News 27 Luglio 2014 - Area Tecnica


NORMATIVA

Soppressione AVCP: chiarimenti A.N.AC. sulle modalità transitorie di comunicazioni in materia di vigilanza sui contratti pubblici

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L'Autorità Nazionale Anticorruzione, alla quale sono state trasferite le competenze della soppressa Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, con apposito comunicato ha chiarito che - relativamente alle modalità transitorie di comunicazione a seguito dell’entrata in vigore del decreto legge del24 giugno 2014 n. 90 - le comunicazioni in materia di vigilanza sui contratti pubblici e in genere relative alle attività svolte dalla soppressa AVCP devono continuare ad essere inviate agli uffici e ai recapiti indicati sul sito della soppressa AVCP. Le comunicazioni in materia di anticorruzione e trasparenza, così come integrate dal decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 e le richieste di parere sulla costituzione degli Organismi Indipendenti di Valutazione devono continuare ad essere inviate seguendo le indicazioni dei comunicati pubblicati sul sito dell’A.N.AC.

 
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Usura: in Gazzetta Ufficiale i nuovi tassi effettivi globali medi per la determinazione degli interessi usurari dal 1 luglio al 30 settembre 2014

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E' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze del 25 giugno 2014, che entra in vigore il 1 luglio, recante "Pubblicazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull'usura (legge 7 marzo 1996 n. 108). Periodi di rilevazione 1º gennaio - 31 marzo 2014. Applicazione dal 1º luglio al 30 settembre 2014". Nell'Allegato al decreto (scaricabile cliccando su "Accedi al Provvedimento") sono indicati in apposita tabella i tassi effettivi globali medi, riferiti ad anno, praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari, determinati ai sensi dell'art. 2, comma 1, della legge 7 marzo 1996, n. 108, relativamente al trimestre 1° gennaio 2014 - 31 marzo 2014. A decorrere dal 1° luglio 2014 ai fini della determinazione degli interessi usurari i tassi riportati nella tabella devono essere aumentati di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori 4 punti percentuali. La differenza tra il limite e il tasso medio non puo' essere superiore a otto punti percentuali. Ai sensi dell'art. 3 del decreto le banche e gli intermediari finanziari sono tenuti ad affiggere in ciascuna sede o dipendenza aperta al pubblico in modo facilmente visibile la tabella riportata nell'Allegato.

 
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E' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze del 25 giugno 2014, che entra in vigore il 1 luglio, recante "Pubblicazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull'usura (legge 7 marzo 1996 n. 108). Periodi di rilevazione 1º ge ... Continua a leggere

 

Settore Agricolo: pubblicato in GU il dl n. 91/2014

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L'articolo 6 del dl n.91/2014 prevede l'istituzione, presso l'Inps, di una "Rete del lavoro agricolo di qualità" rivolto alle imprese del settore agricole con istanza da presentarsi telematicamente allo stesso Istituto che provvederà successivamente a pubblicare un apposito elenco sul sito istituzionale. Lo scopo di tale norma e' quello di realizzare un più efficace utilizzo delle "risorse ispettive" disponibili, sia appartenenti al Ministero del Lavoro e politiche sociali, che appartenenti all'Inps, che verranno conseguentemente "orientate" per svolgere l'attività di vigilanza istituzionale nei soli confronti delle imprese non appartenenti alla Rete del lavoro agricolo di qualità, ad eccezione, comunque, dei casi di richiesta di intervento promossa direttamente dal lavoratore, dai sindacati, dalle Autorità giudiziarie e amministrative. Restano fermi, ad ogni modo, i controlli ordinari in materia di tutela della salute e sicurezza dei luoghi di lavoro. La partecipazione delle imprese agricole, di cui all'ex articolo 2135 del codice civile, alla suddetta Rete di lavoro agricolo di qualita', e' subordinata al possesso di una serie di requisiti: a) non avere avuto condanne penali o procedimenti penali in corso relativi alla fattispecie lavoristica o attinente alla materia tributaria b) non essere incorsi, negli ultimi tre anni, in sanzioni amministrative definitive per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale ovvero materia tributaria c) essere in regola con i versamenti dei contributi previdenziali. Per accedere al dl cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 
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Processo Amministrativo: le novità introdotte dal DL n. 90/2014 per accelerare i giudizi in materia di appalti pubblici

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Ai giudizi introdotti con ricorso depositato, in primo grado o in grado di appello, in data successiva al 25 giugno 2014 si applicano le nuove norme stabilite dall'art. 40 del decreto legge 24.6.2014 n. 90 rubricato "Misure per l'ulteriore accelerazione dei giudizi in materia di appalti pubblici". In primo luogo e' stato modificato il comma 6 dell'art. 120 dell'allegato 1 del decreto legislativo n. 104/2010 (Codice del processo amministrativo). La nuova disposizione prevede che: "Il giudizio, ferma la possibilita' della sua definizione immediata nell'udienza cautelare ove ne ricorrano i presupposti, viene comunque definito con sentenza in forma semplificata ad una udienza fissata d'ufficio e da tenersi entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. Della data di udienza e' dato immediato avviso alle parti a cura della segreteria, a mezzo posta elettronica certificata. In caso di esigenze istruttorie o quando e' necessario integrare il contraddittorio o assicurare il rispetto di termini a difesa, la definizione del merito viene rinviata, con l'ordinanza che dispone gli adempimenti istruttori o l'integrazione del contraddittorio o dispone il rinvio per l'esigenza di rispetto dei termini a difesa, ad una udienza da tenersi non oltre trenta giorni.". Viene inoltre introdotto il nuovo comma 8-bis con il quale si prevede che: "Il collegio, quando dispone le misure cautelari di cui al comma 4 dell'art. 119, ne subordina l'efficacia alla prestazione, anche mediante fideiussione, di una cauzione, salvo che ricorrano gravi ed eccezionali ragioni specificamente indicate nella motivazione dell'ordinanza che concede la misura cautelare. Tali misure sono disposte per una durata non superiore a sessanta giorni dalla pubblicazione della relativa ordinanza, fermo restando quanto stabilito dal comma 3 dell'articolo 119". Da ultimo viene modificato il comma 9 prevedendosi che il Tribunale amministrativo regionale deposita la sentenza con la quale definisce il giudizio entro venti giorni dall'udienza di discussione, ferma restando la possibilità di chiedere l'immediata pubblicazione del dispositivo entro due giorni. Per accedere al decreto cliccare su "Accedi al provvedimento".

 
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Ai giudizi introdotti con ricorso depositato, in primo grado o in grado di appello, in data successiva al 25 giugno 2014 si applicano le nuove norme stabilite dall'art. 40 del decreto legge 24.6.2014 n. 90 rubricato "Misure per l'ulteriore accelerazione dei giudizi in materia di appalt ... Continua a leggere

 

Contratti Pubblici: sanzione pecuniaria al concorrente fino a 50mila euro garantita da cauzione provvisoria in caso di mancanza, incompletezza o altre irregolarità essenziale delle dichiarazioni sostitutive

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Per le gare successive al 25 giugno 2014 valgono le nuove norme stabilite nel decreto legge 24.6.2014 n. 90 recante "Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari". In particolare l'art. 39 del decreto legge rubricato "Semplificazione degli oneri formali nella partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici" ha modificato l'art. 38 del Codice dei Contratti Pubblici prevedendo espressamente che: "All'articolo 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dopo il comma 2, e' inserito il seguente: «2-bis. La mancanza, l'incompletezza e ogni altra irregolarita' essenziale delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all'uno per mille e non superiore all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento e' garantito dalla cauzione provvisoria. In tal caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perche' siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. Nei caso di irregolarita' non essenziali, ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, ne' applica alcuna sanzione. In caso di inutile decorso del termine di cui al secondo periodo il concorrente e' escluso dalla gara. Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, ne' per l'individuazione della soglia di anomalia delle offerte.». 2. All'articolo 46 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dopo il comma 1-bis, e' inserito il seguente: «1-ter. Le disposizioni di cui all'articolo 38, comma 2-bis, si applicano a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarita' delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara.». Per accedere al decreto legge cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 
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Per le gare successive al 25 giugno 2014 valgono le nuove norme stabilite nel decreto legge 24.6.2014 n. 90 recante "Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari". In particolare l'art. 39 del decreto legge rubricato "Semplificazi ... Continua a leggere

 

Società Partecipate e holding comunali: l'A.N.AC precisa gli obblighi anticorruzione

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Ai fini dell’applicazione della legge n. 190/2012 e del Piano nazionale anticorruzione, le holding comunali e le società partecipate dalle stesse sono ricomprese nella categoria degli enti di diritto privato in controllo pubblico, a condizione che esercitino attività di gestione di servizi pubbliciovvero siano sottoposte a controllo da parte di diverse amministrazioni pubbliche. Esse sono tenute ad adottare i modelli di organizzazione e gestione del rischio sulla base del d.lgs. n. 231/2001, implementati con adeguate misure organizzative e gestionali, al fine di dare attuazione alle norme contenute nella l. n. 190/2012 o, in mancanza, ad adottare il Piano triennale di prevenzione della corruzione (par. 3.1.1 del PNA).

 
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GIURISPRUDENZA

Anomalia dell'offerta: il Consiglio di Stato ribadisce i principi giurisprudenziali consolidati

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 9.7.2014

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Nel giudizio in esame la Terza Sezione del Consiglio di Stato ribadisce ricordati i principi giurisprudenziali affermati in materia di verifica dell'anomalia dell'offerta, ovvero che il giudizio della stazione appaltante costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale, che renda palese l'inattendibilità complessiva dell'offerta; di conseguenza il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni della p.a. sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell'istruttoria, ma non procedere ad una autonoma verifica della congruità dell'offerta e delle singole voci, che costituirebbe un'inammissibile invasione della sfera propria della p.a..Anche l'esame delle giustificazioni prodotte dai concorrenti a dimostrazione della non anomalia della propria offerta rientra nella discrezionalità tecnica dell' amministrazione, con la conseguenza che soltanto in caso di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti, oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto, il giudice di legittimità può intervenire, fermo restando l'impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello dell' amministrazione. (Consiglio di Stato, sez. V, 26 settembre 2013, n. 4761; sez. III, 24 settembre 2013, n. 4711).2. In fatto, occorre preliminarmente considerare che nel caso all’esame la commissione di gara, essendo emersi alcuni elementi di perplessità in relazione alle singole voci di costo che avevano concorso a determinare il prezzo offerto, aveva disposto l’acquisizione di ulteriori precisazioni da parte della Centralpol, ritenendo che i giustificativi in un primo tempo dalla stessa forniti non fossero sufficienti a superare il sospetto di anomalia. In una seconda fase, la commissione di gara richiedeva il coinvolgimento della struttura legale della Regione Lazio per svolgere approfondimenti suppletivi, in specie in ordine al costo orario del personale in relazione alla previsione di un solo scatto di anzianità a fronte di due scatti previsti dalle tabelle ministeriali, alla durata massima del contratto di apprendistato per il VI° livello ( pari a 24 mesi a fronte dei 36 mesi di durata dell’appalto ), al prezzo orario offerto da Centralpol per i servizi di portierato ( nel quale era ricompreso l’utile indicato dalla aggiudicataria di 0,10 euro ad ora ) ed infine in relazione ai costi di gestione. A conclusione del procedimento di verifica, la commissione e successivamente la stazione appaltante, aderendo pienamente ai pareri legali forniti dagli avvocati regionali che avevano ritenuto la offerta della Centralpol complessivamente sostenibile, aggiudicavano la gara alla Centralpol. La doglianza avanzata in via generale dalla appellante è riferita al fatto che la commissione, aderendo ai pareri legali di cui sopra, avrebbe dovuto più ampiamente ed analiticamente articolare le ragioni che avevano indirizzato a giudicare la offerta della Centralpol come sostenibile. Tale doglianza non ha pregio. Al riguardo valgono le conclusioni della giurisprudenza, secondo le quali le problematiche relative alla motivazione della anomalia della offerta si pongono in termini notevolmente diversi a seconda del grado e del tipo di anomalia che abbia dato luogo alla verifica dell’offerta. Infatti, qualora si proceda, come nel caso di specie, alla verifica a norma dell’art. 86, co. 3, del codice dei contratti, recante l’ipotesi in cui l’offerta migliore ha riportato un punteggio non inferiore ai quattro quinti del massimo tanto per l’aspetto tecnico quanto per l’aspetto economico, non occorre una motivazione particolarmente approfondita, non potendosi neppure parlare di offerta sospetta di anomalia, bensì solo di verifica effettuata per scelta discrezionale dell’Amministrazione; e, com’è noto e come già accennato, Il procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta si connota per poteri, che, poiché inerenti la verifica dell'anomalia delle offerte, attengono alla sfera propria di discrezionalità tecnica della stazione appaltante, sicché il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni compiute dalla p.a. sotto il profilo della loro logicità e ragionevolezza e della congruità dell'istruttoria, ma non può operare autonomamente siffatta verifica, pena l’invasione di quella sfera tipica (Consiglio di Stato, sez. III, 13/12/2013, numero 5984).....La verifica della anomalia della offerta deve essere invero valutata nel suo insieme, servendo le giustificazioni della impresa ed il contraddittorio che con essa si instaura ai sensi dell’art. 88 del d.lgs. n.163 del 2006 ad accertare l’effettiva sostenibilità e affidabilità dell’offerta nel suo complesso. In realtà, l'anomalia è frutto di un giudizio sull'offerta di carattere globale e sintetico sull'attendibilità dell'offerta nel suo complesso, in relazione all'incidenza di tutte le singole voci eventualmente giudicate inattendibili, al fine di valutare se la singola inesattezza di una voce del prezzo offerto incida in modo significativo sulla serietà e attendibilità dell'offerta complessiva, tenuto anche conto dell'entità della voce stessa nell'economia dell'offerta, e se trovi rispondenza nella realtà di mercato e aziendale; non è invece ipotizzabile che possa farsi discendere un giudizio di anomalia da una singola voce (Consiglio di Stato, sez. III, 08 ottobre 2012, n. 5238; da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 05/12/2013, numero 5781 ). Nel caso di specie, la stazione appaltante, nell’esaminare le giustificazioni addotte al riguardo dalla Centralpol, ha logicamente tenuto conto del fatto che i servizi di portierato/reception nel Presidio Ospedaliero dell’Addolorata avevano un rilievo marginale nell’economia generale dell’appalto costituito in larga misura dal servizio di vigilanza e, comunque, per tale servizio di portierato/reception sarebbero state utilizzate, in minima percentuale, rispetto all’intero organico necessario allo svolgimento del servizio, "unità che godono delle agevolazioni contributive (mobilità e apprendistato)", infine che potevano ipotizzarsi dei casi che avrebbero determinato una riduzione dei costi al terzo anno dell’appalto. Conseguentemente, anche ad ipotizzare alcuni scostamenti dalle indicazioni di Centralpol quanto al calcolo del costo del personale in apprendistato, poiché il numero delle unità di personale utilizzato in tale posizione era oggettivamente minimo e comunque la disciplina dei contratti collettivi consentiva, in certe ipotesi, delle riduzioni di costo, gli scostamenti non erano tali da determinare la sostanziale incongruità della offerta. Quanto sopra trova ulteriore conferma nel fatto che, secondo la giurisprudenza amministrativa più volte richiamata dal primo giudice, i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali non costituiscono un limite inderogabile, ma solamente un parametro di valutazione della congruità della offerta ed un eventuale scostamento non legittima ex se un giudizio di anomalia, potendo essere accettato quando aliunde risulti giustificato (Cons. Stato, IV, 22 marzo 2013, n. 1633); ed invero, nella valutazione della congruità delle offerte presentate nelle procedure di affidamento di servizi devono considerarsi anormalmente basse le offerte che si discostino in modo evidente dai costi medi del lavoro indicati nelle apposite tabelle, periodicamente predisposte dal Ministero del lavoro in base ai valori previsti dalla contrattazione collettiva e dalle norme in materia, i quali costituiscono non parametri inderogabili, ma indici del giudizio di adeguatezza dell'offerta, con la conseguenza che è ammissibile l'offerta che da essi si discosti, purché lo scostamento non sia eccessivo e vengano salvaguardate le retribuzioni dei lavoratori così come stabilito in sede di contrattazione collettiva......A tal riguardo è noto che la giurisprudenza amministrativa è orientata nel senso di ritenere che un utile di impresa limitato non denoti di per sé la inaffidabilità della offerta economica e solo quando l’utile sia del tutto azzerato o addirittura l’impresa svolga in servizio in perdita prevalga l’interesse del committente pubblico alla esclusione di imprese che non forniscano le necessarie garanzie di affidabilità; non può essere invero fissata una quota rigida di utile al di sotto della quale l'offerta debba considerarsi per presunzione incongrua, dovendosi, invece, avere riguardo alla serietà della proposta contrattuale e risultando in sé ingiustificabile solo un utile pari a zero, atteso che anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante, come nel caso di ricadute positive che possono discendere per l'impresa in termini di qualificazione, pubblicità, curriculum, dall'essersi aggiudicata e dall'avere poi portato a termine un prestigioso appalto, ecc. (Consiglio di Stato sez. IV, 23 luglio 2012, n. 4206).

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 9.7.2014

 
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Appalti: l’obbligo di allegazione del documento di identità stabilito dall’art. 38, comma 3, del testo unico, richiamato dall’art. 47 per le dichiarazioni sostitutive di un atto notorio, "non può essere imposto alle dichiarazioni di volontà di natura negoziale"

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 8.7.2014

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Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato ha ritenuto infondato il motivo diretto a censurare la mancata allegazione del documento di identità del sottoscrittore della fideiussione presentata dalla società che, in applicazione del § 5.3 del disciplinare di gara, aveva autodichiarato ai sensi dell’art. 47 d.p.r. n. 445 del 2000 ("Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa"), il proprio nominativo, la qualifica da esso rivestita e di avere il potere di impegnare validamente il soggetto fideiussore. In primo luogo, come osservato dal TAR, tale mancanza non era sanzionata da alcuna comminatoria espulsiva di lex specialis. Inoltre, come recentemente stabilito da questa Sezione, l’obbligo di allegazione del documento di identità stabilito dall’art. 38, comma 3, del citato testo unico, richiamato dall’art. 47 per le dichiarazioni sostitutive di un atto notorio, si riferisce appunto a questa tipologia di documenti e pertanto "non può essere imposto alle dichiarazioni di volontà di natura negoziale" (sentenza 20 dicembre 2013, n. 6125). Occorre peraltro precisare che nel caso deciso dal precedente ora citato si discuteva sulla mancata allegazione del documento di identità del sottoscrittore dell’offerta economica dell’impresa concorrente. Il principio affermato in detta pronuncia è tuttavia applicabile anche al caso di specie, nel quale viene comunque in rilievo un atto di natura negoziale, comportante in ogni caso un’assunzione di responsabilità, anche per il falsus procurator, laddove privo di potere rappresentativo, in virtù dell’art. 1398 cod. civ. Deve poi evidenziarsi che la dichiarazione sostitutiva in contestazione ha natura di atto di giustificazione del potere rappresentativo ai sensi dell’art. 1393 cod. civ., strumentale all’acquisizione della necessaria certezza, in capo alla controparte pubblica, che la dichiarazione negoziale sia imputabile all’ente rappresentato. La certezza (comunque relativa) nel caso di specie può dirsi conseguita, visto che la dichiarazione è stata chiaramente resa ed espressa nelle forme di legge, cosicché vi è l’assunzione di responsabilità, anche penale, del soggetto dichiarante, sul quale la stazione appaltante deve poter confidare. L’art. 47, comma 1, d.p.r. n. 445 del 2000 prevede infatti che le qualità personali "che siano a diretta conoscenza dell'interessato", tra le quali quella "di legale rappresentante di persone fisiche o giuridiche" (ai sensi dell’art. 46, lett. "u"), possono essere comprovate dall’interessato, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, "mediante dichiarazione resa e sottoscritta dal medesimo". La norma opera quindi un rinvio integrale all’art. 38, il cui comma 3 prevede testualmente che "Le istanze e le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre agli organi della amministrazione pubblica (…) sono sottoscritte dall’interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore". Da quest’ultima disposizione si ricava quindi che la dichiarazione sostitutiva e l’allegazione del documento di identità del dichiarante costituiscono adempimenti distinti, che hanno una funzione diversa, sebbene complementare. La prima serve a fornire all’amministrazione l’informazione di cui necessita e sulla cui rispondenza al vero deve potere confidare, grazie alla sottostante assunzione di responsabilità del dichiarante. La seconda, per contro, attiene non già al perfezionamento della dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ma all’identificazione del soggetto dichiarante, e dunque all’imputazione giuridica della responsabilità conseguente alla dichiarazione sostitutiva. In base a questa considerazione emerge come l’accertamento dell’identità del dichiarante può in ipotesi risultare aliunde mediante altri documenti a ciò idonei, oltre che avvenire a posteriori. Pertanto, del tutto correttamente la stazione appaltante ha ritenuto che la mancanza potesse essere regolarizzata, senza pregiudicare in modo definitivo la Manutencoop attraverso la sua esclusione dalla gara. Quest’ultima si sarebbe atteggiata infatti come una sanzione sproporzionata rispetto all’interesse sostanziale perseguito mediante l’imposizione della cauzione provvisoria. L’assunto dell’odierna appellante incidentale condurrebbe infatti all’esclusione in ogni caso, e dunque anche nell’ipotesi di effettiva titolarità del potere rappresentativo. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 8.7.2014

 
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Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato ha ritenuto infondato il motivo diretto a censurare la mancata allegazione del documento di identità del sottoscrittore della fideiussione presentata dalla società che, in applicazione del § 5.3 del disciplinare di gara, aveva autodichiarato ai sensi dell ... Continua a leggere

 

Gare pubbliche: la scelta del criterio più idoneo per l’aggiudicazione di un appalto costituisce espressione tipica della discrezionalità della stazione appaltante che non è censurabile se non per evidente irrazionalità o per travisamento dei presupposti di fatto

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 8.7.2014

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La giurisprudenza ha affermato il principio secondo cui, nelle gare pubbliche, la scelta del criterio più idoneo per l’aggiudicazione di un appalto (tra quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa e quello del prezzo più basso) costituisce espressione tipica della discrezionalità della stazione appaltante che non è censurabile se non per evidente irrazionalità o per travisamento dei presupposti di fatto (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2032 del 15 aprile 2013; n. 148 del 14 gennaio 2013). Né vi un obbligo di esternare in una specifica e puntuale motivazione le ragioni della scelta operata (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1154 del 26 febbraio 2010).

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La giurisprudenza ha affermato il principio secondo cui, nelle gare pubbliche, la scelta del criterio più idoneo per l’aggiudicazione di un appalto (tra quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa e quello del prezzo più basso) costituisce espressione tipica della discrezionalità della staz ... Continua a leggere

 

Manutenzione straordinaria, risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia: il frazionamento di immobile realizza un aumento dell’impatto sul territorio incompatibile con il semplice restauro

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 7.7.2014

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Per consolidati principi giurisprudenziali affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia, è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi ovvero l'ordine in cui erano disposte le diverse porzioni dell'edificio, per il solo fine direndere più agevole la destinazione d'uso esistente. Ciò determina il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio ed un'alterazione dell'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie (Cons. Stato Sez. V, 17-03-2014, n. 1326). In questo ambito si pone senza ombra di dubbio il frazionamento di immobile (nella specie da sei a tredici unità) che, stante l’autonoma utilizzabilità, realizza anche un aumento dell’impatto sul territorio incompatibile con il semplice restauro (Cons. St. Sez. IV, 17-05-2012, n. 2838). Per scaricare la sentenza cliccare su " Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 7.7.2014

 
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Per consolidati principi giurisprudenziali affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia, è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi ovvero l'ordine in cui erano disposte le diverse porzioni dell'edificio, per il solo fine di ... Continua a leggere

 

La distinzione tra appalto e vendita di cosa futura anche ai fini dell'esenzione dal contributo concessorio: i due elementi della volontà dei contraenti e del rapporto fra il valore della materia ed il valore della prestazione d'opera

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 7.7.2014

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La questione in contestazione innanzi alla Quarta Sezione del Consiglio di Stato concerne sia agli ambiti di applicazione soggettiva della disposizione di cui alla legge 28 gennaio 1977, n. 10 "Norme per la edificabilità dei suoli" (normativa peraltro ora trasfusa nel vigente D.P.R. 6 giugno 2001,n. 380), che, all’art. 9 recante "Cessione gratuita", individua i casi in cui è esclusa la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione. In particolare, questo contributo non è dovuto "per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici". La giurisprudenza in tema (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 7 maggio 2013 n. 2467) evidenzia come, ai fini dell'esenzione dal pagamento dagli oneri contributivi relativi alla concessione edilizia, l'art. 9 comma 1 lett. f), l. 28 gennaio 1977 n. 10 richieda due requisiti che devono concorrere contestualmente, l'uno di tipo soggettivo, per effetto del quale le opere devono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente e l'altro, di carattere oggettivo, per effetto del quale la costruzione deve riguardare opere pubbliche o di interesse generale. Pertanto l'esenzione è legittimamente negata per la costruzione di un complesso abitativo realizzato da società privata per scopo di lucro e destinato a residenza di anziani, trattandosi di opera che non soddisfa direttamente un interesse pubblico ma si pone, con riguardo ad esso, in rapporto di mera strumentalità. Per altro verso, una diversa decisione più risalente, evocata dalla parte appellata (Consiglio di Stato, sez. V, 31 ottobre 1992 n. 1145) aveva ritenuto che anche la vendita di un terreno da parte di un privato ad un ente pubblico, nella specie proprio l’INAIL, con contestuale assunzione dell'obbligo di costruirvi un edificio da adibire a sede dell'ente stesso, costituisce un'ipotesi riconducibile nella previsione di cui all'art. 9 lett. l) l. 28 gennaio 1977 n. 10 in forza della quale non è dovuto il contributo di concessione ove l'opera sia realizzata dall'ente istituzionalmente competente. Osserva la Sezione come il tema del profilo soggettivo appaia in questa sede dirimente, atteso che la norma in esame impone che sia l’ente pubblico a realizzare l’opera, ovviamente anche potendosi avvalere di soggetti privati. Il primo giudice ha ben colto la centralità della questione, tanto che il nucleo fondante della sentenza è teso a indagare sulla natura del contratto intercorso tra la l'impresa e l’ INAIL. Afferma infatti il T.A.R. che, non essendo in questione l’aspetto oggettivo "è invece in contestazione la sussistenza dell'elemento soggettivo, ossia se l'opera in esame possa essere considerata come realizzata da un ente istituzionalmente competente al riguardo, ancorché, nel caso in esame, l'esecutore materiale sia un privato imprenditore. Il Collegio ritiene di dover fare applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui l'elemento soggettivo, che determina la gratuità della concessione, è soddisfatto ogni qualvolta sussista un collegamento giuridicamente rilevante tra l'Amministrazione pubblica e il privato che realizza l'opera per conto di essa". Per radicare tale conclusione, il T.A.R., esaminati gli elementi di fatto ampiamente descritti sopra, afferma che "in sostanza non si è trattato di una operazione economica posta autonomamente in essere dalla ricorrente per realizzare un edificio da collocare sul libero mercato immobiliare (e da offrire ad incertam personam) al fine di trarre il massimo profitto, ma di un intervento edilizio (sostanzialmente su commissione), realizzato per soddisfare le esigenze di uno specifico acquirente disposto all'acquisto (al prezzo e alle condizioni da esso ritenute congrue) una volta maturati tutti i presupposti per la sua regolare e sollecita esecuzione". In sintesi, il primo giudice ha ricondotto la fattispecie in esame nell’ambito dell’appalto e non in quella della vendita di cosa futura, ritenendo così sussistente il collegamento soggettivo e, conseguentemente, l’esistenza di un titolo per l’esonero dal pagamento del contributo di cui alla legge n. 10 del 1977. La Sezione non condivide la posizione del T.A.R.. Occorre evidenziare come qui non sia in contestazione la correttezza dell’inquadramento della fattispecie contrattuale. In questo senso, la giurisprudenza civile (da ultimo, Cassazione civile, sez. II, 30 aprile 2012, n. 6636) evidenzia come la distinzione tra appalto e vendita (e vendita di cosa futura) si basa su due elementi: da un lato, la volontà dei contraenti e, dall’altro, il rapporto fra il valore della materia (prestazione di dare) ed il valore della prestazione d'opera (prestazione di fare), da considerare non in senso oggettivo (quale valore economico della materia o dell'opera), bensì avuto riguardo alla comune intenzione dei contraenti. Pertanto, si è in presenza d'un contratto d'appalto o d'opera se l'oggetto effettivo e prevalente dell'obbligazione assunta dal produttore-venditore è la realizzazione d'un opus unicum od anche d'un opus derivato dalla serie, ma oggetto di sostanziali adattamenti o modifiche a richiesta del destinatario, laddove la fornitura della materia è un semplice elemento concorrente nel complesso della realizzazione dell'opera e di tutte le attività a tal fine intese. Al contrario, si è in presenza d'un contratto di compravendita, se le attività necessarie a produrre il bene costituiscono solo l'ordinario ciclo produttivo del bene, che può anche concludersi con l'assemblaggio delle sue componenti presso il destinatario, ma è la sola consegna del bene stesso, l'effettiva obbigazione del produttore-venditore, insomma, nella compravendita, oggetto dell'obbligazione è un dare, nel contratto d'appalto o d'opera, oggetto dell'obbligazione è un facere. Ciò che è invece problematico è la possibilità stessa di dare vita ad una riqualificazione del contratto, come operata dal primo giudice, per un duplice ordine di ragioni. La prima è assolutamente tranciante ed è di carattere oggettivo. Non può non notarsi come l’esito della disamina del T.A.R. sia fondamentalmente quello di affermare che, pur essendo stato pubblicato un avviso per concludere un’operazione economica di compravendita, anche di cosa futura, sarebbe possibile per la pubblica amministrazione, in questo caso l’INAIL, concludere un diverso contratto, ossia quello di appalto. E ciò nonostante che anche il rapporto contrattuale tra le parti qualifichi espressamente, all’art. 1 recante "Oggetto", la detta operazione come condotta ex art. 1472 c.c.. In concreto, il primo giudice, pur di fronte ad una espressa qualificazione pattizia e al rispetto della procedura finalizzata alla detta compravendita, ha riqualificato l’operazione contrattuale senza rendersi conto che il contratto, come derivante dalla lettura datane del T.A.R., si connotava come nullo quanto meno sotto due diversi profili: in primo luogo, trattandosi di una fattispecie contrattuale formatasi in elusione della disciplina cogente sulla contrattazione pubblica, l’appalto sarebbe un contratto in frode alla legge, ex art. 1343, quindi con causa illecita, quindi nullo e quindi, per ultimo, assolutamente non produttivo di effetti (sui rapporti tra le due tipologie contrattuali, vedi Consiglio di Stato, ad. gen., 17 febbraio 2000 n. 2 che precisa che l'istituto della compravendita di cosa futura non è stato espunto dall'ordinamento con il sopravvenire della più recente legislazione sui lavori pubblici, salvo verificare se, in concreto, l'amministrazione abbia stipulato un contratto di vendita o di appalto: verifica che tuttavia va svolta, sul piano del merito, secondo criteri di rilevazione - quali intento delle parti, obbligazioni dedotte - elaborati dalla giurisprudenza, i quali non intaccano, ma anzi presuppongono, la distinzione giuridica fra i tipi negoziali giuridicamente ammissibili); in secondo luogo, la nullità sarebbe parimenti predicabile sulla carenza dei requisiti di forma, atteso che il contratto stipulato è relativo alla fattispecie della compravendita. La seconda connotazione è di carattere soggettivo. Il T.A.R. ha interpretato il contratto intercorso tra Galassia Immobiliare s.r.l. e INAIL e ha usato gli esiti di questa interpretazione in malam partem contro un soggetto terzo, ossia il Comune di Crema, il quale peraltro era legato con un altro rapporto negoziale, ossia la convenzione di lottizzazione, con la stessa Galassia Immobiliare s.r.l.. In questo caso, non è stato condotto un vaglio sulla fides, di cui all’art. 1366 c.c., e quindi sull’affidamento, in questo caso dell’ente pubblico. Le osservazioni appena svolte evidenziano quindi come la decisione del T.A.R. non abbia tenuto conto dell’impossibilità dell’applicazione meccanica degli strumenti ermeneutici civilistici in una fattispecie strettamente regolata dalle regole pubblicistiche sugli appalti, per cui ha proposto un’interpretazione del contratto che ne avrebbe determinato la sua nullità, con le ovvie conseguenze, anche di carattere restitutorio, tra le parti. Vero è, invece, che il contratto intercorso tra Galassia Immobiliare s.r.l. e INAIL continua a essere qualificabile unicamente come contratto di vendita di cosa futura, come peraltro dimostrato dalla circostanza che, alla data del rilascio della concessione edilizia, ossia il 23 settembre 2002, la Galassia Immobiliare s.r.l. non aveva alcun rapporto negoziale con l'INAIL, né in relazione alla vendita, atteso che il contratto che è stato stipulato oltre un anno dopo, ossia il 18 dicembre 2003; né in merito ad un presunto contratto d'appalto, mai stipulato fra le parti. Assodato che quindi il rapporto negoziale è quello disciplinato dall’art. 1472 c.c., recante "Vendita di cose future", come desumibile sia dall’offerta di INAIL del 7 giugno 2000 come pure dall’art. 1 dello stesso contratto del 18 dicembre 2003, deve ritenersi carente il requisito soggettivo indispensabile per l’applicazione dell’art. 9, lett. f) della legge 10 del 1977. È, infatti, sicuramente vero che la ratio della disposizione ora citata sia quella di incentivare l'esecuzione di opere dalle quali la collettività possa trarre un utile ed evitare che il soggetto che interviene per l'istituzionale attuazione del pubblico interesse corrisponda un contributo che verrebbe a gravare, sia pure indirettamente, sulla stessa comunità che dovrebbe avvantaggiarsi dal loro pagamento. Il beneficio dello sgravio si traduce, quindi, in un abbattimento dei costi a cui corrisponde un minore aggravio di oneri per gli utenti. Tuttavia, nel caso in esame, la tipologia contrattuale e la costruzione del regolamento negoziale rendevano del tutto indipendenti le due diverse serie procedimentali, per cui non può concordarsi, nemmeno dal punto di vista funzionale, sulla ricostruzione proposta dal primo giudice. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 7.7.2014

 
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Edilizia: l'annullamento dell'ordinanza di demolizione comporta la caducazione automatica del successivo provvedimento di acquisizione gratuita delle opere abusive e dell'area di sedime al patrimonio comunale

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Il provvedimento di accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e quello successivo di acquisizione gratuita delle opere abusive e dell'area di sedime al patrimonio comunale debbono considerarsi consequenziali, connessi e conseguenti all'ordine di demolizione delle opere e ripristinodello stato primitivo dei luoghi, con la conseguenza che non sono autonomamente impugnabili e che sono soggetti a caducazione automatica in caso di annullamento dell’atto presupposto (Cons. Stato Sez. V, 10-01-2007, n. 40).

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Il provvedimento di accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e quello successivo di acquisizione gratuita delle opere abusive e dell'area di sedime al patrimonio comunale debbono considerarsi consequenziali, connessi e conseguenti all'ordine di demolizione delle opere e ripristino ... Continua a leggere

 

Abusi edilizi: l'omessa indicazione nell'ordinanza di demolizione dell’effetto acquisitivo e della descrizione dell’area da acquisire non è causa di illegittimità dello stesso

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Nel giudizio in esame la Quinta Sezione del Consiglio di Stato rileva come la circostanza che l’ordine di demolizione non contenesse l’indicazione dell’effetto acquisitivo e non descrivesse l’area da acquisire non è causa di illegittimità dello stesso. Precisato che, quanto all’effetto acquisitivo, esso costituisce una conseguenza fissata direttamente dalla legge, senza la necessità dell’esercizio di alcun potere (valutativo) a parte dell’autorità eccetto quello del mero accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi, deve rilevarsi, quanto alla pretesa necessità dell’indicazione dell’area da acquisire, che è jus receptum che il provvedimento con cui si ingiunge al responsabile della costruzione abusiva di provvedere alla sua distruzione nel termine di 90 giorni (nel vigore della legge n. 47 del 19985, vigente ratione temporis), non deve necessariamente contenere l'esatta indicazione dell'area di sedime che verrà acquisita gratuitamente al patrimonio del Comune in caso di inerzia, atteso che il provvedimento di ingiunzione di demolizione (i cui requisiti essenziali sono l'accertata esecuzione di opere abusive ed il conseguente ordine di demolizione) è distinto dal successivo ed eventuale provvedimento di acquisizione, nel quale, invece, è necessario che sia puntualmente specificata la portata delle sanzioni irrogate (Cons. Stato, sez. IV, 26 settembre 2008, n. 4659; sez. VI, 8 aprile 2004, n. 1998; 26 gennaio 2000, n. 341). Gli stessi appellanti del resto riconoscono sotto tale ultimo profilo la infondatezza del loro stesso motivo, ammettendo che solo con l’art. 31 del D.P.R N. 380 del 2001 è stato introdotta la necessità della esatta identificazione dell’area da acquisire già nel provvedimento di demolizione. Quanto infine all’ultimo motivo di censura, con cui gli appellanti hanno lamentato la contraddittorietà della motivazione dei primi giudici per aver riconosciuto legittimo il provvedimento impugnato anche sotto il profilo della determinazione quantitativa dell’area di pertinenza oggetto di acquisizione (e ciò malgrado gli stessi giudici avessero dichiarato di non condividere le tesi difensive poste dall’amministrazione intimata a confutazione delle censure sollevate in primo grado), va osservato che il terzo comma dell’art. 7 della legge n. 47 del 1985 espressamente dispone che "Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita". Poiché nel caso di specie è pacifico che la superficie di cui è stata disposta l’acquisizione gratuita rispetto i limiti stabiliti dalla predetta normativa, nessuna censura può essere fondatamente mossa in tal senso al provvedimento impugnato, non potendosi accedere alle tesi degli appellanti circa la pretesa destinazione agricola dell’area, stante invece il vincolo di inedificabilità assoluta gravante su di essa per effetto delle nuove previsioni urbanistiche di cui alla ricordata variante generale al piano regolatore generale, adottata con deliberazione di consiglio comunale n. 62 del 2 ottobre 1996 e, modificata a seguito delle osservazioni accolte con la successiva deliberazione consiliare n. 14 del 10 marzo 1997.

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Concorrenza: una pratica commerciale è scorretta se induce il consumatore medio ad una decisione di carattere commerciale che avrebbe potuto altrimenti non prendere

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 22.7.2014

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La Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame evidenzia come "In linea di principio, una pratica commerciale è scorretta se induce il consumatore medio, cioè quello normalmente informato e ragionevolmente avveduto, ad una decisione di carattere commerciale che avrebbe potuto altrimenti non prendere, tenuto conto delle caratteristiche del mercato in cui opera le proprie scelte (così Cons. Stato, VI, 4 marzo 2013, n.1259)."

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Edilizia: le disposizioni generali di piano non sono soggette ad immediata impugnazione, ma devono essere impugnate dal momento in cui producano effetti lesivi incidenti sulla posizione dell’interessato attraverso gli atti applicativi

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 7.7.2014

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Legittimati all'impugnazione di un atto pianificatorio, ed in particolare delle disposizioni attuative dello strumento urbanistico, sono solo coloro che possono vantare un pregiudizio individuale, concreto ed attuale e cioè i soggetti titolari del diritto di proprietà dell'immobile coinvolto dall’applicazione del piano (Cons. St. Sez. IV, 19.2.2014, n. 760; 15.2.2013, n. 917; 12-04-2011, n. 2275), va pure considerato, sotto il medesimo profilo della carenza di interesse, come l’art. 14 del piano del settore del commercio non sia neanche in grado di arrecare potenzialmente un pregiudizio, non contenendo disposizioni che comprimano la possibilità di esercizio, sotto il profilo contingentale, dell’attività commerciale.Va, comunque, ribadito il principio per cui le disposizioni generali di piano non sono soggette ad immediata impugnazione, ma devono essere impugnate dal momento in cui producano effetti lesivi incidenti sulla posizione dell’interessato attraverso gli atti applicativi (Cons. Stato Sez. III, 16-04-2014, n. 1955; Sez. IV, 17-05-2012, n. 2839; 2-12-2011, n. 6373), quale, nella specie, non è la nota del Settore Attività Produttive del Comune di Gorizia, sicchè, anche sotto questo profilo, va confermata la pronuncia di inammissibilità.Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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Legittimati all'impugnazione di un atto pianificatorio, ed in particolare delle disposizioni attuative dello strumento urbanistico, sono solo coloro che possono vantare un pregiudizio individuale, concreto ed attuale e cioè i soggetti titolari del diritto di proprietà dell'immobile coinvolto dall’a ... Continua a leggere

 

Oneri di urbanizzazione: la determinazione del contributo di concessione in sanatoria deve effettuarsi con riferimento alle tariffe vigenti al momento della domanda, risultando irrilevante la verifica della regolare formazione del silenzio – assenso sulla relativa domanda

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Nel giudizio in esame il Comune appellante lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 37 della legge n. 47 del 1985 e del principio di corrispondenza tra oneri di urbanizzazione e carico urbanistico indotto dall’edificazione. Premesso che la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di evidenziare che sulla questione della definizione del momento cui ancorare la determinazione degli oneri di concessione non è ravvisabile un orientamento interpretativo consolidato da cui possa ricavarsi un principio fondamentale della legislazione statale secondo cui gli oneri stessi debbano essere determinati con riferimento alle tariffe vigenti alla data di entrata in vigore della legge di sanatoria, il Comune evidenzia come rispetto alla pluralità di soluzioni possibili non può non tenersi in considerazione l'interesse pubblico all'adeguatezza della contribuzione ai costi reali da sostenere rispetto a quello, a esso antitetico, del cittadino alla sua piena previsione dei costi al momento della formazione del consenso alla realizzazione dell’opera, facendo quindi prevalere la disciplina esistente in tale momento. La censura non può essere accolta. La posizione teorica espressa dal Comune ha sicuramente un suo fondamento, anche in relazione alla valutazione operata dal giudice delle leggi sulla situazione in esame. Infatti, la Corte costituzionale ha affermato (sentenza 17 marzo 2010 n. 105) "che, invero, gli oneri di concessione potrebbero, in teoria, essere ancorati alle tariffe vigenti, alternativamente, al momento in cui l'abuso è iniziato, al momento in cui l'immobile abusivo è completato, al momento dell'entrata in vigore della normativa statale sul condono, al momento dell'entrata in vigore della normativa regionale sul condono, al momento in cui è stata effettuata la richiesta di condono o, infine, al momento del perfezionamento del procedimento di sanatoria" e "che, in tale contesto di pluralità di soluzioni, la scelta del legislatore regionale di privilegiare l'interesse pubblico all'adeguatezza della contribuzione ai costi reali da sostenere rispetto a quello, ad esso antitetico, del cittadino alla sua piena previsione dei costi al momento della formazione del consenso - ugualmente meritevole di protezione - sembra essere il frutto di una scelta discrezionale implicante un bilanciamento di interessi che può solo essere effettuato dal legislatore". Sulla scorta di tali parametri, è quindi del tutto coerente il richiamo a una giurisprudenza amministrativa che afferma (Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 maggio 2011, n. 3116) che l’obbligazione di pagamento degli oneri concessori sorge con il rilascio della concessione edilizia e la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la determinazione del contributo dovuto per gli oneri in questione debba essere riferita al momento in cui sorge l’obbligazione, dove si prosegue affermando che "in tale contesto, il considerevole lasso di tempo decorso tra la presentazione della domanda di sanatoria ed il rilascio della concessione non può essere utilmente valorizzato nell’ottica della individuazione di decorrenze del termine per la formazione del silenzio-assenso (e, così, del decorso della prescrizione) diverse da quelle normativamente indicate né per sollecitare una non meglio specificata ‘giusta mediazione’ che tenga conto delle tariffe eventualmente più favorevoli esistenti all’epoca della presentazione della domanda di sanatoria (quanto a quelle vigenti al momento di realizzazione dell’opera abusiva, lo stesso ricorrente riconosce che sarebbe ingiusto agevolare il responsabile)". Occorre peraltro evidenziare come appaia ardua l’omologazione tra l’obbligazione nascente dal rilascio del titolo abilitativo in via ordinaria e quella derivante dalla sua adozione in sanatoria, come espressamente notato dalla giurisprudenza. Si è così affermato (da ultimo, CGARS, 27 maggio 2008 n. 466) che "I contributi di cui all’articolo 11 della L. 10/1977, ed all’art. 1 della L.R. 71/78, a differenza di altre fattispecie normative, non vengono determinati in via dichiaratamente provvisoria al momento della domanda dell’interessato e quindi non sono necessariamente richiesti salvo conguaglio, come ad esempio nella fattispecie della domanda di concessione in sanatoria (art. 35 L. 47/1995). "La determinazione dei contributi de quibus è stato infatti collocato temporalmente dal legislatore al termine di un lungo e complesso procedimento che ha alla base una espressa dettagliata e circostanziale domanda del privato, cui fa seguito una complessa istruttoria da parte dell’Amministrazione nel corso della quale l’Amministrazione stessa può chiedere all’interessato tutti i chiarimenti e gli ulteriori elementi di cui abbia bisogno. "Il momento del rilascio della concessione non è quindi equiparabile sotto nessun profilo al momento della domanda di concessione in sanatoria. "In quest’ultimo caso l’Amministrazione si trova di fronte ad una attività già posta in essere dal richiedente e ad una richiesta di legittimazione a posteriori di tale attività e non può quindi che riservarsi ad un momento futuro il controllo sulla corrispondenza tra il fatto compiuto e la domanda. "Del tutto diversa è la situazione della concessione in via ordinaria in cui si tratta di legittimare una attività allo stato ancora inesistente ed in cui l’Amministrazione, prima di rimuovere l’ostacolo a tale attività, ha il potere ed il dovere di verifica e di accertamento sotto ogni profilo della legittimità della richiesta del privato." Sulla scorta di tale ontologica differenza, la posizione più recente della Sezione è andata nel senso di escludere un automatismo nell’adeguamento temporale alle tariffe successive. Si è allora detto (Consiglio di Stato, sez. IV, 3 ottobre 2012 n. 5201) che la determinazione del contributo di concessione in sanatoria, in adesione al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui "ai sensi dell'art. 37 l. 28 febbraio 1985 n. 47 e dell'art. 3 l. 28 gennaio 1977 n. 10, la determinazione del contributo di concessione in sanatoria deve effettuarsi con riferimento alle tariffe vigenti al momento della domanda, risultando irrilevante la verifica della regolare formazione del silenzio – assenso sulla relativa domanda." A tale impostazione si è attenuto il primo giudice, espressamente evidenziando come "nel caso di condono edilizio, gli oneri di concessione vanno rapportati al momento di ultimazione dell’opera e della presentazione della domanda di sanatoria, e non al momento del rilascio del titolo concessorio". Le ragioni così espresse vanno anche in questa sede valorizzate, in quanto coerenti con le differenti funzioni delle obbligazioni collegate al rilascio, in via ordinaria o di sanatoria, del titolo abilitativo e legate alla posizione rispettiva delle parti, anche per valorizzare la prevedibilità degli oneri connessi all’edificazione.

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Appalti: costituiscono varianti ex art. 76 d.lgs. n. 163 del 2006 le modifiche progettuali e non già le soluzioni tecniche consentite sulla base del progetto predisposto dalla stazione appaltante e che non comportino uno stravolgimento dell’ideazione sottesa a quest’ultimo

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

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Nel giudizio in esame la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha evidenziato come nel caso di specie non è ravvisabile alcuna variante, ma un’offerta migliorativa sotto questo profilo di valutazione, come già chiarito dall’orientamento di questa Sezione per il quale costituiscono varianti ex art.76 d.lgs. n. 163 del 2006 le modifiche progettuali e non già le soluzioni tecniche consentite proprio sulla base del progetto predisposto dalla stazione appaltante e che non comportino uno stravolgimento dell’ideazione sottesa a quest’ultimo (sentenze 24 ottobre 2014, n. 819, 24 ottobre 2013, n. 5160, 17 settembre 2012, n. 4916). Come infatti osservato nelle più recenti pronunce qui richiamate, queste ultime "sono consustanziali alle procedure di affidamento secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa", come tipicamente sono gli appalti integrati, nel quale la finalità perseguita è quella di giovarsi degli apporti tecnici dei privati al fine di meglio conseguire gli obiettivi prestazionali prefigurati dall’amministrazione con il progetto posto a gara.

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Nel giudizio in esame la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha evidenziato come nel caso di specie non è ravvisabile alcuna variante, ma un’offerta migliorativa sotto questo profilo di valutazione, come già chiarito dall’orientamento di questa Sezione per il quale costituiscono varianti ex art. ... Continua a leggere

 

Tettoie per il riparo degli animali: le notevoli dimensioni e le funzioni integrano una trasformazione urbanistico – edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi che esclude la possibilità del ricorso alla mera autorizzazione edilizia

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

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Secondo un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale, l’ordine di demolizione conseguente all’accertamento della natura abusiva delle opere realizzate, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto dovuto: l’ordinanza va emanata senza indugio e, in quanto tale, non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche, secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato, che si ricollega ad un preciso presupposto di fatto, cioè l’abuso, di cui peraltro l’interessato non può non essere a conoscenza, rientrando direttamente nella sua sfera di controllo (tra le più recenti, Cons. stato, sez. IV, 28 aprile 2014, n. 2194; 26 agosto 2008, n. 4659). Non può poi ragionevolmente dubitarsi della necessità della concessione edilizia per la realizzazione delle opere di cui si discute, trattandosi non già di meri impianti precari e provvisori, come dedotto dagli appellante, bensì di due tettorie (per il riparo degli animali allevati) di notevoli dimensioni (una di circa 200 metri quadrati, con struttura portante in pilastri di ferro quadro 12x12, ancorati su dati di fondazione in cemento e copertura in lamiera; l’altra di oltre cinquanta metri quadrati, con struttura portante in pilastri di ferro quadro e rettangolare e copertura in pannelli isolanti e predisposta per la chiusura perimetrale; entrambe con altezza ai lati di metri 2,50 e d in colmo di metri 3,50), saldamente ancorate nel terreno e dunque neppure facilmente rimobivili. Per dimensioni e funzioni esse integrano sicuramente una trasformazione urbanistico – edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, il che esclude la possibilità del ricorso alla mera autorizzazione edilizia, come sostenuto dagli appellanti. Deve aggiungersi poi che, come risulta dalla documentazione in atti, l’area interessata agli interventi abusivi in questione - in base alla variante generale al piano regolatore generale adottata con deliberazione di consiglio comunale n. 62 del 2 ottobre 1996, modificata a seguito delle osservazioni accolte con la successiva deliberazione consiliare n. 14 del 10 marzo 1997 - era "soggetta a vincolo protettivo ambientale di intangibilità assoluta con divieto di ogni alterazione dello stato ambientale", che precludeva quindi qualsiasi attività edilizia (fatti espressamente salvi, per i soli edifici esistenti alla data di adozione del P.R.G., il restauro statico e conservativo a condizione che fossero rimasti immutati i volumi, i prospetti, la sagoma e le strutture murarie esterne, nonché le destinazioni d’uso e le superfici delle singole unità abitative); peraltro, anche a voler prescindere dal fatto che non è stato neppure provato che le opere abusive accertate fossero state realizzate prima dell’adozione della predetta variante, in nessun caso le stesse avrebbero potuto essere oggetto di una concessione sanatoria, proprio per la ricordata successiva previsione urbanistica che precludeva qualsiasi opera.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

 
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Appalti: lo schema di domanda allegato al bando non costituisce parte integrante della lex specialis della gara, costituendo piuttosto uno strumento predisposto unilateralmente dall’amministrazione, a scopo esemplificativo, per facilitare la partecipazione alla gara

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

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I primi giudici hanno correttamente osservato che né il bando di gara, né il disciplinare di gara, contengono l’obbligo per i concorrenti di dichiarare di non versare nella situazione di amministrazione controllata, limitandosi la lex specialis, quanto alla dichiarazione relativa al possesso dei requisiti generali di partecipazione, a rinviare al contenuto dell’articolo 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006, che peraltro neppure contiene un richiamo alla situazione di amministrazione controllata, quale causa ostativa alla partecipazione alle gare d’appalto. Peraltro, anche a voler prescindere dalla considerazione che, ai sensi del comma 1 bis dell’articolo 46 del D. Lgs. n. 163 del 2006, i bandi di gara e le lettere di invito non possono contenere ulteriori previsioni a pena di esclusione oltre a quelle stabilite dal codice dei contratti pubblici, dal regolamento e da altre disposizioni di leggi vigenti, occorre rilevare che lo schema di domanda allegato al bando non costituisce affatto parte integrante della lex specialis della gara, costituendo piuttosto uno strumento predisposto unilateralmente dall’amministrazione, a scopo meramente esemplificativo, per facilitare la partecipazione alla gara. Eventuali contrasti tra quanto riportato nel predetto schema di domanda, concretamente utilizzato dal concorrente, e le disposizioni proprie della lex specialis, soprattutto per l’ipotesi di mancate dichiarazioni a pena di esclusione ovvero allorquando tale contrasto determini ambiguità o equivocità sulla esatta portata delle dichiarazioni da rendere, non possono determinare ex se l’esclusione del concorrente, imponendo piuttosto all’amministrazione di esercitare il c.d. dovere di soccorso, quale corollario del principio di buon andamento e di imparzialità, applicabile dall’amministrazione nei confronti dell’impresa.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

 
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I primi giudici hanno correttamente osservato che né il bando di gara, né il disciplinare di gara, contengono l’obbligo per i concorrenti di dichiarare di non versare nella situazione di amministrazione controllata, limitandosi la lex specialis, quanto alla dichiarazione relativa al possesso dei re ... Continua a leggere

 

Verifica della congruità dell'offerta: solo un utile pari a zero o l'offerta in perdita rendono ex se inattendibile l'offerta economica

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 17.7.2014

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Sull'ambito del sindacato esercitabile dal giudice amministrativo sul giudizio di non anomalia, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha rinviato ai principi elaborati dall'Adunanza plenaria del Consiglio (cfr. sentenze nn. 7 e 8 del 2014 e 36 del 2012, successivamente Sez. V, n. 244 del 2014), secondo cui la valutazione di anomalia (e a fortiori quella di non anomalia) attiene a scelte rimesse alla stazione appaltante quale espressione di autonomia negoziale in ordine alla convenienza dell'offerta ed alla serietà e affidabilità del concorrente, ed è pertanto sindacabile solo ab externo, nei limiti della abnormità, manifesta irragionevolezza e travisamento dei fatti presupposti (evenienze queste che non si configurano nel caso di specie dove, al contrario, si è avuta la prova empirica della serietà dell'offerta atteso che tutte le prestazioni contrattuali sono state realizzate senza contestazioni e nei termini pattuiti). Nel merito si rileva, in una con la consolidata giurisprudenza (cfr. da ultimo la richiamata Sez. V, n. 2444 del 2014, nonchè Sez. VI, n. 4676 del 2013; Sez. IV, n. 1633 del 2013; C.g.a. n. 250 del 2013; Sez. IV, n. 4206 del 2012, cui si rinvia a mente degli artt. 74 e 120, co. 10 c.p.a.), che:a) il giudizio di verifica della congruità delle offerte ha natura globale e sintetica abbracciando l'offerta nel suo insieme, esso pertanto non ha ad oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze essendo finalizzato ad accertare se l'offerta sia seria e attendibile nel suo complesso restando irrilevanti, sotto tale angolazione, singole voci di scostamento da parametri ordinari (nella specie il dato maggiormente contestato è stato quello della sottostima del costo della mano d'opera che è stato però ritenuto congruo dal c.t.u., in termini monetari, e anomalo, in relazione al rapporto fra numero di ore lavorate e numero di addetti);b) il mancato rispetto dei minimi tabellari sul costo del lavoro o, in mancanza, dei valori indicati dalla contrattazione collettiva non determina l'automatica esclusione dalla gara ma costituisce un indice di anomalia dell'offerta che va poi verificato mediante un giudizio complessivo di remuneratività ed affidabilità che consente all'impresa di fornire le proprie giustificazioni di merito;c) solo un utile pari a zero o l'offerta in perdita rendono ex se inattendibile l'offerta economica (circostanze queste che non si sono verificate nel caso di specie);d) in occasione della verifica in contraddittorio della congruità dell'offerta è consentito un limitato rimaneggiamento degli elementi costitutivi di quest'ultima purchè l'originaria proposta contrattuale non venga modificata sostanzialmente ovvero non venga alterata la sua logica complessiva (anche tali evenienze non si sono realizzate nel caso concreto);e) la legge di gara non ha previsto modalità formali, presidiate dalla sanzione della esclusione, per la produzione delle giustificazioni in sede di offerta; inoltre, tutte le paventate irregolarità nella compilazione delle schede di analisi potevano essere superate dal concorrente, per espressa volontà del bando <> (pagina 9 del bando); quanto all'inidoneità professionale di due ditte indicate quali sub appaltatrici, è sufficiente rilevare che: I) la previsione del sub appalto, nel caso di specie, incide sulla fase della esecuzione del contratto; II) la ditta Polaris non ha mai svolto attività di sub appaltatrice; III) la ditta Rainoldi ha prestato la propria attività nell'ambito di un'a.t.i. e dunque nei limiti delle proprie capacità; IV) in ogni caso, da un lato, il sub appalto è stato debitamente autorizzato in concreto dalla stazione appaltante, dall'altro, il Consorzio era munito di tutti i requisiti di capacità richiesti dal bando per poter eseguire direttamente le opere.7.4. Dalla assodata legittimità della procedura di gara consegue il rigetto della domanda di annullamento e di quella risarcitoria formulata nel presupposto della lesione contra ius degli interessi legittimi incisi dal provvedimento impugnato.Per scaricare l'offerta cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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Appalto integrato per la progettazione esecutiva e l'esecuzione di lavori: e' legittimo il frazionamento tra più progettisti dell'attività di coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

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Nella controversia in esame l'appellante si duole che non sia stata esclusa la società appellata, malgrado la stessa abbia frazionato tra due progettisti l'attività di coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione, ed abbia quindi attribuito la percentuale maggioritaria ad un progettistanon in possesso dei requisiti di cui all'art. 98 t.u. sulla sicurezza sul lavoro di cui al d.lgs. n. 81 del 2008.Tale motivo e' stato rigettato dal Consiglio di Stato il quale ha rilevato come da nessuna disposizione del citato testo unico è ricavabile la regola secondo cui l'attività di coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione è infrazionabile tra più soggetti. In primo luogo, il fatto che l'art. 89, comma 1, lett. e), definisca detta figura come "soggetto incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell'esecuzione dei compiti di cui all'articolo 91", e che quindi, l'art. 90, comma 3, imponga al committente l'obbligo di designare "il coordinatore per la progettazione", non implica che quest'ultimo debba necessariamente essere "un unico soggetto" (così nell'appello). La formulazione delle norme in esame è infatti spiegabile con esigenze di tecnica redazionale della legge, ed in particolare con il fatto che il precetto normativo è stato riferito all'ipotesi di maggiore verificabilità in concreto, in cui l'incarico viene affidato al singolo professionista, senza che da ciò possa ricavarsi un divieto per l'ipotesi in cui i coordinatori per la progettazione siano più di uno.Del pari non rileva il richiamo alle sanzioni penali contemplate nell'art. 158 del testo unico di cui al d.lgs. n. 81 del 2008, giacchè per le relative fattispecie incriminatrici rilevano le norme generali sul concorso di persone nel reato previste agli artt. 110 e ss. cod. pen.A smentita dell'assunto, va sottolineato che le attività inerenti l'incarico di coordinatore della sicurezza nella fase della progettazione, quali descritte nell'art. 91 d.lgs. n. 81 del 2008 (redazione del piano di sicurezza e coordinamento, predisposizione del fascicolo adattato alle specifiche caratteristiche dell'opera, coordinamento sull'applicazione delle misure generali a tutela della sicurezza dei lavoratori) non sono per loro natura infrazionabili ed inoltre, come evidenzia l'appellata, possono costituire oggetto di affidamento "per il tramite di una distinta procedura ad evidenza pubblica" e precisamente ai sensi dell'art. 91 cod. contratti pubblici.Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

 
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Nella controversia in esame l'appellante si duole che non sia stata esclusa la società appellata, malgrado la stessa abbia frazionato tra due progettisti l'attività di coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione, ed abbia quindi attribuito la percentuale maggioritaria ad un progettista ... Continua a leggere

 

Opere pubbliche: non sussiste alcun obbligo dell'Amministrazione di comunicare l'avvio del procedimento ex art. 7 L. n. 241/1990 relativamente all'approvazione di un progetto preliminare

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

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Osserva la Quinta Sezione del Consiglio di Stato che la giurisprudenza, con orientamento consolidato, ha chiarito che la comunicazione dell'avvio del procedimento prevista dall'art. 7 L. 7 agosto 1990, n. 241, non è necessaria nel caso di approvazione del progetto soltanto preliminare di un'opera pubblica: tale comunicazione occorre solo nel caso in cui debba approvarsi il progetto definitivo dell'opera, al quale è riconnessa per implicito anche la dichiarazione di pubblica utilità, come previsto dall'art. 14, comma 13, L. 11 febbraio 1994 n. 109 (C.d.S., V, 3 maggio 2012, n. 2535; IV, 11 aprile 2007, n. 1668; 29 maggio 2009, n. 3364; 14 dicembre 2002, n. 6917; 26 settembre 2001, n. 5070).In via di principio, quindi, non sussiste alcun obbligo dell'Amministrazione di comunicare l'avvio del procedimento ex art. 7 L. n. 241/1990 relativamente all'approvazione di un progetto preliminare (IV, 3 agosto 2010, n. 5155), il quale non è nemmeno un atto di per sè autonomamente impugnabile, in quanto solo endoprocedimentale, diversamente da quelli che approvano il progetto definitivo e quello esecutivo, che sono invece impugnabili in quanto suscettibili di ledere la posizione giuridica soggettiva individuale (IV, 22 giugno 2006, n. 3949).1b Tanto premesso in via di principio, deve però convenirsi con il primo Giudice che nella peculiare vicenda quello adottato dall'organo consiliare del Comune di Costa di Mezzate con l'impugnata delibera n. 62 del 28.12.2000, pur definito come "progetto preliminare", è stato utilizzato dall'Amministrazione ai fini della procedura ablativa, in concreto, alla stregua di un progetto definitivo ex art. 14 u.c. della Legge n. 109 del 1994.Tale constatazione emerge dal fatto che - l'Amministrazione ha disposto l'adozione non solo di tale progetto, ma anche della corrispondente variante al vigente P.R.G. a norma dell'art. 1 della legge n. 1 del 1978, oltre a dichiarare la pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dell'opera, nonchè a fissare i termini di inizio e fine delle espropriazioni e dei lavori (laddove la giurisprudenza ha precisato che, poichè la volontà di realizzare un'opera pubblica deve esplicitarsi attraverso provvedimenti tipici, come chiarito dall'art. 12, d.P.R. n. 327 del 2001 in continuità con quanto in precedenza previsto dall'art. 14, comma 13, legge n. 109 del 1994, all'approvazione del progetto preliminare non può essere connesso il significato di dichiarazione di pubblica utilità dell'opera: C.d.S., VI, 24 novembre 2011, n. 6207).Nessun dubbio potrebbe perciò nutrirsi sulla necessità di consentire le garanzie partecipative all'atto della deliberazione di un progetto che, al di là della propria denominazione formale, venga associato dall'Amministrazione a clausole ed effetti giuridici quali quelli indicati, giusta un indirizzo giurisprudenziale uniformemente seguito in tema di dichiarazione di pubblica utilità implicita a partire dalla decisione dell'Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 14 del 15 settembre 1999 (cfr., tra le tante, C.d.S., VI, 25 marzo 2004, n. 1617; IV, 9 dicembre 2010, n. 8688; 18 marzo 2010, n. 1616). Il vizio di legittimità così riscontrato, tuttavia, diversamente da quanto ritenuto dal primo Giudice, non può condurre all'invalidazione dell'azione amministrativa dispiegata nel caso di specie, per essere stato esso sollecitamente sanato dall'Amministrazione proprio attraverso i provvedimenti amministrativi richiamati con il presente appello.Per scaricare la sentenza clicca su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

 
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Osserva la Quinta Sezione del Consiglio di Stato che la giurisprudenza, con orientamento consolidato, ha chiarito che la comunicazione dell'avvio del procedimento prevista dall'art. 7 L. 7 agosto 1990, n. 241, non è necessaria nel caso di approvazione del progetto soltanto preliminare di un'opera p ... Continua a leggere

 

Pubblicità effettuata su impianti installati su beni appartenenti al Comune: e' legittima la norma del Regolamento Comunale che prevede il cumulo tra l'imposta sulla pubblicità e il canone di concessione

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

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La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha evidenziato come nel nostro ordinamento, in tema di TOSAP, già l'art. 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639 (nel sistema preesistente al nuovo regime normativo introdotto col d.lgs. n. 507-93) stabiliva che, "Qualora la pubblicitàsia effettuata su beni di proprietà comunale o dati in godimento al comune, ovvero su beni appartenenti al demanio comunale, la corresponsione della imposta non esclude il pagamento di eventuali canoni di affitto o di concessione, nè l'applicabilità della tassa per l'occupazione dello spazio ed aree pubbliche". Decisivo ai fini della soluzione della presente controversia è, a parere del Collegio, quanto disposto dall'art. 9, comma 7, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 e successive modificazioni, nel testo integrato con l'art. 145, comma 55, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, che prevede che, "Qualora la pubblicità sia effettuata su impianti installati su beni appartenenti o dati in godimento al comune, l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità non esclude quella della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, nonchè il pagamento di canoni di locazione o di concessione commisurati, questi ultimi, alla effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario". Il periodo "commisurati, questi ultimi, alla effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario" è stato aggiunto dall'art. 145, comma 55, della l. 23 dicembre 2000, n. 388, a decorrere dal 1 gennaio 2001. Peraltro, deve rammentarsi che gli artt. contenuti nel d.lgs. n. 507-93 sono stati, in un primo momento, abrogati con vigenza 1 gennaio 1999, dall'art. 51 del Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 e poi, successivamente, reintrodotti e sempre con decorrenza 1 gennaio 1999 - dall'art. 31, comma 14, della L. 23 dicembre 1998, n. 448. Si deve ancora osservare al riguardo che è pur vero che questo Consiglio (Consiglio di Stato, sez. V, 16 novembre 2005, n. 6384) ha già affermato che l'installazione di impianti privati e l'effettuazione della pubblicità è assoggettata unicamente a regime autorizzatorio e che l'impianto pubblicitario è sottoposto unicamente all'imposta sulla pubblicità. Tale considerazione, tuttavia, non esime dal pagamento del canone di concessione dell'area su cui l'impianto pubblicitario privato insiste, trattandosi di utilizzazione di un bene pubblico per finalità private, con impianti che sono e restano privati ma che insistono, come detto, su aree pubbliche e che, quindi, per ciò solo, sono soggette al canone di concessione. Questa è nei suoi tratti essenziali la disciplina applicabile alle attività di pubblicità e promozione effettuate con affissioni dirette e con impianti privati.Con la conseguente legittimità della previsione di un canone di concessione, in aggiunta all'imposta di pubblicità prevista, che ha diverso titolo e diverso presupposto e con l'ulteriore conseguenza che la deliberazione del Comune intimato n. 122 del 30.3.1999, pubblicata il 2.4.1999, con cui il consiglio comunale di Bari ha approvato il "Regolamento di applicazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e per l'effettuazione del servizio delle pubbliche affissioni in esecuzione del d.lgs. n. 507 del 15.11.1993", limitatamente all'art. 44, nella parte in cui prevede che per la pubblicità effettuata su impianti installati su beni appartenenti al demanio comunale, gli interessati sono tenuti a corrispondere l'imposta sulla pubblicità nonchè un canone di concessione, cumulo contestato con il presente appello, deve ritenersi legittima.Nè può ritenersi, come invece prospetta l'appellante, che la mancanza di un formale atto di concessione impedisca la riscossione del relativo canone concessorio, atteso che tale canone ha la sua fonte e, quindi, il suo titolo giuridico, non nell'atto formale provvedimentale di concessione, bensì nell'effettivo utilizzo dello spazio demaniale, come si verifica nel caso di specie.Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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Procedura espropriativa: non è necessaria la comunicazione dell'avvio del procedimento per l'emanazione del decreto di occupazione d'urgenza

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

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Nel giudizio in esame, tra l'altro, viene lamentata la mancata instaurazione del contraddittorio procedimentale mediante apposita comunicazione dell'avvio della procedura espropriativa prima della decretazione dell'occupazione d'urgenza.La doglianza e' stata ritenuta infondata dalla Quinta Sezionedel Consiglio di Stato risulta in considerazione del principio, più volte enunciato dalla giurisprudenza, per la quale non è necessaria la comunicazione dell'avvio del procedimento per l'emanazione del decreto di occupazione d'urgenza, dal momento che questo è atto di mera attuazione del provvedimento dichiarativo della pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori: di conseguenza, le garanzie procedimentali relative alla partecipazione sono proprie solo di quest'ultimo (C.d.S., Ad.Pl., 15 settembre 1999, n. 14; IV, 8 giugno 2007, n. 2999; 5 febbraio 2009, n. 676; V, 26 settembre 2013, n. 4766; VI, 2 marzo 2011, n. 1312).Peraltro, comunque la previa comunicazione dell'avvio del procedimento non è richiesta, dall'art. 7, comma 1, della legge n. 241/1990, ove "sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento" (C.d.S., IV, 15 luglio 2013, n. 3861), come avviene in re ipsa nel caso della occupazione d'urgenza. Per approfondire cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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Nel giudizio in esame, tra l'altro, viene lamentata la mancata instaurazione del contraddittorio procedimentale mediante apposita comunicazione dell'avvio della procedura espropriativa prima della decretazione dell'occupazione d'urgenza.La doglianza e' stata ritenuta infondata dalla Quinta Sezione ... Continua a leggere

 

Subappalto o cottimo: non sussiste ex art. 118 del Codice degli Appalti alcun obbligo a carico del concorrente di indicare già in sede di presentazione dell'offerta il nominativo dell'impresa subappaltrice

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Dal combinato disposto degli artt. 37, comma 11, e 118, comma 2, del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, e 92 del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, non si evince espressamente l'esistenza dell'obbligo del concorrente, che dichiari di voler avvalersi del subappalto per alcune specifiche lavorazioni, di indicare già in sede di presentazione dell'offerta il nominativo dell'impresa subappaltrice.L'affidamento in subappalto (o in cottimo), come espressamente stabilito dal ricordato articolo 118, è infatti sottoposto alle seguenti condizioni:a) che i concorrenti all'atto dell'offerta o l'affidatario, nel caso di varianti in corso di esecuzione, abbiano indicato i lavori o le parti di opere che intendono subappaltare (o concedere in cottimo);b) che l'affidatario provveda al deposito del contratto di subappalto presso la stazione appaltante almeno venti giorni prima della data di effettivo inizio dell'esecuzione delle relative prestazioni;c) che al momento del deposito del contratto di subappalto presso la stazione appaltante l'affidatario trasmetta altresì la certificazione attestante il possesso da parte del subappaltatore dei requisiti di qualificazione richiesti dal presente codice in relazione alla prestazione subappaltata e la dichiarazione del subappaltatore attestante il possesso dei requisiti generali di cui all'articolo 38;d) che non sussista, nei confronti dell'affidatario del subappaltato (o del cottimo), alcuno dei divieti previsti dall'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni.Del resto, va rimarcata la netta diversità della ricordata disciplina del subappalto rispetto a quella contenuta nella legge 11 febbraio 1994, n. 109, che imponeva fin dal momento della formulazione dell'offerta l'indicazione del nominato dell'impresa subappaltatrice (previsione peraltro soppressa già dall'art. 9 della legge n. 415 del 1998). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

 
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Dal combinato disposto degli artt. 37, comma 11, e 118, comma 2, del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, e 92 del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, non si evince espressamente l'esistenza dell'obbligo del concorrente, che dichiari di voler avvalersi del subappalto per alcune specifiche lavorazioni, di ind ... Continua a leggere

 

Appalti: l'omessa impugnazione dell'aggiudicazione provvisoria non incide sulla tempestività del ricorso proposto contro l'aggiudicazione definitiva

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

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Alla stregua di un consolidato indirizzo giurisprudenziale l'aggiudicazione provvisoria è un mero atto endoprocedimentale, ad effetti ancora instabili e del tutto interinali, come tale inidoneo a produrre la definitiva lesione del concorrente non risultato aggiudicatario, lesione che si verifica solo con l'aggiudicazione definitiva, che non costituisce atto meramente confermativo della prima e in riferimento esclusivamente al quale, quindi, va verificata la tempestività del ricorso (tra le più recenti, Cons. St., sez. V, 27 marzo 2013, n. 1828; 15 febbraio 2013, n. 936; sez. III, 11 febbraio 2013, n. 763).Nessuna acquiescenza o decadenza può essersi pertanto verificata nel caso di specie a causa della mancata impugnazione del provvedimento di aggiudicazione provvisoria. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

 
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Alla stregua di un consolidato indirizzo giurisprudenziale l'aggiudicazione provvisoria è un mero atto endoprocedimentale, ad effetti ancora instabili e del tutto interinali, come tale inidoneo a produrre la definitiva lesione del concorrente non risultato aggiudicatario, lesione che si verifica so ... Continua a leggere

 

Slot Machine: il Comune può inibire l'attività per comprovate esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica solo in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute)

segnalazione del Prof. Avv. Enrico. Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 30.6.2014

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Oggetto del contenzioso giunto innanzi alla Quinta Sezione del Consiglio di Stato e' l'ordinanza del sindaco del Comune di Desio che stabiliva la fascia oraria massima di apertura (ricompresa tra le ore 13.00 e le ore 22.30) per il funzionamento degli apparecchi da gioco negli esercizi autorizzati,nonché il regolamento comunale per le sale giochi e l'installazione di apparecchi da gioco approvato dal Comune con delibera del consiglio comunale n. 51 del 19 dicembre 2011 ed, infine, con motivi aggiunti, l'ordinanza sindacale n. 248 del 5 ottobre 2012, con la quale erano state disposte analoghe limitazioni al funzionamento degli apparecchi da gioco all'interno degli esercizi autorizzati. Il T.A.R. aveva annullato le ordinanze sindacali impugnate ed il Comune di Desio ha proposto appello davanti al Consiglio di Stato. Con il primo motivo di appello il Comune deduce l'inapplicabilità dell'art. 31 del D.L. n. 201/2011 (decreto "Salva Italia") con il quale è stato modificato l'art. 3 del D.L. n. 223/2006, in quanto trattasi nel caso di specie di esercizi commerciali o attività commerciali, inquadrabili nei "pubblici esercizi", che svolgono attività di gioco e scommessa e che, pertanto, sfuggirebbero ad "una assoluta libertà di iniziativa economica ", e all'uopo cita la direttiva n. 123/2006 e l'art. 7, comma 1, lett. d) del D.lgs. n. 59/2010. Al riguardo, si osserva che l'art. 3 della legge n. 248/2006 è applicabile non solo al commercio in genere, quale disciplinato dal D.Lgs. n. 114/1998, ma anche al settore specifico della somministrazione di alimenti e bevande e ai pubblici esercizi latu sensu, attesa la "ratio" della recente legislazione, che è rivolta alla sempre maggiore liberalizzazione del mercato ed alla promozione della concorrenza, come si evince dalla chiara dizione del comma 1 dell'art. 3 della legge n. 248/2006, in ordine al suo ambito applicativo "… le attività commerciali, come individuate dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte …". Va, altresì, richiamato il parere reso dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato con atto del 7 giugno 2007 (pubblicato sul Bollettino dell'Autorità n. 22/2007), nel quale è evidenziata la necessità di ricomprendere nell'ipotesi applicativa dell'art. 3, comma 1, lettera d) della legge n. 248/2006, anche le attività di somministrazione di alimenti e bevande, posto che la scelta contraria costituirebbe un "ostacolo normativo ad un corretto funzionamento del mercato". Nel caso di specie appare, poi, pienamente calzante quanto già ritenuto da questa Sezione, cioè che le disposizioni, espressioni del principio di libertà di impresa e di concorrenza, sono applicabili a tutte le attività economiche che una specifica norma legislativa statale o regionale non confliggente con quella statale, non sottopone a specifica regolamentazione (Cons.Stato, sez. V, 9 dicembre 2008, n. 6060). Con il terzo ed ultimo motivo di censura l'appellante lamenta l'erroneità della sentenza laddove è detto che il sindaco, per la tutela di valori collettivi quali la quiete pubblica, la circolazione stradale e la frequenza scolastica minorile, non poteva fare riferimento, nel provvedimento, al disposto dell'art. 50 del D.Lgs. n. 267/2000. Il Comune di Desio sostiene, in particolare, che "l'ordinanza sindacale (originariamente) impugnata fonda il proprio potere sulle previsioni dell'art. 50 comma 7 del D.Lgs. n. 267/2000, secondo cui il sindaco (altresì) coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell'ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici …". L'appellante sostiene, ancora, che il provvedimento sindacale ha tra le sue finalità la tutela di valori collettivi, messi in concreto pericolo dalle attività commerciali in questione, quali la quiete pubblica, la circolazione stradale e la frequenza scolastica minorile. Il Comune di Desio critica, infine, la sentenza laddove è detto che il sindaco, per la tutela dei suddetti valori, diversamente da quanto ha fatto, poteva ricorrere ad altri strumenti giuridici, quale l'art. 54 del D.Lgs. n. 267/2000. Le suddette censure non sono condivisibili. Le amministrazioni comunali possono, invero, regolare l’attività degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, a termini dell’art. 50, comma 7, del D.lgs. 267/2000, graduando, in funzione della tutela dell’interesse pubblico prevalente, gli orari di apertura e chiusura al pubblico. Tuttavia, tale potere è stato ridimensionato nei suoi contenuti dall’art. 31 del D.L. 201/2011, convertito nella legge 214/2011 (c.d. decreto "salva Italia"), che ha riformato l’art. 3 del D.L. 223/2006 statuendo, che "le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni … (quali) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio". L’art. 3 del D.L. n. 138/2011, convertito nella legge n. 148/2011, sempre in tema di abrogazione delle restrizioni all'accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche, ha poi disposto che "l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge", affermando un principio, derogabile soltanto in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), interessi che nella specie non possono ritenersi incisi. La circostanza che il regime di liberalizzazione degli orari sia applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione, non preclude all’amministrazione comunale la possibilità di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività, per comprovate esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica; tuttavia, ciò è consentito dal legislatore solo in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati quali quelli richiamati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), interessi che non possono considerarsi violati aprioristicamente e senza dimostrazione alcuna. Nel caso di specie, il nocumento asseritamente derivante dal notevole aumento della frequentazione dei luoghi ove sono posti gli esercizi in questione, con presunto e intollerabile incremento del traffico e del rumore e con conseguente compromissione della quiete pubblica, appare descritto in via del tutto generica e per nulla circostanziato e tale carenza della motivazione "sostanziale", non può ritenersi superata dall'affermazione che, essendo l’ordinanza di carattere generale, non necessitava di particolare motivazione. Giova soggiungere, peraltro, che allorquando un comune ritiene di dover contrastare la lesione di specifici interessi pubblici degni di tutela, ha il potere di emanare ordinanze mirate, con effetti spaziali e temporali limitati. Ugualmente inconferente è quanto sostenuto nell'appello, che con il provvedimento si sia inteso provvedere alla protezione della popolazione giovanile e a contrastare un fenomeno sempre più diffuso, quale l'evasione scolastica, amplificato da attrattive forti quali quelle rappresentate dall'uso dei giochi elettronici". L'art. 50 del D.lgs n. 267/2000 non attribuisce, infatti, all'amministrazione comunale il potere di individuare o disciplinare gli orari degli esercizi commerciali senza vincoli di sorta, come si è verificato nella decisione qui assunta dal Comune, con un provvedimento che nulla ha da vedere con i poteri di polizia. Ingiustificato è quanto sostenuto dal comune che "nessuna specifica istruttoria andava quindi svolta, …, avendo il provvedimento impugnato dato peraltro conto delle ragioni a fondamento della sua adozione", dovendosi ritenere sufficienti i generici accertamenti di viabilità compiuti dalla polizia locale nei pressi dei locali al cui interno si trovano apparecchi da gioco. Nella sentenza il T.A.R. non manca di evidenziare, infatti, che "anche a voler ammettere in astratto la possibilità di ricorrere al potere di disciplina degli orari in funzione della tutela dei predetti interessi, ciò dovrebbe essere il frutto di un'accurata e documentata istruttoria che mettesse in evidenza quali siano le specifiche esigenze della collettività locale che rendano necessaria la limitazione degli orari in cui è possibile offrire determinati servizi". Tuttavia, anche nel caso di adozione di provvedimenti contingibili a termini dell'art. 54 del D.lgs. n. 267/2000, un'amministrazione, operando restrittivamente nei confronti di operatori economici, non può astenersi dal dimostrare la esistenza concreta di fenomeni pregiudizievoli per la collettività, quali una particolare e documentata evasione scolastica, blocchi anomali della circolazione o turbamenti della quiete pubblica. Conclusivamente l'appello è stato respinto. Per scaricare la sentenza clicca su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico. Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 30.6.2014

 
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PROVVEDIMENTI REGIONALI

Appalti: la responsabilità precontrattuale della stazione appaltante in caso di revoca degli atti di gara

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del TAR Lazio Roma Sez. III bis del 26.6.2014

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Per giurisprudenza consolidata è astrattamente configurabile una responsabilità precontrattuale in capo alla stazione appaltante che proceda legittimamente alla revoca degli atti di gara, allorquando la determinazione in autotutela abbia inciso su di un affidamento ingenerato nella parte privata alla stipula del contratto di appalto e la condotta precedente alla revoca si palesi non rispettosa dei principi di buona fede e correttezza, in quanto l’amministrazione abbia proseguito l’iter di affidamento dell’appalto nonostante, ad esempio, ricorressero condizioni normative, economiche o finanziarie per interromperlo. In sintesi, ad avviso della giurisprudenza, si palesa scorretta la condotta dell’amministrazione che revochi con ritardo gli atti di gara, ingenerando per tale via legittimi affidamenti in capo all’aggiudicatario, quando avrebbe potuto (e dovuto) procedere con largo anticipo al ritiro in autotutela (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 febbraio 2014, n. 790). Traslando i superiori principi alla controversia in esame non possono essere ravvisati gli estremi costitutivi di una fattispecie rilevante ai sensi dell’art. 1337 c.c. Ed invero, la condotta tenuta nella specie dall’Ente resistente si palesa pienamente conforme ai canoni di buona fede e correttezza, in quanto – a fronte di una rilevante sopravvenienza legislativa – l’Ente ha senza indugio provveduto ad intervenire in autotutela sul provvedimento di aggiudicazione, a poche settimane dalla sua adozione e senza pertanto ingenerare affidamenti di sorta nei confronti dell’aggiudicatario. In altri termini, non emerge nei fatti, come accertati nell’odierno giudizio, alcuna condotta, attiva o omissiva, suscettibile di essere qualificata come scorretta e quindi lesiva di affidamenti ingenerati nella controparte privata (cfr. Ad. Pl. n. 6 del 2005). Pertanto, la domanda di risarcimento proposta ai sensi dell’art. 1337 c.c. deve essere respinta. Deve essere del pari respinta la domanda di liquidazione dell’indennizzo ai sensi dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990. Tale indennizzo presuppone la legittimità del provvedimento di revoca adottato dall’amministrazione, ma non integra, come sembra dedurre la ricorrente, un effetto automatico della disposta autotutela. Difatti, l’art. 21-quinquies, comma 1, della legge n. 241 del 1990 stabilisce sul punto che "Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo". Il successivo comma 1-bis aggiunge che nell’ipotesi in cui la revoca "incida su rapporti negoziali" l’indennizzo liquidato agli interessati "è parametrato al solo danno emergente e tiene conto si dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico". Ne discende che non può che gravare sull’interessato l’onere di provare: a) che la disposta revoca abbia prodotto pregiudizi in suo danno; b) la quantificazione di tale pregiudizi, in ossequio alla previsione del citato comma 1-bis (cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 ottobre 2010, n. 7334). Nel caso di specie, la ricorrente si è limitata ad invocare l’indennizzo ai sensi della disposizione citata, senza allegare, né tanto meno documentare, l’esistenza di un effettivo pregiudizio e gli elementi necessari per la sua quantificazione. Poiché l’indennizzo può essere commisurato al solo danno emergente (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 5993 del 2012), la ricorrente avrebbe dovuto documentare nel dettaglio le voci patrimoniali a tal fine rilevanti, e non limitarsi a chiedere al Giudice la quantificazione "in misura non inferiore al 50% del risarcimento per equivalente richiesto in caso di illegittimità dei provvedimenti impugnati" (v. memoria difensiva per l’udienza pubblica).

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Per giurisprudenza consolidata è astrattamente configurabile una responsabilità precontrattuale in capo alla stazione appaltante che proceda legittimamente alla revoca degli atti di gara, allorquando la determinazione in autotutela abbia inciso su di un affidamento ingenerato nella parte privata al ... Continua a leggere

 

Revoca dell'aggiudicazione: l'applicazione dell’art. 21-quinquies della legge n. 241/90 nell’ipotesi di revoca per sopravvenienza correlata al factum principis

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del TAR Lazio Roma Sez. III bis del 26.6.2014

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In seguito all’entrata in vigore dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990 l’ordinamento ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi che legittimano un provvedimento di revoca: a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) per mutamento della situazione di fatto; c) per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi). Le ipotesi sub a) e b) integrano la c.d. revoca per sopravvenienza, ravvisabile qualora il provvedimento originariamente adottato, che ha ben perseguito l’interesse pubblico, con il trascorrere del tempo si rivela non più opportuno per nuovi motivi di interesse pubblico o per il mutamento di circostanze di fatto e di diritto (cfr. T.A.R. Basilicata, sez. I, 14 gennaio 2011, n. 36). Nel caso di specie, l’Ente resistente, pochi giorni dopo l’aggiudicazione definitiva della gara (avvenuta il 21.06.2011) ha subìto l’effetto dello ius superveniens costituito dalle disposizioni dell’art. 14 del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 recanti la soppressione dell’Ente stesso ed il trasferimento delle sue funzioni ai Ministeri dello sviluppo economico e degli affari esteri. Tale soppressione, prevista da una previsione legislativa contenuta in un provvedimento urgente del Governo, ad avviso del Collegio integra un factum principis, che ha modificato improvvisamente e radicalmente il quadro giuridico di riferimento in cui si collocava la gara e la prevista partecipazione alla manifestazione fieristica Anuga di Colonia. Pertanto, come correttamente dedotto dall’Avvocatura erariale, il provvedimento di autotutela nella specie adottato dall’Ente resistente si inserisce a pieno titolo nella descritta cornice normativa dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, con particolare riguardo all’ipotesi di revoca per sopravvenienza correlata al factum principis, come tale affatto svincolato da qualsiasi manifestazione di volontà dell’Ente resistente stesso, costituito dalla soppressione ex lege di quest’ultimo e del trasferimento delle sue competenze a due distinti Ministeri, secondo ben precise modalità attuative scolpite nella disposizione legislativa. Né la legittimità del predetto provvedimento di revoca può essere posta in dubbio, come dedotto dalla ricorrente, in virtù della mancata comunicazione di avvio del relativo procedimento di autotutela. Ed invero, dalle considerazioni suesposte e dalla documentazione prodotta in giudizio emerge che, ai sensi dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, il provvedimento non poteva essere diverso da quello adottato in considerazione della chiara previsione della norma sopravvenuta e dell’interesse pubblico correlato alla corretta attuazione dell’intento legislativo di estinzione dell’Ente committente e di trasferimento delle sue competenze (cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 ottobre 2010, n. 7334). Per scaricare la sentenza cliccare su " Accedi al Provvedimento".

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