News 26 Febbraio 2014 - Area Tecnica


GIURISPRUDENZA

Il privato che ha contratto con la P.A. una convenzione non può essere sostituto da altro soggetto senza il consenso della stessa, basandosi l'atto negoziale sul principio generale della fiducia che la P.A. deve avere nei confronti del privato

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 25.2.2014

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Tutti i contratti conclusi dalla pubblica amministrazione riposano sulla fiducia che questa deve avere nei confronti del contraente privato, cosicché non è consentito il mutamento di quest’ultimo senza che la prima acconsenta a tale modifica soggettiva del rapporto negoziale. Disposizioni specifiche in questo senso sono contenute per gli appalti pubblici (art. 116 d.lgs. n. 163/2006), ma non è dubitabile da queste sia ricavabile un principio più generale, valevole anche per i contratti di diritto privato quale quello oggetto del presente giudizio. Quanto ora detto si ricava nel caso di specie dal fatto che – come sottolinea la stessa appellante – la parte privata si era impegnata a svolgere attività di indiscutibile interesse pubblico, vale a dire la bonifica dell’area, e che la giuridica disponibilità dell’area è oggetto di un contratto aziendale ex art. 2558 cod. civ. necessario per l’esercizio di un’attività di impresa soggetta ad autorizzazione di pubblica sicurezza, vale a dire quella di gestione di un kartodromo per il quale si controverte in questa sede, in relazione al quale titolo abilitativo vige il principio di personalità di cui all’art. 8 t.u.l.p.s.. Risulta dunque legittima la motivazione del diniego qui impugnato, nella parte in cui fa riferimento all’intrasmissibilità della convenzione, mentre deve essere corretta nei sensi ora esposti la motivazione della sentenza di primo grado, laddove invece qualifica il contratto come comodato. Per proseguire nella lettura della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 25.2.2014

 
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Antenne: la potestà dei comuni deve esplicarsi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico, senza comportare un generalizzato divieto di installazione in zone urbanistiche identificate

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 25.2.2014

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È stato affermato che il potere a contenuto pianificatorio dei comuni di fissare, a norma dell'art. 8, u.c., della legge n. 36 del 2001, criteri localizzativi per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici non si può mai tradurre nel potere di sospendere la formazione dei titoli abilitativi formati o in corso di formazione ai sensi degli artt. 86 e 87 Codice delle comunicazioni elettroniche. Detta potestà dei comuni deve invece esplicarsi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico, senza comportare un generalizzato divieto di installazione in zone urbanistiche identificate. Tale previsione verrebbe infatti a costituire un'inammissibile misura di carattere generale, sostanzialmente cautelativa rispetto alle emissioni derivanti dagli impianti di telefonia mobile, in contrasto con l'art. 4, l. n. 36 del 2001, che riserva alla competenza dello Stato la determinazione, con criteri unitari, dei limiti di esposizione, dei lavori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in base a parametri da applicarsi su tutto il territorio dello Stato (cfr. cit. Cons. St.., Sez. VI, n. 3646 del 2011 e 27 dicembre 2010 n. 9414, ivi richiamata).

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Farmacie: la dislocazione delle sedi farmaceutiche sul territorio comunale è frutto di ampia discrezionalità e le scelte effettuate non sono sindacabili se non per manifesta irrazionalità

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 25.2.2014

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La dislocazione delle sedi farmaceutiche sul territorio comunale è frutto di ampia discrezionalità e le scelte effettuate a questo riguardo dall’autorità competente – benché opinabili per definizione - non sono sindacabili se non per manifesta irrazionalità e analoghi vizi che in questa fattispecienon ricorrono. Non è manifestamente irrazionale che la nuova farmacia venga collocata in un’area già servita dalle farmacie preesistenti, se l’entità della popolazione interessata lo giustifica. E’ vero che l’aumento del numero delle farmacia risponde anche allo scopo di estendere il servizio farmaceutico alle zone meno servite, ma tale indicazione non è tassativa né esclusiva.

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Appalti: immediata impugnazione degli di gara per contestare l’impossibilità stessa che una procedura di evidenza pubblica possa essere attivata a quelle condizioni

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V

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In relazione a quanto stabilito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 2011, il Consiglio di Stato nella sentenza attenzionata rileva che "tra le ipotesi in cui è ammessa l’immediata impugnazione degli atti che indicono una gara vi è anche quella in cui si contesti l’impossibilità stessa che una procedura di evidenza pubblica possa essere attivata a quelle condizioni e tale ipotesi ricorre nella fattispecie, così come è stato affermato anche dalla successiva giurisprudenza di questo Consiglio (sez, V, 29 febbraio 2012, n. 1187 e sez. V, 23 ottobre 2013 n. 5131)". Per continuare nella lettura della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V

 
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Appalti di lavori o servizi e concessioni di servizi pubblici: il ricorso alla trattativa privata e' possibile in ragione dell'estrema urgenza nel provvedere ovvero in relazione alla sussistenza di presupposti d'ordine tecnico tali da impedire, se non al prezzo di costi sproporzionati, la ricerca di altre soluzioni basate sul previo confronto concorrenziale

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

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Costituisce principio pacifico che in ogni caso di appalti di lavori o di servizi, di concessioni di pubblici servizi, ma in linea generale per ogni contratto, il ricorso alla trattativa privata deve ritenersi circoscritto in limiti ristretti e coincidenti con l'impossibilità, per la p.a., di farericorso a pubbliche gare in ragione dell'estrema urgenza nel provvedere ovvero in relazione alla sussistenza di presupposti d'ordine tecnico tali da impedire, se non al prezzo di costi sproporzionati, la ricerca di altre soluzioni basate sul previo confronto concorrenziale (tra tante, Cons. Stato, V, 12 settembre 2012, n. 4842)."

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Costituisce principio pacifico che in ogni caso di appalti di lavori o di servizi, di concessioni di pubblici servizi, ma in linea generale per ogni contratto, il ricorso alla trattativa privata deve ritenersi circoscritto in limiti ristretti e coincidenti con l'impossibilità, per la p.a., di fare ... Continua a leggere

 

Vincolo paesaggistico: gli interventi consistenti in opere interne di scarso rilievo, sono lavori che sfuggono alla percezione visiva rilevante per la tutela paesaggistica

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

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La Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha rilevato nella sentenza in esame come "se ai fini della realizzabilità di interventi edilizi in area sottoposta a vincolo paesaggistico, è necessaria, in linea generale, la contestuale acquisizione sia del titolo autorizzatorio edilizio, sia di quello paesaggistico (che assume tra l'altro carattere prioritario e preminente rispetto al titolo edilizio), tuttavia, ai sensi dell'art. 149, comma 1, lett. a), del d.lg. 22 gennaio 2004 n. 42, l'autorizzazione non è comunque richiesta "per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici". Gli interventi consistenti esclusivamente in mere opere interne tra l’altro di scarso rilievo, sono lavori che sfuggono alla stessa percezione visiva rilevante per la tutela paesaggistica (così anche Cassazione penale sez. fer. 30 agosto 2012 n. 43885)." Per la lettura della sentenza integrale cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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La Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha rilevato nella sentenza in esame come "se ai fini della realizzabilità di interventi edilizi in area sottoposta a vincolo paesaggistico, è necessaria, in linea generale, la contestuale acquisizione sia del titolo autorizzatorio edilizio, sia di quello pae ... Continua a leggere

 

Pianificazione urbanistica: e' necessaria una motivazione specifica in caso di variante che interessi aree determinate del PRG, per le quali si prevedeva diversa destinazione, mentre non è necessaria qualora la destinazione di un’area muta per effetto della adozione di un nuovo strumento urbanistico generale, che provveda ad una nuova e complessiva definizione del territorio comunale

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

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Il potere di pianificazione urbanistica, a maggior ragione in considerazione della sua ampia portata in relazione agli interessi pubblici e privati coinvolti, così come ogni potere discrezionale, non è sottratto al sindacato giurisdizionale, dovendo la pubblica amministrazione dare conto, sia purecon motivazione di carattere generale, degli obiettivi che essa, attraverso lo strumento di pianificazione, intende perseguire e, quindi, della coerenza delle scelte in concreto effettuate con i detti obiettivi ed interessi pubblici agli stessi immanenti (Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012 n. 2710). Tanto affermato sul piano generale, occorre ricordare che l’onere di motivazione gravante sull’amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico, salvo i casi in cui le scelte effettuate incidano su zone territorialmente circoscritte, ledendo legittime aspettative, è di carattere generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte predette, senza necessità di una motivazione puntuale e "mirata" (Cons. Stato, sez. IV, 3 novembre 2008 n. 5478), così come, nell’ambito del procedimento volto all’adozione dello strumento urbanistico, non occorre controdedurre singolarmente e puntualmente a ciascuna osservazione e opposizione (Cons. Stato, n. 2710/2012 cit.). Come questa Sezione ha già avuto modo di affermare (Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 2011 n. 3497), con considerazioni che devono intendersi riconfermate nella presente sede: "le scelte urbanistiche, dunque, richiedono una motivazione più o meno puntuale a seconda che si tratti di previsioni interessanti la pianificazione in generale ovvero un’area determinata, ovvero qualora incidano su aree specifiche, ledendo legittime aspettative; così come mentre richiede una motivazione specifica una variante che interessi aree determinate del PRG., per le quali quest’ultimo prevedeva diversa destinazione (a maggior ragione in presenza di legittime aspettative dei privati), non altrettanto può dirsi allorché la destinazione di un’area muta per effetto della adozione di un nuovo strumento urbanistico generale, che provveda ad una nuova e complessiva definizione del territorio comunale. In questa ipotesi, infatti, non è in discussione la destinazione di una singola area, ma il complessivo disegno di governo del territorio da parte dell’ente locale, di modo che la motivazione non può riguardare ogni singola previsione (o zonizzazione), ma deve avere riguardo, secondo criteri di sufficienza e congruità, al complesso delle scelte effettuate dall’ente con il nuovo strumento urbanistico. Né, d’altra parte, una destinazione di zona precedentemente impressa determina l’acquisizione, una volta e per sempre, di una aspettativa di edificazione non più mutabile, essendo appunto questa modificabile (oltre che in variante) con un nuovo PRG, conseguenza di una nuova e complessiva valutazione del territorio, alla luce dei mutati contesti e delle esigenze medio tempore sopravvenute". Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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Edilizia: il contributo per oneri di urbanizzazione è dovuto per il solo rilascio della concessione, senza che rilevi la già intervenuta realizzazione di opere di urbanizzazione

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

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E' già stato affermato dal Consiglio di Stato (vedi sentenza n.4320/2012) che " il rilascio della concessione edilizia si configura come fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del concessionario di corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, ossia per gli oneri affrontati dall’ente locale per le opere indispensabile affinchè l’area acquisti attitudine al recepimento dell’insediamento del tipo assentito e per le quali l’area acquista un beneficio economicamente rilevante; il contributo per oneri di urbanizzazione è quindi dovuto per il solo rilascio della concessione, senza che neanche rilevi la già intervenuta realizzazione di opere di urbanizzazione (cfr Cons. Stato Sez.IV 22 febbario 2011 n.1108; idem 24 dicembre 2009 n.8757; CGA Regione Siciliana 21 marzo 2013 n. 376). Per altrettanto pacifica giurisprudenza, il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione patrimoniale imposta di carattere non tributario ed ha carattere generale, prescindendo totalmente o meno dalle singole opere di urbanizzazione, venendo altresì determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio , sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere ( cfr Cons. Stato Sez. V 15 dicembre 2005 n. 7140; idem 6 maggio 1997 n. 462). Dai principi giurisprudenziali testé illustrati si può agevolmente inferire che non v’è alcuna duplicazione del corrispettivo dovuto, giacché altro è il contributo spettante al Comune per il rilascio del permesso di costruire e altro ancora è il corrispettivo versato per le opere infrastrutturali anche coincidenti con quelle di urbanizzazione primaria e secondaria sostenute dal consorzio ASI per l’approntamento e la funzionalità delle aree ospitanti le opere destinate ad attività industriale, tra cui quella in cui è situato l’impianto de quo. In altri termini, vi è una differenza ontologica tra quanto richiesto e versato al Consorzio per l’approntamento dell’area e quanto richiesto dal Comune per un contributo, quello contemplato dall’art.3 della legge n.10/77, caratterizzato da finalità di ordine generale che vanno al di là della localizzazione dell’opera, di talché, come correttamente osservato da primo giudice, l’avvenuto pagamento effettuato in favore del Consorzio ASI non esaurisce l’obbligazione di pagamento insorgente in capo alla Società Mossucca quale soggetto destinatario del titolo ad aedificandum. Del tutto irrilevante , infine, si appalesa la questione sub c) : in subjecta materia non è minimamente configurabile un " legittimo affidamento" all’agevolazione di che trattasi dal momento che oggetto del rapporto giuridico che viene in rilievo è un’obbligazione legale, sicché a nulla rileva che al momento del rilascio del permesso di costruire il Comune abbia dato (erroneamente) atto che non era dovuto il contributo di che trattasi, così come non rileva la condizione di salvezza di ulteriori approfondimenti sulla debenza o meno del corrispettivo in parola: la natura vincolante del rapporto in rilievo fa sì che una volta accertata l’obbligazione, ovviamente nei limiti temporali della prescrizione, trattandosi di un diritto soggettivo, l’Ente creditore ben può (anzi deve) procedere ad ottenere il pagamento di quanto dovuto dal privato. Per continuare nella lettura della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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E' già stato affermato dal Consiglio di Stato (vedi sentenza n.4320/2012) che " il rilascio della concessione edilizia si configura come fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del concessionario di corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, ossia per gli oneri affrontati da ... Continua a leggere

 

E' sufficiente la DIA per l'installazione di un cancello

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

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D’altra parte il regime urbanistico cui va assoggettata la realizzazione di tale tipo di manufatto (installazione di un cancello) è quello costituito dalla dichiarazione di inizio attività (Cons. Stato Sez. V 16/10/2002 n.5610; idem 19/6/2003 n.3652) trattandosi di opera che non comporta un trasformazione dei luoghi urbanisticamente rilevante e come tale non necessitante di concessione edilizia.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

 
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D’altra parte il regime urbanistico cui va assoggettata la realizzazione di tale tipo di manufatto (installazione di un cancello) è quello costituito dalla dichiarazione di inizio attività (Cons. Stato Sez. V 16/10/2002 n.5610; idem 19/6/2003 n.3652) trattandosi di opera che non comporta un trasfor ... Continua a leggere

 

SCIA: trascorso il termine breve l’amministrazione può esercitare i poteri di autotutela se vi è un pericolo di danno per il patrimonio artistico, culturale, per l’ambiente, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale, previo motivato accertamento della impossibilità di tutelare tali interessi mediante la conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

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In relazione ai poteri spettanti all’amministrazione, come si evince dalla disciplina di cui all’art. 19 della l.241 del 1990 in caso di presentazione della SCIA, se il termine breve vale per la inibizione della prosecuzione dell’attività segnalata in caso di verifica negativa e salva la possibilità di regolarizzazione in ogni tempo, trascorso il termine breve l’amministrazione può comunque teoricamente esercitare i suoi poteri di autotutela, se vi è un pericolo di danno per il patrimonio artistico, culturale, per l’ambiente, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale, previo motivato accertamento della impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante la conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente. Pertanto, invocando la violazione dell’interesse paesaggistico, rientrando esso in ampia accezione nell’interesse di tipo ambientale, come nella specie, l’amministrazione legittimamente adotterebbe una iniziativa di autotutela in senso lato (a prescindere dalle ricostruzioni teoriche sull’istituto di dia e poi scia, su cui si veda Ad.Plenaria 29 luglio 2011, n.15), salvo poi verificarne la correttezza secondo i canoni dell’affidamento qualificato, trattandosi nella specie di annullamento intervenuto a distanza di vari mesi dalla presentazione della segnalazione e dalla ultimazione dei lavori. In generale, infatti, è illegittimo l'operato dell'Amministrazione comunale che, in presenza di una denuncia d'inizio attività per la realizzazione di un intervento edilizio, adotta provvedimenti inibitori o sanzionatori dopo che sia decorso il termine previsto per il consolidamento del titolo, senza rispettare i limiti e le condizioni in base ai quali è possibile esercitare i poteri di autotutela ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies, l. 7 agosto 1990 n. 241. In particolare, in materia di edilizia, il potere di autotutela deve essere esercitato dall'Amministrazione competente entro un termine ragionevole e supportato dall'esternazione di un interesse pubblico, attuale e concreto, alla rimozione del titolo edilizio tanto più quando il privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto, con la realizzazione del progetto, un ragionevole affidamento sulla regolarità dell'autorizzazione edilizia. Il termine per l'esercizio del potere inibitorio doveroso, nel caso di d.i.a., è perentorio; comunque, anche dopo il decorso di tale spazio temporale, la p.a. conserva un potere residuale di autotutela. Tale potere, con cui l'amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, condivide i principi regolatori sanciti, in materia di autotutela, dalle norme vigenti, con particolare riguardo alla necessità dell'avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell'affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio (Cons. St., Ad. Plen., 29 luglio 2011, n. 15). Prescindendo, per ora, dall’esaminare tale profilo di resistenza del provvedimento sotto tali profili, pur evidenziati dall’appello, perché intervenuto a distanza di nove mesi circa dalla presentazione della istanza (dal febbraio 2012 al novembre 2012), si può sostenere che certamente, quindi, la violazione dell’interesse paesaggistico giustificherebbe, in astratto, il potere di autotutela sulla SCIA, in quanto espressamente previsto dalla norma primaria. Occorre però verificare – come contesta l’appello - se realmente la natura delle opere segnalate e oggetto dell’intervento sia tale da richiedere l’autorizzazione paesaggistica e se quindi sia sussistita la evidenziata violazione, addotta dal Comune a giustificazione del suo provvedimento negativo. Per inciso, l’altro rilievo, relativo alla mancanza di apposita istanza delle opere di ripristino sollecitate dall’autorità giudiziaria ordinaria può ritenersi assorbito (e superato) dalla circostanza della presentazione della segnalazione, che, come noto, integra, quando completato, una fattispecie di titolo abilitativo edilizio, al pari del permesso di costruire, della denuncia di inizio di attività e altri. L'esame delle categorie di beni paesaggistici tutelati e gli scopi della tutela stessa dimostrano che tale salvaguardia è finalizzata alla migliore conservazione della loro percezione visiva come bellezze caratterizzanti il paesaggio nazionale. L'oggetto della tutela paesaggistica è costituito dalla conservazione delle bellezze naturali e più in particolare nell'evitare che queste vengano incise dalla mano umana: è chiaro perciò che qualsiasi lavoro edilizio che si svolga all'interno di costruzioni preesistenti nulla può avere a che fare con la tutela del paesaggio. L’art. 149 del codice del paesaggio prevede che non sia prevista autorizzazione tra l’altro (lettera a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici (a proposito delle tipologie di intervento deve farsi riferimento all’art. 3 del testo unico dell’edilizia). Nella specie, dalla relazione comunale emerge, al di là della affermazione finale che si tratterebbe di opere non meramente interne, che (come afferma il Comune): "gli interventi di riduzione in pristino aventi rilevanza esterna agli edifici erano riferiti alle sole canne fumarie e non anche alle botole estradossate, che non risulterebbero oggetto di demolizione".

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In relazione ai poteri spettanti all’amministrazione, come si evince dalla disciplina di cui all’art. 19 della l.241 del 1990 in caso di presentazione della SCIA, se il termine breve vale per la inibizione della prosecuzione dell’attività segnalata in caso di verifica negativa e salva la possibilit ... Continua a leggere

 

Procedure ad evidenza pubblica: il Consiglio di Stato chiarisce i casi che configurano una responsabilità precontrattuale a carico della Pubblica Amministrazione

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

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In linea generale e in punto di diritto, la responsabilità precontrattuale consiste nella violazione del dovere di buona fede e correttezza durante la fase delle trattative (art. 1337 c.c.), ormai ritenuto pacificamente applicabile anche alla Pubblica Amministrazione. Costituisce violazione dellabuona fede il c.d. recesso ingiustificato, che si configura quando chi ha creato nella controparte un legittimo affidamento in ordine alla conclusione del contrato recede, anche incolpevolmente, provocando un danno. Integra gli estremi della responsabilità precontrattuale altresì la situazione in cui una parte, conoscendo o dovendo conoscere la esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra, che confidava nella sua validità (art. 1338 c.c.) Altra ipotesi in cui si ravvisa fattispecie di responsabilità precontrattuale (sottoposta alla Adunanza Plenaria n.920 del 7 marzo 2005) è quella in cui incorre la stazione appaltante che, indetta la gara e avvedutasi successivamente di motivi negativi (sopravvenuta carenza di fondi) prosegua nella gestione della procedura senza informare i partecipanti, per poi revocare l’aggiudicazione. Il danno, in tal caso, si è detto, non è causalmente riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela (annullamento, revoca o ritiro che sia), ma trova la sua causa nella condotta omissiva tenuta dall’amministrazione nella gestione della gara. La revoca degli atti di gara è stata disposta dalla stazione appaltante nell’esercizio dei poteri di autotutela e sotto tale profilo l’appellante non contesta la legittimità della revoca. Ha chiarito la giurisprudenza (Cons. Stato, VI, 15 marzo 2012, n.1440) che in caso di revoca legittima degli atti della procedura di gara può sussistere una responsabilità precontrattuale della P.A. nella ipotesi di affidamenti suscitati nell’impresa dagli atti della procedura ad evidenza pubblica poi rimossi, in quanto l’impresa può aver confidato sulla possibilità di diventare affidataria e, ancor più, in caso di aggiudicazione intervenuta e poi revocata, sulla disponibilità di un titolo che l’abilitava ad accedere alla stipula del contratto stesso. E’ quindi ammessa – e anzi è proprio il caso di scuola – la responsabilità precontrattuale della parte pubblica nel caso in cui la interruzione della procedura di gara sia stata ritenuta legittima e anzi doverosa per sopravvenuta valutazione dell’interesse pubblico (per esempio, sopravvenuta mancanza di finanziamenti). In tali ipotesi (così Cons. Stato, V, 7 settembre 2009, n.5245) ai fini della responsabilità precontrattuale non si deve tener conto della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica cristallizzato nell’ultimo provvedimento amministrativo, ma della correttezza del contegno tenuto dall’ente pubblico durante la fase delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell’obbligo delle parti contraenti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell’art. 1337 c.c., tanto è vero che l’art. 1337 è invocabile anche quando vi sia stata la stipulazione del contratto. Con particolare riferimento alle procedure di evidenza pubblica, tale responsabilità può configurarsi sia in presenza del preventivo annullamento per illegittimità di atti della sequenza procedimentale sia in caso dell’assodato presupposto della loro validità ed efficacia e in particolare: a) in caso di revoca della indizione e della aggiudicazione per esigenze di ampia revisione del progetto disposta dopo vari anni dopo l’espletamento della gara; b) per impossibilità di realizzare l’opera per mutate condizioni dell’intervento; c) nel caso di annullamento di ufficio degli atti di gara per vizio rilevato dall’amministrazione solo successivamente alla aggiudicazione definitiva o che avrebbe dovuto rilevare all’inizio della procedura; d) nel caso di revoca dell’aggiudicazione o rifiuto di stipulare il contratto per mancanza di fondi. In tutti tali casi, se la diversa valutazione dell’interesse pubblico è stata dovuta a carenze gestionali o di attenzione sin dall’inizio della indizione della procedura di gara, sussistono gli estremi della responsabilità precontrattuale. In punto di fatto, nella fattispecie esaminata, la revoca, piuttosto che annullamento, della aggiudicazione (delle aggiudicazioni) è stata disposta per due sostanziali ragioni, che secondo il primo giudice, sarebbero ampiamente condivisibili elidendo possibili responsabilità: lo schema di contratto che prevedeva due separate localizzazioni del sistema impiantistico non realizzava economie di scala, determinando a carico dei Comuni non sostenibili oneri economici; a valle della procedura selettiva i Comuni interessati avevano manifestato la loro assoluta indisponibilità alla localizzazione dell’intervento sul loro territorio. Il Collegio, ritenendo tali ragioni ampiamente prevedibili secondo la ordinaria diligenza, osserva che è pacifica la responsabilità della pubblica amministrazione in caso di evidente negligenza nella progettazione dell’opera da eseguire. Sotto il profilo della colpa evincibile in generale secondo la definizione dell’art. 43 codice penale, definizione che il codice civile presuppone e indirettamente richiama, in tema di responsabilità civile della p.a. nell'esecuzione di un'opera pubblica, ad escludere l'antigiuridicità del fatto e la colpa dell' amministrazione per i danni arrecati a terzi non basta la circostanza che quest'ultima abbia seguito correttamente il complesso iter tecnico-amministrativo previsto dalla legge per l'esecuzione dell'opera pubblica, poiché l'esito favorevole dei vari controlli non esime la p.a. dal dovere di seguire anche le regole tecniche e di comune prudenza e diligenza allo scopo di non ledere l'incolumità e il patrimonio di alcuno. Essendo questi i principi applicabili al caso di specie, non può non concludersi che, per una amministrazione diligente, la mancata considerazione iniziale delle diseconomie di scala a causa delle due separate localizzazioni e il mancato previo coinvolgimento (se non addirittura il previo assenso) dei Comuni interessati, costituiscono gravi negligenze rispetto al dovere di diligenza professionale (arg. ex art. 2236 c.c.) applicabile anche all’attività della pubblica amministrazione. Tali negligenze sono attribuibili a evidenti carenze progettuali e professionali riconducibili al momento della formazione della volontà contrattuale iniziale all’interno dell’amministrazione. E’ evidente che le ragioni del ripensamento sono state poi giustificate dall’amministrazione con la sopravvenuta insorgenza di tali problematiche, che potevano anche essere nel tempo superate, ma è altresì evidente che esse erano ampiamente ex antea prevedibili, secondo il metro della ordinaria diligenza amministrativa. Sussistono pertanto gli estremi della colpa o negligenza quale elemento soggettivo. Con riguardo alla quantificazione del danno risarcibile, è costante l’orientamento per cui in caso di responsabilità precontrattuale spetta il solo interesse negativo, essendosi verificata la lesione dell’interesse giuridico al corretto svolgimento delle trattative (non alla lesione del contratto); il danno risarcibile è quindi unicamente quello consistente nella perdita derivata dall’aver fatto affidamento nella conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute (interesse negativo). La differenza in negativo del patrimonio attiene all’interesse a non essere coinvolti in trattative inutili e dispendiose, non già all’interesse alla positiva esecuzione dei doveri contrattuali. Come chiarito dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (3380 del 2008) nella sua più autorevole espressione, dopo la " legittima" revoca dell’aggiudicazione può residuare lo spazio per il risarcimento dei danni precontrattuali conseguenti alla lesione dell’affidamento ingenerato nell’impresa vittoriosa in seno alla procedura di evidenza pubblica poi rimossa ( cfr. Ap. n. 6 del 2005). Perchè sussista una tale responsabilità precontrattuale occorre però, da un lato, che il comportamento tenuto dalla P.A. risulti contrastante con le regole di correttezza e di buona fede di cui all'art. 1337 del cod. civ.; dall’altro, che lo stesso comportamento abbia ingenerato un danno del quale appunto viene chiesto il ristoro. Peraltro, come è regola nel caso della responsabilità precontrattuale, delimitando il quantum, il risarcimento riguarda il solo interesse negativo (spese inutilmente sostenute in previsione della conclusione del contratto e perdite sofferte per non aver usufruito di ulteriori occasioni contrattuali), mentre non è risarcibile il mancato utile relativo alla specifica gara d'appalto revocata. Inoltre, la regola generale dell'onere probatorio, secondo cui spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti su cui fonda la pretesa avanzata, trova infatti integrale applicazione nel giudizio risarcitorio, nel quale non ricorre quella diseguaglianza di posizioni tra amministrazione e privato che giustifica nel giudizio di legittimità l'applicazione del principio dispositivo con metodo acquisitivo. In caso di responsabilità precontrattuale, il danno va risarcito nei limiti dell'interesse negativo, che include soltanto le spese sostenute per la partecipazione alla gara ed, eventualmente, la perdita della cd. chance contrattuale alternativa. Non meritano, quindi, risarcimento le voci che fanno riferimento all'interesse cd. positivo (l'interesse all'esecuzione dell'appalto), che attengono, appunto, alle utilità e ai vantaggi che sarebbero derivati dall'esecuzione del contratto. Tra tali voci di danno non risarcibile vi è quella relativa al cd. danno curriculare, preteso dall’appellante. Non spetta il preteso danno curriculare, in quanto nell'ambito della responsabilità precontrattuale, esso non attiene all'interesse negativo, ma più propriamente all'interesse positivo, derivando proprio dalla mancata esecuzione dell'appalto, non dall'inutilità della trattativa. Il cd. danno curriculare può, infatti, essere definito come il pregiudizio subito dall'impresa a causa del mancato arricchimento del "curriculum" professionale per non poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione dell'appalto. La responsabilità precontrattuale della p.a. non è responsabilità da provvedimento, ma da comportamento, e presuppone la violazione dei doveri di correttezza e buona fede nella fase delle trattative, in quanto l'art. 1337 c.c. pone in capo alla p.a. obblighi analoghi a quelli che gravano su un comune soggetto nel corso delle trattative precontrattuali. Il danno derivante dalla violazione di tali regole è limitato al cd. interesse contrattuale negativo , consistente nel ristoro delle spese sostenute per la partecipazione alla gara e di una percentuale equitativa delle spese generali di impresa, e nel ristoro per la perdita - adeguatamente documentata - di altre favorevoli occasioni contrattuali, con esclusione del danno cd. curriculare. Al fine della dimostrazione del danno da perdita di chance, è necessario e sufficiente che la parte documenti la rinuncia a diverse proposte contrattuali, accettate da altre ditte, senza dar conto di una struttura di impresa tale da impedire di essere contemporaneamente impegnata su più fronti, in quanto la scelta di non impegnarsi su più cantieri esprime un uso lineare e corretto della diligenza imprenditoriale. Nei casi di responsabilità precontrattuale propriamente detti, ciò che il privato lamenta non è la mancata aggiudicazione, ma la lesione della sua corretta autodeterminazione negoziale. Nell'ambito della responsabilità precontrattuale , il c.d. danno curriculare non è risarcibile, perché non attiene all' interesse negativo ma, più propriamente, all' interesse positivo, derivando proprio dalla mancata esecuzione dell'appalto, non dall'inutilità della trattativa. Il c.d. danno curriculare può, infatti, essere definito come il pregiudizio subito dall'impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale per non poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione dell'appalto. Con riguardo alla quantificazione del danno la parte appellante pretende le seguenti voci di danno: 1) la partecipazione alle due gare per costi vivi è costata euro 42.530,00 per asseverazioni, relazioni idrogeologiche, di impatto ambientale, stampe, progetti, cartografie; 2) ulteriori costi per euro 37.562,14 per relazione di impatto acustico, spese notarili, progettazione, flottaggio e stampe, polizze fideiussorie, rilievo celerimetrico, relazione geologica, perizia e progettazione economica; 3) le spese sostenute a titolo di onorari per l’ing. Fernando Tramonte pari ad euro 336.072,97; per l’ing. Luigi Putignano pari ad euro 253.801,66; per l’ing. Carmine Carella, pari ad euro 368.253,02, per l’attività professionale di questi tre ingegneri per la predisposizione del progetto, tenendo conto che il valore dell’impianto, di natura complessa, è di circa venti milioni di euro; 4) per spese di giudizio amministrativo (per il giudizio che le ha consentito la riammissione in gara) sono documentate spese per euro 26.000, 00; 5) i costi della struttura aziendale (servizi generali, gestione dell’immobile sede della società e per gli ammortamenti) in funzione della gara poi annullata, costi ammontanti a euro 1.100.000,00; 6) il danno c.d. curriculare, per la misura del tre per cento del valore dell’appalto (e quindi 576.270,00 su euro 19.209.000,00). Con riguardo al danno curriculare, valgono le considerazioni sopra riportate sulla non dovutezza in caso di interesse contrattuale negativo. Sono certamente dovute le voci vive per la partecipazione alle due gare e quindi: circa 80.000 complessivi (42.530,00 e 37.562,14) per relazioni e altro. Non sono dovute le spese per i giudizi amministrativi, in quanto, per definizione, esse sono compensate dalla eventuale condanna alle spese di giudizio. In relazione a quanto preteso per la prestazione dei tre professionisti ingegneri, da un lato si ritiene di ridurre alla pretesa per un solo ingegnere responsabile del progetto e dall’altro lato, in assenza di contestazioni da parte dell’amministrazione, non può non riconoscersi quantomeno il minore degli importi professionali riferiti ad uno dei tre ingegneri (e per ciò euro 253.000,00 circa). Per continuare nella lettura della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

 
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In linea generale e in punto di diritto, la responsabilità precontrattuale consiste nella violazione del dovere di buona fede e correttezza durante la fase delle trattative (art. 1337 c.c.), ormai ritenuto pacificamente applicabile anche alla Pubblica Amministrazione. Costituisce violazione della ... Continua a leggere

 

La "perdita di chance" negli appalti pubblici: il Consiglio di Stato ribadisce i principi giurisprudenziali consolidati in materia di risarcimento del danno

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

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Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello dell’amministrazione con riferimento al motivo con il quale si impugna la sentenza nella parte in cui condanna l’amministrazione al risarcimento del danno. Secondo l’amministrazione, nel caso di specie avrebbe comunque influito sulla (presunta) illegittimità delle determinazioni della P.A. "l’equivocità e/o ambiguità della normativa applicabile, la novità delle questioni, le oscillazioni giurisprudenziali nella materia". Questa Sezione ha già avuto modo di pronunciarsi in tema di risarcimento del danno, anche con riguardo alla cd. "perdita di chance" (Cons. Stato, sez. IV, 2 aprile 2012 n. 1957), esponendo considerazioni dalle quali non vi è motivo di discostasi nella presente sede. Ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., il danno è risarcibile soltanto laddove esso consiste in un danno/evento ingiusto, tale essendo quello consistente nella lesione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, che fonda la sussistenza di una posizione soggettiva. Deve trattarsi di un danno che presuppone la titolarità di un interesse apprezzabile, differenziato, giuridicamente rilevante e meritevole di tutela e che inerisce al contenuto stesso della posizione sostanziale. Tale danno ingiusto deve essere inoltre ricollegabile, con nesso di causalità immediato e diretto, al provvedimento impugnato, e, nel caso in cui la posizione di interesse legittimo appartenga alla species del cd. interesse pretensivo, esso deve concernere l’ingiusto diniego o la ritardata emanazione di un provvedimento amministrativo richiesto. Secondo questo Consiglio di Stato (sez. V, 2 febbraio 2008 n. 490) "il danno, per essere risarcibile, deve essere certo e non meramente probabile, o comunque deve esservi una rilevante probabilità del risultato utile" e ciò è quello che "distingue la chance risarcibile dalla mera e astratta possibilità del risultato utile, che costituisce aspettativa di fatto, come tale irrisarcibile". In tal senso, la giurisprudenza ha ancorato il risarcimento del danno cd. "da perdita di chance" a indefettibili presupposti di certezza dello stesso, escludendo il caso in cui l’atto, ancorché illegittimo, abbia determinato solo la perdita di una "eventualità" di conseguimento del bene della vita. Ed infatti, in tale ultimo caso, risulta pienamente esaustiva la tutela ripristinatoria offerta dall’annullamento e dalle sue conseguenze (in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 3 agosto 2004 n. 5440; sez. V, 25 febbraio 2003 n. 1014; sez. VI, 23 luglio 2009 n. 4628; Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2007 n. 15947). In ogni caso, non si è ritenuto configurabile un danno risarcibile per equivalente, allorché, per effetto dell’annullamento del provvedimento amministrativo (nel caso considerato, aggiudicazione), vi sia ripetizione della attività amministrativa, e quindi il ripristino della chance del concorrente (Cons. Stato, sez. V, 8 febbraio 2011 n. 854; 24 gennaio 2011 n. 462; 28 agosto 2009 n. 5105). In ordine al requisito soggettivo della colpa, questa deve essere valutata tenendo conto dei vizi che inficiano il provvedimento, della gravità delle violazioni ad essa imputabili (anche alla luce del potere discrezionale concretamente esercitato), delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati al procedimento (Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2009 n. 3827). Quanto alle "voci" del danno risarcibile, esse sono state, a seconda dei casi, individuate (Cons. Stato, sez. V, n. 491/2008; sez. VI, n. 2384/2010): a) nel danno emergente, costituito dalle spese e dai costi sostenuti per la preparazione dell’offerta e per la partecipazione alla procedura (secondo Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2009 n. 3144, solo in caso di illegittima esclusione dalla gara); b) nel lucro cessante, determinato nel 10% del valore dell’appalto, precisandosi anche che il lucro cessante è innanzi tutto determinato sulla base dell’offerta economica presentata al seggio di gara (Cons. Stato, sez. V, 6 aprile 2009 n. 2143); c) una ulteriore percentuale del valore dell’appalto, "a titolo di perdita di chance, legata alla impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell’appalto non eseguito", cd. "danno curriculare" (in senso conforme, Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2008 n. 2751; sez. V., 23 luglio 2009 n. 4594; secondo Cons. Stato, sez. VI, n. 3144/2009, la percentuale del "danno curriculare" va calcolata sulla misura del lucro cessante e non già sull’importo dell’appalto); d) il danno, equitativamente liquidato, per il mancato ammortamento di attrezzature e macchinari; e) il danno consistente nella perdita di ulteriori occasioni di stipulazione con altri di contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi. Si è tuttavia affermato (Cons. Stato, sez. IV, 14 gennaio 2013 n. 156) che, perché possa costituire evento di danno e quindi presupposto di obbligazione risarcitoria della P.A. tale perdita non deve rappresentarsi come effetto di una scelta imprenditoriale "libera", anche se dettata da criteri di maggiore convenienza o opportunità, ciò rientrando nella piena disponibilità dell’imprenditore. Al contrario, essa deve costituire la conseguenza di una situazione in cui – per la natura dell’appalto, lo stato della procedura di affidamento, le modalità di esecuzione e i contenuti del contratto da stipularsi – la scelta dell’imprenditore appare "necessitata", in relazione alle obbligazioni che egli assumerebbe per effetto del contratto alla stipulazione del quale non si è pervenuti per responsabilità dell’amministrazione appaltante. f) infine, il danno esistenziale, posto che "il diritto all’immagine, concretizzantesi nella considerazione che un soggetto ha di sé e nella reputazione di cui gode, non può essere considerato appannaggio esclusivo della persona fisica e va anzi riconosciuto anche alle persone giuridiche". Orbene, come è dato osservare, nelle ipotesi di risarcimento del danno da provvedimento illegittimo (come nel caso del danno subito dal partecipante alla gara secondo classificato che avrebbe dovuto essere aggiudicatario, e che ha quindi subito gli effetti di un provvedimento illegittimo), la prova dell’esistenza del medesimo interviene in base ad una verifica del caso concreto, che faccia concludere per la "certezza" del danno, sussistente sia laddove questo possa essere a tutta evidenza riscontrato, sia laddove vi sia "una rilevante probabilità del risultato utile". In definitiva, può affermarsi che, nelle ipotesi di risarcimento del danno da provvedimento illegittimo, la prova dell’esistenza del medesimo interviene in base ad una verifica del caso concreto che faccia concludere per la sua "certezza", la quale presuppone: - in primis, l’esistenza di una posizione giuridica sostanziale della quale possa assumersi essere intervenuta una lesione; e laddove vi è esercizio di potere tale posizione sostanziale è l’interesse legittimo; - in secondo, l’esistenza di una lesione, che sussiste sia laddove questo possa essere a tutta evidenza e concretamente riscontrato, sia laddove vi sia "una rilevante probabilità del risultato utile" frustrata dall’agire illegittimo dell’amministrazione. Quanto a questo secondo aspetto, l’esame della sussistenza del danno da perdita di chance interviene: - o attraverso la constatazione in concreto della sua esistenza, ottenuta attraverso elementi probatori (ad esempio, con riferimento alle gare d’appalto, si è in presenza di un contratto eseguito o in esecuzione, che avrebbe dovuto essere certamente eseguito da una diversa impresa, in luogo di quella beneficiaria di aggiudicazione illegittima); - o attraverso una articolazione di argomentazioni logiche, che, sulla base di un processo deduttivo rigorosamente sorvegliato, inducono a concludere per la sua sussistenza; - ovvero ancora attraverso un processo deduttivo secondo il criterio, elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, del c.d. "più probabile che non" (Cass. civ., n. 22022/2010), e cioè "alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata dai dati della comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali" (Cass., sez. III civ., n. 22837/2010). Nel caso dei procedimenti di gara o di concorso, la posizione giuridica sostanziale del partecipante assurge sicuramente ad interesse legittimo (pretensivo) con riferimento all’ammissione a partecipare alla gara o alle prove del concorso medesimo, ovvero in relazione ad una valutazione delle prove o dell’offerta svolte non immune da vizi di legittimità. Tali situazioni giuridiche, tuttavia, possono ricevere tutela - sol che il titolare la richieda onerandosi del rispetto delle norme procedurali previste - eminentemente sul piano ripristinatorio, mediante annullamento del provvedimento illegittimo e, prima ancora, mediante l’adozione di provvedimenti cautelari da parte del giudice. Ciò in quanto, nell’interesse legittimo pretensivo, l’oggetto della posizione, tale da definirne il contenuto sostanziale (nel cd. lato interno della relazione) non è un "bene" già esistente nel patrimonio giuridico del titolare, bensì la stessa possibilità di conseguimento di un utilitas per il tramite dell’esercizio del potere amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 3 agosto 2011 n. 4644). E’ del tutto evidente che l’illegittimo esercizio del potere comporta un "vulnus" per la posizione giuridica di interesse legittimo. Ma tale vulnus – afferendo, a tutta evidenza, ad una situazione dinamica di possibilità di conseguimento di una utilitas – non può che ricevere riparazione se non per il tramite di una tutela del tipo ripristinatorio, per mezzo, cioè, dell’annullamento dell’atto, che consente il riesercizio del potere amministrativo, e quindi il ristabilirsi della "chanse di conseguimento dell’utilità finale". E ciò con la sola eccezione – come affermano le stesse Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 6594/2011, ma in tal senso già la sent. n. 500/1999) – di ipotesi di istanze obiettivamente fondate, tali definibili sulla base della situazione concreta dell’istante, dell’assetto normativo applicabile al caso di specie, e del concreto modus agendi, in ipotesi analoghe, della Pubblica Amministrazione. In questo senso deve essere interpretata anche quella giurisprudenza (Cons. St., Ad. Plen., 5 settembre 2005 n. 6), che afferma come "anche con riferimento alla perdita di altre occasioni da parte dell'impresa, sembra preferibile conformarsi al criterio equitativo . . . (già adottato qualche volta dalla giurisprudenza amministrativa), riconoscimento al concorrente dell'utile economico che sarebbe derivato dalla gestione del servizio messo in gara nella misura del 10% dell'ammontare dell'offerta", o che aggiunge altre voci di danno risarcibile, tra le quali il cd. danno curriculare (Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2008 n. 2751; sez. V., 23 luglio 2009 n. 4594). Nel caso di esclusione dalla gara, al fine di ottenere il risarcimento del danno da perdita di chance, occorre fornire prova certa in ordine alla circostanza che l’offerta del concorrente illegittimamente escluso sarebbe stata quella che avrebbe comportato l’attribuzione dell’aggiudicazione al concorrente medesimo, di modo che questi si vede privato sia del "lucro", derivante dall’esecuzione del contratto, sia dell’acquisizione di un elemento curriculare positivo, da far valere in ulteriori e successive procedure di gara. Il risultato interpretativo ora esposto non costituisce, peraltro, una "singolarità" dell’interesse legittimo e delle sue possibilità di tutela risarcitoria. Al contrario, esso sembra trovare indiretta conferma nella giurisprudenza, anche del giudice civile, in tema di responsabilità precontrattuale, dove (peraltro con ben più accentuato fondamento) uno dei potenziali contraenti confida nella positiva conclusione del contratto. Ebbene, in questi casi - che pure sono fondati sul ben più pregnante affidamento ingenerato in uno dei potenziali contraenti dal comportamento dell’altra parte, e per i quali non è ovviamente prevista alcuna altra forma di tutela, e segnatamente quella ripristinatoria - la giurisprudenza àncora il risarcimento del danno al cd. "danno emergente per spese sostenute" (oltre alle eventuali occasioni contrattuali perse, in ordine alle quali occorre fornire prova rigorosa); e ciò in quanto questo si colloca nei limiti del cd. interesse negativo, e cioè dell’interesse del soggetto a non essere leso nell’esercizio della sua libertà negoziale (Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 1977 n. 73; Cons. Stato, sez. VI, 17 dicembre 2008 n. 6264). Esula, dunque, dalla ricostruzione del danno risarcibile, ogni profilo di "lucro cessante" (cui occorre riportare il danno da perdita di chance).

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

 
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Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello dell’amministrazione con riferimento al motivo con il quale si impugna la sentenza nella parte in cui condanna l’amministrazione al risarcimento del danno. Secondo l’amministrazione, nel caso di specie avrebbe comunque influito sul ... Continua a leggere

 

Per l'ammissione alla gara di un raggruppamento consortile o di un' A.T.I. occorre che già nella fase di offerta sia evidenziata la corrispondenza sostanziale tra quote di qualificazione e quote di partecipazione, nonché tra quote di partecipazione e quote di esecuzione

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

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La giurisprudenza (tra cui la sentenza del Consiglio di Stato 1 agosto 2012 n. 5799) hanno già avuto modo di affermare che il comma 13 dell’art. 37 d. lgs. n. 163/2006, stabilisce che i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondentealla quota di partecipazione al raggruppamento, il che comporta che deve sussistere una perfetta corrispondenza tra quota di lavori (o, nel caso di forniture o servizi, parti del servizio o della fornitura) eseguita dal singolo operatore economico e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento, essendovi peraltro la necessità che sia l'una che l'altra siano specificate dai componenti del raggruppamento all'atto della partecipazione alla gara. (Cons. St., sez. III, 11 maggio 2011 n. 2805; in senso conforme, Cons. St., sez. IV, 27 gennaio 2011 n. 606). Si è precisato che ai fini dell'ammissione alla gara di un raggruppamento consortile o di un' A.T.I. occorre che già nella fase di offerta sia evidenziata la corrispondenza sostanziale tra quote di qualificazione e quote di partecipazione, nonché tra quote di partecipazione e quote di esecuzione, trattandosi di obbligo costituente espressione di un principio generale che prescinde dall'assoggettamento o meno della gara alla disciplina comunitaria e non consente distinzioni legate alla natura morfologica del raggruppamento (verticale o orizzontale), o alla tipologia delle prestazioni, principali o secondarie, scorporabili o unitarie (Cons. St., sez. VI, 24 gennaio 2011 n. 472; sez. IV, 27 novembre 2010 n. 8253). Più in particolare, si è affermato (Cons. St., sez. III, n. 2805/2011 cit) che "l'obbligo di specificazione in esame trova la sua ratio . . . nella necessità di assicurare alle Amministrazioni aggiudicatrici la conoscenza preventiva del soggetto, che in concreto eseguirà il servizio. E ciò non solo per consentire una maggiore speditezza nella fase di esecuzione del contratto, ma anche per l'effettuazione di ogni previa verifica sulla competenza tecnica dell'esecutore; oltre che per evitare che le imprese si avvalgano del raggruppamento non per unire le rispettive disponibilità tecniche e finanziarie, ma per aggirare le norme d'ammissione alle gare. La regola, si soggiunge, non può non valere poi anche per le A.T.I. costituende, che correttamente sono dunque tenute anch'esse ad indicare, già nella fase di ammissione alla gara, e dunque prima dell'aggiudicazione, le quote di partecipazione di ciascuna impresa al futuro raggruppamento e le quote di ripartizione delle prestazioni oggetto dell'appalto, ai fini della verifica della rispondenza della prestazione da eseguirsi ai requisiti di qualificazione tecnico-organizzativa fatti valere secondo le relative corrispondenti percentuali, essendo del resto evidente che una diversa soluzione porterebbe ad un diversificato ed ingiustificato trattamento tra le A.T.I. già formalmente costituite e le A.T.I. costituende, che ne sarebbero esonerate e chiamate a dimostrare l'affidabilità della loro proposta contrattuale solo se e quando risultino aggiudicatarie della gara.". L’indicazione delle quote di partecipazione ad un’ATI costituenda, dunque, deve indispensabilmente avvenire in sede di gara e non può essere desunta dalla diversa indicazione delle quote di ripartizione delle prestazioni oggetto dell’appalto. Ed infatti, per un verso, l’indicazione delle quote di partecipazione costituisce il presupposto per una compiuta verifica della rispondenza della prestazione da eseguirsi ai requisiti di qualificazione tecnico-organizzativa fatti valere secondo le relative corrispondenti percentuali, verifica che è negata dalla indicazione del solo dato relativo alla ripartizione delle quote di esecuzione dell’appalto, con conseguente sostanziale disapplicazione dell’art. 37, co. 13, d. lgs. n. 163/2006. Per altro verso, l’omissione della precisa indicazione delle quote di partecipazione alla costituenda ATI non consentendo – in difetto di specifica indicazione, impegno e conseguente assunzione di responsabilità da parte delle imprese – le corrette ed esaustive verifiche da parte dell’amministrazione, determina una violazione della par condicio dei concorrenti (ed in particolare tra ATI già costituite ed ATI costituende). D’altra parte, a fronte di una specifica indicazione prevista dal citato art. 37, co. 13, non vi è ragione per consentire indicazioni diverse, obbligando l’amministrazione – in luogo di una valutazione immediata derivante dalla chiara percezione offerta dalla indicata (con conseguente assunzione di responsabilità) quota di partecipazione all’ATI – a dover desumere tale quota da indicazioni diverse. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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La giurisprudenza (tra cui la sentenza del Consiglio di Stato 1 agosto 2012 n. 5799) hanno già avuto modo di affermare che il comma 13 dell’art. 37 d. lgs. n. 163/2006, stabilisce che i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente ... Continua a leggere

 

ATI: se il disciplinare richiede che ciascun concorrente che costituisce o costituirà il raggruppamento d’impresa dichiari di aver eseguito il sopralluogo imposto dalla normativa concorsuale non basta un sopralluogo effettuato dalla sola impresa mandataria

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

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Nel giudizio in esame si censura la sentenza impugnata nella parte in cui essa afferma che -in presenza di una previsione del disciplinare, che richiede che ogni concorrente singolo o ciascun concorrente che costituisce o costituirà il raggruppamento d’impresa dichiari di aver eseguito il sopralluogo imposto dalla normativa concorsuale - non può ritenersi tale obbligo assolto allorchè il sopralluogo sia stato effettuato dalla sola impresa mandataria. Ritiene l’appellante che "nessuna prescrizione concorsuale richiedeva pertanto che il sopralluogo fosse effettuato da tutte le imprese partecipanti e non solo dalla mandataria o da soggetto appositamente delegato, né la norma rendeva obbligatoria l’acquisizione dell’attestato di sopralluogo da parte di ciascuna componente delle associazioni temporanee". La prospettazione dell’appellante non può essere condivisa, posto che – come correttamente affermato nella sentenza impugnata – l’obbligo di eseguire il sopralluogo posto a carico dei soggetti partecipanti (dall’ultimo cpv. del capo 5), non poteva che riferirsi ai soggetti contemplati dal medesimo capo 5, e precisamente al concorrente singolo ovvero a ciascun concorrente che costituisce o costituirà il raggruppamento di impresa. Ciò precisato, appare evidente come l’attestato di sopralluogo, la cui mancata allegazione determina l’esclusione, deve riferirsi a tutte le imprese partecipanti, e - nel caso di ATI costituenda - non solo alla mandataria. Per un verso, se – come afferma l’appellante – "nessuna prescrizione concorsuale richiedeva . . . che il sopralluogo fosse effettuato da tutte le imprese partecipanti", è altrettanto vero che nessuna prescrizione, però, consentiva che tale sopralluogo fosse effettuato da una sola impresa (auto)qualificatasi come mandataria di una costituenda associazione temporanea. Per altro verso, proprio perché, come affermato dall’appellante, "il sopralluogo è un adempimento funzionale alla conoscenza dei luoghi che il partecipante acquisisce al fine della successiva presentazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa", può comprendersi (e giustificarsi sul piano della ragionevolezza) una previsione del bando che – in presenza di lavori particolarmente delicati nell’ambito di una ricostruzione post-sisma – richieda il sopralluogo da parte di tutte le imprese concorrenti, e quindi anche di quelle che – nel costituirsi in ATI anche in momento successivo alla partecipazione alla gara – tuttavia partecipano ala definizione dell’offerta.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

 
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Nel giudizio in esame si censura la sentenza impugnata nella parte in cui essa afferma che -in presenza di una previsione del disciplinare, che richiede che ogni concorrente singolo o ciascun concorrente che costituisce o costituirà il raggruppamento d’impresa dichiari di aver eseguito il sopralluo ... Continua a leggere

 

Appalti: e' legittima la previsione di esclusione per omessa presentazione della domanda di partecipazione alla gara se con essa si richiede oltre alla manifestazione di partecipare anche indicazioni o impegni che – in difetto di "domanda" – non sono altrimenti ricavabili

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

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Nella vicenda in esame il Consiglio di Stato relativamente alla questione inerente alla rilevanza della omessa domanda di partecipazione, ha evidenziato come occorre innanzi tutto verificare la funzione svolta dalla stessa, in ragione del contenuto che per essa è prescritto dal bando. Ed infatti,da un lato, nella sua formulazione più semplice ed immediata, la domanda di partecipazione costituisce solo la manifestazione della volontà del soggetto di voler partecipare alla gara e della certa attribuibilità al medesimo soggetto della documentazione a tal fine presentata. In altre ipotesi, invece, con l’atto contenente la domanda di partecipazione, si richiedono talora al concorrente dichiarazioni ulteriori, autocertificazioni, assunzioni unilaterali di obbligazioni. E’ evidente che, in questo secondo caso (pur riscontrabile nella prassi), l’atto definito (in modo "minimale") "domanda di partecipazione" presenta un contenuto complesso, di modo che l’omissione della sua presentazione non costituisce solo una mancata manifestazione di volontà a partecipare, ma priva la stazione appaltante di ulteriori manifestazioni aventi rilevanza giuridica e riconducibili alla volontà del concorrente. In questo caso, appare evidente come la previsione di esclusione per il caso di mancata presentazione della domanda appare del tutto legittima e ragionevole, proprio perché l’amministrazione abbisogna di quelle indicazioni o impegni (o di quant’altro sia richiesto), che – in difetto di "domanda" – non sono ricavabili da alcun altro documento tra quelli presentati in sede di partecipazione alla gara. Al contrario, nel caso in cui la domanda di partecipazione si presenti solo come semplice "domanda", nei sensi sopra descritti, la volontà di voler partecipare alla gara e la riferibilità all’impresa partecipante di quanto effettivamente presentato, ben possono essere desunti dal complesso della documentazione presentata, nella misura in cui da quest’ultima possa ricavarsi in modo certo sia la volontà di voler partecipare sia la effettiva identità del partecipante. In questa ipotesi, dunque, non può accordarsi prevalenza al rilievo meramente formale della mancata presentazione della domanda (ed in tal senso si presenta come illegittima la clausola del bando che prevede l’esclusione). E ciò: - sia in quanto tale previsione, nell’attribuire irragionevolmente rilevanza all’aspetto formale in luogo della sostanza, finisce per operare una cesura tra clausola e sua funzione teleologicamente orientata alla cura dell’interesse pubblico, posto che non sono in discussione, nella sostanza, le ragioni per le quali la clausola medesima era stata prevista; - sia in quanto, sacrificandosi in ossequio ad un aspetto meramente formale la partecipazione di un concorrente, si incide sul principio di massima possibile partecipazione alle gara, quale strumento di affermazione della più ampia concorrenza.

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Piste ciclabili: il divieto di realizzazione di piste ciclabili con doppio senso di marcia su un unico lato della strada, riguarda solo l'ipotesi delle piste ciclabili su "corsia riservata" delimitata sull'ordinaria sede stradale

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

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La Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha rilevato nella sentenza in esame che il D.M. 30-11-1999 n. 557 "Regolamento recante norme per la definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili", all’art. 6, definisce come "pista ciclabile" la "..parte longitudinale della strada, opportunamente delimitata, riservata alla circolazione dei velocipedi" e ne individua tre tipi così di seguito descritti: a) le piste ciclabili "in sede propria": ad unico o doppio senso di marcia sono quelle fisicamente separate dalla corsia dei veicoli a motore attraverso idonei spartitraffico longitudinali fisicamente invalicabili (ex art. 4, primo comma lett. a); b) le piste ciclabili a "corsia riservata": sono quelle ricavate sulla carreggiata stradale ad un senso unico di marcia concorde con quello della contigua corsia destinata ai veicoli a motore ed a destra rispetto quest'ultima corsia, la cui sede è delimitata da una semplice striscia a terra posta longitudinale (ex art. 4, 2º comma lett. b); c) le piste "su corsia riservata": ad unico o doppio senso di marcia", ricavate dal marciapiede adiacente alla carreggiata stradale. Al riguardo, il comma 4 del cit. art. 6, per cui "non è consentita la realizzazione di piste ciclabili a doppio senso di marcia con corsie ubicate entrambe sullo stesso lato della piattaforma stradale" concerne, logicamente, solo il caso di piste ciclabili a doppio senso di marcia, ricavate sulla carreggiata stradale attraverso la semplice apposizione di una striscia delimitante la corsia di cui all’art. 4, 2º comma lett. b). Solo in tale ipotesi infatti è evidente il rischio per l’incolumità dei ciclisti posti sulla corsia esterna la cui marcia avverrebbe a stretto contatto con i flussi veicolari. In tale senso deve essere intesa la prescrizione secondo tale standard, derogata solo in "casi particolari", se è fornita la "specifica dimostrazione di validità tecnica della loro adozione ai fini della sicurezza stradale, specialmente con riferimento alla conflittualità su aree di intersezione". Deve, invece, escludersi che sussista una qualche ragione di sicurezza stradale relativamente al caso di piste ciclabili fisicamente separate da guardrail o poste su marciapiedi. Nell’ambito delle tre soluzioni previste dal D. M.-- tutte legittime --, la scelta per l’una o per l’altra è affidata a valutazioni di opportunità tecnica, che, sotto i profili della logica e della ragionevolezza delle scelte, appaiono del tutto legittime, considerando la relativa ristrettezza dei marciapiedi ai due lati e l‘ampiezza della sede stradale. La decisione della creazione di un’apposita carreggiata esterna alla piattaforma stradale, ex art. 4, primo comma lett. a) del D.M. 30-11-1999 n. 55, è la soluzione che la predetta normativa pone al vertice della sicurezza delle piste ciclabili. L’allargamento della sede stradale con una pista ciclabile è, infatti, previsto con due corsie a doppio senso di marcia su un unico lato, ma fisicamente separate dalla strada tramite una barriera in acciaio e, in alcuni tratti, mediante un’aiuola verde), nonché con una larghezza minima inderogabile di 2,50 m., così come prescritto dall’art. 7,1° co, del D.M. per il caso di doppia corsia. Anche in base alla comune esperienza di chi va in bicicletta, la soluzione, (come è facilmente riscontrabile anche dalle mappe satellitari e terresti facilmente accessibili a tutti sul web) appare perfettamente consona allo stato dei luoghi ed ad un tessuto edilizio non particolarmente addensato. Né appare rilevante - oltre che indimostrato, peraltro - l’assunto per cui il progetto sarebbe mancante degli "indispensabili apprestamenti e segnalazioni per la sicurezza di coloro che transitano sui veicoli a due ruote" L’art. 9 del D.M. cit. rimarca che gli … "attraversamenti delle carreggiate stradali effettuati con piste ciclabili devono essere realizzati con le stesse modalità degli attraversamenti pedonali, tenendo conto di comportamenti dell'utenza analoghi a quelli dei pedoni…". Pertanto, considerando che gli accessi pedonali alla strada già preesistevano, tale profilo è inconsistente, dato che la realizzazione della pista ciclabile non modificava la situazione degli accessi pedonali dei veicoli. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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Anomalia dell'offerta: il giudice non può sostituire il proprio apprezzamento a quello dell'Amministrazione

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

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In materia di sindacato sulla legittimità della verifica dell'anomalia, il giudice deve solo stabilire se la stazione appaltante sia incorsa in qualche errore o illogicità manifesta e se l'offerta risulti nel suo complesso affidabile, e non può anche spingersi a sostituire il proprio apprezzamentoa quello dell'Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 30/05/2013 n. 2956; Consiglio di Stato sez. VI 20/09/2013 n. 4676). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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In materia di sindacato sulla legittimità della verifica dell'anomalia, il giudice deve solo stabilire se la stazione appaltante sia incorsa in qualche errore o illogicità manifesta e se l'offerta risulti nel suo complesso affidabile, e non può anche spingersi a sostituire il proprio apprezzamento ... Continua a leggere

 

Appalti pubblici: la presenza nella seduta della Commissione giudicatrice di un soggetto che - anche a prescidendere del conferimento di specifica e valida delega ad esercitare una specifica carica sociale - si qualifichi come rappresentante della stessa equivale a piena conoscenza degli atti di gara per l'individuazione del termine decadenziale di impugnazione

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Come la giurisprudenza più recente ha costantemente ripetuto, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione del provvedimento di esclusione dalla gara, assume rilevanza l’effettiva piena conoscenza di tale provvedimento, ancorché sia acquisita in fase di seduta pubblica anteriormente alla formale comunicazione di cui all’art. 79 comma 5 lett. b) D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163. Ciò perché l'art. 79 D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163, come modificato dall'art. 2 comma 1 D.L.vo 20 marzo 2010 n. 53, se risponde al fine di garantire piena conoscenza e certezza della data di conoscenza in relazione agli atti segnatamente esclusioni ed aggiudicazione della gara, non prevede forme di comunicazione "esclusive" o "tassative" , e consente che la piena conoscenza dell'atto sia acquisita con altre forme, ovviamente con onere di prova a carico di chi eccepisce l'avvenuta piena conoscenza con forme diverse da quelle tipiche prescritte. In sostanza l’art. 79 cit. non incide sulle regole processuali generali del processo amministrativo in tema di decorrenza dei termini di impugnazione -- dalla data di notificazione, comunicazione o comunque piena conoscenza dell'atto -- di cui all’art. 120 comma 5 Cod. proc. amm. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III 22 agosto 2012 n.4593; Cons. Stato, Sez. VI 13 dicembre 2011 n. 6531). In relazione alle pregnanti esigenze di particolare celerità e di certezza del diritto dei procedimenti di gara -- che sono alla base delle speciali regole amministrative e giurisdizionali in materia -- si deve ritenete necessario che, al fine di individuazione del termine decadenziale di impugnazione, si faccia precipuo riferimento al momento di piena conoscenza comunque acquisita dell'atto. Per la piena conoscenza degli atti di gara da parte di un’impresa è dunque sufficiente che alla seduta della Commissione giudicatrice sia presente un soggetto che – a prescindere dal conferimento di specifica e valida delega ovvero dal esercitare una specifica carica sociale -- si qualifichi come rappresentante della stessa e ed, in conseguenza, venga indicato così nel relativo verbale. Ciò perché in tale veste egli ha comunque la possibilità di presentare osservazioni, contestazioni, o comunque di far luogo a specifiche iniziative a tutela delle ragioni dell’impresa a fronte delle specifiche determinazioni assunte dall’organo di gara (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V 14 maggio 2013 n. 2614).

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Come la giurisprudenza più recente ha costantemente ripetuto, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione del provvedimento di esclusione dalla gara, assume rilevanza l’effettiva piena conoscenza di tale provvedimento, ancorché sia acquisita in fase di seduta pubblica anteriormente alla fo ... Continua a leggere

 

Ritardato versamento degli oneri di urbanizzazione: l'applicazione della sanzione pecuniaria di cui all'art. 3 comma 2 lett. a), L. n. 47/1985 non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

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L’art. 3 l. n. 47/1985 (successivamente abrogato dall’art. 136 d. lgs. n. 376/2001), prevede, con riguardo al "ritardato od omesso versamento del contributo afferente alla concessione": "Le regioni determinano le sanzioni per il ritardato o mancato versamento del contributo di concessione in misura non inferiore a quanto previsto nel presente articolo e non superiore al doppio. Il mancato versamento, nei termini di legge, del contributo di concessione di cui agli articoli 3, 5, 6 e 10, L. 28 gennaio 1977, n. 10, comporta: a) l'aumento del contributo in misura pari al 20 per cento qualora il versamento del contributo sia effettuato nei successivi centoventi giorni; b) l'aumento del contributo in misura pari al 50 per cento quando, superato il termine di cui alla lettera a), il ritardo si protrae non oltre i successivi sessanta giorni; c) l'aumento del contributo in misura pari al 100 per cento quando, superato il termine di cui alla lettera b), il ritardo si protrae non oltre i successivi sessanta giorni. Le misure di cui alle lettere precedenti non si cumulano. Nel caso di pagamento rateizzato le norme di cui al secondo comma si applicano ai ritardi nei pagamenti delle singole rate. Decorso inutilmente il termine di cui alla lettera c) del secondo comma il comune provvede alla riscossione coattiva del complessivo credito nei modi previsti dall'art. 16 della presente legge. Fino all'entrata in vigore delle leggi regionali che determineranno la misura delle sanzioni di cui al presente articolo, queste saranno applicate nelle misure indicate nel secondo comma". L’ipotesi di cui al secondo comma, lett. c) è quella che ricorre, alla luce dell’atto impugnato, nel caso di specie. La giurisprudenza amministrativa, che questo Collegio ritiene di condividere – peraltro richiamata anche nella sentenza impugnata – afferma che l'applicazione della sanzione pecuniaria di cui all'art. 3 comma 2 lett. a), L. n. 47/1985, nel caso di ritardato pagamento degli oneri di urbanizzazione, non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento, trattandosi dell'applicazione ex lege di una sanzione pecuniaria connessa al ritardato pagamento del contributo dovuto per il rilascio di una concessione edilizia (Cons. Stato, sez. V, 16 luglio 2007 n. 4025). Nel caso di specie, non rileva, al fine di giungere a conclusioni contrarie, né che la applicazione della sanzione pecuniaria intervenga all’esito di un annoso giudizio, né che il Comune non abbia provveduto a notificare la sentenza di definizione del citato giudizio. Ed infatti, per un verso – come osservato dal Comune di Milano – "l’obbligo di pagamento degli oneri concessori entro i termini di legge era noto alla società ricorrente fin dal 1993", posto che proprio gli atti con i quali era stato ingiunto il pagamento avevano formato oggetto di impugnazione; per altro verso, la società appellata era costituita nel giudizio conclusosi con la sentenza non notificata dal Comune di Milano. Per altro verso ancora, e conclusivamente, occorre affermare che, ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di pagamento di una sanzione pecuniaria (e, più in generale, di una somma di denaro della quale si è debitori nei confronti della P.A., quali i contributi concessori dovuti), non è necessaria la previa notificazione della sentenza che conclude il giudizio in cui si controverte della legittimità degli atti relativi alla determinazione delle obbligazioni del privato. Infatti, in tale giudizio è l’atto amministrativo, assistito da presunzione di legittimità, ad essere oggetto di impugnazione, con la conseguenza che il giudizio che si conclude con la reiezione del ricorso proposto avverso tale atto (la cui efficacia è stata eventualmente sospesa in corso di causa con l’adozione di misure cautelari), costituisce presupposto per la piena riespansione dell’efficacia dell’atto, oltre che di esclusione (nei limiti dei motivi di impugnazione proposti e rigettati) di profili di illegittimità del medesimo. In definitiva, l’obbligo di pagamento previsto ex lege, consegue alla emanazione e notificazione dell’atto di determinazione del contributo (e la somma dovuta a titolo di sanzione pecuniaria all’inutile decorso del termine previsto per detto pagamento), non già alla conclusione del giudizio di impugnazione di detto atto. Ciò rende, dunque, del tutto irrilevante la intervenuta (o meno) conoscenza della sentenza (peraltro passata in giudicato per decorso del termine annuale, al momento di emanazione dell’atto di irrogazione della sanzione), né tali aspetti determinano un particolare obbligo di invio di comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio....4. Altrettanto fondato è il terzo motivo di appello (sub c) dell’esposizione in fatto), con il quale si censura la statuizione secondo la quale il Comune avrebbe dovuto attivarsi per tempo a richiedere al garante il pagamento delle somme dovute per effetto della garanzia prestata con polizza fideiussoria. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato – cui il Collegio ritiene di aderire – ha già avuto modo di affermare che, in materia di obbligazioni pecuniarie, il creditore è soltanto facultato ad attivare la solidale responsabilità del fideiussore, senza che possa invece ritenersi tenuto ad escutere il coobbligato piuttosto che attendere il pagamento, ancorché tardivo (salva l'esistenza di apposita clausola in tal senso). Ne consegue che legittimamente l’amministrazione, nell'applicare la sanzione prevista dall'art. 3 comma 2 lett. a), L. n. 47/1985, per ritardato pagamento degli oneri di urbanizzazione, non ha proceduto, prima dell'applicazione delle sanzioni, alla preventiva richiesta alla banca garante, obbligatasi a pagare quanto dovuto dietro semplice richiesta scritta (Cons. Stato, sez.V, 16 luglio 2007 n. 4025; sez. IV, 10 agosto 2007 n. 4419). D’altra parte, nel caso di specie si tratta di garanzia fideiussoria prestata in corso di giudizio a seguito di provvedimento cautelare del giudice, non già di fideiussione prestata ante causam a garanzia dell’adempimento della propria obbligazione pecuniaria. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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L’art. 3 l. n. 47/1985 (successivamente abrogato dall’art. 136 d. lgs. n. 376/2001), prevede, con riguardo al "ritardato od omesso versamento del contributo afferente alla concessione": "Le regioni determinano le sanzioni per il ritardato o mancato versamento del contributo di concessione in misur ... Continua a leggere

 

Abusi edilizi: la tardività dell’ordine di demolizione rispetto all’accertamento dell’illecito e' solo indice di "cattiva amministrazione", ma non incide sulla legittimità dell'ordinanza di demolizione o sulla necessità di una "motivazione ulteriore"

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 17.2.2014

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Nella sentenza in esame depositata in data 17.2.2014 la quarta Sezione del Consiglio di Stato mentre da un lato ribadisce i principi consolidati formatosi in materia di abusi edilizi per quanto attiene alla irrilevanza dell'omessa comunicazione di avvio del procedimento diretto all'adozione dell'ordinanza di adozione dall'altro, per contro, non aderisce a quegli orientamenti che richiedono una congrua motivazione del provvedimento laddove sia decorso un lungo intervallo di tempo dalla commissione dell'abuso e il protrarsi della inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza per la conseguente nascita di una posizione di affidamento nel privato. Più precisamente il Collegio rileva che:1. La mancata comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento, prevista dall’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, non conduce all’annullabilità del provvedimento, trattandosi di un inadempimento meramente formale rispetto a un atto di natura vincolata, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr. art. 21 octies, comma 2, della citata legge n. 241 del 1990, che - sebbene inserito dall'articolo 14, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15 - il Collegio ritiene comunque applicabile alla vicenda, per trattarsi di una disposizione ricognitiva di una regola già esistente e non innovativa).A tale riguardo, il Collegio non può qui non ribadire quanto più volte precisato da questo Consiglio di Stato (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 26 settembre 2008, n. 4659; Id., sez. IV, 4 febbraio 2013, n. 666; Id., sez. IV, 25 giugno 2013, n. 3471) e cioè che nei procedimenti preordinati all'emanazione di ordinanze di demolizione di opere edili abusive non trova applicazione l'obbligo di comunicare l'avvio dell'iter procedimentale in ragione della natura vincolata del potere repressivo esercitato, che rende di per sé inconfigurabile un qualunque apporto partecipativo del privato. In questo senso va così intesa la ricorrente affermazione del medesimo Consiglio di Stato, secondo cui le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente (così testualmente da ultimo, anche sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4925; sez. IV, 4 giugno 2013, n. 3072, proprio con riguardo all’ipotesi del provvedimento vincolato).2. Non è destinato a miglior sorte, infine, il punto relativo al preteso difetto di motivazione, che deriverebbe dall’essere l’ordine di demolizione intervenuto, senza adeguata considerazione dell’interesse pubblico, per un manufatto che si assume provvisorio e contestato dall’Amministrazione ben sei anni prima dell’adozione del provvedimento impugnato.Al contrario, è principio consolidato che la demolizione degli abusi edilizi non richieda nessuna specifica motivazione, necessaria invece in casi di contrarie determinazioni. L'ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato, cioè, con l'affermazione dell’accertata abusività del manufatto.Resta soltanto salva - per taluni orientamenti giurisprudenziali, comunque di frequente contestati - l'ipotesi in cui, per il lungo intervallo di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso e il protrarsi della inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato. E’ questa la sola vicenda in cui potrebbe essere lecito ravvisare un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche alla entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso e ulteriore rispetto a quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (per tutti, Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2705).Senonché, premesso che l’orientamento da ultimo richiamato non convince il Collegio, che preferisce l’indirizzo dominante sull’inesistenza di un obbligo di motivazione "ulteriore", nella specie, la circostanza – messa bene in rilievo dal T.A.R. – che l’opera incida su un’area geografica notoriamente di pregio paesaggistico - ambientale e come tale vincolata fa ritenere che sia l'entità e la tipologia dell'abuso, sia l’intervallo di tempo fra l’accertamento e l’irrogazione della sanzione non siano in alcun modo idonei a sovvertire il richiamato principio della prevalenza del pubblico interesse alla rimozione dell’illecito (cfr., in termini, Cons. Stato, sez. IV, 12 aprile 2011, n. 2266; Id., sez. IV, n. 3471 del 2013, cit.).Pertanto, se la tardività dell’ordine di demolizione rispetto all’accertamento dell’illecito va apprezzata negativamente sotto l’indice della buona amministrazione (come già ha rilevato il Tribunale regionale, del tutto a ragione), essa non incide affatto sulla piena legittimità del provvedimento impugnato.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 17.2.2014

 
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Nella sentenza in esame depositata in data 17.2.2014 la quarta Sezione del Consiglio di Stato mentre da un lato ribadisce i principi consolidati formatosi in materia di abusi edilizi per quanto attiene alla irrilevanza dell'omessa comunicazione di avvio del procedimento diretto all'adozione dell'or ... Continua a leggere

 

False dichiarazioni sul possesso dei requisiti di partecipazione alle gare pubbliche: il Consiglio di Stato precisa che non vanno dichiarate le pronunce di condanna per cui è intervenuta la riabilitazione o l’estinzione del reato

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 17.2.2014

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Nessuna esclusione dalla gara in caso di omessa dichiarazione di condanne per cui è intervenuta la riabilitazione o l’estinzione del reato, questo in sintesi il principio dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato che nella sentenza in esame ha evidenziato che se, in linea generale, le false dichiarazioni sul possesso dei requisiti necessari per la partecipazione a gare pubbliche, relativamente all'assenza di sentenze penali di condanna, si configurano come causa autonoma di esclusione dalla procedura comparativa, nondimeno l’art. 38, comma 1, lettera c), Cod. contr. pubbl., per cui "resta salva in ogni caso l’applicazione dell’articolo 178 del codice penale e dell’articolo 445, comma 2, del codice di procedura penale"; esprime un principio di diritto in base al quale non è giustificata l'esclusione dalla gara in caso di mancata dichiarazione: -- delle condanne per le quali sia intervenuta la riabilitazione ex art. 178 c.p. con pronuncia dichiarativa del tribunale di sorveglianza all’esito delle indagini concernenti, tra l’altro, la buona condotta del condannato e l’avvenuto risarcimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato(ex art. 179 c.p.); ovvero -- delle pronunce di patteggiamento per le quali sia decorso il prescritto periodo di tempo (dei cinque anni o due anni rispettivamente per delitti o contravvenzioni) senza che l’imputato abbia commesso altro reato della stessa indole. E’ dunque evidente il chiaro intento del legislatore di estendere inequivocabilmente alla materia dei requisiti generali per la partecipazione alle gare d’appalto anche gli effetti -- di estinzione delle pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna – conseguenti al sopravvenire di una pronuncia della riabilitazione ai sensi dell'art. 178 c.p. e dell’estinzione di cui al 445. II co c.p.p (cfr. anche Consiglio di Stato, Sez. V 25/01/2011 n. 5139). Di conseguenza, una volta affermata l’irrilevanza delle suddette condanne ai fini dell’art. 38 del d.lgs n. 163 cit. deve coerentemente concludersi per l’inesistenza di un obbligo di dichiarare le pronunce di condanna per cui è intervenuta la riabilitazione o l’estinzione del reato, in quanto da tale dichiarazione non avrebbe comunque potuto sortire alcuna conseguenza sul piano procedimentale. L'art. 38, comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 163/2006, nel far salvo in ogni caso l'applicazione dell'art. 178 del c.p., comporta dunque che, nel caso, debba essere esclusa la legittimità della disposizione del punto 3, lett. h), del disciplinare di gara, nei limiti dell’interesse della ricorrente, nella parte relativa alla necessità di dichiarare le sentenze per le quali siano intervenuti "eventuali provvedimenti di riabilitazione". Nel caso in esame, per le considerazioni espresse in precedenza, l'intervenuta riabilitazione escludeva dunque la rilevanza della condanna ai fini di un’eventuale esclusione, e quindi non vi sia stata alcuna falsa o omessa dichiarazione sulla cui base potesse essere posta a base dell’esclusione dalla gara e dei successivi provvedimenti.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 17.2.2014

 
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