiungersi che il secondo comma dell’art. 120 del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, come modificato dall’art. 12, del d.l. 7 maggio 2012, n. 52, convertito con modifiche nella l. 6 luglio 2012, n. 94, prevede che "la commissione…apre in seduta pubblica i plichi contenenti le offerte tecniche al fine di procedere alla verifica della presenza dei documenti prodotti". Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 8.10.2014

 
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Con la sentenza n. 13 del 28 luglio 2011 l’Adunanza Plenaria in tema di apertura delle buste contenenti l’offerta tecnica ha affermato che l’operazione di verifica dell’integrità dei plichi non esaurisce la sua funzione nella constatazione che gli stessi non abbiano subito manomissioni o alterazion ... Continua a leggere

 

Autorizzazione paesaggistica: se é pur vero che la Soprintendenza può annullare l'autorizzazione, é altrettanto vero che la cogestione del vincolo non può ritenersi legittimamente esercitata se risulti comprensibile l’iter logico seguito dal Comune restando invece oscuro quello della Soprintendenza

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 1.10.2914

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Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato ha evidenziato che é vero – come riconosciuto da ampia e consolidata giurisprudenza – che alla Soprintendenza è affidata una compiuta valutazione di legittimità, anche sotto il profilo del ponderato bilanciamento degli interessi tutelati, quale espressione di un potere non di mero controllo di legalità,ma di vera e propria attiva cogestione del vincolo, funzionale all’ "estrema difesa" dello stesso (Corte cost., 27 giugno 1986, n. 151; 18 ottobre 1996, n. 341; 25 ottobre 2000, n. 437), con conseguente riferibilità dell’eventuale annullamento dell’autorizzazione paesaggistica a qualsiasi vizio di legittimità, ivi compreso l’eccesso di potere in ogni figura sintomatica (sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta: cfr. in tal senso Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9, nonché, fra le tante, Cons. Stato, VI, 25 marzo 2009, n. 1786 e 3557, 11 giugno 2012, n. 3401, 23 febbraio 2010, n. 1070, 21 settembre 2011, n. 5292; Cons. Stato, V, 3 dicembre 2010, n.8411). E’ anche vero tuttavia che – tenuto conto del principio di leale collaborazione fra Stato e Regione (o ente sub-delegato) – la predetta cogestione del vincolo non può ritenersi correttamente esercitata quando, come nel caso di specie, risulti comprensibile – a seguito di specifico approfondimento e di varianti progettuali – l’iter logico seguito dall’Amministrazione comunale, restando invece oscuro quello della Soprintendenza, che – pur essendo abilitata a richiedere ogni necessario chiarimento in via interlocutoria (ove comunque alcune ragioni fossero risultate non chiare, o non confrontabili con il reale stato dei luoghi) – operi invece l’immediato annullamento dell’autorizzazione, senza esplicitare alcuna concreta ragione di contrasto dell’intervento edilizio da effettuare con i valori oggetto di tutela, con ciò stesso imponendo al Comune un onere motivazionale di oggetto incerto, con conseguente perplessità delle stessa ragioni giustificatrici dell’annullamento (non integrabili peraltro, come riconosciuto da una pacifica giurisprudenza, con considerazioni contenute solo negli scritti difensivi). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 1.10.2914

 
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Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato ha evidenziato che é vero – come riconosciuto da ampia e consolidata giurisprudenza – che alla Soprintendenza è affidata una compiuta valutazione di legittimità, anche sotto il profilo del ponderato bilanciamento degli interessi tutelati, quale espress ... Continua a leggere

 

Evidenza pubblica o subappalti: il decorso del tempo fa venire meno l'esistenza di una condanna, solo un provvedimento di riabilitazione fa cessare gli effetti pregiudizievoli riconnessi allo stato di persona condannata

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 3.10.2014

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Nella sentenza in esame la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha richiamato in linea propedeutica, i marcatori della fattispecie previsti dall’art. 38, comma 1, lettera c), del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, secondo i quali non possono partecipare alle procedure di evidenza pubblica o a subappalti e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti "nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale;... l'esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico…dei soci;… l’esclusione e il divieto in ogni caso non operano quando il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima". Il provvedimento riabilitativo contemplato dalla suddetta disposizione si riferisce all'istituto della riabilitazione di cui all'art. 178 c.p. (che è soggetta a limitazioni e sola comporta la cessazione di tutti gli effetti pregiudizievoli riconnessi allo stato di persona condannata nonché determina l’accertamento delle condizioni di ravvedimento e di attuale buona condotta), e non ad una generica condotta positiva del condannato perché, come da giurisprudenza di questo Consiglio, il decorso del tempo non è idoneo a far venire meno l'esistenza della condanna, in assenza del provvedimento di riabilitazione (Cons. St., Sez. V, 12 aprile 2007, n. 1723). Nel caso di specie, l'esistenza del reato addotto dall'AVCP a sostegno del provvedimenti impugnati non è stata contestata nella sua realtà storica e, di conseguenza, non è neanche contestabile nella sua valenza materiale, atteso che pure le sentenze di condanna con il beneficio della non menzione nel certificato del casellario giudiziale o le sentenze patteggiate, per le quali non sia stata ottenuta l'amnistia, la riabilitazione o l'estinzione, incidono sulla moralità professionale. Né può essere seguito nelle sue difese l’Organismo di attestazione ricorrente che, ai fini della verifica dell'incidenza dei reati specifici commessi dal rappresentante legale dell'impresa, opera una simmetria operativa con il potere discrezionale (da intendersi peraltro quale discrezionalità tecnica) della stazione appaltante in materia di valutazione della moralità professionale, alla luce della diversità dei presupposti del potere sanzionatorio dell’AVCP (in base all’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 163 del 2006) e della stazione appaltante (come da art. 48 del medesimo testo legislativo). Infatti, nell’un caso, si tratta di verifica in via di prevenzione delle condizioni di legge finalizzate a garantire l’interesse generale dell’amministrazione pubblica a non contrarre obbligazioni con soggetti che non garantiscano l’adeguata moralità professionale e tale da precludere l’accesso al mercato dei contratti pubblici di lavori, forniture e servizi, con il non rilascio dell’attestazione SOA. Nell’altro caso, invece, essendo stato superato il primo filtro o per fatti sopravvenuti, si versa in ipotesi di partecipazione ad una determinata gara e di valutazione repressiva attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche dell'appalto, del tipo di condanna e della gravità del reato, con conseguente esclusione, segnalazione all’Autorità ed iscrizione nel Casellario informatico, fermo restando tuttavia che, in modo analogo, la riabilitazione del condannato e l’estinzione del reato, per essere rilevanti in sede di gara pubblica, devono essere formalizzate in una pronuncia espressa del giudice dell’esecuzione (Cons. St., Sez. V, 27 gennaio 2014, n. 400). 3.- Quanto ai riflessi della condanna in esame sulla moralità professionale, non si può dubitare nella fattispecie della sua gravità ed inerenza, in quanto reato contro la pubblica amministrazione previsto dalla legge a tutela del vincolo per finalità pubbliche. Al riguardo, viene principalmente in rilievo la fattispecie normativa di cui all'art. 17, comma 1, lettera c), del DPR n. 34 del 2000 (trasfuso nel citato art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006) che indica, tra i requisiti d'ordine generale che l'impresa deve possedere, ai fini dell'attestazione SOA, l'inesistenza di sentenze definitive di condanna passate in giudicato ovvero di sentenze di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 del c.p.p., a carico del titolare, del legale rappresentante, dell'amministratore o del direttore tecnico per reati che incidono sulla moralità professionale; inoltre, l'art. 27, comma 2, lettera q), del DPR n. 34 del 2000 prevede che debbano essere iscritte nel Casellario informatico le eventuali condanne per reati contro la pubblica amministrazione, l'ordine pubblico, la fede pubblica o il patrimonio, a carico dei legali rappresentanti, degli amministratori, dei direttori tecnici. Il che è ulteriormente indicativo, nella materia dei contratti pubblici, del particolare rilievo negativo attribuito dal legislatore al reato suddetto e tale disvalore non è stato reso dall’AVCP automaticamente incidente, avendo invece l’Autorità ritenuto illogico il giudizio d'irrilevanza nella specie assunto dalla SOA in presenza delle connotazioni oggettive del fatto, incongruamente ed irrazionalmente valutate, in contrasto con i criteri normativi di rigore e diligenza cui deve informarsi, ai sensi dell'art. 12 del DPR n. 34 del 2000, l'attività di attestazione degli organismi autorizzati. Invero, la violazione di sigilli ha natura plurioffensiva, in ragione della sua idoneità a ledere, oltre che l'interesse della pubblica autorità ad assicurare l'indisponibilità del bene per ragioni di giustizia o altro, anche l'interesse eventualmente parallelo o concorrente di un soggetto privato alla conservazione della identità del bene; tale reato contro la pubblica amministrazione si va perciò a riflettere sul rigore dovuto nella materia degli appalti di lavori, forniture e servizi, per la configurazione di condotta marcata da non rispetto degli ordini dell’Autorità, in quanto comportamento che collide con i canoni normativi di serietà ed affidabilità richiesti a partecipanti a pubblica gara (Cons. St., Sez. III, 18 giugno 2013, n. 3328). Correttamente quindi l'Autorità di Vigilanza ha ritenuto che la società appellante abbia operato in modo imprudente ed in contrasto ai canoni di corretto e rigoroso esercizio dell'attività di attestazione, enucleabili dall'art. 12 del DPR n. 34 del 2000, dal momento che è stato ritenuto sostanzialmente irrilevante, ai fini della perdita dell'affidabilità morale e professionale di un'impresa, reato di indubbia gravità, quale quello di specie, sulla base di valutazioni di merito che trovano ostacolo, in funzione del rilascio dell’attestazione SOA, nell’oggettività del giudicato penale non superato in sede giudiziaria dalla riabilitazione. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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Appalti: anche in assenza di un’espressa comminatoria nella lex specialis, l’inosservanza dell’obbligo di rendere le dovute dichiarazioni previste dall’art. 38 del D. lgs. n. 163/2006 comporta l’esclusione del concorrente, senza che sia consentito alla stazione appaltante disporne la regolarizzazione o l’integrazione

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 2.10.2014

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In tema di dichiarazione dei requisiti per la partecipazione a gare d’appalto, ex art. 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006, possono ritenersi ormai consolidati, per quanto qui interessa, i seguenti principi: a) la valutazione della gravità delle condanne riportate dai concorrenti e la loro incidenza sulla moralità professionale spetta esclusivamente alla stazione appaltante e non già ai concorrenti, i quali sono tenuti ad indicare tutte le condanne riportate, non potendo essi operare alcun filtro, ciò implicando un giudizio meramente soggettivo inconciliabile con la ratio della norma (ex pluribus, Cons. St., sez. V, 17 giugno 2014, n. 3092; 24 marzo 2014, n. 1428; 27 gennaio 2014, n. 400; 6 marzo 2013, n. 1378; sez. IV, 22 marzo 2012, n. 1646; 19 febbraio 2009, n. 740); b) la completezza e la veridicità (sotto il profilo della puntuale indicazione di tutte le condanne riportate) della dichiarazione sostitutiva di notorietà rappresenta lo strumento indispensabile, adeguato e ragionevole, per contemperare i contrapposti interessi in gioco, quello dei concorrenti alla semplificazione e all’economicità del procedimento di gara (a non essere, in particolare, assoggettati ad una serie di adempimenti gravosi, anche sotto il profilo strettamente economico, come la prova documentale di stati e qualità personali, che potrebbero risultare inutili o ininfluenti) e quello pubblico, delle amministrazioni appaltanti, di poter verificare con immediatezza e tempestività se ricorrono ipotesi di condanne per reati gravi che incidono sulla moralità professionale, potendo così evitarsi ritardi e rallentamenti nello svolgimento della procedura ad evidenza pubblica di scelta del contraente, così realizzando quanto più celermente possibile l’interesse pubblico perseguito proprio con la gara di appalto (Cons. St., sez. V, 1378 del 6 marzo 2013; sez. VI, 10 dicembre 2012, n. 6291; sez. III, 17 agosto 2011, n. 4792), così che la sola omessa dichiarazione dei precedenti penali o di anche solo taluno di essi, indipendentemente da ogni giudizio sulla relativa gravità, rende legittima l’esclusione dalla gara (Cons. St., sez. IV, 28 marzo 2012, n. 1646; sez. VI, 2 maggio 2012, n. 2597); c) anche in assenza di un’espressa comminatoria nella lex specialis, stante la sua eterointegrazione con la norma di legge, l’inosservanza dell’obbligo di rendere al momento della presentazione della domanda di partecipazione le dovute dichiarazioni previste dall’art. 38 del D. lgs. n. 163 del 2006 comporta l’esclusione del concorrente, senza che sia consentito alla stazione appaltante disporne la regolarizzazione o l’integrazione, non trattandosi di irregolarità, vizio o dimenticanza di carattere puramente formale (Cons. St., sez. III, 2 luglio 2013, n. 3550; 14 dicembre 2011, n. 6569); d) in caso di omessa dichiarazione di precedenti penali non può operare il principio del c.d. falso innocuo, laddove si tratti di assenza di dichiarazioni previste dalla legge e dal bando di gara a pena di esclusione (Cons. St., sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6271), con la precisazione che solo se la dichiarazione sia resa sulla base di modelli predisposti dalla stazione appaltante ed il concorrente incorra in errore indotto dalla formulazione ambigua o equivoca del bando non può determinarsi l’esclusione dalla gara per l’incompletezza della dichiarazione resa (Cons. St., sez, III, 4 febbraio 2014, n. 507). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 2.10.2014

 
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Gara pubblica: la valutazione dell'anomalia dell'offerta è frutto di un giudizio complessivo non essendo finalizzato alla ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 2.10.2014

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La Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha evidenziato nella sentenza in esame che la valutazione di anomalia dell’offerta è frutto di un giudizio complessivo, non avendo carattere sanzionatorio, né essendo finalizzato alla ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, mirando piuttosto ad accertare se in concreto l'offerta, nel suo complesso, sia attendibile ed affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto: esso mira piuttosto a garantire e tutelare l’interesse pubblico concretamente perseguito dall’amministrazione attraverso la procedura di gara per la effettiva scelta del miglior contraente possibile ai fini dell’esecuzione dell’appalto (ex multis, C.d.S., sez. III, 14 dicembre 2012, n. 6442; sez. IV, 30 maggio 2013, n. 2956; sez. V, 18 febbraio 2013, n. 973, 15 aprile 2013, n. 2063), così che l’esclusione dalla gara dell’offerente per l’anomalia della sua offerta è l’effetto della valutazione (operata dall’amministrazione appaltante) di complessiva inadeguatezza della stessa rispetto al fine da raggiungere: non sono pertanto neppure utili ai fini della presunta anomalia delle offerte proposte dalle concorrente che hanno preceduto nella graduatoria di merito l’appellante le asserite criticità che riguarderebbero singoli aspetti delle stesse, giacché in nessun caso esse risultano idonee a dubitare della complessiva affidabilità delle stesse. Peraltro, anche ad ammettere che le offerte in questioni avessero presentato o presentassero profili di anomalia, ciò non ne avrebbe giammai determinato l’automatica esclusione dalla gara, comportando semmai l’avvio del relativo procedimento in contraddittorio. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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Ambiente: la valutazione di impatto ambientale non è un mero atto (tecnico) di gestione rientrante nelle attribuzioni dei dirigenti, trattandosi di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico - amministrativo

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 2.19.2014

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La giurisprudenza ha ripetutamente affermato (Cons. St., sez. V, 31 maggio 2012, n. 3254; 22 giugno 2009, n. 4206; sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 361; 5 luglio 2010, n. 4246; VI, 17 maggio 2006, n. 2851) che, alla stregua dei principi comunitari e nazionali, oltre che delle sue stesse peculiari finalità, la valutazione di impatto ambientale non si sostanzia in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell'opera, ma implica una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all'utilità socio - economica, tenuto conto anche delle alternative possibili e dei riflessi sulla stessa c.d. opzione - zero; in particolare, è stato evidenziato che "la natura schiettamente discrezionale della decisione finale (e della preliminare verifica di assoggettabilità), sul versante tecnico ed anche amministrativo, rende allora fisiologico ed obbediente alla ratio su evidenziata che si pervenga ad una soluzione negativa ove l'intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell'interesse diverso sotteso all'iniziativa; da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno, per il tramite di soluzioni meno impattanti in conformità al criterio dello sviluppo sostenibile e alla logica della proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve governare il bilanciamento di istanze antagoniste" (Cons. St, sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4246; sez. VI, 22 febbraio 2007, n. 933). La valutazione di impatto ambientale non è perciò un mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, rientrante come tale nelle attribuzioni proprie dei dirigenti, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico - amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi, pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico - sociale) e privati. Ciò del resto è del tutto coerente con la funzione stessa della valutazione di impatto ambientale che (Cons. St., sez. IV, 9 gennaio 2014, n. 36), "è preordinata alla salvaguardia dell'habitat nel quale l'uomo vive, che assurge a valore primario ed assoluto, in quanto espressivo della personalità umana (Cons. St., sez. VI, 18 marzo 2008, n. 1109), attribuendo ad ogni singolo un autentico diritto fondamentale, di derivazione comunitaria (direttiva 27 luglio 1985 n. 85/337/CEE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati); diritto che obbliga l'amministrazione a giustificare, quantomeno ex post ed a richiesta dell'interessato, le ragioni del rifiuto di sottoporre un progetto a V.I.A. all'esito di verifica preliminare (Corte giust. 30 aprile 2009, C75/08). A tali fini, l'ambiente rileva non solo come paesaggio, ma anche come assetto del territorio, comprensivo di ogni suo profilo, e finanche degli aspetti scientifico-naturalistici (come quelli relativi alla protezione di una particolare flora e fauna), pur non afferenti specificamente ai profili estetici della zona", sottolineandosi che la stessa Corte Costituzionale (sent. 7 novembre 2007, n. 367), ha affermato che "lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, è di per sé un valore costituzionale", da intendersi come valore "primario" (Corte Cost., sentt. nn. 151/1986; 182/2006), ed "assoluto" (sent. n. 641/1987). E’ stato anche sottolineato che proprio per le finalità cui è preordinata la valutazione di impatto ambientale, la disciplina relativa normativa ha prefigurato un modello di istruttoria aperto ai contributi partecipativi dei soggetti portatori di interessi pubblici e privati coinvolti nell'opera, con la conseguenza che l'impegno motivazionale dell'autorità deliberante è tanto più pregnante quanto più l'istruttoria abbia fatto emergere, mediante apporti partecipativi di soggetti, pubblici e privati, anche esponenziali di interessi collettivi, ricadute potenzialmente negative sul contesto ambientale ed insediativo interessato dall'iniziativa (Cons. St., sez. V, 18 aprile 2012, n. 2234), fermo restando che l’amministrazione, nel rendere il giudizio di valutazione ambientale, esercita un'amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all'apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti, con conseguenti limiti al sindacato giurisdizionale sulla determinazione finale emessa (Cons. St., sez. V, 27 marzo 2013, n. 1783). Sono state inoltre delineate le differenze tra valutazione di impatto ambientale e autorizzazione integrata ambientale, evidenziando che mentre la prima si sostanzia in una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto dal progetto rispetto all'utilità socio-economica dallo stesso ritraibile, tenuto conto anche delle alternativi possibili e dei riflessi sulla c.d. opzione zero, investendo propriamente gli aspetti localizzativi e strutturali di un impianto (e più in generale dell'opera da realizzare), la seconda - introdotta nel nostro ordinamento in attuazione della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento - è atto che sostituisce, con un unico titolo abilitativo, tutti i numerosi titoli che erano invece precedentemente necessari per far funzionare un impianto industriale inquinante, assicurando così efficacia, efficienza, speditezza ed economicità all'azione amministrativa nel giusto contemperamento degli interessi pubblici e privati in gioco, e incide quindi sugli aspetti gestionali dell'impianto (Cons. St, sez. V, 17 gennaio 2012, n. 5292). Per scaricare la sentenza clicca su "Accedi al Provvedimento".

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La giurisprudenza ha ripetutamente affermato (Cons. St., sez. V, 31 maggio 2012, n. 3254; 22 giugno 2009, n. 4206; sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 361; 5 luglio 2010, n. 4246; VI, 17 maggio 2006, n. 2851) che, alla stregua dei principi comunitari e nazionali, oltre che delle sue stesse peculiari final ... Continua a leggere

 

Abusi edilizi: anche se é decorso un lungo periodo di tempo dalla realizzazione dell'opera abusiva l’amministrazione deve senza indugio emanare l’ordine di demolizione per il solo fatto di aver riscontrato l'abuso

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 2.10.2014

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Secondo la giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. V, 11 luglio 2014, n. 3568), condivisa dal Collegio nella sentenza in esame "il lungo periodo di tempo intercorrente tra la realizzazione dell'opera abusiva ed il provvedimento sanzionatorio è circostanza che non rileva ai fini della legittimitàdi quest'ultimo, sia in rapporto al preteso affidamento circa la legittimità dell'opera che il protrarsi del comportamento inerte del Comune avrebbe ingenerato nel responsabile dell'abuso edilizio, sia in relazione ad un ipotizzato ulteriore obbligo, per l'Amministrazione procedente, di motivare specificamente il provvedimento in ordine alla sussistenza dell'interesse pubblico attuale a far demolire il manufatto, poiché la lunga durata nel tempo dell'opera priva del necessario titolo edilizio ne rafforza il carattere abusivo. Infatti, è di per sé del tutto irrilevante il tempo intercorrente tra la commissione di un abuso edilizio e l’emanazione del provvedimento di demolizione. Quando risulta realizzato un manufatto abusivo, e malgrado il decorso del tempo, l’amministrazione deve senza indugio emanare l’ordine di demolizione per il solo fatto di aver riscontrato opere abusive: il provvedimento deve intendersi sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, essendo "in re ipsa" l'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955)." Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al provvedimento".

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Appalti: le conseguenze dell'autodichiarazione non veritiera sui "carichi pendenti"

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 2.10.2014

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La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha ribadito i principi stabiliti dalla Sezione evidenziando che quando il bando di una gara d’appalto prevede una dichiarazione dal contenuto completo, anche sui ‘carichi pendenti’, e il partecipante rende una autodichiarazione non veritiera – non è configurabile un falso ‘innocuo’, atteso che, nelle procedure di evidenza pubblica, la completezza delle dichiarazioni sul possesso dei requisiti generali è già di per sé un valore da perseguire, perché consente, anche in ossequio al principio di buon andamento dell'amministrazione e di proporzionalità, la celere decisione in ordine all'ammissione dell'operatore economico alla gara; conseguentemente una dichiarazione inaffidabile perché, al di là dell'elemento soggettivo sottostante, è falsa, deve ritenersi già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma, a prescindere dal fatto che l'impresa meriti sostanzialmente di partecipare alla gara (Consiglio di Stato, sez. V, 21 giugno 2013, n. 3397). Comunque, precisa il Consiglio di Stato in particolare, nella gara di cui trattasi (in cui la stazione appaltante aveva richiesto espressamente l’attestazione sulla esistenza o meno di carichi pendenti e non aveva fatto solo un generico richiamo all’art. 38 del d. lgs. n. 163 del 2006) non si può ritenere sussistente un ‘falso innocuo’, anche se la lex specialis di gara richiedeva la dichiarazione sostitutiva ex d.P.R. n. 445 del 2000, atteso che non si verte in materia di mancata attestazione della sussistenza di requisiti generali in concreto esistenti, ma nella attestazione, rivelatasi non corrispondente alla realtà, della insussistenza di carichi pendenti, che ha inciso sugli interessi tutelati, avendo impedito che la commissione di gara fosse posta nella condizione di poter immediatamente effettuare la valutazione complessiva circa la moralità professionale della società offerente (dovendo la commissione valutare la rilevanza di tutti i dati da fornire). Peraltro l'art. 45, par. 2, lett. g), della direttiva 2004/18/Ce consente di escludere dalle pubbliche gare l'operatore "che si sia reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni che possono essere richieste a norma della presente sezione o che non abbia fornito dette informazioni". Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al provvedimento".

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La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha ribadito i principi stabiliti dalla Sezione evidenziando che quando il bando di una gara d’appalto prevede una dichiarazione dal contenuto completo, anche sui ‘carichi pendenti’, e il partecipante rende una autodichiarazione non ve ... Continua a leggere

 

Gare pubbliche: l'avvalimento può riferirsi anche alla certificazione di qualità

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.10.2014

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In caso di avvalimento, l'impresa ausiliata può senz'altro utilizzare tutti i requisiti afferenti alla capacità economica e tecnica dell'impresa ausiliaria, non esclusa la certificazione di qualità. In tal senso è stato chiarito che "nelle gare pubbliche la certificazione di qualità, essendo connotata dal precipuo fine di valorizzare gli elementi di eccellenza dell'organizzazione complessiva, è da considerarsi anch'essa requisito di idoneità tecnico organizzativa dell'impresa, da inserirsi tra gli elementi idonei a dimostrarne la capacità tecnico professionale assicurando che l'impresa, cui sarà affidato il servizio o la fornitura, sarà in grado di effettuare la prestazione nel rispetto di un livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò predisposto" (così Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6125, vedi anche Sez. V, 6 marzo 2013, n. 1368). L'unico limite è costituito dalla condizione che l'avvalimento sia effettivo, e non fittizio poiché, come pure osservato, non potrebbe ammettersi che sia "prestata" la sola certificazione di qualità (Cons. Stato, Sez. III, 18 aprile 2011, n. 2343). Peraltro, ulteriore conferma della riferibilità dell'avvalimento anche alla certificazione di qualità deve rinvenirsi nell'art. 50 del d.lgs. n. 163/2006, che ammette l'avvalimento nel caso di sistemi di attestazione e sistemi di qualificazione.

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In caso di avvalimento, l'impresa ausiliata può senz'altro utilizzare tutti i requisiti afferenti alla capacità economica e tecnica dell'impresa ausiliaria, non esclusa la certificazione di qualità. In tal senso è stato chiarito che "nelle gare pubbliche la certificazione di qualità, essendo conno ... Continua a leggere

 

Abusi edilizi: non e' sufficiente la sola produzione di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio per provare l'epoca di anteriore realizzazione dell'abuso edilizio-paesaggistico rispetto al vincolo apposto

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 3.10.2014

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La giurisprudenza del Consiglio di Stato è concorde nell’affermare che la produzione di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio non può assurgere al rango di prova, seppure presuntiva, sull'epoca di anteriore realizzazione dell'abuso edilizio-paesaggistico rispetto al vincolo apposto, in assenza di minimi riscontri documentali o di altri elementi di prova eventualmente anche indiziari ma concordanti (Cons. St., sez. VI, 5 agosto 2013, 4075; Sez. IV, 14 febbraio 2012, n. 703; Sez. V, 6 giugno 2001, n. 3067).Pertanto, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2697 c.c., chi realizza interventi ritenuti abusivi, su immobili esistenti, è tenuto a dimostrare rigorosamente, se intende evitare le misure repressive di legge, lo stato della preesistenza, posto che, in tali casi, solo il privato dispone, ed è normalmente in grado di esibire, la documentazione idonea al fine di fornire utili elementi di valutazione quali fotografie con data certa dell'immobile, estratti delle planimetri catastali, il progetto originario e i suoi allegati, e quant’altro di utile.Di conseguenza, va ritenuto sufficientemente motivato il provvedimento che, a fronte di un abuso edilizio-paesaggistico, ne ordina la demolizione con richiamo al verbale di sopralluogo dei tecnici comunali dato che, com'è noto, il provvedimento sanzionatorio in materia edilizia ha natura del tutto vincolata giacché è conseguente ad un accertamento tecnico della consistenza delle opere abusive realizzate.Infatti, il verbale redatto e sottoscritto dagli agenti e dai tecnici del comune a seguito di sopralluogo, attestante l'esistenza di manufatti abusivi, costituisce atto pubblico, fidefaciente fino a querela di falso, ai sensi dell'art. 2700 c.c., delle circostanze di fatto in esse accertate, sia relativamente allo stato di fatto e sia rispetto allo status quo ante.Ciò comporta che in questa sede, tanto l’atto impugnato in primo grado quanto la sentenza criticata, si configurino esenti dalle censure mosse, in particolare da quelle di difetto di istruttoria e di motivazione perché, nella mancanza di allegazioni idonee a smentire i presupposti di fatto dell'ordinanza e in assenza della querela di falso, erroneamente le ricorrenti pretendono, con inammissibile inversione dell'onere della prova, che sia l'Amministrazione a provare giudizialmente i fatti posti a base della sua azione. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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Sanatoria edilizia: la presentazione di una domanda di sanatoria di abusi edilizi determina l’inefficacia dei precedenti atti sanzionatori

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 3.10.2014

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La Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha evidenziato che per condiviso orientamento giurisprudenziale, se è pur vero che la presentazione di un’istanza di sanatoria non inficia la legittimità dell’ordine di demolizione impartito in precedenza quando la domanda di sanatoriasia stata poi respinta, è altresì vero che la presentazione di una siffatta richiesta impedisce che l'amministrazione, prima del suo esame, possa attivarsi per eliminare un abuso che potrebbe potenzialmente essere sanato e determina – di conseguenza – la temporanea sospensione degli effetti dell’ordine di demolizione già impartito (in tal senso –ex plurimis -: Cons. Stato, V, 31 marzo 2014, n. 1546; id., VI, 14 marzo 2014, n. 1292; id., VI, 7 maggio 2009, n. 2833). La giurisprudenza di questo Consiglio ha recentemente chiarito, al riguardo, che la presentazione di una domanda di sanatoria di abusi edilizi determina l’inefficacia dei precedenti atti sanzionatori (ordini di demolizione, inibitorie, ordini di sospensione dei lavori) atteso che, sul piano procedimentale, il Comune è tenuto innanzi tutto ad esaminare ed eventualmente a respingere la domanda di condono effettuando, comunque, una nuova valutazione della situazione (Cons. Stato, V, 23 giugno 2014, n. 3143). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 3.10.2014

 
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Appalti: l'incameramento della cauzione e la segnalazione all'AVCP

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.10.2014

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Nella sentenza in esame la quarta Sezione del Consiglio di Stato ha evidenziato che l'incameramento della cauzione e la segnalazione all'Autorità sono consequenziali all'esclusione ai sensi dell'art. 48 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, configurandosi come attività affatto vincolata alla ricognizione dei presupposti legali (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 24 maggio 2013, n. 2832 e 16 febbraio 2012, n. 810, Sez. V, 6 marzo 2013, n. 1373), né potrebbe revocarsene in dubbio la piena legittimità in relazione alla carenza del requisito in capo al progettista, posto che sul concorrente grava onere di diligenza in ordine alla scelta del professionista e alla verifica dei requisiti di quest'ultimo, onde la sanzione si ricollega a fatto proprio colpevole (su tale profilo, e con riferimento al dovere di diligenza assunto dai concorrenti che "...con la domanda di partecipazione, sottoscrivono e si impegnano ad osservare le regole della relativa procedura, delle quali hanno piena contezza..." vedi Cons. Stato, Sez. V, 18 aprile 2012, n. 2232 e 10 settembre 2012, n. 4778). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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Nella sentenza in esame la quarta Sezione del Consiglio di Stato ha evidenziato che l'incameramento della cauzione e la segnalazione all'Autorità sono consequenziali all'esclusione ai sensi dell'art. 48 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, configurandosi come attività affatto vincolata alla ricognizi ... Continua a leggere

 
 
 
 
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