
News 14 Maggio 2014 - Area Tecnica
Monitoraggio opere pubbliche: in Gazzetta Ufficiale la circolare MEF sulle modalità operative e prima rilevazione

E' stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 108 del 12.5.2014 la circolare MEF recante "Monitoraggio opere pubbliche in attuazione del decreto legislativo del 29 dicembre 2011 n. 229: esplicazione delle modalita' operative e prima rilevazione". Per scaricare il decreto cliccare su "Accedi al Provvedimento".
E' stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 108 del 12.5.2014 la circolare MEF recante "Monitoraggio opere pubbliche in attuazione del decreto legislativo del 29 dicembre 2011 n. 229: esplicazione delle modalita' operative e prima rilevazione". Per scaricare il decreto cliccare su "Accedi al P ... Continua a leggere
AVCP: a partire dal 12 maggio 2014 nei dati dei contratti oltre al CIG va indicato il Codice Unico di Progetto (CUP)

Con la legge n.196/2009 è stata istituita la Banca Dati delle Amministrazioni Pubbliche (BDAP) in seno al Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), al fine di assicurare un efficace controllo e monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica. Il successivo Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Ragioneria Generale dello Stato del 26/02/2013 (attuativo dell’art.5 del D.Lgs.n.229/2011), ha definito – nell’Allegato A - il dettaglio delle informazioni da comunicare. Allo scopo di ridurre gli oneri informativi a carico delle stazioni appaltanti e degli enti aggiudicatori e di eliminare la duplicazione delle richieste di adempimenti, l’AVCP ha stipulato, in data 2 agosto 2013, un protocollo d’intesa con la Ragioneria Generale dello Stato, assumendo l’impegno di trasmettere alla BDAP i dati anagrafici, finanziari, fisici e procedurali, concernenti il ciclo di vita dei contratti pubblici di lavori (opere pubbliche) dalla fase di assegnazione del CIG, già in suo possesso, per effetto delle disposizioni contenute nell’art.7, comma 8, del D.Lgs.n.163/2006. In sintesi, il set informativo richiesto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – R.G.S., che mantiene comunque una propria specifica finalità, viene ad essere significativamente ridotto, in ragione dei dati acquisibili direttamente dall’AVCP. Con comunicato dell'8.5.2014 L'AVCP precisa che, come specificato anche nella Circolare della Ragioneria Generale dello Stato del 08/04/2014 n.14, condizione necessaria per evitare di dover procedere ad un ulteriore invio alla BDAP degli elementi informativi già acquisiti dall’AVCP, è che i dati dei contratti siano corredati oltre che del CIG anche del Codice Unico di Progetto (CUP) cui si riferiscono. In proposito, rammenta l'Autorità che l’obbligatorietà del CUP ricorre nelle fattispecie di seguito riportate: a) Appalto di lavori diversi da quelli di manutenzione ordinaria; b) Appalto di servizi finalizzato alla realizzazione di un progetto di investimento pubblico; c) Appalto di forniture finalizzato alla realizzazione di un progetto di investimento pubblico; d) Appalti di servizi o forniture che sebbene non rientrino nelle fattispecie di cui ai punti c) e d), siano cofinanziati da fondi comunitari. Pertanto, è necessario che i RUP procedano alla verifica, integrazione o rettifica dei dati su SIMOG, nelle modalità e secondo le tempistiche di seguito descritte. Nuove modalità operative a decorrere dal 12 maggio 2014 Creazione di un nuovo CIG A partire dal 12/5/2014 sarà obbligatorio indicare sul sistema SIMOG, in sede di creazione del CIG, il CUP identificativo del progetto nell’ambito del quale si colloca lo specifico appalto. Sarà possibile indicare più CUP a fronte di uno stesso CIG. Al momento dell’inserimento del CUP, il sistema SIMOG verificherà che ciascun codice CUP inserito sia effettivamente presente nella banca dati del CIPE e, in caso positivo, consentirà al RUP di visualizzare il soggetto che ne ha richiesto il rilascio e l’oggetto del progetto. Per tutte le fattispecie sopra citate, la mancata indicazione di un CUP (ovvero l’indicazione di un CUP non valido) determinerà l’impossibilità di acquisire il CIG e/o di perfezionarlo. Nel caso di temporanea impossibilità di verificare la validità del CUP sulla banca dati del CIPE, il CIG verrà comunque rilasciato ma non sarà possibile completarne il perfezionamento/pubblicazione fino ad avvenuta validazione. Comunicazione delle Schede di Aggiudicazione A partire dal 12/5/2014, per tutti i CIG creati anteriormente a tale data per i quali non sono stati ancora trasmessi i dati relativi alle aggiudicazioni, in sede di compilazione della Scheda di aggiudicazione sarà obbligatorio indicare uno o più CUP qualora l’appalto rientri in una delle fattispecie sopra citate. Sarà possibile indicare più CUP a fronte di uno stesso CIG. Al momento dell’inserimento del CUP, il sistema SIMOG verificherà che ciascun codice CUP inserito sia effettivamente presente nella banca dati del CIPE e, in caso positivo, consentirà al RUP di visualizzare il soggetto che ne ha richiesto il rilascio e l’oggetto del progetto. Per tutte le fattispecie sopra citate, in assenza di validazione dei CUP inseriti, il sistema SIMOG non consentirà di completare la conferma della scheda di aggiudicazione. Nuove modalità operative a decorrere dal 14 luglio 2014 Per tutti i contratti per i quali alla data del 12 maggio 2014 risultino già trasmesse le relative schede di aggiudicazione, il RUP dovrà verificare che per le fattispecie per le quali è necessaria l’acquisizione del CUP, quest’ultimo risulti associato al CIG cui si riferisce, nell’ambito del sistema SIMOG. A tal fine, a partire dal 14/07/2014 sul sistema SIMOG sarà disponibile, per tutti i RUP, una nuova funzionalità che consentirà di visualizzare tutti i CIG di propria competenza relativi agli appalti oggetto di monitoraggio ai sensi del DM 26/2/2013 e s.m.i., con indicazione degli eventuali CUP già riportati. Ciascun RUP dovrà verificare che, in tutti i casi di obbligatorietà del CUP, questo sia stato inserito, procedendo, laddove necessario, ad una modifica/integrazione dei codici CUP. Sarà possibile indicare più CUP a fronte di uno stesso CIG. Al momento della modifica o dell’inserimento di un CUP, il sistema SIMOG verificherà che ciascun codice CUP inserito sia effettivamente presente nella banca dati del CIPE e, in caso positivo, consentirà al RUP di visualizzare il soggetto che ne ha richiesto il rilascio e l’oggetto del progetto. In assenza di validazione dei CUP inseriti in relazione a ciascun CIG, il sistema SIMOG non acquisirà come valide le nuove informazioni di integrazione CIG-CUP e continuerà a mantenere il CIG nella lista di quelli da integrare. Si precisa che tale attività dovrà essere svolta da tutti i RUP sul sistema SIMOG, anche per i contratti i cui dati vengono trasmessi all’Osservatorio per il tramite delle Sezioni Regionali, e dovrà essere completata entro il 30/08/2014. Si ribadisce che, laddove nel sistema SIMOG siano presenti entrambe le informazioni relative al CUP ed al CIG, le amministrazioni saranno esonerate dal trasmettere alla BDAP i dati già inviati all’Osservatorio; saranno tenute a trasmettere alla BDAP soltanto le informazioni dell’Allegato A del DM non inviate o non presenti nel sistema SIMOG. Accesso alla BDAP istituita in seno al MEF-RGS Nel mese di settembre, il MEF renderà disponibile l’accesso alla BDAP ad opera delle amministrazioni pubbliche, le quali potranno: 1. prendere visione dei dati delle opere pubbliche di propria pertinenza (identificate con il CUP) già trasmessi al SIMOG; 2. verificare la presenza e/o la correttezza delle informazioni presenti in BDAP mutuate dal SIMOG e da altre banche dati alimentanti; 3. effettuare le integrazioni o le correzioni necessarie esclusivamente sul SIMOG e sulle altre banche dati alimentanti. Nei casi in cui l’associazione CUP-CIG o altre informazioni non siano state integrate neI sistema SIMOG, le amministrazioni dovranno procedere ad un nuovo invio integrale dei dati alla BDAP a partire dal 30/09/2014 entro i successivi 30 giorni (30 settembre-31 ottobre). La comunicazione di tali informazioni alla BDAP è un presupposto per l’erogazione del finanziamento dello Stato. A seguito della rilevazione dei dati da parte del MEF, l’Autorità procederà ad un riscontro tra i dati presenti nel sistema SIMOG e quelli trasmessi direttamente alla BDAP dalle amministrazioni, valutando la sussistenza dei presupposti per l’avvio del procedimento sanzionatorio ai sensi dell’articolo 7, comma 8, del D. Lgs. 163/2006.
Con la legge n.196/2009 è stata istituita la Banca Dati delle Amministrazioni Pubbliche (BDAP) in seno al Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), al fine di assicurare un efficace controllo e monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica. Il successivo Decreto del Ministero dell’Econom ... Continua a leggere
Edifici o locali per lavorazioni industriali: in Gazzetta Ufficiale il decreto sulle informazioni da trasmettere all’organo di vigilanza in caso di costruzione, realizzazione, ampliamenti e ristrutturazione di edifici o locali

Con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, del 18 aprile 2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, serie Generale, n. 106 del 9 maggio 2014 sono state individuate, ex articolo 67, comma 2, del D. Lgs. n. 81/2008, secondo criteri di semplicità e comprensibilità, le informazioni da trasmettere all'organo di vigilanza in caso di costruzione e di realizzazione di edifici o locali da adibire a lavorazioni industriali, nonché nei casi di ampliamenti e di ristrutturazione di quelli esistenti. Le informazioni da trasmettere nei casi su indicati potranno essere trasmesse all'organo di vigilanza utilizzando l'apposita modulistica disponibile nella presente sezione. Per accedere alla lettura del decreto e per scaricare la modulistica cliccare su "Accedi al Provvedimento".
Con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, del 18 aprile 2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, serie Generale, n. 106 del 9 maggio 2014 sono state individuate, ex articolo 67, comma 2, del D. Lgs. n. 81/200 ... Continua a leggere
Abusi edilizi: in caso di edificazione intervenuta in base a titolo successivamente annullato dal giudice, il Comune non deve necessariamente procedere alla demolizione, prevedendo l’art. 38 del T.U. una gamma articolata di possibili soluzioni alternative
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 12.5.2014

In termini generali, la Quarta Sezione del Consiglio di Stato ricorda nella sentenza in esame che, secondo l’Adunanza plenaria, l'affidamento del privato a poter conservare l'opera realizzata sulla base di un titolo edilizio successivamente annullato non è tutelato in via generale ma è rimesso alladiscrezionalità del legislatore, al quale compete emanare norme speciali di tutela come la potenziale commutabilità della sanzione demolitoria in quella pecuniaria (l’art. 38 t.u., di cui qui si discorre), ovvero un regime di favore in sede di condono edilizio (come avvenuto con l'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724). In difetto di una espressa previsione legislativa, la posizione di colui che abbia realizzato l'opera sulla base di un titolo annullato non si differenzia dagli altri soggetti che hanno invece realizzato l'opera abusiva senza titolo. L'annullamento giurisdizionale del permesso o della concessione di costruire provoca la qualificazione di abusività delle opere edilizie realizzate in base ad esso, per cui il Comune, stante l'efficacia conformativa, oltre che costitutiva e ripristinatoria, della sentenza del giudice amministrativo, è obbligato a dare esecuzione al giudicato, adottando i provvedimenti consequenziali. Tali provvedimenti non devono, peraltro, avere ad oggetto necessariamente la demolizione delle opere realizzate (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 giugno 2011, n. 3571): l’art. 38 prevede invece una gamma articolata di possibili soluzioni, della valutazione delle quali l’atto conclusivo del nuovo procedimento dovrà ovviamente dare conto. A questo proposito, il Collegio ritiene che, nella fattispecie, il Comune non si sia incorso solo nell’errore formale di indicare un articolo di legge in luogo di un altro, ma abbia inteso fare uso proprio del potere sostanziale che l’articolo richiamato gli attribuirebbe. Benché la difesa dell’Amministrazione si ingegni a dimostrare il contrario, manca nell’ordinanza di demolizione qualunque accenno ai passaggi che avrebbero dovuto precedere l’ingiunzione di abbattere le opere abusive. Come la Sezione ha affermato di recente, se è vero che l'edificazione intervenuta in base a titolo successivamente annullato equivale ad edificazione senza titolo, è altrettanto vero (e ragionevole) che il legislatore non equipara, quanto agli effetti sanzionatori, le due fattispecie, rendendo necessario comparare l'interesse pubblico al recupero dello status quo ante con il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive del cittadino incolpevole dell'illegittimità, al contrario confidante nell'esercizio legittimo del potere amministrativo. Ciò comporta che - dapprima nella verifica della necessità di irrogazione della sanzione (quando non si possano potendosi rimuovere i vizi riscontrati nell'atto annullato), e poi, una volta riscontratane la necessità, nella scelta della sanzione applicabile - l'amministrazione debba svolgere una verifica, congruamente motivando su quanto infine deciso (cfr. sez. IV, 10 agosto 2011). D’altronde, nella fattispecie ex art. 38 t.u. la demolizione rappresenta l’extrema ratio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1535; Id., sez. IV, 17 maggio 2012, n. 2852), il che rende necessario una motivazione specifica (e non estremamente sintetica se non implicita, come il Comune vorrebbe sufficiente) a sorreggere quel tipo di provvedimento. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 12.5.2014
In termini generali, la Quarta Sezione del Consiglio di Stato ricorda nella sentenza in esame che, secondo l’Adunanza plenaria, l'affidamento del privato a poter conservare l'opera realizzata sulla base di un titolo edilizio successivamente annullato non è tutelato in via generale ma è rimesso alla ... Continua a leggere
Ristrutturazione edilizia: l’unica deroga all’esigenza di mantenere immutata volumetria e sagoma, per potersi mantenere nell’ambito della ristrutturazione edilizia, riguarda le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 12.5.2014

L'elemento che, in linea generale, contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione deve rinvenirsi nella già avvenuta trasformazione del territorio, mediante una edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un "insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente": art. 3, comma 1, lett. d), t.u.) ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma - in quest'ultimo caso - con ricostruzione, se non "fedele" (per effetto della modifica apportata al testo unico dal decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 301), comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente (sez. IV, 30 maggio 2013, n. 2972). L’unica deroga all’esigenza di mantenere immutata volumetria e sagoma, per potersi mantenere nell’ambito della ristrutturazione edilizia, è data con riguardo alle "sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica" (lett. d), in fine), che davvero non sembrano venire in questione nella vicenda. Nel caso di specie, la parte appellata non contesta quanto il Comune afferma nel proprio ricorso (pag. 10), e cioè che, alla stregua del progetto per cui il permesso di costruire è stato richiesto, "la tipologia costruttiva dei materiali e dei muri, la sagoma ed il volume del nuovo manufatto (villetta in muratura) non corrisponderebbero in nulla all’esistente (ricovero in legno)". L’intervento progettato fuoriesce così dall’ambito concettuale della ristrutturazione per divenire invece "intervento di nuova costruzione" (ex art. 3, comma 1, lett. e), t.u.). Legittimamente, dunque, il Comune ha respinto la domanda volta al rilascio di un titolo edilizio inteso a realizzare un’opera che solo in termini del tutto atecnici potrebbe qualificarsi come ristrutturazione edilizia, comportando in realtà - secondo l’oggetto testualmente indicato nella documentazione a corredo della domanda - un ampliamento del fabbricato. Posto che le disposizioni del testo unico costituiscono "i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell'attività edilizia" (art. 1, comma 1), qualunque previsione del P.R.G. comunale, ove per avventura difforme, rimarrebbe comunque inefficace. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 12.5.2014
L'elemento che, in linea generale, contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione deve rinvenirsi nella già avvenuta trasformazione del territorio, mediante una edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un "insieme sistematico di opere, c ... Continua a leggere
Codice della navigazione: l’amministrazione può dichiarare la decadenza del concessionario dalla concessione per mancata esecuzione delle opere prescritte o anche per non uso continuato o per cattivo uso
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 8.5.2014

L’art. 47 (Decadenza dalla concessione) del Codice della navigazione (r.d. 30 marzo 1942 n. 327) prevede che l’amministrazione possa dichiarare la decadenza del concessionario per mancata esecuzione delle opere prescritte o anche per non uso continuato o per cattivo uso (e per esempio per mutamentosostanziale non autorizzato dello scopo per il quale è stata fatta la concessione). Nella specie, le ragioni poste a base della decadenza – essendo irrilevante il nomen iuris utilizzato di revoca piuttosto che di decadenza o viceversa - sono relative a: mancato perseguimento dello scopo; non uso continuato e ingiustificato; mancata realizzazione delle opere per rimuovere le barriere architettoniche. Tali circostanze, peraltro indicanti ragioni plurime tutte da sole idonee a giustificare l’atto negativo, sono realmente in grado di sorreggere il provvedimento sanzionatorio; dall’altro lato le ragioni avanzate dall’appellante non paiono meritevoli di positiva valutazione, al fine di scriminarlo dalla imputabilità dell’inadempimento dei doveri imposti al concessionario. Infatti: 1) all’atto di concessione era stata allegata una puntuale planimetria dell’area demaniale da occupare, che ben individuava l’oggetto; 2) le parziali occupazioni, peraltro anche successive all’atto di adozione della concessione, non potevano giustificare il totale inadempimento da parte del concessionario ai suoi doveri; 3) la concessione era in sé atto che attribuiva la disponibilità del bene; 4) non da ultimo, la prassi consolidata in atto presso il Comune di Chioggia, ben conosciuta all’appellante per essere anche concessionario di altra area balneare nel medesimo comprensorio comunale, senza pretesa di formali consegne; 5) è decisiva la nota comunale del 18 febbraio 2004 diretta al concessionario, con cui il Comune faceva presente che già con il rilascio della concessione demaniale del 2002 si era resa disponibile e di immediato utilizzo a suo favore l’area suddetta allo scopo di adibirla a stabilimento balneare; 6) da ultimo, l’appellante aveva chiesto in modo formale la consegna del bene soltanto in data 12 marzo 2004 e cioè quasi due anni dopo l’adozione dell’atto concessorio e solo dopo la nota comunale su indicata datata 18 febbraio 2004. In sostanza, quindi, è irrilevante il nomen iuris utilizzato (sul riferimento alla sostanza dell’atto adottato piuttosto che alla forma, tra le tante, Cons. Stato, IV, 8 giugno 2009, n.3507), non potendosi avere dubbi di sorta in ordine alla circostanza che il potere utilizzato dal Comune, in modo corretto, sia relativo all’atto di decadenza come previsto dal citato articolo del Codice della navigazione, giustificato dal venir meno del concessionario ai vari doveri di utilizzo ai quali era tenuto in tale qualità e d’altro canto non potendosi ritenere giustificato, tale inadempimento, dalle circostanze addotte dirette a lamentare una mora dell’amministrazione. In linea generale (tra tante Cons. Stato, VI, 23 maggio 2011 n.3046 e 12 aprile 2011 n.2253) è da ritenere legittimo e conforme alla detta previsione normativa il provvedimento dichiarativo di decadenza per mancato utilizzo continuato della concessione demaniale marittima o per inadempimento agli obblighi del concessionario che compromettano in modo definitivo il proficuo prosieguo del rapporto. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 8.5.2014
L’art. 47 (Decadenza dalla concessione) del Codice della navigazione (r.d. 30 marzo 1942 n. 327) prevede che l’amministrazione possa dichiarare la decadenza del concessionario per mancata esecuzione delle opere prescritte o anche per non uso continuato o per cattivo uso (e per esempio per mutamento ... Continua a leggere
Edilizia: ha natura di volume tecnico la scala elicoidale che oltre a consentire il riparo e lo "smonto" della scala sul terrazzo, e' destinato a contenere impianti tecnici quali la caldaia, il quadro elettrico e il serbatoio di riserva per l’acqua
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 8.5.2014

Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato ha evidenziato come dalla descrizione in fatto fornita dall’appellante emerge che il torrino scala, oltre a consentire il riparo e lo "smonto" della scala sul terrazzo (ampia scala elicoidale necessaria per accedere al terrazzo) risultava destinato, per la superficie residuale all’ingombro della scala, ad alloggiare e contenere i seguenti impianti tecnici: caldaia, serbatoio di riserva per l’acqua, quadro elettrico. Al riguardo il Collegio rammenta precedenti (da ultimo, Cons. Stato, VI, 31 marzo 2014, n.1512) che affermano che la nozione di volume tecnico corrisponde a un’opera priva di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché destinata a contenere soltanto, senza possibilità di alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa. Sulla base di tale parametro, essendo compresi all’interno della superficie di tredici metri quadrati da un lato l’ampia scala elicoidale per accedere al terrazzo, e dall’altro lato il serbatoio di riserva di acqua, la caldaia, il quadro elettrico e in considerazione della limitata altezza del torrino, si può affermare la natura di volume tecnico dell’opera come asseritamente "ricostruita". Per scaricare la sentenza clicca su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 8.5.2014
Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato ha evidenziato come dalla descrizione in fatto fornita dall’appellante emerge che il torrino scala, oltre a consentire il riparo e lo "smonto" della scala sul terrazzo (ampia scala elicoidale necessaria per accedere al terrazzo) risultava destinato, per l ... Continua a leggere
Abusi edilizi: nessuna comunicazione di avvio del procedimento per l'adozione di misure repressive edilizie
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 8.5.2014

Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato ha respinto in quanto infondato il motivo con cui si lamenta la violazione dei doveri partecipativi per omessa previa comunicazione di avvio del procedimento tendente alla finale adozione di atti repressivi dell’abuso. Infatti, per costante giurisprudenza (es. Cons. Stato, IV, 23 gennaio 2012, n.282; VI, 24 settembre 2010, n. 7129; VI, 30 maggio 2011, n. 3223; VI, 24 maggio 2013, n. 2873; V, 9 settembre 2013, n. 4470.) l’adozione di misure repressive edilizie non è assoggettata all’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento, attesa la natura vincolata del provvedimento finale, rispetto al quale la partecipazione dell’interessato non può arrecare alcuna utilità. Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 8.5.2014
Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato ha respinto in quanto infondato il motivo con cui si lamenta la violazione dei doveri partecipativi per omessa previa comunicazione di avvio del procedimento tendente alla finale adozione di atti repressivi dell’abuso. Infatti, per costante giurisprude ... Continua a leggere
Società in house: il Consiglio di Stato conferma l’obbligo di "operare con gli enti partecipanti o affidanti" e la preclusione a "svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara. Il caso della Biennale di Venezia
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 8.5.2014

La vicenda oggetto di contenzioso verte sulla legittimità della procedura di gara indetta dalla fondazione La Biennale di Venezia con bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea (GUCE) n. 895 del 19 maggio 2012 (affidamento del servizio integrato di pulizia e presidio alle toilettes, per le manifestazioni organizzate nel biennio 2012/2013). Con sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sez. I, n. 646/13 del 3 maggio 2013 veniva accolto il ricorso, proposto dalle società Iniziative Venete soc. coop. ed Eco. Cel. s.r.l., avverso l’affidamento dell’appalto per le manifestazioni organizzate dalla Fondazione La Biennale di Venezia nel biennio 2012 – 2013, aggiudicato al raggruppamento temporaneo fra la Veritas s.p.a. e la Open Service s.r.l.. Nella citata sentenza si attribuiva carattere prioritario ed assorbente alla censura di violazione dell’art. 83, comma 4, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 per avere la commissione esaminatrice formulato sub-criteri di valutazione dopo l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche, come risutante dai verbali nn. 3 e 4 del 17 luglio 2012. Avverso detta pronuncia proponevano appello (n. 5046/13, notificato il 17 giugno 2013) le stesse società Cooperativa Iniziative Venete ed Eco Cel s.r.l. Il Consiglio di Stato ha ritenuto fondata ed assorbente la censura di violazione dell’art. 13 (Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali e a tutela della concorrenza) del d.-l. 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248. Non è contestato, infatti, che la società Veritas sia una società pubblica in house, costituita ai sensi dell’art. 113 (sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali) del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), integralmente partecipata da diversi comuni della regione Veneto, tra cui Venezia (dove ha sede la Fondazione La Biennale), nonché affidataria diretta di servizi, analoghi a quelli attualmente in esame a favore dei propri soci. L’oggetto sociale della stessa, a norma dell’art. 2 del relativo statuto, concerne attività relative a servizi pubblici locali, con obbligo di realizzare e gestire la parte prevalente della propria attività con gli enti locali associati. Per società di tal genere il citato art. 13, comma 1 (come modificato prima dall’art. 18, comma 4-septies, d.-l.. 29 novembre 2008, n. 185, aggiunto dalla relativa legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2; e poi dall’art. 48, comma 1, l. 23 luglio 2009, n. 99), del d.-l. n. 223 del 2006 impone l’obbligo di "operare con gli enti partecipanti o affidanti" e la preclusione a "svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara". Attraverso le predette limitazioni la norma intende evitare – in conformità ai principi comunitari – la distorsione della concorrenza che si determinerebbe in caso di partecipazione alle gare, indette da altri soggetti pubblici o privati, di soggetti già affidatari diretti di servizi pubblici locali, che non entrerebbero nel mercato "ad armi pari", rispetto ad altri comuni operatori del settore. Le appellate tuttavia (tra cui la Veritas s.p.a.), sottolineano che la preclusione normativa non si estende, esplicitamente, ai servizi pubblici locali (da intendere – ai sensi dell’art. 112 del d.lgs. n. 267 del 2000 - quali "servizi pubblici che abbiano per oggetto produzioni di beni ed attività, rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali"). Secondo le medesime parti appellate, inoltre, gli enti locali, in quanto enti a fini generali, potrebbero autonomamente decidere quali attività di produzione di beni e di servizi possano assumersi come doverose, purché genericamente rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile della comunità locale di riferimento (cfr. Cons. Stato, VI, 22 novembre 2013, n. 5532; Cons. St., sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6131). Di tale natura sarebbe il servizio oggetto di gara nel caso di specie, che risulterebbe, pertanto, escluso dal divieto di partecipazione alla gara di cui trattasi. Il Collegio non condivide tale prospettazione. Il ricordato art. 13 del d.-l. n. 223 del 2006, infatti, è previsione di complessa formulazione, il cui contenuto precettivo va rilevato anche sotto il profilo dell’adeguatezza costituzionale e comunitaria. La disposizione esordisce, al comma 1, enunciando la finalità "di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale": ragione fondante della norma è dunque quella non di limitare la concorrenza, ma di regolarla preventivamente, per evitare che nel mercato si creino – squilibrando a priori le corrette condizioni competitive – surrettizie posizioni di giuridico privilegio delle società pubbliche rispetto a quelle private. L’art.13, comma 2, del più volte citato d.l. n. 223 del 2005 dispone, a sua volta, che: "Le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1." La normativa in esame, dunque, introduce una preclusione generale a carico di tutte le società in house (che esercitino o meno un servizio pubblico locale) a partecipare a gare indette da terzi, per assicurare il corretto funzionamento del mercato nella nevralgica fase concorrenziale, a protezione dei principi di libera concorrenza, di par condicio e di libertà dell’iniziativa economica (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 2012, n. 3668 e 3 giugno 2013, n. 3022, che estende il divieto alle c.d. società di «terzo grado» o di «terza generazione», cioè partecipate dalle partecipate). Le società partecipate da enti locali a capitale pubblico o misto, per produrre servizi strumentali all’attività di quegli enti, debbono quindi operare solo con gli enti costituenti o partecipanti, senza svolgere prestazioni per altri soggetti pubblici o privati, né con gara né per affidamento diretto, con esclusione dei servizi pubblici locali per i quali sono state costituite. I predetti servizi potrebbero, di conseguenza, essere svolti anche a favore di soggetti diversi da quelli "costituenti, partecipanti o affidanti", sempre però che si tratti di soggetti erogatori degli stessi, quali sono, appunto, i Comuni, ma non anche – come più avanti meglio chiarito – la Fondazione Biennale di Venezia (cfr. Cons. Stato, IV, 15 marzo 2008, n. 946; V, 7 luglio 2009, n. 4346, 5 marzo 2010, n. 1282, 10 settembre 2010, n. 6527, 1 aprile 2011, n. 2012). Debbono essere prioritariamente considerati, pertanto, gli scopi per cui le cosiddette società in house vengono costituite, ovvero per compiere a favore dell’ente socio, con affidamento diretto, attività strumentali a quelle di spettanza dell’ente stesso, che viene in tal modo ad avvalersi per tali attività di propri organismi, senza necessità di ricorrere al mercato concorrenziale (Corte di Giustizia, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal e 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle). Viene quindi compiuta da tali società, sostanzialmente, un’attività amministrativa in forma privatistica, da non confondere con l’attività di impresa svolta da enti pubblici, in regime di concorrenza: si pone solo nel primo caso infatti l’esigenza di non consentire che un soggetto – in posizione giuridica tale da godere delle prerogative proprie di una pubblica amministrazione – possa svolgere al tempo stesso attività imprenditoriale (cfr. Corte cost., 1 agosto 2008, n. 326 e Cons. Stato, Ad. plen., 4 agosto 2011, n. 17). Si deve aggiungere che, nel rispetto al principio di legalità, solo una norma primaria può identificare un’attività come servizio pubblico locale: Cons. giust. am. sic., 6 ottobre 2010, n. 1266; Cons. Stato, VI, 5 aprile 2012, n. 2021; 13 settembre 2012, n. 4870, secondo cui "per identificare giuridicamente un servizio pubblico, non è indispensabile, a livello soggettivo, la natura pubblica del gestore, mentre è necessaria la vigenza di una previsione legislativa che, alternativamente, ne preveda l’istituzione e la relativa disciplina, oppure che ne rimetta l’istituzione e l’organizzazione all’Amministrazione". Sono del resto evidenti i pericoli di abuso e di disparità territoriale cui una diversa opinione potrebbe dar luogo, in spregio non solo al principio di legalità, ma anche ai principi di eguaglianza e di parità di trattamento, come prescritti e intesi anche livello comunitario. Nella situazione in esame vengono in evidenza due circostanze: la società Veritas era interamente partecipata da enti pubblici locali ed il servizio oggetto di gara era richiesto dalla Fondazione Biennale di Venezia, così denominata a norma dell’art. 1 del d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 1 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 29 gennaio 1998, n. 19 concernente "La Biennale di Venezia", ai sensi dell'articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137). Detta norma, riformando il precedente ente autonomo, ha testualmente attribuito allo stesso (art. 2) "personalità giuridica di diritto privato", ma con gestione finanziaria sottoposta – data l’importanza delle funzioni espositive assegnate (afferenti ad una tra le principali rassegne internazionali d’arte contemporanea) – al controllo della Corte dei Conti (art. 16), con prevalenza nel consiglio di amministrazione – nominato dal Ministro per i beni e le attività culturali – di esponenti del Comune di Venezia e della Provincia di Venezia, nonché della Regione Veneto (art. 9). Dal punto di vista soggettivo, la Fondazione può dunque qualificarsi come organismo di diritto pubblico, ovvero come amministrazione aggiudicatrice - ai sensi dell’art. 3, commi 25 e 26, del d.lgs. n. 163 del 2006 – tenuto conto della ricorrenza in essa dei requisiti al riguardo comunemente richiesti (a partire dalla sentenza Corte di Giustizia, 10 novembre 1998, C-360/96), e così sintetizzabili: I) finalità di interesse generale, a carattere non industriale o commerciale, II) personalità giuridica, III) attività finanziata in via maggioritaria dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, "oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri, dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico" (sul carattere cumulativo di detti requisiti, salvo il carattere alternativo di quelli di cui al punto III, Cass., SS.UU. 7 aprile 2010, n. 8225). La medesima Fondazione, in ogni caso, non è dalla legge che la regola (e che ne stabilisce gli specifici scopi: art. 3 d.lgs. n. 19 del 1998, come mod. dall’art. 3 d.lgs. n. 1 del 2004) legittimata allo svolgimento di attività di servizio pubblico locale. Essa peraltro può, in base al criterio della strumentalità, fornire al pubblico altri servizi, purché complementari agli eventi culturali che organizza e solo per la più agevole fruizione di questi ultimi (non, quindi, come servizi destinati alla utilizzazione pubblica territoriale). Nell’ottica sopra indicata deve inquadrarsi il servizio di pulizia e attività connesse, che è oggetto del presente giudizio. Per la scelta dei soggetti cui affidare dette attività complementari, la rammentata natura dell’ente quale organismo di diritto pubblico imponeva di ricorrere, nel caso di specie, a procedure ad evidenza pubblica, a norma del citato d.lgs. n. 163 del 2006 e da tale procedura, in base alla disposizione legislativa ed ai principi in precedenza richiamati, erano escluse la società in house di altre amministrazioni pubbliche. Non appaiono idonee a confutare tale conclusione le controdeduzioni di Veritas s.p.a.. Quest’ultima sottolinea sia il carattere di servizio pubblico locale delle prestazioni richieste per la gara di appalto in esame (in quanto destinate alla collettività degli utenti), sia la propria abilitazione a svolgere (oltre all’attività propriamente in house) anche attività di diritto comune a beneficio di terzi privati, in regime di concorrenza, con conseguente assenza – a detta della stessa – del carattere di società ad "oggetto sociale esclusivo" , come prescritto dall’art. 13, comma 2, per le società di cui al comma 1 della normativa in esame. Si deve ribadire tuttavia, sotto il primo profilo, che non si tratta nella specie di un servizio pubblico locale: detto servizio è infatti rivolto a una platea indifferenziata di fruitori, per il soddisfacimento di bisogni diretti della collettività rimessi alla cura del relativo ente esponenziale, mentre diverse – e propriamente culturali – sono le finalità perseguite dalla Fondazione Biennale di Venezia. Solo in funzione delle proprie finalità istituzionali – e con le modalità prescritte per gli organismi di diritto pubblico – detta Fondazione può organizzare servizi accessori e strumentali (come quello di pulizia e connessi) rispetto alle esposizioni programmate, come avvenuto nel caso di specie. Quanto all’"oggetto sociale esclusivo", non risulta smentito che Veritas sia una società a capitale interamente pubblico, costituito da diversi comuni veneti, né che la stessa sia affidataria diretta di servizi pubblici, dal contenuto analogo a quello oggetto della gara in esame, a favore degli enti locali soci, con allegazione dell’effettività di tali servizi per comprovare la relativa, contestata capacità economico-finanziaria. La previsione statutaria, concernente la possibilità di fornire servizi anche a soggetti privati (non tenuti ad applicare le procedure ad evidenza pubblica), non appare circostanza sufficiente ed idonea ad escludere l’applicazione dell’art. 13, comma 1, del d.l. n. 223 del 2006, la cui ratio è stata in precedenza illustrata. Trattandosi di valutare un requisito di capacità piuttosto che di oggetto sociale, infatti, va rammentato che non è lo statuto a stabilire la latitudine della legittimazione alle gare pubbliche di una persona giuridica, ma la sua effettiva configurazione correlata alle previsioni di legge. La disposizione dell’art. 13, comma 2, secondo cui le società non ammesse alle gare sono quelle che hanno "oggetto sociale esclusivo", non significa che le società multiutilities siano automaticamente escluse dal divieto in questione [e che dunque siano legittimate a partecipare a gare indette da terze amministrazioni]; la locuzione va infatti riferita non alle attività nominalmente enunciate nell’oggetto sociale, ma all’effettivo rapporto instaurato con gli enti locali di riferimento: tale rapporto, se esclusivo, viene oggettivamente a ridurre l’ambito delle attività e non consente proiezioni extra ambito; anche le società di tal tipo, se integralmente partecipate da enti locali, essendo qualificabili come società strumentali, debbono rivolgere la propria attività in via esclusiva a favore di tali enti, tenuto conto delle ragioni che hanno indotto ad escludere dalle procedure ad evidenza pubblica le società, che possano considerarsi una derivazione, o una longa manus, dell’ente o degli enti pubblici controllanti, dato il rapporto di strumentalità fra le attività delle imprese in questione e le esigenze di interesse generale che detti enti sono tenuti a soddisfare (Cons. St. sez. V, 3 giugno 2013, n. 3022 cit). E’ vero che, in alcuni casi, è stata giustificata la partecipazione a procedure di gara di imprese che fornivano anche servizi ad enti locali, partecipanti all’assetto societario: ma – occorre osservare - con prioritario riferimento a società a partecipazione mista, che avevano in qualche modo differenziato l’attività svolta per le amministrazioni partecipanti da quella strettamente imprenditoriale (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. n. 17 del 2011 cit.; V, 7 luglio 2009, n. 4346), restando precluso l’accesso all’affidamento diretto di società che non presentassero tutti i requisiti della situazione in house, sotto il profilo sia dell’assetto proprietario che dei controlli (Cons. Stato, Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1). Non può quindi ritenersi configurabile, riguardo a una medesima società, la contemporanea sussistenza della legittimazione a ricevere l’affidamento diretto di servizi pubblici e della legittimazione ad agire in ambito concorrenziale, con i particolari vantaggi derivanti da detto affidamento e conseguente elusione dei principi di effettività della concorrenza tutelati dalla normativa in esame (normativa finalizzata, come già ricordato, ad evitare alterazioni o distorsioni del mercato, nonché ad assicurare la parità degli operatori sul territorio nazionale). Deve ritenersi, pertanto, che la preclusione imposta dall’art. 13, comma 1 della norma in esame sussistesse nel caso di specie, avendo il secondo comma della stessa carattere ulteriormente prescrittivo, indirizzato a porre in termini alternativi la possibilità delle società costituite dagli enti locali di ottenere affidamenti diretti, o di avere oggetto sociale non esclusivo. Ad avviso del Collegio, in altre parole, quando sia di fatto riscontrabile la presenza di affidamenti diretti – tali da porre le società interessate in condizioni di non parità con altri operatori del settore, nei termini in precedenza evidenziati – l’eventuale non esclusività dell’oggetto sociale, ove delineata nello statuto, recede e deve essere disattesa rispetto alla limitazione legale di legittimazione in precedenza indicata: diversamente opinando, le società in house potrebbero facilmente aggirare ogni restrizione imposta, con vanificazione delle regole dettate a tutela della concorrenza. Anche per quanto concerne il profilo oggettivo, poi, non solo mancava una norma primaria, che prevedesse il servizio pubblico locale in questione, ma la stessa rammentata limitazione delle finalità della Fondazione precludeva alla stessa di svolgere un’attività di servizio pubblico locale. Nel caso di specie, conclusivamente, il Collegio ritiene che non sussistessero le condizioni di partecipazione alla gara della società Veritas. L’accoglimento della censura di violazione dell’art. 13, comma 1, del d.l. n. 223 del 2006 riveste, con evidenza, carattere assorbente, poiché il rispetto della norma avrebbe imposto l’esclusione dalla gara del Raggruppamento Veritas s.p.a.-Open Service s.r.l., per ragioni attinenti alla legittimazione della mandante Veritas a presentare domanda di partecipazione. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 8.5.2014
La vicenda oggetto di contenzioso verte sulla legittimità della procedura di gara indetta dalla fondazione La Biennale di Venezia con bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea (GUCE) n. 895 del 19 maggio 2012 (affidamento del servizio integrato di pulizia e presidio alle toil ... Continua a leggere
Avvalimento: l'interpretazione del Consiglio di Stato del contenuto del contratto di avvalimento relativamente all'indicazione compiuta, esplicita ed esauriente delle risorse e dei mezzi prestati in modo determinato e specifico
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 8.5.2014

La questione sottoposta all’esame della Sesta Sezione del Consiglio di Stato attiene alla validità dell’avvalimento nell’ambito di una procedura di affidamento in concessione del servizio di gestione di un parcheggio. L’appello e' stato rigettato. L’art. 49 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) prevede, al primo comma, che il concorrente, singolo o consorziato o raggruppato, in relazione ad una specifica gara di lavori, servizi, forniture può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell’attestazione SOA di altro soggetto. Il secondo comma della stessa disposizione prevede che, «ai fini di quanto previsto nel comma 1», il concorrente allega, «oltre all’eventuale attestazione SOA propria e dell’impresa ausiliaria», tra l’altro: – una sua dichiarazione, «attestante l’avvalimento dei requisiti necessari per la partecipazione alla gara, con specifica indicazione dei requisiti stessi e dell’impresa ausiliaria» (lettera a); – «una dichiarazione sottoscritta dall’impresa ausiliaria con cui quest’ultima si obbliga verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente» (lettera d); – in originale o copia autentica il contratto in virtù del quale l’impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto (lettera f)). La stessa disposizione prevede, al comma 4, che «il concorrente e l’impresa ausiliaria sono responsabili in solido nei confronti della stazione appaltante in relazione alle prestazioni oggetto del contratto». Queste disposizioni contemplano un procedimento complesso composto dai atti unilaterali del concorrente (lettera a)), dell’impresa ausiliaria (lettera d)) indirizzati alla stazione appaltante, nonché da un contratto tipico di avvalimento (lettera f)) stipulato tra il concorrente e l’impresa ausiliaria. Le parti principale e ausiliaria devono impegnarsi a mettere a disposizione non il solo requisito soggettivo «quale mero valore astratto», ma è necessario, come ha già avuto afferma la giurisprudenza, che risulti con chiarezza che l’ausiliaria presti «le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che giustificano l’attribuzione del requisito di qualità (a seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti) » (Cons. Stato, VI, 13 giugno 2013, n. 7755; Cons. Stato, III, 18 aprile 2011, n. 2344). E inoltre, con riferimento al contratto di avvalimento, l’esigenza di una puntuale individuazione del suo oggetto, «oltre ad avere un sicuro ancoraggio sul terreno civilistico, nella generale previsione codicistica che configura quale causa di nullità di ogni contratto l’indeterminatezza (ed indeterminabilità) del relativo oggetto, trova la propria essenziale giustificazione funzionale, inscindibilmente connessa alle procedure contrattuali del settore pubblico, nella necessità di non permettere - fin troppo - agevoli aggiramenti del sistema dei requisiti di ingresso alle gare pubbliche (requisiti pur solennemente prescritti e, di solito, attentamente verificati nei confronti dei concorrenti che se ne dichiarino titolari in proprio) ». In questa prospettiva, «la pratica della mera riproduzione, nel testo dei contratti di avvalimento, della formula legislativa della messa a disposizione delle "risorse necessarie di cui è carente il concorrente" (o espressioni similari) si appalesa, oltre che tautologica (e, come tale, indeterminata per definizione), inidonea a permettere qualsivoglia sindacato, da parte della Stazione appaltante, sull’effettività della messa a disposizione dei requisiti» (Cons. Stato, V, 6 agosto 2012, n. 4510). L’art. 88, comma 1, lett. a), del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE») ha recepito, a livello normativo, questi principi, stabilendo che il contratto di avvalimento deve riportare «in modo compiuto, esplicito ed esauriente (…) le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e specifico». L’esigenza di determinazione dell’oggetto del contratto di avvalimento esiste anche con riferimento alla dichiarazione unilaterale in quanto «nell’istituto dell’avvalimento l’impresa ausiliaria non è semplicemente un soggetto terzo rispetto alla gara, dovendosi essa impegnare non soltanto verso l'impresa concorrente ausiliata ma anche verso la stazione appaltante a mettere a disposizione del concorrente le risorse di cui questi sia carente, sicché l’ausiliario è tenuto a riprodurre il contenuto del contratto di avvalimento in una dichiarazione resa nei confronti della stazione appaltante» (Cons. Stato, VI, 13 maggio 2010, n. 2956). Infatti occorre soddisfare «esigenze di certezza dell’amministrazione», essendo la dichiarazione dell’impresa ausiliaria «volta a soddisfare l’interesse della stazione appaltante ad evitare, dopo l’aggiudicazione, l’insorgere di contestazioni sugli obblighi dell’ausiliario» (Cons. Stato, VI, n. 2956 del 2010, cit.). Per continuare nella lettura della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 8.5.2014
La questione sottoposta all’esame della Sesta Sezione del Consiglio di Stato attiene alla validità dell’avvalimento nell’ambito di una procedura di affidamento in concessione del servizio di gestione di un parcheggio. L’appello e' stato rigettato. L’art. 49 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n ... Continua a leggere
Appalti: se l'impresa concorrente rende una dichiarazione dubbia sul rispetto delle norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili e' consentito alla Commissione richiedere chiarimenti al concorrente
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 9.5.2014

La Terza Sezione del Consiglio di Stato rileva nel giudizio in esame come la comminatoria di esclusione per le imprese che non dichiarino preventivamente di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili concerne, per l’appunto, i casi di dichiarazione mancante e non di dichiarazione equivoca, poco chiara o erronea, come nella fattispecie. In tali casi, non può ritenersi "mancante" la dichiarazione, residuando solo margini di dubbio all’interprete circa l’effettiva volontà del dichiarante, come nel caso in esame in cui i concorrenti hanno barrato le due opzioni possibili in relazione all’art. 17 della l. n. 68/1999. Se è stata resa una dichiarazione dal tenore dubbio o contraddittorio, deve ritenersi consentito alla Commissione richiedere l’intervento chiarificatore del concorrente in relazione a quanto dichiarato. Ciò in ossequio al disposto dell’art. 46, comma 1, del codice dei contratti, che disciplina il c.d. "potere di soccorso" della stazione appaltante, la cui estensione è stata oggetto della recente pronuncia dell’A.P. n. 9 del 25.2.2014. La norma consente, nei limiti previsti dagli articoli da 38 a 45, se necessario, che i concorrenti siano invitati a completare o fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati, riguardanti i requisiti generali per l’ammissione a gara. Essa rappresenta un’espressione, nel settore delle gare pubbliche, del più generale principio di cui all'art. 6, comma1, lett. b), l. n. 241 del 1990, secondo cui il responsabile del procedimento adotta ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria e può chiedere "il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete...". Il principio soddisfa la primaria esigenza di consentire la massima partecipazione alla selezione, consentendo di correggere l'eccessivo rigore delle forme insito nella logica "della caccia all'errore" e di eliminare quelle situazioni di esclusioni dalle gare anche per violazioni puramente formali. Come chiarito dall’Adunanza Plenaria, nelle procedure di gara il "potere di soccorso", sostanziandosi unicamente nel dovere della stazione appaltante di regolarizzare certificati, documenti o dichiarazioni già esistenti, ovvero di completarli ma solo in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione, chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi, fornire interpretazioni di clausole ambigue nel rispetto della par condicio dei concorrenti, non consente la produzione tardiva del documento o della dichiarazione mancante o la sanatoria della forma omessa, ove tali adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal codice dei contratti pubblici, dal regolamento di esecuzione e dalle leggi statali. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 9.5.2014
La Terza Sezione del Consiglio di Stato rileva nel giudizio in esame come la comminatoria di esclusione per le imprese che non dichiarino preventivamente di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili concerne, per l’appunto, i casi di dichiarazione mancante e n ... Continua a leggere
L’ordine di sospensione dell’attività edilizia abusiva non deve necessariamente precedere l’ordine di demolizione
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 9.5.2014

Per consolidata giurisprudenza l’ordine di sospensione dell’attività edilizia abusiva, in ragione del carattere meramente eventuale delle esigenze cautelari che possono determinarlo, non deve necessariamente precedere l’ordine di demolizione, ma può anche non esservi affatto, e pertanto, anche l’adozione di un ordine di sospensione superfluo, per essersi ormai consumate le esigenze cautelari che potevano giustificarlo, non può certo rifluire sull’ordine di demolizione in modo da renderlo illegittimo (cfr. Cons. Stato, sez. II, 18 gennaio 2006, parere nr. 408, con riferimento a fattispecie in cui la notifica dell’ordine di sospensione era stata contestuale a quella dell’ordine di demolizione). Conclude in Consiglio di Stato che alla luce dei rilievi che precedono, appare dunque evidente l’estraneità al caso che occupa delle altre e diverse norme invocate dagli appellanti: ciò vale non solo per il già citato art. 7 della legge nr. 47 del 1985, ma anche per l’art. 32 della legge 17 agosto 1942, nr. 1150, del quale pure si assume la violazione. Infondato è pure il secondo motivo di appello, col quale da un lato si reitera la censura di mancata ponderazione degli interessi pubblici e privati in conflitto e dall’altro si ribadiscono le critiche al modus procedendi seguito dal Comune per l’affidamento degli interventi di demolizione e per la successiva quantificazione e liquidazione delle spese di cui è stato chiesto il rimborso. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 9.5.2014
Per consolidata giurisprudenza l’ordine di sospensione dell’attività edilizia abusiva, in ragione del carattere meramente eventuale delle esigenze cautelari che possono determinarlo, non deve necessariamente precedere l’ordine di demolizione, ma può anche non esservi affatto, e pertanto, anche l’ad ... Continua a leggere
Abusi edilizi: anche se l'opera abusiva e' in astratto sanabile il Comune può adottare l'ordinanza di demolizione
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 9.5.2014

Il Consiglio di Stato ha escluso che l’iniziativa demolitoria dell’Amministrazione dove essere preceduta da una previa valutazione in astratto su una possibile sanabilità delle opere in quanto, quand’anche tale valutazione avesse avuto esito positivo, ciò non sarebbe stato idoneo né sufficiente a precludere il legittimo esercizio del potere repressivo ex art. 4, comma 2, della legge nr. 47 del 1985. Tale statuizione trova il suo fondamento nell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui la procedura di cui alla disposizione testé citata può essere posta in essere non solo in ipotesi di opere eseguite su aree gravate da vincoli di inedificabilità assoluta, ma anche in caso di vincoli "relativi" (e, quindi, di opere abusive ma in astratto sanabili), senza che possa predicarsi un "diritto alla sanatoria" del responsabile degli abusi, suscettibile di paralizzare l’iniziativa doverosa del Comune (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2002, nr. 125). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 9.5.2014
Il Consiglio di Stato ha escluso che l’iniziativa demolitoria dell’Amministrazione dove essere preceduta da una previa valutazione in astratto su una possibile sanabilità delle opere in quanto, quand’anche tale valutazione avesse avuto esito positivo, ciò non sarebbe stato idoneo né sufficiente a p ... Continua a leggere
Abusi edilizi: non è necessario che il Comune notifichi il verbale di accertamento dell'inottemperanza all'ordinanza di demolizione al responsabile dell'abuso prima di adottare il provvedimento con cui si disponga l'acquisizione gratuita
segnalazione ddl Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 8.5.2014

Nella vicenda in esame si è consolidato e reso intangibile l’ordine di demolizione, come da giudicato intervenuto tra le parti (sentenza del T.a.r. Campania, sez. II, 23 giugno 2006 n. 7166, confermata dalla decisione di questo Consiglio, sez. IV, 27 giugno 2007 n. 3757). Situazione d’irreversibilità, quella innanzi descritta, che discende altresì dal giudicato penale del Tribunale di Napoli di cui alla sent. n. 17020 dell’11 maggio 2009 (irrevocabile dal 3 gennaio 2012), con cui è stata disposta la demolizione, se non altrimenti eseguita, delle opere abusive in questione. Recita l’art. 31, comma terzo, del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, che "Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita". Da ciò deriva, ove l'ordine di demolizione non eseguito sia divenuto inoppugnabile, che l'autore dell'abuso non può far valere in sede d’impugnativa, relativamente all'atto dichiarativo dell'avvenuta acquisizione gratuita, eccezioni in merito alla natura dell'intervento ed al tipo di sanzione applicata ma, unicamente, vizi formali e procedurali inerenti alla fase d’impossessamento del bene da parte del comune. Relativamente a tale stadio dell’impugnazione, prevede poi il successivo comma quarto del predetto articolo, che "L'accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al precedente comma, previa notificazione all'interessato, costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente". Vale a dire che il provvedimento con il quale viene disposta l'acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio comunale ha, nella configurazione della suddetta disposizione, carattere meramente dichiarativo, in quanto interviene automaticamente per effetto dell’inottemperanza all'ordine di demolizione. Né giova al ricorrente riportarsi a sospensioni cautelari intervenute nel corso delle acquisizioni istruttorie, comunque superate dalla decisione finale di merito, che ha disatteso ogni censura inerente alle sanatorie o alla sanabilità dell’intervento ed al titolo comunale d’immissione in possesso conseguente alla riscontrata inottemperanza, alla luce dell’incontrovertibile giudicato sulla demolizione del manufatto per violazione delle regole urbanistiche relative alle distanze. D’altro canto, poiché la notificazione del verbale di accertamento dell'inottemperanza all'ordinanza di demolizione non ha alcun contenuto dispositivo, limitandosi a constatare in via ricognitiva e vincolata l'inadempimento dell'ordine di demolizione, non è quindi necessario che lo stesso venga notificato al responsabile dell'abuso prima di adottare il provvedimento con cui si disponga l'acquisizione gratuita, rilevando l'adempimento della notificazione all'interessato dell'accertamento formale dell'inottemperanza, pienamente idoneo a consentire all'ente l'immissione in possesso e la trascrizione nei registri immobiliari del titolo dell'acquisizione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. 12 dicembre 2008 n. 6174; Cassazione penale , sez. III, sent. 28 novembre 2007 n. 4962). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione ddl Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 8.5.2014
Nella vicenda in esame si è consolidato e reso intangibile l’ordine di demolizione, come da giudicato intervenuto tra le parti (sentenza del T.a.r. Campania, sez. II, 23 giugno 2006 n. 7166, confermata dalla decisione di questo Consiglio, sez. IV, 27 giugno 2007 n. 3757). Situazione d’irreversibil ... Continua a leggere