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Autorità Portuale di Taranto: il Consiglio di Stato blocca in via cautelare la stipulazione del contratto per la riqualificazione del Molo Polisettoriale
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti del decreto cautelare del Consiglio di Stato del 7.4.2014

Il Consiglio di Stato ha depositato in data 7.4.2014 il decreto cautelare con il quale ha accolto l'istanza di misure cautelari presentata dal Consorzio Stabile Grandi Lavori Srl in proprio e Mandataria Capogruppo Rti, Società Impresa Ottomano Ing. Carmine Srl, Società Impresa Favellato Claudio Sparigettato. Tale sospensione e' stata disposta al fine di evitare effetti irreversibili ed irreparabili che potrebbero verificarsi prima dell'udienza in camera di consiglio che nella fattispecie è calendarizzata per il prossimo 6 maggio 2014. Nelle more della pubblicazione delle motivazioni della decisione, rileva il Consiglio di Stato "occorre mantenere la res integra" e pertanto l’istanza va accolta limitatamente alla stipulazione del contratto. Per accedere alla sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti del decreto cautelare del Consiglio di Stato del 7.4.2014
Il Consiglio di Stato ha depositato in data 7.4.2014 il decreto cautelare con il quale ha accolto l'istanza di misure cautelari presentata dal Consorzio Stabile Grandi Lavori Srl in proprio e Mandataria Capogruppo Rti, Società Impresa Ottomano Ing. Carmine Srl, Società Impresa Favellato Claudio Spa ... Continua a leggere
Antiracket e antiusura: in G.U. il Regolamento che disciplina il Fondo di rotazione per la solidarietà
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti del decreto del Presidente della Repubblica n. 60/2014 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 83 del 9.4.2014

Entra in vigore il 24.4.2014 il Regolamento che disciplina il Fondo di rotazione per la solidarieta' alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura. E' stato, infatti, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 83 del 9.4.2014 il decreto del Presidente della Repubblica n. 60/2014 recante "Regolamento la disciplina del Fondo di rotazione per la solidarieta' alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura, a norma dell'articolo 2, comma 6-sexies, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10" che adegua, armonizza e coordina la normativa vigente in materia. Per scaricare il Regolamento cliccare su "Accedi al provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti del decreto del Presidente della Repubblica n. 60/2014 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 83 del 9.4.2014
Entra in vigore il 24.4.2014 il Regolamento che disciplina il Fondo di rotazione per la solidarieta' alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura. E' stato, infatti, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 83 del 9.4.2014 il decreto del Presidente della Repubblica ... Continua a leggere
Scioglimento per infiltrazione mafiosa dei consigli comunali e provinciali: anche quando il valore indiziario non e' sufficiente per l’avvio dell’azione penale, la legge riconosce ampi margini all’Amministrazione in merito alla valutazione degli elementi che possono costituire indice di collegamenti diretti o indiretti fra i vertici dell’Ente e la criminalità organizzata
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 11.4.2014

La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame richiama quanto chiarito di recente dalla medesima Sezione, ovvero che la modifica normativa recata al T.U.E.L. ha previsto che gli elementi a fondamento dei provvedimenti di scioglimento devono qualificarsi come "concreti, univoci e rilevanti". "La modifica introdotta non fa recedere la ratio sottesa alla disposizione di offrire uno strumento di tutela avanzata in particolari situazioni ambientali nei confronti del controllo ed dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali, in presenza anche di situazioni estranee all'area propria dell'intervento penalistico o preventivo. Ciò nell'evidente consapevolezza della scarsa percepibilità, in tempi brevi, delle varie concrete forme di connessione o di contiguità – e dunque di condizionamento - fra organizzazioni criminali e sfera pubblica, e della necessità di evitare con immediatezza che l'amministrazione dell'ente locale rimanga permeabile all'influenza della criminalità organizzata. Resta, quindi, ferma, come è stato osservato, la connotazione dell’ istituto nel vigente sistema normativo quale «misura di carattere straordinario» per fronteggiare «una emergenza straordinaria» (in termini, Corte costituzionale n. 103 del 19 marzo 1993, nell'escludere profili di incostituzionalità del previgente art. 15-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55). Il testo novellato dell’art. 143 TUEL introduce la misura amministrativa di prevenzione che, pur non caratterizzandosi come sanzionatoria verso soggetti determinati, viene ad incidere sul consenso espresso dalla comunità locale nella scelta degli organi di essa rappresentativi. A sostegno della misura non è quindi sufficiente un mero quadro indiziario fondato su "semplici elementi", in base ai quali sia solo plausibile il potenziale collegamento o l’influenza dei sodalizi criminali verso gli amministratori comunali, con condizionamento delle loro scelte e ricaduta sul buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, sul regolare funzionamento dei servizi e sulle stesse condizioni di sicurezza pubblica, dovendo detti elementi caratterizzarsi per concretezza, essere cioè assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; univocità, che sta a significare la loro direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire; rilevanza, che si caratterizza per l’idoneità all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale" (Cons. Stato, sez. III, 12 gennaio 2013, n. 126). Tuttavia, nel caso in decisione, il giudice del primo grado ha altresì correttamente osservato che la legge riconosce ampi margini all’Amministrazione in merito alla valutazione degli elementi che possono costituire indice di collegamenti diretti o indiretti fra i vertici dell’Ente e la criminalità organizzata ovvero possono rendere plausibili forme di condizionamento degli amministratori. Ciò anche quando il valore indiziario di tali dati non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale. Il potere di scioglimento degli enti locali soggetti a pericolo di infiltrazione criminale costituisce infatti una misura avanzata di prevenzione. Nel caso esaminato, numerosi accertamenti sono stati eseguiti dagli organi di polizia ed è stato disposto il monitoraggio dell’attività dell’Ente in considerazione del contesto ambientale e di numerose vicende indicative di infiltramento mafioso. Si è così messa in luce una fitta trama di relazioni e frequentazioni equivoche, nonché una gestione politico-amministrativa poco trasparente dell’Ente. Dalla ricostruzione effettuata dall’Amministrazione preposta alle verifiche in questione e acclarata dal giudice di primo grado, emerge un contesto generale di diffusa illegalità, ove la criminalità organizzata esercita la propria influenza sugli organi elettivi del Comune in questione, con conseguente pregiudizio alla capacità di gestione e al buon funzionamento dell’Ente. Nel valutare la legittimità del provvedimento, la proposta di scioglimento non può essere scomposta in singoli atti per coglierne la scarsa rilevanza del singolo fatto contestato. I fatti devono essere infatti letti nella loro correlazione e nella capacità del loro insieme di denotare fenomeni di condizionamento ed infiltrazione criminale. Così seppure una meticolosa analisi dei dati posti alla base dello scioglimento del Comune possa far emergere, come rappresentato dalla difesa dell’appellante, che alcuni fra gli innumerevoli elementi riportati sono approssimativi o poco rilevanti, il provvedimento di scioglimento nel suo complesso rispetta i requisiti previsti dalla legge e accerta un livello di infiltrazione criminale inaccettabile. Né d’altra parte può ritenersi, come sostenuto da parte appellante, che il provvedimento di scioglimento sia inficiato dalla mancata indicazione dei "provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l’interesse pubblico". Proprio la richiamata ratio dell’istituto che è teso ad "offrire uno strumento di tutela avanzata in particolari situazioni ambientali nei confronti del controllo ed dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali" impedisce di ritenere che il rispetto di tale prescrizione costituisca condizione di validità del provvedimento e non piuttosto mera irregolarità non invalidante. Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 11.4.2014
La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame richiama quanto chiarito di recente dalla medesima Sezione, ovvero che la modifica normativa recata al T.U.E.L. ha previsto che gli elementi a fondamento dei provvedimenti di scioglimento devono qualificarsi come "concreti, univoci e r ... Continua a leggere
ASL: il servizio sanitario nazionale deve utilizzare gli strumenti di acquisto e negoziazione telematici messi a disposizione dalla CONSIP
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 11.4.2014

Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame non ha condiviso le conclusione cui è' pervenuto il giudice di prime cure che ha ritenuto fondata la censura relativa alla violazione della disposizione di cui all’articolo 1 comma 23 del citato d.l. n.95 del 2012, secondo cui "Agli enti del servizio sanitario nazionale non si applicano le disposizioni di cui al presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 24". Sulla base di un’interpretazione letterale di detta norma il TAR desume l’inapplicabilità alle aziende sanitarie locali delle proroghe delle convenzioni Consip previste dal citato d.l. 95/2012. Ritiene al contrario questo Collegio che dall’esame del citato d.l. 95/2012 possa desumersi l’obbligo per l’ASL di ricorrere alle convenzioni CONSIP per l’affidamento in questione. Come pure sostenuto dall’appellante CONSIP, tale obbligo discende dall’art. 15 comma 13 lett. d) del d.l. 6 luglio 2012 n. 95, cvt. in l. 7 agosto 2012 n. 135 che prevede che: "d)…gli enti del servizio sanitario nazionale, ovvero, per essi, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, utilizzano, per l’acquisto di beni e servizi relativi alle categorie merceologiche presenti nella piattaforma CONSIP, gli strumenti di acquisto e negoziazione telematici messi a disposizione dalla stessa CONSIP, ovvero, se disponibili, dalle centrali di committenza regionali di riferimento costituite ai sensi dell'articolo 1, comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. I contratti stipulati in violazione di quanto disposto dalla presente lettera sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa". L’applicazione di tale norma non è esclusa dall’art. 1 comma 23 del medesimo d.l. che prevede che "agli enti del servizio sanitario nazionale non si applicano le disposizioni di cui al presente articolo" perché il comma 23 dell’art. 1 del d. l. 95/2012, deve essere letto in combinato disposto con l’art. 15, comma 13 l. d.). Quest’ultimo individua un vero e proprio obbligo per il servizio sanitario nazionale di utilizzare gli strumenti di acquisto e negoziazione telematici messi a disposizione dalla CONSIP, mentre al comma 23 dell’art. 1 va attribuito il solo scopo di escludere l’applicazione del medesimo articolo agli enti del servizio nazionale, giacché materia disciplinata dal successivo art. 15. Va però valutata la legittimità, sotto il profilo della violazione del diritto comunitario, delle proroghe delle forniture disposte dall’art. 1 del d.l. 95/2012 nella parte in cui dispone «le quantità ovvero gli importi massimi complessivi» delle Convenzioni CONSIP «sono incrementati in misura pari alla quantità ovvero all’importo originario, a decorrere dalla data di esaurimento della convenzione stessa, ove questa intervenga prima del 31 dicembre 2012» e che «la durata delle convenzioni di cui al precedente comma 15 è prorogata fino al 30 giugno 2013, a decorrere dalla data di esaurimento della convenzione originaria». Ritiene il Collegio che tale proroga contrasti con il diritto comunitario e va disapplicato anche d’ufficio dal giudice nazionale secondo l’insegnamento della Corte di Giustizia e della Corte costituzionale. La normativa in parola viola, infatti, gli artt. 28 e 31, Dir 2004/18 CE, che precludono la possibilità di affidare contratti pubblici di servizi e forniture senza procedure di gara a evidenza pubblica. Il combinato disposto delle citate norme comunitarie impone agli Stati membri di aggiudicare gli " appalti pubblici facendo ricorso vuoi alla procedura aperta o ristretta, vuoi, nelle circostanze specifiche espressamente previste all’art. 29 della direttiva 2004/18, al dialogo competitivo, vuoi ancora, nelle circostanze specifiche espressamente elencate agli artt. 30 e 31 della medesima direttiva, ad una procedura negoziata. L’aggiudicazione di appalti pubblici mediante altre procedure non è autorizzata dalla detta direttiva» (Corte di Giustizia CE, sez. III, 10 dicembre 2009, causa C-299/08, punto 29). E’ consentito di ricorrere ad una procedura negoziata, con o senza pubblicazione del bando di gara, solo nei casi espressamente individuati dagli artt. 30 e 31 della Direttiva. Nella fattispecie in questione il citato art. 31, comma 1, n. 4, lett. b) consente il rinnovo dell’affidamento ricorrendo alla procedura negoziata solo quando ricorrono le condizioni ivi indicate tra le quali rileva che la possibilità del rinnovo sia indicato "sin dall’avvio del confronto competitivo" e l’importo totale previsto per la prosecuzione sia individuato nel bando. Il rinnovo operato ex lege delle convenzioni della Consip si pone pertanto in violazione del diritto comunitario. Mutatis mutandis, si sta ripetendo la situazione di contrasto con l’ordinamento comunitario determinato dall’art. 6 , comma 2, ultimo periodo della legge 24 dicembre 1993, n. 537 che, ammettendo il rinnovo tacito dei contratti per la fornitura di beni e servizi della pubblica amministrazione delle pubbliche amministrazioni, determinò l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese, recata dal parere motivato della Commissione europea n.2003/2110 del 16 dicembre 2003, chiusasi a seguito dell’abrogazione della norma in parola ad opera dell’art. 23 della legge 18 aprile 2005. Né a diverso avviso conduce la considerazione di parte appellata in ordine alla natura transitoria ed emergenziale delle norme in questione. Né la natura transitoria della norma né tanto meno la finalità di risparmio per le Finanze pubbliche in periodo di necessaria "spending review" consentono la violazione della normativa comunitaria e la connessa distorsione delle regole concorrenziali. Va pertanto affermato che l’art. 1 del d.l. 95/2012 nella parte in cui dispone «le quantità ovvero gli importi massimi complessivi» delle Convenzioni CONSIP «sono incrementati in misura pari alla quantità ovvero all’importo originario, a decorrere dalla data di esaurimento della convenzione stessa, ove questa intervenga prima del 31 dicembre 2012» e che «la durata delle convenzioni di cui al precedente comma 15 è prorogata fino al 30 giugno 2013, a decorrere dalla data di esaurimento della convenzione originaria» contrasta con il diritto comunitario e va disapplicato. Tale ricostruzione normativa non inficia le restanti parti della sentenza appellata che va integralmente confermata. Alla luce delle suesposte conclusioni gli appelli devono essere rigettati e la sentenza confermata con diversa motivazione. In considerazione della novità e della complessità della questione sussistono giusti motivi per la compensazione integrale delle spese di giudizio tra le parti.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 11.4.2014
Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame non ha condiviso le conclusione cui è' pervenuto il giudice di prime cure che ha ritenuto fondata la censura relativa alla violazione della disposizione di cui all’articolo 1 comma 23 del citato d.l. n.95 del 2012, secondo cui "Agli enti del servizio sa ... Continua a leggere
Consip: il Consiglio di Stato boccia il rinnovo operato ex lege delle convenzioni
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 11.4.2014

Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame nell'affrontare la problematica afferente all'applicabilità al servizio sanitario nazionale delle proroghe delle convenzioni Consip previste dal d.l. n. 95/2012, e' altresì entrato nel merito della conformità alla normativa comunitaria delle proroghe in esame. Il Collegio ha in primo luogo ritenuto che dall’esame del citato d.l. 95/2012 possa desumersi l’obbligo per l’ASL di ricorrere alle convenzioni CONSIP per l’affidamento in questione. Come pure sostenuto dall’appellante CONSIP, tale obbligo discende dall’art. 15 comma 13 lett. d) del d.l. 6 luglio 2012 n. 95, cvt. in l. 7 agosto 2012 n. 135 che prevede che: "d)…gli enti del servizio sanitario nazionale, ovvero, per essi, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, utilizzano, per l’acquisto di beni e servizi relativi alle categorie merceologiche presenti nella piattaforma CONSIP, gli strumenti di acquisto e negoziazione telematici messi a disposizione dalla stessa CONSIP, ovvero, se disponibili, dalle centrali di committenza regionali di riferimento costituite ai sensi dell'articolo 1, comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. I contratti stipulati in violazione di quanto disposto dalla presente lettera sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa". L’applicazione di tale norma non è esclusa dall’art. 1 comma 23 del medesimo d.l. che prevede che "agli enti del servizio sanitario nazionale non si applicano le disposizioni di cui al presente articolo" perché il comma 23 dell’art. 1 del d. l. 95/2012, deve essere letto in combinato disposto con l’art. 15, comma 13 l. d.). Quest’ultimo individua un vero e proprio obbligo per il servizio sanitario nazionale di utilizzare gli strumenti di acquisto e negoziazione telematici messi a disposizione dalla CONSIP, mentre al comma 23 dell’art. 1 va attribuito il solo scopo di escludere l’applicazione del medesimo articolo agli enti del servizio nazionale, giacché materia disciplinata dal successivo art. 15. Va però valutata la legittimità, sotto il profilo della violazione del diritto comunitario, delle proroghe delle forniture disposte dall’art. 1 del d.l. 95/2012 nella parte in cui dispone «le quantità ovvero gli importi massimi complessivi» delle Convenzioni CONSIP «sono incrementati in misura pari alla quantità ovvero all’importo originario, a decorrere dalla data di esaurimento della convenzione stessa, ove questa intervenga prima del 31 dicembre 2012» e che «la durata delle convenzioni di cui al precedente comma 15 è prorogata fino al 30 giugno 2013, a decorrere dalla data di esaurimento della convenzione originaria». Ritiene il Collegio che tale proroga contrasti con il diritto comunitario e va disapplicato anche d’ufficio dal giudice nazionale secondo l’insegnamento della Corte di Giustizia e della Corte costituzionale. La normativa in parola viola, infatti, gli artt. 28 e 31, Dir 2004/18 CE, che precludono la possibilità di affidare contratti pubblici di servizi e forniture senza procedure di gara a evidenza pubblica. Il combinato disposto delle citate norme comunitarie impone agli Stati membri di aggiudicare gli " appalti pubblici facendo ricorso vuoi alla procedura aperta o ristretta, vuoi, nelle circostanze specifiche espressamente previste all’art. 29 della direttiva 2004/18, al dialogo competitivo, vuoi ancora, nelle circostanze specifiche espressamente elencate agli artt. 30 e 31 della medesima direttiva, ad una procedura negoziata. L’aggiudicazione di appalti pubblici mediante altre procedure non è autorizzata dalla detta direttiva» (Corte di Giustizia CE, sez. III, 10 dicembre 2009, causa C-299/08, punto 29). E’ consentito di ricorrere ad una procedura negoziata, con o senza pubblicazione del bando di gara, solo nei casi espressamente individuati dagli artt. 30 e 31 della Direttiva. Nella fattispecie in questione il citato art. 31, comma 1, n. 4, lett. b) consente il rinnovo dell’affidamento ricorrendo alla procedura negoziata solo quando ricorrono le condizioni ivi indicate tra le quali rileva che la possibilità del rinnovo sia indicato "sin dall’avvio del confronto competitivo" e l’importo totale previsto per la prosecuzione sia individuato nel bando. Il rinnovo operato ex lege delle convenzioni della Consip si pone pertanto in violazione del diritto comunitario. Mutatis mutandis, si sta ripetendo la situazione di contrasto con l’ordinamento comunitario determinato dall’art. 6 , comma 2, ultimo periodo della legge 24 dicembre 1993, n. 537 che, ammettendo il rinnovo tacito dei contratti per la fornitura di beni e servizi della pubblica amministrazione delle pubbliche amministrazioni, determinò l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese, recata dal parere motivato della Commissione europea n.2003/2110 del 16 dicembre 2003, chiusasi a seguito dell’abrogazione della norma in parola ad opera dell’art. 23 della legge 18 aprile 2005. Né a diverso avviso conduce la considerazione di parte appellata in ordine alla natura transitoria ed emergenziale delle norme in questione. Né la natura transitoria della norma né tanto meno la finalità di risparmio per le Finanze pubbliche in periodo di necessaria "spending review" consentono la violazione della normativa comunitaria e la connessa distorsione delle regole concorrenziali. Va pertanto affermato che l’art. 1 del d.l. 95/2012 nella parte in cui dispone «le quantità ovvero gli importi massimi complessivi» delle Convenzioni CONSIP «sono incrementati in misura pari alla quantità ovvero all’importo originario, a decorrere dalla data di esaurimento della convenzione stessa, ove questa intervenga prima del 31 dicembre 2012» e che «la durata delle convenzioni di cui al precedente comma 15 è prorogata fino al 30 giugno 2013, a decorrere dalla data di esaurimento della convenzione originaria» contrasta con il diritto comunitario e va disapplicato. Tale ricostruzione normativa non inficia le restanti parti della sentenza appellata che va integralmente confermata. Alla luce delle suesposte conclusioni gli appelli devono essere rigettati e la sentenza confermata con diversa motivazione. In considerazione della novità e della complessità della questione sussistono giusti motivi per la compensazione integrale delle spese di giudizio tra le parti. Per scaricare gratuitamente al sentenza cliccare su "Accedi al provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 11.4.2014
Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame nell'affrontare la problematica afferente all'applicabilità al servizio sanitario nazionale delle proroghe delle convenzioni Consip previste dal d.l. n. 95/2012, e' altresì entrato nel merito della conformità alla normativa comunitaria delle proroghe in ... Continua a leggere
Rilevazione prezzi sanità, le indicazioni AVCP per stimare il risparmio della spesa annua
segnalazione del Prof. Avv. Enrico michetti del comunicato AVCP del 15.4.2014

Entro il 6 maggio le Amministrazioni oggetto della rilevazione (asl, aziende ospedaliere, centrali di committenza, ecc.) dovono trasmettere all'AVCP i dati per l'elaborazione dei prezzi di riferimento in ambito sanitario di cui all’art. 17 della legge 111/2011. La trasmissione avviene in via telematica utilizzando il software dedicato disponibile sul sito dell'Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici nell'area riservata ‘Rilevazione prezzi sanità’. A seguito dell’avvio della nuova rilevazione per elaborare i prezzi di riferimento in ambito sanitario, l'AVCP precisa che le amministrazioni oggetto della rilevazione devono calcolare il risparmio di spesa annuo come differenza tra il prezzo utilizzato prima della pubblicazione dei prezzi di riferimento moltiplicato per le quantità annue presunte e il nuovo prezzo (conseguente a rinegoziazione o ad aggiudicazione di nuova gara che ha utilizzato i prezzi di riferimento per definire "la base d'asta") moltiplicato per le stesse quantità annue presunte. La stima del risparmio di spesa annuo deve essere fornita sia nel caso che esso sia stato già effettivamente ed interamente conseguito sia che esso sia stato conseguito in parte o sia ancora da conseguire (la gara è stata aggiudicata ma non è stato stipulato il relativo contratto). In ogni caso il dato deve essere fornito su base annua.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico michetti del comunicato AVCP del 15.4.2014
Entro il 6 maggio le Amministrazioni oggetto della rilevazione (asl, aziende ospedaliere, centrali di committenza, ecc.) dovono trasmettere all'AVCP i dati per l'elaborazione dei prezzi di riferimento in ambito sanitario di cui all’art. 17 della legge 111/2011. La trasmissione avviene in via telema ... Continua a leggere
Inps: preavviso alle aziende se il DURC e' negativo
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti del comunicato INPS del 15.4.2014

Dal 15 maggio sarà avviato il primo "preavviso di DURC interno negativo", che sarà inviato esclusivamente alle aziende con irregolarità incidenti sul diritto al riconoscimento dei benefici. Con il messaggio n. 2889/2014 era stato annunciato dall'Inps il riavvio della gestione del DURC interno, cui sono subordinati i benefici normativi e contributivi, previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale. In considerazione delle difficoltà in fase di avvio del sistema delineato dall'INPS il primo "preavviso di DURC interno negativo" verrà inviato il 15 maggio 2014. Tale primo preavviso sarà inviato esclusivamente alle aziende per le quali risultino delle irregolarità incidenti sul diritto al riconoscimento dei benefici, ovvero per le quali sono state emesse note di rettifica con causale "addebito art. 1, comma 1175, della legge 27 dicembre 2006, n. 296". L'INPS invita le Sedi a procedere prioritariamente alla sistemazione delle anomalie delle aziende che risultano destinatarie del preavviso di accertamento negativo. Quanto alle regole di attribuzione della regolarità in presenza di inadempienze in fase amministrativa sugli archivi del Recupero Crediti vengono riepilogate dall'INPS che evidenzia come di norma la presenza di inadempienze con carico contabile non definite o non definibili determina l’attribuzione dell’irregolarità (semaforo rosso) all’azienda interessata indipendentemente dal saldo contabile dell’inadempienza. Principali eccezioni a tale regola sono: 1. Inadempienza con CSL che indica la presenza di un contenzioso amministrativo in corso; 2. Inadempienze in attesa di abbandono totale; Inadempienza con CSL 8314, 8315 e 9112 per la quale, in sede di apposizione del CSL su NRC, è stato indicato SI nell’apposito campo istituito per determinare la regolarità ai fini DURC (vedi punto B del messaggio 003069/2014); 3. Inadempienze che rientrano in una rateazione in corso di pagamento. Per quanto sopra descritto, al fine di ridurre al minimo le forzature da effettuare sul F.E.A., le sedi dovranno: 1. effettuare il "Controllo di definibilità" a mano a mano che i versamenti transitano sulle inadempienze; 2. monitorare costantemente i pagamenti rateali effettuati dalle aziende e, qualora ne ricorrano i presupposti, revocare con tempestività le dilazioni; 3. inserire su NRC le informazioni aggiuntive di cui al punto B del messaggio 003069/2014 sulle inadempienze per cui il CSL di sospensione è stato attribuito prima della pubblicazione del citato messaggio. Per conciliare le esigenze indicate, le note di rettifica già calcolate per il 15 maggio saranno ricalcolate al 15 giugno 2014 ed inviate alle aziende insieme a quelle programmate per l’invio alla stessa data del 15 giugno secondo il messaggio 2889/2014. Resta ferma l’emissione e l’invio delle restanti note di rettifica al 15 settembre 2014. Per saperne di più cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti del comunicato INPS del 15.4.2014
Dal 15 maggio sarà avviato il primo "preavviso di DURC interno negativo", che sarà inviato esclusivamente alle aziende con irregolarità incidenti sul diritto al riconoscimento dei benefici. Con il messaggio n. 2889/2014 era stato annunciato dall'Inps il riavvio della gestione del DURC interno, c ... Continua a leggere
Edilizia libera: e' arredo esterno e non richiede il titolo abilitativo la struttura senza ancoraggio al pavimento del terrazzo con binario in scorrimento a telo in PVC
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 11.4.2014

Il Consiglio di stato ha accolto il motivo di error in iudicando costituito dall’erronea valutazione delle caratteristiche di fatto connotanti l’opera in oggetto, atteso il mancato ancoraggio – invece erroneamente supposto dal T.a.r. – dei pali di sostegno della struttura in esame al pavimento del terrazzo pertinenziale dell’appartamento dell’appellante (infatti, nel verbale di sopralluogo della Polizia municipale, posto a base degli impugnati provvedimenti, si discorre di pali «poggiati sul pavimento», e non già di pali ancorativi in modo fisso; v., altresì, la documentazione fotografica, in atti), con conseguente facile amovibilità della struttura medesima. La struttura in esame costituita da due pali dello spessore di 8,50 cm x 11,50 cm poggiati sul pavimento del terrazzo a livello e da quattro traverse con binario di scorrimento a telo in PVC della superficie di 15 mq e dell’altezza variabile da 2,80 m a 2,10 m, ancorata al sovrastante balcone e munita di una copertura rigida di 0,80 (in aggetto) x 5,00 m a riparo del telo retraibile (v. il citato verbale e la documentazione fotografica) –, non configura né un aumento del volume e della superficie coperta, né la creazione o modificazione di un organismo edilizio, né l’alterazione del prospetto o della sagoma dell’edificio cui è connessa, in ragione della sua inidoneità a modificare la destinazione d’uso degli spazi esterni interessati, della sua facile e completa rimuovibilità, dell’assenza di tamponature verticale e della facile rimuovibilità della copertura orizzontale (addirittura retraibile a mezzo di motore elettrico). La stessa deve, invece, qualificarsi alla stregua di arredo esterno, di riparo e protezione, funzionale alla migliore fruizione temporanea dello spazio esterno all’appartamento cui accede, in quanto tale riconducibile agli interventi manutentivi non subordinati ad alcun titolo abilitativo ai sensi dell’art. 6, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001. Ne consegue la fondatezza del motivo d’appello, di erronea reiezione della censura di violazione degli artt. 3, 6, 10 e 33 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e 14 e 16 l. reg. - Lazio 11 agosto 2008, n. 15, avendo gli impugnati provvedimenti erroneamente qualificato l’opera in oggetto come intervento di «ristrutturazione edilizia e/o cambio di destinazione d’uso da una categoria all’altra», anziché come semplice intervento di natura manutentiva rientrante nell’attività edilizia c.d. libera. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 11.4.2014
Il Consiglio di stato ha accolto il motivo di error in iudicando costituito dall’erronea valutazione delle caratteristiche di fatto connotanti l’opera in oggetto, atteso il mancato ancoraggio – invece erroneamente supposto dal T.a.r. – dei pali di sostegno della struttura in esame al pavimento del ... Continua a leggere
Farmacie: compete alla Giunta Comunale l'adozione del provvedimento di revisione straordinaria della pianta organica
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 15.4.2014

Nel giudizio in esame Il T.A.R. ha dapprima disatteso la eccezione di incostituzionalità di quella normativa che ha attribuito ai Comuni, e non più alle Regioni, il compito di individuare, sentiti l’A.S.L. e l’Ordine provinciale dei farmacisti, le nuove sedi farmaceutiche in base al nuovo parametro di una ogni 3.300 abitanti residenti (anziché 4.000, come in precedenza) sulla base dei dati I.S.T.A.T. al 31 dicembre 2010, non ritenendo sussistente nel caso in esame alcun concreto conflitto di interesse con la posizione imprenditoriale dei Comuni, titolari di farmacie comunali, e comunque irrilevante ai fini del decidere il caso all’esame. Ha quindi ritenuto fondata la censura di incompetenza della Giunta Comunale in materia, ritenendo che l’atto di istituzione e localizzazione di nuove farmacie costituisce esercizio di un potere del Comune di tipo programmatico, con riflessi sulla pianificazione e organizzazione del servizio farmaceutico nel territorio comunale, e quindi, pur in presenza di pronunce contrastanti e dell’abrogazione dell’art. 2 della legge n. 475/1968 che prevedeva la competenza del Consiglio comunale, lo stesso attiene a un pubblico servizio di cui all’art. 42 del D.Lgs. n. 267/2000 (Testo Unico Ordinamento degli Enti Locali) che attribuisce l’organizzazione dei pubblici servizi al Consiglio Comunale. Roma Capitaleha interposto appello, con domanda di sospensiva, riproponendo in via preliminare l’eccezione di inammissibilità e improcedibilità del ricorso in primo grado, già prodotta in primo grado e non esaminata dal T.A.R., per la mancata impugnativa della determinazione regionale n. B07698 del 18 ottobre 2012, recante l’indizione del concorso straordinario per le nuove sedi farmaceutiche proprio in applicazione delle nuove disposizioni. Ribadisce la competenza della Giunta Comunale a seguito della recente normativa e della giurisprudenza di questo Consiglio che anche in precedenza aveva attribuito l’adozione di tale provvedimento alla Giunta Comunale, anche nel contesto della corretta individuazione e distinzione delle funzioni spettanti ai diversi organi comunali, ex citato D.Lgs. n. 267/2000, che affida alla Giunta la gran parte dell’attività comunale, di carattere sostanzialmente gestionale, e al Consiglio alcuni atti tassativamente indicati e di carattere e contenuto generale, quale non è quello all’esame. Il Consiglio di Stato investito della controversia in via preliminare ha ritenuto di prescindere dall’eccezione di improcedibilità del ricorso di primo grado sollevata da Roma Capitale in considerazione della fondatezza dell’appello di Roma Capitale, e in ogni caso la stessa va disattesa, posto che la dedotta mancata impugnativa della determinazione regionale indittiva del concorso non rileva al momento in questa sede, in quanto atto successivo autonomo ma applicativo del provvedimento comunale precedentemente gravato e immediatamente lesivo e che ne costituisce il presupposto essenziale a ogni conseguente effetto avuto riguardo all’esito del presente giudizio, di cui condivide le sorti. La Sezione poi rileva la manifesta infondatezza della eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 11 del citato D.L. 1/2012, riproposta dai farmacisti controparte, posto che il T.A.R., contrariamente a quanto sostenuto, si è soffermato a lungo sul punto con estese ed esaurienti argomentazioni, che il Collegio condivide, essendosi già pronunciato in senso analogo con la sentenza n. 4667/2013, e che hanno evidenziato, fra l’altro, la compatibilità della normativa italiana con i principi comunitari sanzionata dalla Corte di Giustizia (19 maggio 2009, n. C. 513/06), dichiarando l’eccezione "manifestamente infondata" nonché di dubbia rilevanza nel caso di specie. Nell'esaminare poi il capo della sentenza che ha ritenuto competente in materia il Consiglio Comunale anziché la Giunta Comunale la Sezione si è uniformata all’ormai prevalente orientamento espresso in particolare proprio da questo Collegio (cfr., da ultimo, citata n. 4669/2013 e la n. 4257/2013), alla quale si fa richiamo anche per esigenze di economia processuale e che individua invece nella Giunta l’organo comunale deputato all’adozione del provvedimento de quo. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 15.4.2014
Nel giudizio in esame Il T.A.R. ha dapprima disatteso la eccezione di incostituzionalità di quella normativa che ha attribuito ai Comuni, e non più alle Regioni, il compito di individuare, sentiti l’A.S.L. e l’Ordine provinciale dei farmacisti, le nuove sedi farmaceutiche in base al nuovo parametro ... Continua a leggere
Revoca in autotutela dell'aggiudicazione: l'omessa indicazione di una condanna penale e' sufficiente per annullare l'aggiudicazione
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 11.4.2014

La questione da dirimere attiene alla legittimità degli atti di autotutela con i quali l’Università degli studi di Siena ha disposto l’annullamento delle aggiudicazione degli appalti per cui è causa dopo aver accertato (a mezzo dell’acquisizione del certificato del casellario giudiziario) che, nelle dichiarazioni allegate in sede di offerta dal raggruppamento d’imprese oggi appellante, era stata omessa l’indicazione di una condanna penale a carico di un amministratore di una delle società in raggruppamento temporaneo che avevano poi ottenuto l’affidamento dei servizi. Il Tar ha ritenuto che la omessa indicazione della condanna penale poteva integrare motivazione sufficiente del disposto annullamento delle aggiudicazioni dato che quella omissione aveva impedito alla Commissione di gara di valutare l’esistenza del reato per stabilire se esso fosse o meno ostativo, ai sensi dell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici, ai fini della partecipazione alla gara. L’appellante assume al contrario che né dalla lettera del bando, né da quella del disciplinare di gara avrebbe potuto desumersi una interpretazione della lex specialis secondo cui ogni condanna penale, anche se non incidente sulla moralità professionale, avrebbe dovuto formare oggetto di dichiarazione, di tal che la pur riconosciuta omissione nella dichiarazione non avrebbe potuto rappresentare giusta causa di annullamento dell’aggiudicazione. In particolare, poichè nella fattispecie non ricorrerebbe una ipotesi di condanna ostativa in ragione del titolo del reato contestato, la pur generica dichiarazione resa in sede di gara dall’odierna appellante circa l’insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), peraltro conforme al modello B1 inserito negli allegati della documentazione predisposta dalla stazione appaltante, avrebbe dovuto ritenersi sufficiente a comprovare il requisito di moralità. In ogni caso, l’appellante deduce che l’esclusione dalla gara (rectius, il ritiro dell’aggiudicazione ) avrebbe dovuto al più conseguire all’accertamento in concreto della negativa incidenza sulla moralità professionale del precedente penale da cui risultava attinto il soggetto munito di poteri di amministrazione, senza che potesse ex se rilevare il dato formale della omissione della dichiarazione, peraltro indotta dai modelli di dichiarazione predisposti dalla stazione appaltante. Il Consiglio di Stato ha rigetto l'appello in quanto la giurisprudenza è orientata nel senso di ritenere che nelle procedure di evidenza pubblica la completezza delle dichiarazioni rese dai concorrenti in sede di presentazione delle offerte rappresenti di per sé un valore da perseguire, dato che consente - in osservanza al principio costituzionale di buon andamento dell'amministrazione - la celere decisione, da parte dell’organo tecnico investito dalla stazione appaltante dei compiti di valutazione delle offerte, in ordine all'ammissione alla gara dei candidati. Conseguentemente, una dichiarazione inaffidabile (perché falsa o incompleta) è già di per se stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma, a prescindere dal fatto che l'impresa meriti sostanzialmente di partecipare alla gara. In altri termini, la disciplina procedimentale degli appalti è modulata in modo tale da consentire alla stazione appaltante di poter fare affidamento su dichiarazioni dei concorrenti idonee a far assumere tempestivamente le necessarie determinazioni in ordine all'ammissione degli stessi alla gara ovvero alla loro esclusione (cfr. Consiglio di Stato, V, 11 giugno 2013 n. 3214; III, 16 marzo 2012, n. 1471). In materia di appalti pubblici, non sussiste alcuna violazione del dovere di soccorso (artt. 38 e 46 del d.lgs. n. 163 del 2006, recante il Codice dei contratti pubblici) - da intendersi quale potere–dovere della stazione appaltante di richiedere integrazioni e chiarimenti al concorrente in merito a quanto dichiarato sul possesso dei requisiti richiesti - allorché risulti accertato che, alla data di scadenza del termine di presentazione delle offerte, il concorrente non aveva presentato la documentazione atta a dimostrare la sussistenza dei requisiti partecipativi ovvero a consentire alla stazione appaltante la verifica della ricorrenza di tali requisiti. Ciò premesso in termini generali, nella specie il Collegio osserva come è incontestato che nella documentazione di corredo dell’offerta dell’odierno raggruppamento appellante sia mancata, nella documentazione relativa all’offerta del raggruppamento d’imprese appellante, l’indicazione del pregiudizio penale da cui risultava gravato l’amministratore unico. Come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, tale omissione, conseguente alla violazione del precetto del clare loqui direttamente discendente dall’art. 38 del Codice dei contratti pubblici, ha impedito alla commissione di gara di valutare, nell’alveo del procedimento selettivo delle offerte, la gravità del titolo di reato per il quale la condanna è stata pronunciata nonchè la sua incidenza sulla moralità professionale. Il che è sufficiente a giustificare il ritiro dell’aggiudicazione da parte dell’università, a prescindere degli esiti che quella valutazione avrebbe comportato ove la dichiarazione del concorrente fosse stata completa in ogni suo elemento; detta valutazione, d’altra parte, non potrebbe farsi ex post né dall’amministrazione aggiudicatrice che venga a scoprire l’infedeltà della dichiarazione su un elemento essenziale che avrebbe dovuto essere portato all’esame dell’organo valutativo tecnico nell’alveo del procedimento selettivo né, a fortiori, in questa sede giudiziale ..È, dunque, legittima la decisione della stazione appaltante che, a fronte di una siffatta situazione, ha disposto l’annullamento dell’aggiudicazione sul presupposto che, in sede di gara, il concorrente non avesse reso dichiarazioni veritiere in ordine al possesso dei requisiti partecipativi di ordine generale. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 11.4.2014
La questione da dirimere attiene alla legittimità degli atti di autotutela con i quali l’Università degli studi di Siena ha disposto l’annullamento delle aggiudicazione degli appalti per cui è causa dopo aver accertato (a mezzo dell’acquisizione del certificato del casellario giudiziario) che, nell ... Continua a leggere
Modulistica negli appalti: inutile eccepire al Consiglio di Stato che i modelli predisposti dalla stazione appaltante hanno indotto in errore il concorrente, in quanto l’onere relativo alla completezza delle dichiarazioni da rendere a corredo delle offerte sui requisiti partecipativi non ammette deroghe
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 11.4.2014

Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato si sofferma, tra l'altro, sulla questione afferente la modulistica predisposta dalla stazione appaltante rigettando l'assunto dell'appellante secondo cui sarebbe stata la modulistica predisposta dalla stazione appaltante ad aver ingenerato l’errore nella dichiarazione sui requisiti di partecipazione da parte del concorrente. In particolare rileva il Collegio che l’onere relativo alla completezza delle dichiarazioni da rendere a corredo delle offerte, riguardo ad elementi che solo la stazione appaltante è chiamata a valutare in sede di gara per verificare la ricorrenza dei requisiti partecipativi, discende direttamente dalla legge ( in particolare, dal combinato disposto del citato art. 38, comma 1, lett. c) e dall’art. 46 del Codice dei contratti) e non ammette deroghe o disapplicazioni in relazione a singole procedure di gara, quale che sia la formulazione dei modelli predisposti dalla stazione appaltante. D’altra parte la singola amministrazione che indice una gara d’appalto, così come non può introdurre nuove ipotesi di esclusione dei concorrenti ( art. 46, comma 1 bis, Codice dei contratti), allo stesso modo non può elidere o neutralizzare quelle che discendono ex lege dalla piana applicazione delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici. Da ultimo, non potrebbe giovare alle ragioni dell’odierna parte appellante la teoria del cosiddetto "falso innocuo" dato che il falso può ritenersi innocuo solo nelle ipotesi, qui per quanto detto non ricorrenti, in cui lo stesso non incide neppure minimamente sugli interessi tutelati nell’ambito del procedimento selettivo. Per approfondire cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 11.4.2014
Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato si sofferma, tra l'altro, sulla questione afferente la modulistica predisposta dalla stazione appaltante rigettando l'assunto dell'appellante secondo cui sarebbe stata la modulistica predisposta dalla stazione appaltante ad aver ingenerato l’errore nell ... Continua a leggere
Somministrazione al pubblico di bevande ed alimenti: l’accertamento dell’abusività della struttura non può comportare in base alla legge n. 287/91 e al d.lgs. n. 59/2010 la decadenza o la revoca dell’autorizzazione commerciale
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V

Il Comune di Castellamare di Stabia con provvedimento del Dirigente del Settore Urbanistica - Suap ordinava al ricorrente la cessazione dell’attività di pubblico esercizio condotta nel locale perché lo stabile era interessato da opere abusive. Dall’esposizione dei fatti emerge che l’unica ragione posta a base della revoca è l’illiceità del manufatto in cui si svolge l’attività. Sennonché la disciplina delle autorizzazioni per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande contenuta nella l. n. 287 del 1991, come integrata dal d. lgs. n. 59 del 26 marzo 2010, prevede espressamente le ipotesi di revoca, tra le quali non compare quella di abusività edilizia – urbanistica. Ne consegue che l’accertamento dell’abusività della struttura, peraltro non imputabile al ricorrente non può assurgere in base alla legge citata a motivo di decadenza o di revoca dell’autorizzazione commerciale, attenendo ad altri aspetti relativi esclusivamente all’attività commerciale. Ciò evidenzia l’illegittimità della revoca dell’autorizzazione rilasciata al ricorrente, atteso che l’unica motivazione sulla quale poggia il provvedimento di revoca dell’autorizzazione commerciale consiste nell’abusività dell’immobile. Invero, la condizione di illiceità del manufatto adibito all’esercizio dell’attività commerciale se esula dalla normativa di riferimento e, quindi, dai presupposti legittimanti la revoca, potrebbe in limine dare luogo ad annullamento in autotutela dell’autorizzazione a suo tempo rilasciata. Ma sotto questo profilo, anche ove non si consideri rilevante il nomen iuris del provvedimento e lo si valuti alla stregua di annullamento in autotutela, atteso che il requisito della regolarità dell’immobile sotto il profilo edilizio – urbanistico va valutato in sede di rilascio delle autorizzazioni per la somministrazione di alimenti e bevande, l’atto risulta ugualmente illegittimo perché adottato in carenza dei requisiti per il corretto esercizio dell’autotutela. Ai sensi dell’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990, l’annullamento in autotutela presuppone oltre all’illegittimità dell’atto, valide ed esplicite ragioni di interesse pubblico ed il provvedimento deve intervenire entro un termine ragionevole e previa valutazione degli interessi dei destinatari dell’atto da rimuovere (cfr. Cons. stato, V, n. 1946 del 7 aprile 2010). Nel caso non vi è alcun riferimento all’interesse pubblico e attuale alla rimozione dell’atto e alla prevalenza dell’interesse pubblico rispetto a quello del privato inciso dalla cessazione dell’attività commerciale in essere, malgrado l’amministrazione sia stata sollecitata da questo giudice con ben due ordinanze istruttorie ad esprimersi sulle ragioni ostative al permanere dell’esercizio commerciale in essere. L’amministrazione, invero, non assume nemmeno la necessità della pronta demolizione del manufatto abusivo e del ripristino dello stato dei luoghi. D’altra canto a fronte di un provvedimento così grave per il destinatario, nessuna considerazione vi è con riferimento al legittimo affidamento del privato che è subentrato da pochi anni nell’esercizio di un’attività in essere da più di venti anni, assumendo notevoli impegni finanziari. E’ principio consolidato che l’autotutela non può essere finalizzata al mero ripristino della legalità violata, dovendo essere il risultato di un’attività istruttoria adeguata che dia conto della valutazione dell’interesse pubblico e di quello del privato, tanto più ove intervenga dopo un considerevole lasso di tempo e si sia consolidato l’affidamento del privato. Il provvedimento impugnato è quindi illegittimo e va annullato, non essendo intervenuto in un termine ragionevole ed essendo stato adottato in spregio alla disposizione dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 e dei principi in materia di annullamento in autotutela, non essendo stata minimamente considerata la posizione del privato del tutto estraneo all’abusivismo contestato, in disparte la considerazione che gli aspetti di natura prettamente edilizio – urbanistica nel rilascio delle autorizzazioni commerciali, sono valutabili ex ante ma non ex post (cfr. Cassazione civ. sezione II, 5 ottobre 2009, n. 21273). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V
Il Comune di Castellamare di Stabia con provvedimento del Dirigente del Settore Urbanistica - Suap ordinava al ricorrente la cessazione dell’attività di pubblico esercizio condotta nel locale perché lo stabile era interessato da opere abusive. Dall’esposizione dei fatti emerge che l’unica ragione p ... Continua a leggere
Piscina prefabbricata: basta la semplice autorizzazione gratuita quando di dimensioni modeste in zona agricola e' pertinenza dell'edificio
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 16.4.2014

La realizzazione di una piscina prefabbricata di dimensioni relativamente modeste in rapporto all'edificio a destinazione residenziale, sito in zona agricola, rientra nell'ambito delle pertinenze, cui fa riferimento l'art. 7, secondo comma, lett. a) del d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, convertito nella L. 25 marzo 1982, n. 94, il quale prevede la realizzabilità delle pertinenze con la semplice autorizzazione gratuita (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13 ottobre 1993, n. 1041). Ciò che rileva, infatti, ai sensi dell’art. 7, secondo comma, lett. a) « opere costituenti pertinenze od impianti tecnici al servizio di edifici già esistenti », è che sussista un rapporto pertinenziale tra un edificio preesistente e l'opera da realizzare e tale rapporto sia oggettivo nel senso che la consistenza dell'opera deve essere tale da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio e deve inquadrarsi nei limiti di un rapporto adeguato e non esorbitante rispetto alle esigenze di un effettivo uso normale del soggetto che risiede nell'edificio principale. Nel caso in esame, la piscina prefabbricata, di dimensioni normali, annessa ad un fabbricato ad uso residenziale sito in zona agricola, ha certamente natura obiettiva di pertinenza, e costituisce un manufatto adeguato all'uso effettivo e quotidiano del proprietario dell'immobile principale. Per continuare nella lettura della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 16.4.2014
La realizzazione di una piscina prefabbricata di dimensioni relativamente modeste in rapporto all'edificio a destinazione residenziale, sito in zona agricola, rientra nell'ambito delle pertinenze, cui fa riferimento l'art. 7, secondo comma, lett. a) del d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, convertito nella ... Continua a leggere
AVCP: Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici per le certificazione del sistema di qualità aziendale
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti del comunicato AVCP del 17.4.2014

Il Presidente dell'AVCP ha inviato un comunicato per informare gli Organismi di certificazione e le SOA dell’avvenuta stipula della Convenzione tra AVCP ed ACCREDIA per l’inserimento nella Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici - BDNCP - dei dati riguardanti le certificazioni del sistema di qualità aziendale conforme alle normative europee della serie UNI EN ISO 9001 relative al settore EA/IAF 28. La cooperazione applicativa in convenzione prevede che gli Organismi di certificazione accreditati e riconosciuti, a far data dal 1 maggio 2014, debbano comunicare ad ACCREDIA, oltre alle sopracitate certificazioni di qualità come disposto dall’articolo 40, comma 3, lett. a) del Codice dei contratti pubblici, anche le notizie relative all’annullamento o la decadenza delle certificazioni stesse, in assolvimento dell’obbligo previsto dall’articolo 63, comma 4, del Regolamento. Ciò in sostituzione di quanto in precedenza disposto dal Comunicato del Presidente 28.07.2011 n. 67 che s’intende abrogato. Per maggiori informazioni cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti del comunicato AVCP del 17.4.2014
Il Presidente dell'AVCP ha inviato un comunicato per informare gli Organismi di certificazione e le SOA dell’avvenuta stipula della Convenzione tra AVCP ed ACCREDIA per l’inserimento nella Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici - BDNCP - dei dati riguardanti le certificazioni del sistema di q ... Continua a leggere
Il Consiglio di Stato chiarisce la portata e i riflessi dell'art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/1990 in materia di espropriazione per pubblica utilità
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

La giurisprudenza di merito, dopo avere affermato il principio generale per cui anche in materia di espropriazione per pubblica utilità trova applicazione il principio sancito dall'art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/1990, per cui non è annullabile il provvedimento in presenza di vizi formali o procedurali che non abbiano inciso sulla sostanza dell'atto, ne perimetra l’applicazione in senso sostanzialmente escludente rispetto alla fattispecie per cui è causa pervenendo alla significativa affermazione secondo cui "ciò vuol dire che le censure avverso un provvedimento ablatorio debbono attenere (anche) alla sostanza del provvedimento e non solo alla forma, salvo ovviamente il caso in cui il vizio di forma - ad esempio, l'omessa comunicazione di avvio del procedimento - non abbia privato radicalmente l'interessato della possibilità di far valere le proprie ragioni in sede procedimentale" (T.A.R. Marche Ancona Sez. I, Sent., 21-10-2010, n. 3367). Ed anche la giurisprudenza più favorevole (T.A.R. Lazio Roma Sez. II, 13-03-2012, n. 2449) che non contempla in via generale detta implicita clausola escludente, di fatto ne riduce la portata, escludendo qualsivoglia sanatoria nel caso in cui "l'amministrazione si limita ad affermarne apoditticamente l'inevitabilità del dispositivo del provvedimento " senza dare l'effettiva dimostrazione che le caratteristiche tecniche dell'opera non potevano essere diverse da quelle assunte, né motivando sull'opportunità di imporre tale sacrificio quale migliore soluzione possibile per il perseguimento dell'interesse pubblico. Ciò in quanto, si è ivi condivisibilmente sostenuto " l'avviso di cui all'art. 16 comma 4, D.P.R. n. 327 del 2001 realizza, infatti, una garanzia partecipativa non meramente formale rappresentando un necessario passaggio cognitivo-dialettico funzionale sia per la parte, che può opporre fatti e/o circostanze non considerati, sia per l'amministrazione che quelle osservazioni deve esaminare e valutare prima di approvare il progetto definitivo dell'opera; per cui, da tale omissione procedurale discende l'illegittimità degli atti approvativi del progetto e della dichiarazione di pubblica utilità ed in via derivata di quello occupativo ed espropriativo neppure essendo possibile fare ricorso all'art. 21 octies comma 2, l. n. 241 del 1990, sia per la natura non vincolata del provvedimento, sia laddove non sia dato riscontrare, nella fattispecie, come " palese " che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato". Nel caso di specie, anche a volere sposare la tesi "riduttiva" che prescinde dal dato categoriale generale della natura non vincolata del provvedimento, l’Amministrazione nulla ha provato in ordine alla assoluta impossibilità che l’apporto infraprocedimentale eventuale dei privati potesse apportare contributi utili, né che in concreto il provvedimento e la scelta dell’area di parte appellata fosse, in concreto, del tutto ed irredimibilmente vincolata. Errando poi sulla portata anche letterale dell'art. 21 octies comma 2, l. n. 241 del 1990 ("non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.")l’appellante sostiene che sarebbe spettato al privato fornire la prova della utilità del proprio possibile apporto infraprocedimentale. Il dato va specularmente rovesciato: proprio in considerazione del chiaro tenore letterale della disposizione predetta, ed in considerazione che non si trattava di provvedimento vincolato, sarebbe spettato all’amministrazione fornire una dimostrazione di immodificabilità assoluta della scelta di allocazione dell’opera (Cons. Giust. Amm. Sic., 14-09-2007, n. 851:"nei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità il proprietario del fondo è legittimato ad agire in giudizio, poiché dall'annullamento degli atti impugnati conseguirebbe la mancata ablazione di esso. Nei suddetti procedimenti l'amministrazione ha l'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento agli interessati, ex art. 7 della legge n. 241 del 1990, eccetto i casi in cui essa dimostri che trattasi di un provvedimento vincolato il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso, ex art. 21 octies, c. 2, della citata legge ";Cons. Stato Sez. VI, 05-12-2007, n. 6183: "l'art. 21 octies della legge n. 241/90 non può essere applicato d'ufficio dal giudice, incombendo sull'amministrazione l'onere probatorio della dimostrazione che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato anche in caso di partecipazione del privato al procedimento.").
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV
La giurisprudenza di merito, dopo avere affermato il principio generale per cui anche in materia di espropriazione per pubblica utilità trova applicazione il principio sancito dall'art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/1990, per cui non è annullabile il provvedimento in presenza di vizi formali o pro ... Continua a leggere
Espropriazione per pubblica utilità: se il procedimento espropriativo malgovernato era finalizzato ad ablare integralmente il bene, non può poi, ex 42 bis del TU disporsi l’acquisizione di un diritto "minor"
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

Il Consiglio di Stato ha più volte affermato, in passato, che (Cons. Stato Sez. IV, 26-03-2013, n. 1710) "nel procedimento di espropriazione per pubblica utilità, nell'attuale quadro normativo, l'Amministrazione ha l'obbligo giuridico di far venir meno, in ogni caso, l'occupazione "sine titulo" e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto. La P.A. ha due sole alternative: o deve restituire i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la completa riduzione in pristino allo "status quo ante", oppure deve attivarsi perché vi sia un titolo di acquisto dell'area da parte del soggetto attuale possessore. In assenza di legittimi provvedimenti ablatori o di contratti di acquisto delle relative aree, o di provvedimenti di acquisizione ex art. 42 bis, D.Lgs. n. 327/2001 deve affermarsi il potere-dovere di far luogo alla materiale rimozione delle opere che risultano senza titolo. ". Detta scelta è rimessa all’Amministrazione, ed il primo giudice null’altro ha fatto che rammentare all’Amministrazione tale possibilità affermando che (si riporta un breve inciso della motivazione della gravata sentenza)" rimettere alla Regione resistente ogni valutazione in ordine alla scelta dello strumento attraverso cui addivenire all'acquisizione delle aree illegittimamente occupate, fissando, a tale fine, un termine di tre mesi, decorrenti dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, entro cui l'Amministrazione dovrà procedere alla formulazione di una proposta finalizzata alla stipulazione di un contratto per la cessione del diritto di proprietà ed il contestuale soddisfacimento delle pretese risarcitorie in via transattiva, ovvero all'adozione del provvedimento, ex art. 42 bis del DPR 327/2001, con conseguente pagamento dell’indennizzo. Laddove la Regione non intenda adottare il provvedimento costitutivo della proprietà pubblica o stipulare il contratto traslativo del diritto di proprietà, dovrà provvedere all’immediata rimozione delle opere realizzate sui terreni del ricorrente in quanto eseguite sine titulo e corrispondergli, inoltre, il risarcimento del danno, secondo i criteri di seguito indicati, limitatamente al periodo di spossessamento.". Ovviamente – si ribadisce- la scelta è rimessa all’Amministrazione, unico soggetto che possa emettere il provvedimento acquisitivo. Sul piano processuale, l'affermazione della giurisprudenza per cui il predetto comando non è rivolto al giudice ma alla P.A. (cfr. infra multa Consiglio di Stato sez. IV 09 gennaio 2013 n. 76), sta a significare solo che la decisione relativa alla valutazione della persistenza dell'interesse pubblico al mantenimento dell'opera pubblica, afferisce totalmente al merito amministrativo e non può essere demandato alla sede giurisdizionale. Ciò l’Amministrazione all’evidenza farà, valutando anche i rapporti intrattenuti con la società proprietaria del manufatto (turbina eolica, nel caso di specie) allocato sull’area: fermandosi alla evenienza prospettata nell’appello, laddove quest’ultima, ad esempio, non risultasse disponibile ad acquistare il diritto di superficie sul terreno al fine di ivi mantenervi la turbina (ovvero a locarlo per il tempo necessario), essa potrà o dovrà omettere, secondo il proprio discrezionale giudizio, di rendere il provvedimento ex art. 42 bis del Tu. Ciò che risulta invece del tutto inaccoglibile, è la pretesa di parte appellante di addossare al proprietario dell’immobile le conseguenze dell’eventuale disaccordo tra la Regione e la ditta proprietaria della turbina ed utilizzatrice della medesima e, a fronte della totale inutilizzabilità dell’area, prevedere l’acquisizione di un diritto reale "minor" proprio in virtù ed a cagione di detto disaccordo. Non è fuor di luogo rammentare, a tale proposito che la procedura avviata ( e risultata illegittima) era finalizzata alla espropriazione dell’area; per queste ragioni venne occupato l’immobile; questo sarebbe stato l’approdo finale ove l’Amministrazione avesse agito correttamente. Tale scorrettezza la Regione può ora "sanare": ma non può certo modificare detta originaria deliberazione (ad opera già eseguita e turbina già installata sul fondo) mutandone l’oggetto. D’altro canto, la affermata circostanza su cui poggia la tesi secondo cui l’acquisizione potrebbe avvenire soltanto in presenza di opera pubblica utilizzata dall’ente pubblico medesimo è per tabulas smentita dal comma V dell’art. 43 bis medesimo, laddove questo estende la portata del comma I anche a fattispecie diverse ("Se le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 4 sono applicate quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata, ovvero quando si tratta di terreno destinato a essere attribuito per finalità di interesse pubblico in uso speciale a soggetti privati, il provvedimento è di competenza dell'autorità che ha occupato il terreno e la liquidazione forfetaria dell'indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale è pari al venti per cento del valore venale del bene."), il che è proprio l’evenienza concretatasi nel caso di specie. L’invocato comma VI del citato articolo configura, a ben guardare, una norma di chiusura che disciplina una evenienza tutt’affatto diversa (" Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche quando è imposta una servitù e il bene continua a essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale; in tal caso l'autorità amministrativa, con oneri a carico dei soggetti beneficiari, può procedere all'eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio dei soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua o energia"). Id est: detta disposizione in ultimo citata ammette che la c.d. "acquisizione sanante" sia praticabile anche con riferimento a diritti reali parziari: ma ciò laddove sia risultata irregolare la procedura finalizzata all’acquisizione in mano pubblica di uno di tali diritti. Ivi non si prevede certo che si possa mutare ad nutum l’oggetto della "sanatoria": se il procedimento espropriativo malgovernato era finalizzato ad ablare integralmente il bene, non può poi, ex 42 bis, disporsi l’acquisizione di un diritto "minor" perché, a tacer d’altro, tale (straordinaria, è bene ricordarlo: cfr. sentenza Corte EDU, 30 maggio 2000, ric. 31524/96; Cons. Stato, Sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290; Cons. Stato, 7 aprile 2010, n. 1983; Consiglio di Stato sez. IV 02 settembre 2011 n. 4970; Consiglio di Stato sez. IV 29 agosto 2012 n. 4650 secondo cui il privato può, legittimamente domandare sia il risarcimento, sia la restituzione del fondo che la sua riduzione in pristino) facoltà non "sanerebbe" alcunché. Non si sarebbe in presenza di una "acquisizione sanante", in quanto non diretta a "sanare" il pregresso procedimento espropriativo, ma ad imporne uno nuovo, minor, avente diverso e più limitato oggetto, e sostanzialmente extra ordinem. A seguire la tesi dell’appellante, che porrebbe insormontabili dubbi di legittimità costituzionale detta disposizione avrebbe attribuito all’Amministrazione una specie di "golden share", per cui, dichiarata illegittima una procedura espropriativa, essa potrebbe ex art. 42 bis, ugualmente entrare nella disponibilità del bene di interesse pubblico, sostituendo l’oggetto della procedura espropriativa medesima. Tesi, questa, inaccoglibile, in quanto l’eccezionale potere ex art. 42 bis del TU è volto a "sanare" il pregresso: non certo a mutarne l’oggetto, in senso sfavorevole per il privato, a seconda delle convenienze, perché ciò a tacer d’altro, renderebbe più conveniente per l’Amministrazione procedere in modo illegittimo piuttosto che portare a termine correttamente le procedura espropriative. Per continuare nella lettura della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV
Il Consiglio di Stato ha più volte affermato, in passato, che (Cons. Stato Sez. IV, 26-03-2013, n. 1710) "nel procedimento di espropriazione per pubblica utilità, nell'attuale quadro normativo, l'Amministrazione ha l'obbligo giuridico di far venir meno, in ogni caso, l'occupazione "sine titulo" e, ... Continua a leggere
Termine per l'impugnazione dell'aggiudicazione definitiva: in caso di comunicazione incompleta di cui all’art. 79 del d.lgs. n. 163/2006, la "conoscenza", utile ai fini della decorrenza del termine di impugnazione, coincide con la cognizione, acquisita in sede di accesso, degli elementi oggetto della comunicazione senza che sia necessaria l’estrazione delle relative copie
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V

L’art. 120, comma 5, del d.lgs. n. 104/2010, a tenore del quale, "per l’impugnazione degli atti di cui al presente articolo (nella specie, il provvedimento di aggiudicazione definitiva) il ricorso ed i motivi aggiunti, anche contro atti diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti nel termine di 30 giorni, decorrente dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 79 del d.lgs. n. 163/2006". Detta norma stabilisce, al comma 5 bis, che "la comunicazione è accompagnata dal provvedimento e dalla relativa motivazione contenente almeno gli elementi di cui al comma 2, lett. c)…; l’onere può essere assolto, nei casi di cui al comma 5, lett. a) e b) e b) bis, mediante l’invio dei verbali di gara, e, nel caso di cui al comma 5 lett. b) ter, mediante richiamo alla motivazione relativa al provvedimento di aggiudicazione definitiva, se già inviata…", aggiungendo (comma 5 quater) che l’accesso agli atti del procedimento in cui sono adottati i provvedimenti oggetto di comunicazione ai sensi del presente articolo è consentito entro dieci giorni dall’invio della comunicazione dei provvedimenti medesimi mediante visione ed estrazione di copia. Dall’analisi complessiva delle disposizioni ora esposte - che annettono rilievo, ai fini dell’individuazione del dies a quo per la proposizione del ricorso, alla comunicazione di cui all’art. 79 e non anche all’utile espletamento del diritto di accesso - si evince il principio generale secondo cui, in caso di comunicazione incompleta, la "conoscenza", utile ai fini della decorrenza del citato termine, coincide con la cognizione, acquisita in sede di accesso, degli elementi oggetto della comunicazione dell’articolo 79 senza che sia necessaria l’estrazione delle relative copie. In definitiva, anche alla luce delle finalità acceleratorie che informano la speciale disposizione di cui all’art. 120, si deve ritenere che la visione abbia consentito, anche ai sensi dell’inciso finale del comma 5 di detta ultima norma, la cognizione integrale degli atti, così integrando la piena conoscenza degli elementi ritenuti rilevanti dallo stesso art. 79 del codice dei contratti pubblici. Nel caso di specie l’accesso è stato esercitato, tramite visione degli atti, il 6-12-2010 mentre la disponibilità immediata dell’amministrazione al rilascio delle copie degli atti è stata acquisita in data 20-12-2010 e parte ricorrente, in data 21-12-2010, ne ha chiesto l’invio tramite mezzi postali. Conclude quindi il Consiglio di Stato convenendo con i Primi Giudici allorché hanno ritenuto che, in considerazione dell’incompletezza della comunicazione ex art. 79, il dies a quo per la proposizione del ricorso deve ritenersi coincidente con la data di esercizio dell’accesso per presa visione, integrante la conoscenza degli atti in base al penultimo periodo del comma 5 cit. Per continuare nella lettura della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V
L’art. 120, comma 5, del d.lgs. n. 104/2010, a tenore del quale, "per l’impugnazione degli atti di cui al presente articolo (nella specie, il provvedimento di aggiudicazione definitiva) il ricorso ed i motivi aggiunti, anche contro atti diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti nel te ... Continua a leggere
Abusi edilizi: la richiesta di concessione in sanatoria di un'opera edilizia non inficia la legittimità dell'ordine di demolizione solo se la sanatoria sia stata poi respinta
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V

Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. V, 31 marzo 2010, n. 1875; Sez. II, 12 maggio 2004, n. 1056), ribadita nella sentenza in esame la richiesta di concessione in sanatoria di un'opera edilizia non inficia la legittimità dell'ordine di demolizione impartito in precedenza, quando la domanda di sanatoria sia stata poi respinta. L’ordine di demolizione risulta illegittimo soltanto se viene adottato all’indomani della domanda di sanatoria, ciò in ragione del fatto che l’istanza di sanatoria impedisce che l’amministrazione prima del suo esame si attivi per eliminare un abuso che potrebbe essere sanato. L’ordine di demolizione è infatti, un atto vincolato che poggia sull’atto presupposto che accerta la presenza di un abuso edilizio, conseguentemente l’efficacia dell’ordine di demolizione resta sospesa all’indomani della presentazione della domanda di sanatoria, ma al momento in cui la stessa venga respinta, l’ordine di demolizione torna a spiegare i suoi effetti, né appare necessario che l’amministrazione adotti un ulteriore ordine di demolizione, poiché la domanda di sanatoria non caduca l’ordine di demolizione, ma ne sospende gli effetti, che ricominciano a decorrere a far data dall’adozione del diniego di sanatoria. Per approfondire cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V
Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. V, 31 marzo 2010, n. 1875; Sez. II, 12 maggio 2004, n. 1056), ribadita nella sentenza in esame la richiesta di concessione in sanatoria di un'opera edilizia non inficia la legittimità dell'ordine di demolizione impartito in precedenz ... Continua a leggere
Antenne: il parere dell’A.R.P.A. e' richiesto esclusivamente ai fini della concreta attivazione dell’impianto e l’operatore richiedente non deve allegarlo alla domanda
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 19.3.2014

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha più volte chiarito che la previsione dell’art. 87 del d. lgs. 259/2003 postula che il parere dell’A.R.P.A. sia richiesto esclusivamente ai fini della concreta attivazione dell’impianto, non sussistendo un onere, per l’operatore richiedente, di allegare il parere in questione in sede di presentazione dell’istanza ovvero della d.i.a. (v., inter multas, Cons. St., sez. VI, 24.9.2010, n. 7128); a norma, poi, dell’art. 87-bis del D. Lgs. n. 259/2003, il parere dell’ARPA deve intervenire "entro trenta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda". Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 19.3.2014
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha più volte chiarito che la previsione dell’art. 87 del d. lgs. 259/2003 postula che il parere dell’A.R.P.A. sia richiesto esclusivamente ai fini della concreta attivazione dell’impianto, non sussistendo un onere, per l’operatore richiedente, di allegare il ... Continua a leggere
Nelle gare indette dagli enti locali e' possibile il cumulo nella stessa persona delle funzioni di presidente della commissione di gara, di responsabile del procedimento e di soggetto aggiudicatore
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 13.3.2014

Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato procede a valutare, tra l'altro, la questione sollevata dall'appellante dell’illegittimità della aggiudicazione definitiva per asserita violazione dei principi generali di imparzialità dell’azione amministrativa, in quanto disposta dallo stesso funzionario che aveva fatto parte della commissione di gara con funzione di presidente, cumulando pertanto le funzioni di controllore e controllato. La Quinta Sezione non ha accolto l'eccezione osservando al riguardo che, pur potendo condividersi l’assunto secondo cui l’aggiudicazione definitiva non costituisce un atto meramente confermativo o esecutivo rispetto all’aggiudicazione provvisoria, anche quando ne recepisca i risultati, comportando comunque una nuova ed autonoma valutazione degli interessi sottostanti (Cons. Stato, sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6539) e anche a voler ritenere che l’atto impugnato non costituisce il solo atto finale della procedura di gara (come ritenuto dai primi giudici), ma rappresenta anche l’atto di approvazione della stessa aggiudicazione definitiva (tanto più che si dà espressamente atto che l’efficacia di quest’ultima è sottoposta, rectius subordinata, soltanto alla sottoscrizione del contratto), a ciò non consegue la dedotta illegittimità del provvedimento impugnato: infatti, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è motivo per discostarsi, nelle gare indette dagli enti locali non comporta violazione dei principi di imparzialità e buona amministrazione il cumulo nella stessa persona delle funzioni di presidente della commissione di gara, di responsabile del procedimento e di soggetto aggiudicatore, risultando ciò conforme ai principi in materia di responsabilità dei funzionari degli enti locali, come delineati dall’art. 107 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Cons. Stato, sez. V, 27 aprile 2012, n. 2445; 28 marzo 2008, n. 1361). Per continuare nella lettura della sentenza cliccare di "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 13.3.2014
Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato procede a valutare, tra l'altro, la questione sollevata dall'appellante dell’illegittimità della aggiudicazione definitiva per asserita violazione dei principi generali di imparzialità dell’azione amministrativa, in quanto disposta dallo stesso funzionari ... Continua a leggere
Rifiuti: l’atto di localizzazione di una discarica e gli atti che comportino un aumento dei rifiuti ivi conferiti per ampliamenti della stessa sono immediatamente lesivi
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 13.3.2014

La giurisprudenza del Consiglio di Stato è chiaramente orientata nel senso dell’immediata lesività dell’atto di localizzazione di una discarica e, conseguentemente anche degli atti che comportino un aumento dei rifiuti ivi conferiti grazie agli ampliamenti della stessa. Infatti, la legittimazione ad impugnare gli atti in questione poggia non solo sul requisito della vicinitas, ma anche sulla prospettazione delle esternalità negative che possono derivare dalla localizzazione o dall’incremento nell’utilizzo della discarica (Cons. St., Sez. V, 18 aprile 2012, n. 2234; 14 aprile 2008, n. 1725; 14 giugno 2007, n. 3191). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 13.3.2014
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è chiaramente orientata nel senso dell’immediata lesività dell’atto di localizzazione di una discarica e, conseguentemente anche degli atti che comportino un aumento dei rifiuti ivi conferiti grazie agli ampliamenti della stessa. Infatti, la legittimazione a ... Continua a leggere
La nozione di "vicinitas" ai fini della legittimazione dei titolari di autorizzazioni commerciali a ricorrere contro l'apertura di centri commerciali
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 13.3.2014

Come più volte rilevato dalla giurisprudenza dalla Quinta sezione (Cons. Stato, n. 6113 del 2012; n. 298 del 2013) non è sufficiente invocare il concetto di vicinitas per radicare la propria legittimazione ad agire, ma quanto più la distanza è ampia, tanto più occorre puntualmente comprovare il danno subito. A tal punto rileva il Collegio che non può che essere condiviso il percorso logico giuridico seguito dal giudice di primo grado, che ha ravvisato l’inammissibilità del ricorso con riferimento alla mancanza nella specie del rapporto di "vicinitas" che legittima l’impugnazione in materia di grandi strutture di vendita e non può che condividersi l’assunto secondo cui mancherebbe la prova del danno che a mezzo l’azione giudiziale si vuole evitare. Osserva sul punto il TAR che "pur volendo accedere ad un’ampia nozione di vicinitas, occorre …offrire la prova della legittimazione al ricorso, indicando, in termini di sviamento di clientela per il Comune viciniore, quali danni legati all’attualità, siano ricollegabili all’avversata struttura, tanto più che l’ambito di operatività commerciale del Comune di Cavallino non risulta sovrapponibile a quello della struttura commerciale sita in via dei Templari a Lecce". Invero, come correttamente rilevato dal TAR, nel caso il concetto di vicinitas sarebbe stato semplicemente evocato senza indicare quanto meno le potenziali lesioni derivanti dalla struttura di vendita posta non già al confine del Comune ricorrente, ma a una distanza ben più ampia, ossia al centro della città di Lecce. Tale considerazione è del tutto in linea con la giurisprudenza formatasi in materia, che, pur ravvisando che l’apertura di un centro commerciale di notevoli dimensioni in località caratterizzata dalla presenza di importanti collegamenti stradali e con ampia disponibilità di parcheggi, per effetto del grande richiamo notoriamente esercitato sui consumatori dalla possibilità di procedere ad acquisti di ogni genere con un solo spostamento verso un unico centro e a condizioni di prezzo spesso più vantaggiose, è in grado di esercitare un impatto economico che non può essere ristretto ai commercianti siti nell’area nella quale la nuova struttura commerciale è stata autorizzata a collocarsi, pur tuttavia è da escludere la titolarità di un interesse oppositivo in assenza di prova circa la diretta e immediata interferenza tra l’attività commerciale o imprenditoriale preesistente con quella di comuni viciniori. Ciò sia per l’esigenza di evitare slittamenti verso una giurisdizione di tipo obiettivo, sia per ragioni attinenti all’evoluzione dei principi in materia di concorrenza (cfr. Cons. Stato, sezione quinta, 28 giugno 2006, n. 4206). Invero, il concetto di vicinitas che legittima l’impugnazione nel caso di ricorsi promossi da titolari di autorizzazioni commerciali è stata individuata dalla giurisprudenza prevalente nello "stesso bacino d’utenza della concorrente" che va verificato sulla base della natura e delle dimensioni dell’opera realizzanda, della sua destinazione, delle implicazioni urbanistiche in termini di luci, vedute, distanze e viabilità e sotto il profilo della qualità della vita per coloro che, non solo per residenza ma anche per attività lavorativa, sono in durevole rapporto con la zona in cui è destinata a sorgere la nuova opera. Conclude il Consiglio di Stato come tutto ciò non è ravvisabile nella fattispecie in esame, attesa la preesistenza della struttura commerciale e la sua allocazione nel centro storico di Lecce.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 13.3.2014
Come più volte rilevato dalla giurisprudenza dalla Quinta sezione (Cons. Stato, n. 6113 del 2012; n. 298 del 2013) non è sufficiente invocare il concetto di vicinitas per radicare la propria legittimazione ad agire, ma quanto più la distanza è ampia, tanto più occorre puntualmente comprovare il dan ... Continua a leggere