
Gazzetta Informa News 20 Maggio 2013 - Area Tecnica
L'impresa aggiudicataria può, nell'ambito del subprocedimento di verifica della congruità dell'offerta presentata, rimodulare le quantificazioni dei costi e dell'utile, indicate nella relazione giustificativa dell'offerta economica

In sede di verifica possono essere rimodulate le quantificazioni dei costi e dell’utile purché non venga modificato l’importo complessivo della offerta formulata, atteso che (premesso che nell'interpretazione del dato normativo non può trascurarsi che la "ratio" cui è preordinato il meccanismo di verifica della offerta anomala è pur sempre la piena affidabilità della proposta contrattuale, senza però che possa essere modificato l'importo complessivo dell'offerta presentata) è condivisibile l'orientamento giurisprudenziale (Consiglio Stato, Sez. V, Sent. n. 653 del 10.2.2010), secondo cui l'impresa aggiudicataria può, nell'ambito del subprocedimento di verifica della congruità dell'offerta presentata, rimodulare le quantificazioni dei costi e dell'utile, indicate nella relazione giustificativa dell'offerta economica. Il subprocedimento di giustificazione dell'offerta anomala deve prevedere la inammissibilità solo delle giustificazioni che, nel tentativo di far apparire seria un'offerta che invece non è stata adeguatamente meditata, risultano tardivamente finalizzate ad un'allocazione dei costi diversi rispetto a quella originariamente indicata. Per le stesse ragioni non è consentita l'immotivata rimodulazione di voci di costo al solo scopo di far quadrare i conti, al fine cioè di assicurare che il prezzo complessivo offerto resti immutato, superando le contestazioni della stazione appaltante su alcune voci di costo; ciò proprio perché, nel giudizio di congruità dell'offerta, esplicazione di valutazioni tecniche sindacabili solo in caso di illogicità manifesta o di erroneità fattuale, non è in questione soltanto della generica capienza dell'offerta, ma anche la sua serietà (Consiglio di Stato, sez. V, 30 novembre 2012, n. 6117). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 2.5.2013, n. 2401)
In sede di verifica possono essere rimodulate le quantificazioni dei costi e dell’utile purché non venga modificato l’importo complessivo della offerta formulata, atteso che (premesso che nell'interpretazione del dato normativo non può trascurarsi che la "ratio" cui è preordinato il meccanismo di v ... Continua a leggere
Procedure ad evidenza pubblica: fino a quando non sia intervenuta l’aggiudicazione, rientra nel potere discrezionale dell’amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi ove sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara

L’amministrazione è notoriamente titolare del potere, riconosciuto dall’art. 21 quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, di revocare per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, un proprio precedente provvedimento amministrativo (C.d.S., sez. V, 18 gennaio 2011 , n. 283). Con riguardo alle procedure ad evidenza pubblica è stato considerato legittimo il provvedimento di revoca di una gara di appalto, disposta in una fase non ancora definita della procedura concorsuale, ancora prima del consolidarsi delle posizioni delle parti e quando il contratto non è stato ancora concluso, motivato anche con riferimento al risparmio economico che deriverebbe dalla revoca stessa, ciò in quanto la ricordata disposizione ammette un ripensamento da parte della amministrazione a seguito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (C.d.S., sez. III, 15 novembre 2011, n. 6039; 13 aprile 2011 , n. 2291); è stato ripetutamente ribadito che fino a quando non sia intervenuta l’aggiudicazione, rientra nel potere discrezionale dell’amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara, puntualizzando che le ragioni tecniche nell’organizzazione del servizio attinenti le concrete modalità di esecuzione, il riassetto societario, la volontà di provvedere in autoproduzione e non mediante esternalizzazione, la necessità di consentire attraverso tale scelta organizzativa un maggior assorbimento di personale in un quadro di attività concertate in sede sindacale mirante alla valorizzazione del personale interno, sono tutti profili attinenti al merito dell’azione amministrativa e di conseguenza insindacabili da parte del giudice, in assenza di palesi e manifesti indici di irragionevolezza (C.d.S., sez. V, 9 aprile 2010 , n. 1997); anche il riferimento al risparmio economico derivante dalla revoca è stato ritenuto legittimo motivo della stessa (C.d.S., sez. V, 8 settembre 2011, n. 5050). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 2.5.2013, n. 2400)
L’amministrazione è notoriamente titolare del potere, riconosciuto dall’art. 21 quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, di revocare per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario ... Continua a leggere
Appalti Pubblici: la prova necessaria per il riconoscimento del danno da perdita di chance per la mancata indizione di una nuova gara

Il giudizio in esame concerne l'impugnazione da parte del Comune dell'Aquila della sentenza del TAR con la quale veniva condannato al risarcimento, in favore della Ditta ricorrente, del danno quantificato nella percentuale dell’1% dell’ammontare complessivo dell’appalto, oltre interessi e rivalutazione monetaria. In particolare nel giudizio di primo grado la concorrente alla gara aveva agito per ottenere il ristoro del danno subito per l’inutile partecipazione a detta gara ab origine viziata e per la perdita della chance di vedersi aggiudicato l’appalto, laddove l’amministrazione avesse provveduto come di dovere a rinnovare la procedura concorsuale. La perdita di chance è stata causata dal permanere nella gestione del servizio dell’aggiudicataria e dalle proroghe a questa concesse dal Comune dell’Aquila, poi annullate dal Tar Abruzzo. La mancata indizione di una nuova gara e le illegittime proroghe del servizio hanno in tal modo frustrato l’interesse della ricorrente alla partecipazione ad una nuova procedura concorsuale che avrebbe dovuto essere indetta e che la stessa, anche in forza dell’esperienza maturata per aver nel passato svolto il servizio, avrebbe potuto aggiudicarsi. Nella peculiare situazione di fatto testè delineata, quindi, la mera caducazione degli atti di gara non risulta oggettivamente sufficiente a ristorare il danno subito dalla ricorrente. Le citate voci di danno, ad avviso del Consiglio di Stato, conseguono direttamente agli atti impugnati ed annullati, senza che possa pretendersi la prova che si sarebbe certamente aggiudicata il servizio all’esito della rinnovata gara. Il riconoscimento del danno da perdita di chance non può intendersi subordinato all'offerta in giudizio da parte dell’interessato di una prova in termini di certezza, perché ciò è oggettivamente incompatibile con la natura di tale voce di danno, risultando quindi sufficiente che gli elementi addotti, in virtù del principio contenuto nell'art. 2697 c.c., consentano una prognosi concreta e ragionevole circa la possibilità di vantaggi futuri, invece impediti a causa della condotta illecita altrui (così Cons. Stato, Sez. V, 18 aprile 2012, n. 225). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 2.5.2013, n. 2399)
Il giudizio in esame concerne l'impugnazione da parte del Comune dell'Aquila della sentenza del TAR con la quale veniva condannato al risarcimento, in favore della Ditta ricorrente, del danno quantificato nella percentuale dell’1% dell’ammontare complessivo dell’appalto, oltre interessi e rivalutaz ... Continua a leggere
Procedure di gara: se il modello di autocertificazione non è sottoscritto non ha nessun significato, non solo giuridico, ma neanche logico, dato che ne viene meno la stessa riconoscibilità esteriore come forma di autocertificazione, per cui si configura l'ipotesi di omessa presentazione di un atto

Secondo una condivisibile giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. V, n. 364/2004), "il principio della sanabilità delle irregolarità formali, di derivazione comunitaria e rilevante anche nell'ordinamento interno, consente di attenuare il rilievo di prescrizioni formali che non incidano sull'assetto sostanziale degli interessi coinvolti nella procedura di gara né alterino le regole riguardanti la par condicio tra i concorrenti, ma ciò non impedisce d’individuare alcuni limiti generali alla regola della sanatoria, che non opera quando difettino requisiti essenziali dei documenti prodotti dalle parti (nella specie, la mancanza della sottoscrizione riguardava proprio un elemento fondamentale dell'atto, incidendo sull’individuazione stessa della dichiarazione come documento effettivamente imputabile al soggetto indicato come dichiarante. Altrimenti opinando, per di più in contrasto con le previsioni del bando, si altererebbe anche la par condicio tra le imprese e si violerebbe il principio di autoresponsabilità, per il quale l’impresa partecipante alla gara d’appalto risponde della mancata produzione di atti, ad essa imputabile. Poiché l’amministrazione deve fare applicazione dei princìpi di par condicio e di osservanza dei tempi procedimentali (cfr. Cons. St., sez. IV, sent. n. 6684/2002), nella specie del tutto legittimamente si è tenuto conto della mancata sottoscrizione della dichiarazione: la necessità di questa, oltre a derivare dalle previsioni del capitolato, discende dai principi generali sulla fonte delle responsabilità, anche di ordine penale, derivanti dalla falsità dell'atto: se il modello di autocertificazione non è sottoscritto, il medesimo non ha nessun significato, non solo giuridico, ma neanche logico, dato che ne viene meno la stessa riconoscibilità esteriore come forma di autocertificazione, per cui si configura l'ipotesi di omessa presentazione di un atto (cfr. Cons. St., sez. V., sent. n. 621/1997). Del resto, la regola della sanabilità riguarda previsioni secondarie della procedura di gara e non può estendersi a profili d’identificazione dei documenti prodotti dalle parti, onde la possibilità di regolarizzazione concerne solo il completamento o la chiarificazione di documenti o dichiarazioni già versati in atti, per porre rimedio ad incertezze o equivoci generati dall’ambiguità delle clausole del bando e della lettera d’invito o, comunque, presenti nella normativa applicabile alla concreta fattispecie (cfr. Cons. St., sez. V, sent. n. 3685/2002), il che non è configurabile nel caso di specie. (Consiglio di Stato, Sez. Vi, sentenza 10.5.2013, n. 2548)
Secondo una condivisibile giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. V, n. 364/2004), "il principio della sanabilità delle irregolarità formali, di derivazione comunitaria e rilevante anche nell'ordinamento interno, consente di attenuare il rilievo di prescrizioni formali che non incidano sull'assetto so ... Continua a leggere
Servitù pubblica di passaggio: va considerata di natura privata non sottoposta a servitù pubblica la strada non utilizzata da una collettività indeterminata di persone, inidonea a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale e sulla quale il Comune non ha effettuato interventi di manutenzione

La giurisprudenza, con orientamento costante cui la Sezione aderisce, ritiene che affinché possa considerarsi esistente una servitù pubblica di passaggio su una strada occorre che essa: a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano inuna posizione qualificata rispetto al bene gravato; b) sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale; c) sia oggetto di interventi di manutenzione da parte della pubblica amministrazione (ex multis, Cons. Stato, IV, 24 febbraio 2011, n. 1240; IV, n. 2760 del 2012, cit.). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.5.2013, n. 2544)
La giurisprudenza, con orientamento costante cui la Sezione aderisce, ritiene che affinché possa considerarsi esistente una servitù pubblica di passaggio su una strada occorre che essa: a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in ... Continua a leggere
Il proprietario del terreno illegittimamente occupato dall’amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell'occupazione e l'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare in giudizio sia il risarcimento del danno, sia la restituzione del terreno, previa la sua riduzione in pristino

Il Consiglio di Stato ha più volte ribadito (sez. IV: 30 gennaio 2006, n. 290; 7 aprile 2010, n. 1983) che l’intervenuta realizzazione dell'opera pubblica non fa venire meno l'obbligo dell'amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso, in quanto deve ritenersi superata (e non più ammessa dall’ordinamento) l’interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica e all’irreversibile trasformazione effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato illegittimamente ablato. In base alla sopravvenuta giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, deve ritenersi che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente non fosse aderente alla Convenzione europea e, in particolare, al Protocollo addizionale n. 1 (sentenza Cedu 30 maggio 2000, ric. 31524/96). In tale ultima decisione i giudici di Strasburgo hanno infatti ritenuto che la realizzazione dell’opera pubblica non costituisca impedimento alla restituzione dell'area illegittimamente espropriata, e ciò indipendentemente dalle modalità - occupazione acquisitiva o usurpativa - di acquisizione del terreno. Per tali ragioni, il proprietario del terreno illegittimamente occupato dall’amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell'occupazione e l'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare in giudizio sia il risarcimento del danno, sia la restituzione del terreno, previa la sua riduzione in pristino. La realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell'amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in fatti o comportamenti materiali (Cons. Stato, sez. IV: 29 agosto 2012, n. 4650; 27 gennaio 2012, n. 427). Peraltro, l’azione restitutoria, essendo posta a riparazione di un illecito permanente (i.e., l’occupazione sine titulo; cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6012), è imprescrittibile e può essere proposta senza limiti di tempo (salvi gli effetti della usucapione); in particolare, detta azione non soggiace al termine decadenziale di 120 giorni previsto dall’art. 30, comma 3, del Codice per il processo amministrativo. Infatti, l’art. 30, comma 3, del Codice riguarda la domanda di risarcimento per lesioni di interessi legittimi, mentre nel caso in esame – con l’annullamento degli atti di natura ablatoria, su cui si è già formato il giudicato – gli interessati hanno chiesto la tutela del loro diritto di proprietà, attualmente ancora leso dal possesso altrui (da qualificare sine titulo). Tanto premesso in ordine alla ammissibilità ed alla fondatezza dell’azione restitutoria proposta dagli odierni appellanti con il ricorso di primo grado, il Collegio evidenzia come nel caso di specie sul terreno oggetto di causa insistono una stazione ferroviaria e opere infrastrutturali essenziali per l’esercizio del servizio pubblico di trasporto. L’Autorità espropriante dispone oggi dello strumento giuridico idoneo ad acquisire definitivamente alla mano pubblica l’area ove sorgono la stazione ferroviaria e le opere annesse, corrispondendo ai legittimi proprietari il giusto indennizzo, che è dato dall’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001(recante il Testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità), introdotto a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 43 dello stesso Testo unico, per difetto di delega, pronunciata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 293 del 2010. L’art. 42 bis, infatti, come già in precedenza evidenziato da questo Consiglio di Stato riguardo all’analoga ratio dell’art. 43 (Sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5830), è stato emanato per consentire una ‘legale via di uscita’ per i moltissimi casi in cui una pubblica amministrazione (ovvero un soggetto privato da essa immesso nel possesso di un bene altrui in esecuzione di una ordinanza di occupazione d’urgenza) avesse occupato senza titolo un’area di proprietà privata, in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio. L’articolo in questione, inserito nel Testo unico degli espropri dal decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 (art. 34), convertito nella legge n. 2011, ha dunque reintrodotto, con diversa disciplina, il potere discrezionale già attribuito dall’art. 43: l’amministrazione - valutate le circostanze e comparati gli interessi in conflitto – può decidere se demolire in tutto o in parte l’opera (affrontando le relative spese) e restituire l’area al proprietario, oppure se disporre l’acquisizione (evitando che sia demolito, paradossalmente, quanto altrimenti risulterebbe meritevole di essere ricostruito). L’art. 42 bis prevede infatti, al comma 1, che l’Amministrazione, valutati gli interessi in conflitto, possa disporre, con formale provvedimento, l’acquisizione del bene, con la corresponsione al privato di un indennizzo per il pregiudizio subito, patrimoniale e non patrimoniale; al comma 8 prevede poi che le sue disposizioni "trovano altresì applicazione ai fatti anteriori", sicché esso si applica senza alcun dubbio anche nella fattispecie in esame. Anche nell’attuale quadro normativo, l’Amministrazione ha dunque l’obbligo giuridico di far venir meno la occupazione sine titulo e cioè deve adeguare la situazione di fatto a quella di diritto. In particolare, la stessa o deve disporre la restituzione del terreno ai legittimi titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la riduzione in pristino, oppure deve attivarsi perché vi sia un titolo di acquisto dell’area da parte del soggetto attuale possessore. Nel caso di specie la rilevanza dell’art. 42 bis citato appare indubbia, poiché sull’area occupata senza titolo (in base agli atti annullati in sede di giustizia amministrativa) sono state realizzate opere di sicuro interesse pubblico, in quanto funzionali all’esercizio di un servizio pubblico essenziale (quale appunto il trasporto ferroviario). Ritiene la Sezione che, come stabilito in analoga vicenda (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 1° dicembre 2011, n. 6351) in assenza di atti di natura acquisitiva o ablatoria o di contratti di acquisto delle relative aree, sussiste il potere-dovere di questo giudice amministrativo di avvalersi (anche per il tramite del commissario ad acta) di tutti i mezzi per far luogo – con le necessarie cautele per la pubblica incolumità –alla materiale rimozione delle opere che attualmente risultano sui terreni in proprietà degli appellanti, per disporne la restituzione conformemente alla loro domanda. Tuttavia, ritiene anche la Sezione che, in attesa delle determinazioni che gli organi competenti assumeranno ai sensi dell’art. 42 bis, essa debba tenere in debito conto le esigenze di interesse pubblico che militano nel senso del provvisorio mantenimento della rete e della stazione ferroviaria. La Sezione ritiene che la competenza sulla gestione della vicenda (con l’alternativa tra l’emanazione dell’atto di acquisizione ex art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001 e la materiale demolizione delle opere al fine restitutorio) sia del Prefetto di Firenze, che ebbe ad emanare l’atto autorizzativo dell’occupazione d’urgenza in favore di Rete ferroviaria italiana spa. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.5.2013, n. 2559)
Il Consiglio di Stato ha più volte ribadito (sez. IV: 30 gennaio 2006, n. 290; 7 aprile 2010, n. 1983) che l’intervenuta realizzazione dell'opera pubblica non fa venire meno l'obbligo dell'amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso, in quanto deve ritenersi superata ( ... Continua a leggere
La sospensione dell'ordinanza di demolizione in pendenza della domanda di condono non è automatica, ma subordinata all’"astratta sanabilità" delle opere abusivamente eseguite

Il Consiglio di Stato in ordine alla censura relativa alla mancata sospensione del procedimento volto a reprime l’abuso edilizio in pendenza della domanda di condono presentata dall’appellante ai sensi dell’art. 32, comma 25 del decreto legge n. 269 del 2003, rileva che la sospensione non opera quale effetto automatico connesso alla presentazione della domanda di condono, poiché tale effetto risulta subordinato, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, all’"astratta sanabilità" delle opere abusivamente eseguite a norma dell’art. 32, comma 27 del citato decreto legge (Cons. di Stato, Sez. V, 3 agosto 2004, n. 5412). Ne deriva, quindi, che la mancata sospensione dell’ordinanza di demolizione invocata dall’appellante non poteva aver luogo nel caso di specie in quanto i manufatti in esame risultano, come affermato dalla stessa appellata, non conformi agli strumenti urbanistici vigenti all’epoca dell’entrata in vigore della legge n. 47 del 1985 nonché realizzati in assenza di titolo abilitativo, in una zona soggetta a vincolo paesaggistico. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.5.2013, n. 2541)
Il Consiglio di Stato in ordine alla censura relativa alla mancata sospensione del procedimento volto a reprime l’abuso edilizio in pendenza della domanda di condono presentata dall’appellante ai sensi dell’art. 32, comma 25 del decreto legge n. 269 del 2003, rileva che la sospensione non opera qua ... Continua a leggere
In sede di rilascio della concessione in sanatoria per opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo l’esistenza del vincolo va valutata al momento in cui deve essere presa in considerazione la domanda di condono

Per consolidata giurisprudenza "in sede di rilascio della concessione in sanatoria per opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo […] l’esistenza del vincolo (stesso) va valutata al momento in cui deve essere presa in considerazione la domanda di condono, a prescindere dall’epoca della sua introduzione e, quindi, anche per le opere eseguite anteriormente all’apposizione del vincolo in questione" (Cons. di Stato, Sez. IV, 29 novembre 2012, n. 6882). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.5.2013, n. 2541)
Per consolidata giurisprudenza "in sede di rilascio della concessione in sanatoria per opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo […] l’esistenza del vincolo (stesso) va valutata al momento in cui deve essere presa in considerazione la domanda di condono, a prescindere dall’epoca della sua introd ... Continua a leggere
Demolizione di opere abusive: l'esiguità del termine concesso dal Comune per la demolizione integra gli estremi di una violazione meramente formale con la conseguente possibilità di ottemperare all’ingiunzione in un termine non inferiore a quello previsto dalla legge

Nel giudizio in esame sulla censura relativa all’esiguità del termine concesso all’appellante per eseguire la demolizione disposta dal provvedimento comunale n. 136 del 14 gennaio 2005 il Collegio osserva che, come confermato da un consolidato orientamento giurisprudenziale, il vizio de quo integragli estremi di una violazione meramente formale del disposto dell'art. 32 del D.P.R. n. 380 del 2001, con la conseguente possibilità per l’odierna appellata di ottemperare all’ingiunzione in un termine non inferiore a quello previsto dalla legge. Peraltro, poiché l’amministrazione non ha demolito l’edificio nel periodo intercorrente tra il trentunesimo e il novantesimo giorno successivo alla notifica dell’ordine di demolizione, e poiché neppure l’appellante lo ha demolito (né durante tale periodo, né successivamente), la relativa censura va considerata inammissibile per difetto di interesse. Dalla natura meramente formale del lamentato vizio discende, poi, che quest’ultimo comunque non possa inficiare la legittimità dell’atto qui in esame (Cons. di Stato, Sez. V, 24 febbraio 2003, n. 986). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.5.2013, n. 2541)
Nel giudizio in esame sulla censura relativa all’esiguità del termine concesso all’appellante per eseguire la demolizione disposta dal provvedimento comunale n. 136 del 14 gennaio 2005 il Collegio osserva che, come confermato da un consolidato orientamento giurisprudenziale, il vizio de quo integra ... Continua a leggere
In materia di tutela delle bellezze panoramiche, l’esistenza di una anteriore lesione arrecata alla zona non rappresenta, da sola, un motivo sufficiente a dispensare dalla verifica riguardante la realizzabilità o la sanabilità di un’opera

Il Consiglio di Stato ha ritenuto che sotto il profilo sostanziale non può trovare condivisione la valutazione comunale sul rilievo della presenza di diffusi illeciti edilizi nella medesima zona ove è stato realizzato l’immobile oggetto degli impugnati provvedimenti: al contrario, l’amministrazionecomunale avrebbe dovuto esprimersi sul perché la sua demolizione non avrebbe consentito una riqualificazione del territorio. In ogni caso, per la pacifica giurisprudenza "in materia di tutela delle bellezze panoramiche, l’esistenza di una anteriore lesione arrecata alla zona non rappresenta, da sola, un motivo sufficiente a dispensare dalla verifica riguardante la realizzabilità o la sanabilità di un’opera; anzi, l’eventuale danno pregresso produce la necessità di una indagine ancor più accurata, per scongiurare un maggiore, più grave e definitivo turbamento, dei valori tipici dei luoghi" (Cons. di Stato, Sez. VI, 27 marzo 2012, n. 1813). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.5.2013, n. 2541)
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che sotto il profilo sostanziale non può trovare condivisione la valutazione comunale sul rilievo della presenza di diffusi illeciti edilizi nella medesima zona ove è stato realizzato l’immobile oggetto degli impugnati provvedimenti: al contrario, l’amministrazione ... Continua a leggere
L’opera edilizia abusiva va identificata, ai fini della concessione in sanatoria, con riferimento all’unitarietà dell’edificio realizzato restando irrilevante il suo frazionamento in distinte porzioni

Osserva il Consiglio di Stato che non può essere accolta tesi, basata sulla ritenuta "autonomia ed indipendenza" delle opere abusive realizzate al piano terra ed al primo piano dell’edificio di proprietà della ricorrente. Deve, infatti, rilevarsi che secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, "l’opera edilizia abusiva va identificata, ai fini della concessione in sanatoria, con riferimento all’unitarietà dell’edificio realizzato […] restando irrilevante, ai fini che qui rilevano, il suo preteso frazionamento in distinte porzioni" (Cons. di Stato, Sez. V, 3 luglio 2003, n. 3974, e Sez. V, 3 marzo 2001, n. 122). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.5.2013, n. 2541)
Osserva il Consiglio di Stato che non può essere accolta tesi, basata sulla ritenuta "autonomia ed indipendenza" delle opere abusive realizzate al piano terra ed al primo piano dell’edificio di proprietà della ricorrente. Deve, infatti, rilevarsi che secondo un consolidato orientamento giurisprude ... Continua a leggere
Annullamento dell’autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza: se l’ente che rilascia l’atto di base non ha adempiuto al suo obbligo di motivare in maniera adeguata in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’opera, gli organi ministeriali annullano l’atto locale per difetto di motivazione e possono indicare le ragioni di merito che concludono per la non compatibilità dell’intervento edilizio con i valori tutelati

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha costantemente affermato, quanto all’oggetto della valutazione paesaggistica nel contesto del procedimento di condono edilizio, che il detto parere «ha natura e funzioni identiche all’autorizzazione paesaggistica ex art. 7 della legge 29 giugno 1939 n. 1497, per essere entrambi gli atti il presupposto legittimante la trasformazione urbanistico edilizia della zona protetta, sicché resta fermo il potere ministeriale di annullamento del parere favorevole alla sanatoria di un manufatto realizzato in zona vincolata, in quanto strumento affidato dall’ordinamento allo Stato, come estrema difesa del paesaggio, valore costituzionale primario» (es. Cons. Stato, VI, 15 marzo 2007, n. 1255). La giurisprudenza afferma anche che il potere di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza, che esprime non un potere di controllo, bensì una manifestazione di cogestione del vincolo data dalla legge a sua estrema difesa, (cfr. per tutte Cons. Stato, Ad. plen., 14 febbraio 2001, n. 9) se non comporta un riesame di merito delle valutazioni dell’ente competente, nondimeno impone la valutazione dell’atto di base anche in tutti i profili che possono rappresentare, nelle varie manifestazioni, un eccesso di potere. Tra queste, rileva in particolare il difetto di motivazione, che si ha quando l’ente che rilascia l’atto di base non abbia adempiuto al suo obbligo di motivare in maniera adeguata in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’opera. In questo caso gli organi ministeriali annullano l’atto locale per difetto di motivazione e possono indicare – anche per evidenziare il vizio di eccesso di potere – le ragioni di merito che concludono per la non compatibilità dell’intervento edilizio con i valori tutelati (tra gli altri, Cons. Stato, VI, 20 dicembre 2012, n. 6585; Cons. Stato, VI, 18 gennaio 2012, n. 173; VI, 28 dicembre 2011, n. 6885; VI, 21 settembre 2011, n. 5292). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.5.2013, n. 2535)
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha costantemente affermato, quanto all’oggetto della valutazione paesaggistica nel contesto del procedimento di condono edilizio, che il detto parere «ha natura e funzioni identiche all’autorizzazione paesaggistica ex art. 7 della legge 29 giugno 1939 n. 149 ... Continua a leggere
Gare pubbliche: pur in mancanza dei presupposti che ne comportano l'obbligatorietà, la verifica dell'anomalia va effettuata se gli elementi dell'offerta e l'entità del ribasso complessivo non trovano adeguata giustificazione negli atti e presentino evidenti dubbi di anomalia

Nelle gare pubbliche la verifica dell'anomalia è necessaria, anche qualora non sussistano i presupposti che ne comportano l'obbligatorietà, quando gli elementi dell'offerta e l'entità del ribasso complessivo non trovino adeguata giustificazione negli atti e presentino evidenti o comunque seri dubbidi anomalia, in attuazione dei principi generali di efficacia, imparzialità, parità di trattamento e buon andamento dell'azione amministrativa (Consiglio di Stato, sez. III, 14 dicembre 2012, n. 6442). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 10.5.2013, n. 2533)
Nelle gare pubbliche la verifica dell'anomalia è necessaria, anche qualora non sussistano i presupposti che ne comportano l'obbligatorietà, quando gli elementi dell'offerta e l'entità del ribasso complessivo non trovino adeguata giustificazione negli atti e presentino evidenti o comunque seri dubbi ... Continua a leggere
L’inammissibilità del ricorso avverso il nulla osta di compatibilità paesaggistica inibisce la riproposizione di tali censure nei confronti del permesso di costruire

Il procedimento per il rilascio del permesso di costruire e quello per il nulla osta di compatibilità paesaggistica dell'intervento da eseguire, ancorché connessi, restano due procedimenti ontologicamente e logicamente distinti, avendo a oggetto la tutela di beni diversi ed essendo articolati sullabase di competenze diverse (Cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, Sentenza 30 luglio 2012, n. 4312). Ne consegue che l’inammissibilità del ricorso avverso il nulla osta inibisce la riproposizione di tali censure nei confronti del permesso di costruire, risultando diversamente eluso il termine decadenziale. Stesse conclusioni valgono per le censure relative alla proprietà dell’area cortilizia ed all’esistenza sulla stessa di servitù di passaggio. In assenza di prova documentale certa, vale il principio per il quale il permesso in sanatoria non pregiudica i diritti dei terzi, pienamente tutelabili, come pur è stato fatto, dinanzi al giudici civile. Così dicasi anche per il mancato parere della Commissione edilizia comunale: la giurisprudenza della Sezione è nel senso che nel procedimento di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, il parere della Commissione edilizia comunale, considerata la mancanza di espressa previsione normativa e la specialità del procedimento, deve essere considerato facoltativo (Cfr. Consiglio Stato sez. IV, 2 novembre 2009, n. 6784). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 9.5.2013, n. 2513)
Il procedimento per il rilascio del permesso di costruire e quello per il nulla osta di compatibilità paesaggistica dell'intervento da eseguire, ancorché connessi, restano due procedimenti ontologicamente e logicamente distinti, avendo a oggetto la tutela di beni diversi ed essendo articolati sulla ... Continua a leggere
DURC: il documento unico di regolarità contributiva si sostanza in una dichiarazione di scienza e si colloca fra gli atti di certificazione o di attestazione aventi carattere meramente dichiarativo di dati in possesso dell'ente, assistiti da pubblica fede ex articolo 2700 c.c. e facenti pertanto prova fino a querela di falso

Nella parte motiva della sentenza in esame il Consiglio di Stato ha rilevato come sotto il profilo soggettivo le Casse Edili appartengano alla categoria delle associazioni non riconosciute ex art. 36 c.c. le quali, nell'esercizio delle loro funzioni tipiche, non sono soggette di regola alla giurisdizione del giudice amministrativo. Sotto il profilo oggettivo, poi, il documento unico di regolarità contributiva (durc), come più volte precisato dalla giurisprudenza di questo Consiglio, si sostanza in una dichiarazione di scienza e si colloca fra gli atti di certificazione o di attestazione aventi carattere meramente dichiarativo di dati in possesso dell'ente, assistiti da pubblica fede ex articolo 2700 c.c. e facenti pertanto prova fino a querela di falso (cfr. Cons. Stato Sez. IV n.1458/ 2009; Sez. V n. 789 /2011). Ne consegue che eventuali errori contenuti in detto documento, involgendo posizioni di diritto soggettivo afferenti al sottostante rapporto contributivo, potranno essere corretti dal giudice ordinario, o all'esito di proposizione di querela di falso, o a seguito di ordinaria controversia in materia di previdenza e di assistenza obbligatoria. Infatti, ciò che forma oggetto di valutazione ai fini del rilascio del certificato è la regolarità dei versamenti effettuata dall'impresa iscritta presso la Cassa Edile, ed in questo ambito ciò che viene in rilievo non è certo un rapporto pubblicistico, bensì un rapporto obbligatorio previdenziale di natura privatistica. In altri termini, il rapporto sostanziale di cui il durc è mera attestazione si consuma interamente in ambito privatistico, senza che su di esso vengano ad incidere direttamente o indirettamente poteri pubblicistici, per cui il sindacato sullo stesso esula dall'ambito della giurisdizione, ancorché esclusiva, di cui è titolare il giudice amministrativo in materia di appalti. Correttamente, pertanto, il primo giudice ha concluso sul punto rilevando che "…essendo precluso al giudice amministrativo disporre l'annullamento del durc, questo Tribunale è privo di giurisdizione quanto all'impugnativa del certificato rilasciato dalla Cassa Edile di Latina". (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.5.2013, n. 2682)
Nella parte motiva della sentenza in esame il Consiglio di Stato ha rilevato come sotto il profilo soggettivo le Casse Edili appartengano alla categoria delle associazioni non riconosciute ex art. 36 c.c. le quali, nell'esercizio delle loro funzioni tipiche, non sono soggette di regola alla giurisd ... Continua a leggere
La motivazione nelle scelte pianificatorie degli strumenti urbanistici generali deve essere più incisiva e singolare in caso di superamento degli standards urbanistici ed edilizi, di lesione dell’affidamento qualificato del privato basato su precedenti determinazioni dell’amministrazione o su provvedimenti giurisdizionali ed altresì in caso di modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo

Secondo costante orientamento del Consiglio di Stato le scelte urbanistiche effettuate dal comune in sede di adozione del piano regolatore generale costituiscono valutazioni discrezionali attinenti al merito amministrativo che, come tali, sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo in sede di giudizio impugnatorio, a meno che non risultino inficiate da errori di fatto o da vizi di grave illogicità, con la precisazione che le osservazioni proposte dai cittadini e/o proprietari nei confronti degli atti di pianificazione urbanistica non costituiscono veri e propri rimedi giuridici, ma semplici apporti collaborativi e, pertanto, non danno luogo a peculiari aspettative, sicché il loro rigetto o il loro accoglimento, di regola, non richiede una motivazione analitica, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi generali sottesi allo strumento pianificatorio. Le evenienze che, invece, giustificano una più incisiva e singolare motivazione nelle scelte pianificatorie degli strumenti urbanistici generali sono state ravvisate (v. sul punto, per tutte, Cons. Stato, Ad. Plen., 22 dicembre 1999, n. 24) nel superamento degli standards urbanistici ed edilizi, nella lesione dell’affidamento qualificato del privato basato su precedenti determinazioni dell’amministrazione o su provvedimenti giurisdizionali (ad es., derivante dall’avvenuta stipula di convenzioni di lottizzazione, da accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, da sentenze passate in giudicato di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione), o nella modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo. Mentre, quindi, ai fini motivazionali delle previsioni degli strumenti urbanistici generali, è sufficiente l’esplicitazione dei criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano, che può essere assolta con l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto del piano rielaborato, nei casi particolari, sopra evidenziati, si configura uno specifico e puntuale obbligo motivazionale a carico dell’amministrazione. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 16.5.2013, n. 2653)
Secondo costante orientamento del Consiglio di Stato le scelte urbanistiche effettuate dal comune in sede di adozione del piano regolatore generale costituiscono valutazioni discrezionali attinenti al merito amministrativo che, come tali, sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice ammin ... Continua a leggere
L'assenza del parere di regolarità contabile e del parere tecnico e' una mera irregolarità che non ridonda in un vizio di legittimità

Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato ha ritenuto infondate le censure imperniate sull’assenza del parere di regolarità contabile e sulla necessità che il parere tecnico venisse espresso dal Responsabile per il personale e non dal Segretario comunale, ma per ragioni diverse da quelle poste abase dell’impugnata sentenza (secondo cui il primo non sarebbe necessario non comportando un impegno di spesa, mentre il secondo sarebbe stato correttamente espresso dal Segretario comunale sulla scorta di una non condivisibile esegesi del comma 3 dell’art. 49, t.u. enti locali.).Invero, secondo un consolidato orientamento (cfr. Cons. St., sez. IV, 26 gennaio 2012, n. 351; sez IV, 22 giugno 2006, n. 3888; n. 1567 del 2001; 23 aprile 1998, n. 670), i pareri in questione rilevano solo sul piano interno, pertanto, la loro assenza si traduce in una mera irregolarità e non ridonda in un vizio di legittimità. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.5.2013, n. 2607)
Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato ha ritenuto infondate le censure imperniate sull’assenza del parere di regolarità contabile e sulla necessità che il parere tecnico venisse espresso dal Responsabile per il personale e non dal Segretario comunale, ma per ragioni diverse da quelle poste a ... Continua a leggere
Strada ad uso pubblico: la circostanza che il Comune non sia intervenuto tempestivamente nell’assumere iniziative per il ripristino della viabilità interrotta o nel provvedere alla demolizione delle opere abusive realizzate sulla strada non può ribaltare la presunzione iuris tantum di uso pubblico della strada discendente dalla sua iscrizione nell’elenco delle strade pubbliche

La circostanza che il Comune non sia intervenuto tempestivamente nell’assumere iniziative per il ripristino della viabilità interrotta o nel provvedere alla demolizione delle opere abusive realizzate in loco, non solo non può ribaltare la presunzione iuris tantum di uso pubblico della strada discendente dalla sua iscrizione nell’elenco delle strade pubbliche (giusta delibera comunale n. 57 del 1969), ma, secondo i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza, non è in grado di assumere alcun significato nella vicenda in esame, i cui elementi significativi sono l’esistenza di una strada vicinale iscritta come tale nell’elenco delle strade comunali, l’uso da parte della collettività uti cives, la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse per il collegamento con la pubblica via del santuario dell’acqua nera e l’interruzione e trasformazione da parte del ricorrente, proprietario di suolo confinante, a mezzo la realizzazione sull’area stradale di opere edilizie abusive (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 giugno 2012, n. 3531; sez. V, 4 febbraio 2004, n. 373; sez. V, 24 ottobre 2002, n. 5692; Cass. civ., sez. II , 10 ottobre 2000, n. 13485; 7 aprile 2000, n. 4345; Sez. I, 3 ottobre 2000, n. 13087, cui si rinvia a mente degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d) c.p.a.). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.5.2013, n. 2611)
La circostanza che il Comune non sia intervenuto tempestivamente nell’assumere iniziative per il ripristino della viabilità interrotta o nel provvedere alla demolizione delle opere abusive realizzate in loco, non solo non può ribaltare la presunzione iuris tantum di uso pubblico della strada discen ... Continua a leggere
Appalti: e' consentita la valutazione dei precedenti professionali delle imprese concorrenti ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f) del d. lgs. n. 163 del 2006 anche in rapporti contrattuali intercorsi con amministrazioni diverse da cui desumere, eventualmente, l’affidabilità dell’impresa che concorre

La questione centrale della presente controversia riguarda l’interpretazione dell’art. 38, comma 1, lett. f) del d. lgs. n. 163 del 2006 e l’erronea applicazione della suddetta disposizione da parte della stazione appaltante che non aveva esclusa la ricorrente dalla gara, malgrado avesse reso falsadichiarazione in ordine a detto requisito. L’art. 38, comma 1, lettera f) nello stabilire che sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni, degli appalti i soggetti che "secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualunque mezzo di prova dalla stazione appaltante" comprende due ipotesi, l’una relativa a prestazioni affidate dalla stessa amministrazione che ha bandito l’appalto e l’altra che riguarda la negligenza professionale anche in rapporti con altre amministrazioni. La vicenda relativa alla grave inadempienza con soggetto diverso dall’amministrazione che ha bandito la gara rientra per l’appunto nella seconda parte della disposizione, che consente la valutazione dei precedenti professionali delle imprese concorrenti anche in rapporti contrattuali intercorsi con amministrazioni diverse da cui desumere, eventualmente, l’affidabilità dell’impresa che concorre; l’accertamento del grave errore professionale può avvenire con qualsiasi mezzo di prova ed è rimesso al giudizio insindacabile dell’amministrazione, salvo il limite della abnormità che non si registra nel caso di specie (cfr. in termini, Cons. Stato, sez. V, 15 marzo 2010, n. 1500; 14 aprile 2008, n. 1716; sez. VI, 10 maggio 2007, n. 2245; determinazione Autorità di vigilanza n. 1 del 2010 cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a.). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.5.2013, n. 2610)
La questione centrale della presente controversia riguarda l’interpretazione dell’art. 38, comma 1, lett. f) del d. lgs. n. 163 del 2006 e l’erronea applicazione della suddetta disposizione da parte della stazione appaltante che non aveva esclusa la ricorrente dalla gara, malgrado avesse reso falsa ... Continua a leggere
La gratuità della concessione edilizia in zona agricola è prevista ove concorrano qualità soggettive del richiedente, che deve essere imprenditore agricolo a titolo principale, e qualità oggettive del fabbricato da erigersi

Sostiene l’appellante che nel vicenda in esame sussisterebbero i requisiti per beneficiare della gratuità della concessione edilizia. L’assunto ad avviso del Consiglio di Stato è infondato. In ordine alla gratuità degli interventi in zona agricola, l’art. 9, comma 1, lett. a) della l. n. 10 del 1977 (oggi art. 17, co. 3, lett. a), t.u.edilizia), rinviando all’art. 12 della l. 9 maggio 1975, n. 153 (successivamente abrogato dall’art. 1 del d. lg. 29 marzo 2004 n. 99 a sua volta modificato dall’art. 1 d. lg. 27 maggio 2005, n. 101), prevede una duplice condizione: a) che la zona di intervento abbia nello strumento urbanistico destinazione agricola; b) che l’intervento sia funzionale allo sfruttamento agricolo del fondo. Non è sufficiente quindi la destinazione agricola dell’area interessata dalla costruzione, essendo, invece, necessaria la concorrenza della destinazione della costruzione allo sfruttamento del fondo che presuppone la qualità soggettiva del richiedente, di imprenditore agricolo a titolo principale. In ordine al requisito soggettivo, poi, la giurisprudenza è univoca nell’interpretazione restrittiva della norma, sì da delimitarne l’ambito esclusivamente all’imprenditore agricolo a titolo principale ai sensi dell’art. 12, l. 9 maggio 1975, n. 153 (cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 settembre 1990, n. 682; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 3 ottobre 2005, n. 1533; Palermo, sez. I, 15 luglio 2004, n. 1554). La gratuità della concessione edilizia è, dunque, prevista ove concorrano qualità soggettive del richiedente, che deve essere imprenditore agricolo a titolo principale, e qualità oggettive del fabbricato da erigersi. Nel caso non sussistevano tali requisiti soggettivi, in disparte ogni considerazione sul tipo di costruzione, consistente nell’ampliamento di una villa residenziale destinata ad abitazione permanente, che per struttura è ben lontana da potersi ritenere destinata a scopi agricoli. Quanto all’asserita applicabilità della esenzione al fabbricato da destinare ad abitazione dell’imprenditore agricolo, in disparte la questione di principio sull’ammissibilità della interpretazione estensiva di una norma derogatoria, nel caso non poteva trovare ingresso l’esenzione non avendo mai la ricorrente provato la qualità di imprenditore agricolo ai sensi della richiamata l. n. 153 del 1975, che deve coesistere con la destinazione dell’intervento alla destinazione agricola. In conclusione, il Sindaco legittimamente ha richiesto il pagamento degli oneri contemplati dall’art. 3 della l. 28 gennaio 1977, n. 10 per il rilascio della concessione edilizia in questione, in mancanza di allegazione da parte dell’istante della documentazione attestante il possesso dei requisiti per beneficiare di siffatta esenzione (in termini, Cons. Stato, sez. V, 2 settembre 1990, n. 682). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.5.2013, n. 2609)
Sostiene l’appellante che nel vicenda in esame sussisterebbero i requisiti per beneficiare della gratuità della concessione edilizia. L’assunto ad avviso del Consiglio di Stato è infondato. In ordine alla gratuità degli interventi in zona agricola, l’art. 9, comma 1, lett. a) della l. n. 10 del 197 ... Continua a leggere
Il provvedimento di aggiudicazione definitiva non costituisce di per sé ostacolo giuridicamente insormontabile al suo annullamento, anche in autotutela, oltre che all’annullamento degli atti amministrativi che ne costituiscono il presupposto

La stipula del contratto preliminare, ed invero nemmeno quella del contratto definitivo, non escludono affatto la legittimazione, della stazione appaltante, all’annullamento del provvedimento di aggiudicazione. C. di S., V, 7 settembre 2011, n. 5032, ha infatti stabilito che "il provvedimento di aggiudicazione definitiva non costituisce di per sé ostacolo giuridicamente insormontabile al suo stesso annullamento, anche in autotutela, oltre che all’annullamento degli atti amministrativi che ne costituiscono il presupposto"; "non può accogliersi la tesi propugnata dalle appellanti secondo cui le sole (peraltro pacifiche) circostanze dell’intervenuta stipulazione del contratto e della sua attuale esecuzione, costituirebbero elementi sufficienti ad escludere nella fattispecie in esame la giurisdizione del giudice amministrativo e a radicare quella del giudice ordinario. Di fronte all’esercizio del potere di annullamento la situazione del privato è di interesse legittimo, a nulla rilevando che tale esercizio, in ultima analisi, produca effetti indiretti su di un contratto stipulato da cui sono derivati diritti." (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.5.2013, n. 2602)
La stipula del contratto preliminare, ed invero nemmeno quella del contratto definitivo, non escludono affatto la legittimazione, della stazione appaltante, all’annullamento del provvedimento di aggiudicazione. C. di S., V, 7 settembre 2011, n. 5032, ha infatti stabilito che "il provvedimento di a ... Continua a leggere
Approvazione del piano particolareggiato e parere sull’autorizzazione paesaggistica: il diverso oggetto della valutazione

La comparazione valorizzata dal giudice territoriale, tra approvazione del piano urbanistico e autorizzazione paesaggistica, sconta la riconducibilità della funzione esercitata e dei relativi poteri a una medesima sequenza, identica per oggetto, scopo e ampiezza di valutazione: è invece evidente che, tra (approvazione del) piano particolareggiato e (parere sull’)autorizzazione paesaggistica diversa è la funzione esercitata e diverso è l’oggetto della valutazione nella quale la funzione si concreta. Quanto ai primi punti, si deve osservare che la funzione programmatoria propria del piano urbanistico, anche di dettaglio, è prettamente rivolta all’ordinato sviluppo del tessuto esistente, con la costituzione di parametri validi per il futuro sviluppo del territorio. La funzione propria della tutela dei valori paesaggistici è, invece, rivolta per definizione a preservare l’esistente, una volta che dell’esistente sia riconosciuta la portata espressiva di quei valori. Essa ha perciò, in linea con il significato dell’espressione "tutela" di cui all’art. 9 Cost., funzione eminentemente conservativa e di salvaguardia del dato pregiuridico stimato meritevole di essere preservato, e che non è un oggetto da programmare e realizzare nel futuro. Quanto all’oggetto della valutazione, nel primo caso – cioè, nel contesto del piano attuativo - è la compatibilità dell’espansione programmata con i tutelati valori paesaggistici espressi dal territorio preso in considerazione, e dunque riguarda solo ciò che del piano attuativo è l’oggetto essenziale (es. opere di urbanizzazione); nel secondo caso – cioè, riguardo ai singoli manufatti - è, invece, la coerenza del concreto intervento edilizio o urbanistico con il pregio riconosciuto all’area destinata ad accoglierlo e con le eccellenze che vi insistono, e la valutazione è volta ad evitare, a norma dell’art. 146 (o, transitoriamente, 159) d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, che sopravvengano alterazioni inaccettabili del valore paesaggistico protetto. Diversamente – come già questa Sezione ha rilevato (Cons. Stato, VI, 6 giugno 2011, da n. 3342 a n. 3346) - si cancellerebbe, contro la legge (la quale vuole sia valutato e legittimato ogni singolo intervento) la necessità dell’autonoma autorizzazione per ogni singola edificazione. Per ogni intervento, infatti, devono essere considerate le caratteristiche costruttive, il concreto inserimento nel tessuto esistente, le dimensioni e l’ubicazione, al fine di valutarne la compatibilità con il vincolo (cfr. altresì Cons. Stato, VI, 23 novembre 2011, n. 6156; 18 gennaio 2012, n. 173). Deriva da quanto sopra che nessuna interferenza del tipo riconosciuto dal primo giudice può esistere tra l’approvazione del piano particolareggiato, intervenuta da ultimo nel 2006, e l’impugnato diniego dell’autorizzazione paesaggistica, posto che tali valutazioni hanno procedimenti, oggetti e finalità diversi e procedono da diverse prospettive. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 16.5.2013, n. 2666)
La comparazione valorizzata dal giudice territoriale, tra approvazione del piano urbanistico e autorizzazione paesaggistica, sconta la riconducibilità della funzione esercitata e dei relativi poteri a una medesima sequenza, identica per oggetto, scopo e ampiezza di valutazione: è invece evidente ch ... Continua a leggere
Agenzia del Demanio e Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati: la notifica della sentenza di cui si chiede l’esecuzione va previamente effettuata anche all’amministrazione nelle more divenuta competente in virtù del D.L. n. 4/2010

Vengono in trattazione dinanzi al Consiglio di Stato gli appelli proposti dall'Agenzia del Demanio avverso le decisione del TAR che in sede di ottemperanza di sentenze del Giudice del Lavoro hanno disposto:- di provvedere alla reintegrazione in servizio del ricorrente illegittimamente licenziato, -di corrispondere le retribuzioni maturate <
Vengono in trattazione dinanzi al Consiglio di Stato gli appelli proposti dall'Agenzia del Demanio avverso le decisione del TAR che in sede di ottemperanza di sentenze del Giudice del Lavoro hanno disposto:- di provvedere alla reintegrazione in servizio del ricorrente illegittimamente licenziato, - ... Continua a leggere
Mentre in tema di bonifica e ripristino ambientale di siti oggetto di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti e di inquinamento e' richiesto l’accertamento della corresponsabilità anche omissiva del proprietario del suolo, nel caso di misure urgenti e' possibile prescindere dalla verifica delle responsabilità proprio per ragioni di estrema celerità correlate all’esigenza di rimuovere la situazione di grave pericolo

Nel giudizio in esame il giudice di primo grado ha rilevato che in via del tutto erronea l’Amministrazione comunale ha nella specie imposto ad un Condominio di far eseguire tutte le necessarie opere provvisorie per eliminare una situazione di pericolo, di fatto ignorando che la formazione delle voragini lungo nella notte tra il 22 ed il 23 settembre 2009 doveva piuttosto essere ricondotta alle perdite idriche dalla condotta ARIN, come protrattesi fino a provocare l’apertura delle voragini e la rottura dei condotti della fognatura e dell’acquedotto. Il Condominio ha, dunque – sempre secondo il T.A.R. - inequivocabilmente subito dei danni che sono riconducibili alla responsabilità dell’Amministrazione comunale e - comunque di soggetti terzi ad essa collegati - ossia ARIN, alla quale semmai doveva essere intimata, per quanto di propria spettanza, l’esecuzione dei lavori necessari e, nondimeno, l’Amministrazione comunale ha fatto obbligo al Condominio di eseguire opere su aree comunque sottratte alla sua responsabilità e omettendo – per di più – di far carico all’effettivo responsabile della effettuazione delle opere indispensabili a restituire permanente stabilità al fabbricato. L’Amministrazione comunale dinanzi al Consiglio di Stato ha invocato a conforto della propria tesi il precedente costituito dalla sentenza n. 820 dd. 15 febbraio 2010 n. 820, resa dalla Sezione V di questo giudice d’appello e con la quale è stato deciso in senso ad essa favorevole un ricorso proposto dal proprietario di un fabbricato minacciato da evento franoso conseguente a distacco di materiale da un costone sovrastante al fabbricato medesimo e al quale l’Amministrazione comunale aveva ingiunto di "far eseguire ad horas gli opportuni accertamenti tecnici e tutte le opere di assicurazione strettamente necessarie per scongiurare lo stato di pericolo … per la pubblica e privata incolumità", con obbligo di produrre entro dieci giorni un certificato unico di iscritto ad albo professionale dal quale risultasse l’eliminazione del detto pericolo. La sentenza emanata dal giudice d’appello ha peraltro accolto in tale diverso contesto le ragioni del Comune di Napoli in dipendenza della necessaria celerità della messa in sicurezza dell’edificio, a prescindere dall’accertamento delle responsabilità per la situazione venutasi a creare, "essendo indubbio infatti, che per l’esecuzione di siffatto accertamento occorrerebbero in linea di massima, e segnatamente in quello in trattazione, tempi prolungati incompatibili con l’urgenza di garantire la sicurezza del sito. In questo senso, peraltro, è l’orientamento giurisprudenziale in materia, il quale, mentre nei casi di cui agli artt. 14 e 17 del D.L.vo 22 gennaio 1997 in tema di bonifica e ripristino ambientale (ulteriori rispetto alla mera messa in sicurezza) di siti oggetto di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti e di inquinamento richiede l’accertamento quanto meno della corresponsabilità anche omissiva del proprietario del suolo e, rispettivamente, della responsabilità per l’inquinamento, nel caso di misure urgenti consente di prescindere dalla verifica delle responsabilità proprio per le suesposte ragioni di estrema celerità correlate all’esigenza di rimuovere la situazione di grave pericolo(cfr., sulla diversità della disciplina nelle due ipotesi, Cons. St., Sez. VI, 5 settembre 2005 n. 4525)". Ad avviso di questo Collegio il presente caso, per quanto detto sopra, risulta peraltro diverso proprio in quanto la situazione di pericolo immediato risulta superata e – per di più – l’esito di una consulenza tecnica d’ufficio incontrovertibilmente riconosce la responsabilità di quanto avvenuto all’incuria sia dello stesso Comune, sia di ARIN, sicché risulta ingiusto, nella presente fattispecie, obbligare tout-court il soggetto danneggiato ad eseguire i lavori a proprie spese senza prefigurare alcuna responsabilità da parte dell’Amministrazione Comunale e dell’ARIN e – per di più – anche in ambiti sottratti alla disponibilità del soggetto medesimo, quali inoppugnabilmente sono il sottosuolo e le sue cavità. In dipendenza di ciò, pertanto, l’Amministrazione comunale è tenuta a riesercitare la propria azione amministrativa mediante l’adozione di un ulteriore suo provvedimento, valutando ivi, in conformità dell’esito della consulenza tecnica d’ufficio acquisita nel corso del primo grado di giudizio e anche in dipendenza della situazione in concreto ad oggi esistente, le opere che devono essere effettivamente realizzate ai fini della definitiva messa in sicurezza dell’edificio, specificando che per l’esecuzione delle stesse sarà dato a sua cura accesso al sottosuolo e alle sue cavità e – altresì - considerando, in dipendenza della dinamica degli eventi così come emergente dalla consulenza tecnica d’ufficio e d’intesa con ARIN (ovvero con il nuovo soggetto societario partecipato dallo stesso Comune e medio tempore subentrato alla medesima ARIN), l’assunzione di una responsabilità ai fini del rimborso dei lavori medesimi entro una previsione di spesa concordata tra tutte le parti. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.5.2013, n. 2594)
Nel giudizio in esame il giudice di primo grado ha rilevato che in via del tutto erronea l’Amministrazione comunale ha nella specie imposto ad un Condominio di far eseguire tutte le necessarie opere provvisorie per eliminare una situazione di pericolo, di fatto ignorando che la formazione delle vor ... Continua a leggere
D.I.A: l’efficacia del titolo formatosi in base all’atto del privato si determina indipendentemente dal mancato esercizio del potere di interdizione da parte della pubblica amministrazione, trattandosi di fattispecie che operano su piani giuridici diversi

Con la sentenza dell’Adunanza plenaria 29 luglio 2011 n. 15 il Consiglio ha posto fine al dibattito sulla natura dei titoli abilitativi non provvedimentali in edilizia laddove, a seguito di un’attenta ricostruzione delle diverse posizioni sostenute, raffrontate al quadro normativo in evoluzione, siè affermato che "la denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge". Tale lettura, in senso non provvedimentale, è stata peraltro immediatamente fatta propria dal legislatore, il quale, introducendo il comma 6 ter dell’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 "Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi" tramite l'articolo 6, comma 1, lettera c), del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, ha espressamente qualificato affermato che tali atti come "non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili". In questo senso, appare consequenziale e condivisibile la ricostruzione della natura del silenzio tenuto dall’amministrazione (sempre come ritenuto dalla citata Consiglio di Stato ad. plen. 29 luglio 2011 n. 15), per cui "il passaggio del tempo non produce un titolo costitutivo avente valore di assenso ma impedisce l'inibizione di un'attività già intrapresa in un momento anteriore". In tal modo, appare chiaro che l’efficacia del titolo formatosi in base all’atto del privato (rectius, la modalità abilitativa alla realizzazione dell’intervento edilizio) si determina indipendentemente dal mancato esercizio del potere di interdizione da parte della pubblica amministrazione, trattandosi di fattispecie che operano su piani giuridici diversi. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.5.2013, n. 2593)
Con la sentenza dell’Adunanza plenaria 29 luglio 2011 n. 15 il Consiglio ha posto fine al dibattito sulla natura dei titoli abilitativi non provvedimentali in edilizia laddove, a seguito di un’attenta ricostruzione delle diverse posizioni sostenute, raffrontate al quadro normativo in evoluzione, si ... Continua a leggere
Appalti pubblici: la piena conoscenza delle motivazioni dell’atto di esclusione dalla gara implica la decorrenza del termine decadenziale a prescindere dall’invio di una formale comunicazione ex art. 79, comma 5, del codice dei contratti pubblici

Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato ha confermato la statuizione del giudice di prime cure laddove dichiarava l’irricevibilità del ricorso presentato dalla societa esclusa dalla gara in ragione del decorso del termine decadenziale di trenta giorni, da computare considerando quale dies a quola data della seduta in cui l’esclusione è stata comunicata ai rappresentanti della società. In particolare il Consiglio di Stato ha rilevato che la piena conoscenza delle motivazioni dell’atto di esclusione implica la decorrenza del termine decadenziale a prescindere dall’invio di una formale comunicazione ex art. 79, comma 5, del codice dei contratti pubblici. Merita, infatti, condivisione l’indirizzo ermeneutico alla stregua del quale l’art. 120 comma 5 c.p.a., non prevedendo forme di comunicazione "esclusive" e "tassative", non incide sulle regole processuali generali del processo amministrativo, con precipuo riferimento alla possibilità che la piena conoscenza dell'atto, al fine del decorso del termine di impugnazione, sia acquisita, come accaduto nel caso di specie, con forme diverse di quelle dell'art. 79 cit. (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2013, n. 1204; sez. III, 22 agosto 2012, n. 4593; sez. VI, 13 dicembre 2011, n. 6531). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.5.2013, n. 2614)
Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato ha confermato la statuizione del giudice di prime cure laddove dichiarava l’irricevibilità del ricorso presentato dalla societa esclusa dalla gara in ragione del decorso del termine decadenziale di trenta giorni, da computare considerando quale dies a quo ... Continua a leggere
Al geometra è inibita la progettazione di opere in cemento armato a destinazione abitativa strutturate su più piani

In base al regolamento professionale di cui r.d. n. 274/1929, e precisamente l’art. 16, lett. m), il geometra può essere incaricato di progettare "modeste costruzioni civili", laddove, ai sensi dell’art. 1 del r.d. n. 2229/1939 ("Norme per la esecuzione di opere in conglomerato cementizio sempliceod armato"), la progettazione delle opere comportanti l’impiego di tale tecnica costruttiva, "la cui stabilità possa comunque interessate l’incolumità delle persone", è riservata agli ingegneri o agli architetti. In aderenza al dato normativo in questione, che si impernia dunque sul pericolo per l’incolumità pubblica, ancora di recente questo Consiglio di Stato ha ricordato che è inibita al geometra la progettazione di opere in cemento armato a destinazione abitativa strutturate su più piani (Sez. IV, sentenza 14 marzo 2013 n. 1526). Su posizioni non dissimili si pone l’incontrastata giurisprudenza della Cassazione. Secondo il giudice di legittimità, la competenza professionale dei geometri in materia di progettazione e direzione dei lavori di opere edili è circoscritta alle costruzioni in cemento armato con destinazione agricola, in quanto non richiedenti particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non comportino pericolo per la incolumità delle persone, mentre per le costruzioni civili con struttura portante in cemento armato, ancorché di modeste dimensioni, ogni competenza è riservata ad ingegneri ed architetti (da ultimo: Sez. II, 2 settembre 2011, n. 18038; in precedenza: 30 marzo 1999, n. 3046; 21 dicembre 2006, n. 27441; 7 settembre 2009, n. 19292). Nelle sentenze ora citate la stessa Cassazione ha anche precisato, per rispondere alle difese svolte sul punto dagli appellati, che la legge n. 1086/1971 ("Norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato"), non ha innovato la ripartizione di competenze tra geometri da una parte ed architetti ed ingegneri dall’altra quale definita dai citati testi legislativi del 1929, ma la ha semplicemente recepita. Il TAR nella fattispecie in esame non si è attenuto a questo indirizzo, enucleando un criterio di carattere quantitativo, vale a dire la cubatura dell’edificio, sfornito di base normativa, risultando invece, sulla scorta di tali rilievi, evidente che l’edificio realizzato non potesse, per caratteristiche costruttive e destinazione, essere progettato da un geometra. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.5.2013, n. 2617)
In base al regolamento professionale di cui r.d. n. 274/1929, e precisamente l’art. 16, lett. m), il geometra può essere incaricato di progettare "modeste costruzioni civili", laddove, ai sensi dell’art. 1 del r.d. n. 2229/1939 ("Norme per la esecuzione di opere in conglomerato cementizio semplice ... Continua a leggere
Il termine per impugnare gli atti abilitativi dell'edificazione, per i soggetti diversi da quelli cui l'atto è rilasciato, decorre solo dalla piena conoscenza dell'esistenza e dell'entità delle violazioni urbanistiche o dal contenuto specifico della concessione o del progetto edilizio

La decorrenza del termine per ricorrere in sede giurisdizionale avverso atti abilitativi dell'edificazione, per i soggetti diversi da quelli cui l'atto è rilasciato, deve essere collegata alla data in cui sia percepibile dal controinteressato la concreta entità del manufatto e la sua incidenza effettiva sulla propria posizione giuridica. In caso d’impugnazione del titolo edilizio ordinario -- salvo che non venga fornita la prova certa di una conoscenza anticipata del provvedimento abilitativo -- il termine di decadenza decorre dunque dal completamento dei lavori, cioè dal momento in cui sia materialmente apprezzabile la reale portata dell'intervento in precedenza assentito (cfr. Cons. St., Ad. Plen., 29 luglio 2011 n. 15; Cons. St., sez. IV, 29 maggio 2009 n. 3358). Per giunta, sempre nel caso di costruzione da parte del vicino, la conoscenza di una situazione potenzialmente lesiva non obbliga affatto il titolare dell'interesse legittimo oppositivo ad attivarsi immediatamente in sede giurisdizionale, dato che, ad esempio, potrebbe trattarsi di un’edificazione abusiva; pertanto il termine decadenziale per l'impugnazione decorre solo dalla piena conoscenza dell'esistenza e dell'entità delle violazioni urbanistiche o dal contenuto specifico della concessione o del progetto edilizio (cfr, fra le molte, Consiglio Stato, sez. VI, 10 dicembre 2010, n. 8705; Consiglio Stato, sez. V, 24 agosto 2007, n. 4485). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 8.5.2013, n. 2489)
La decorrenza del termine per ricorrere in sede giurisdizionale avverso atti abilitativi dell'edificazione, per i soggetti diversi da quelli cui l'atto è rilasciato, deve essere collegata alla data in cui sia percepibile dal controinteressato la concreta entità del manufatto e la sua incidenza effe ... Continua a leggere
I proprietari di immobili in zone confinanti o limitrofe con quelle interessate da una costruzione sono sempre legittimati ad impugnare i titoli edilizi che possono pregiudicare la loro posizione

I proprietari di immobili in zone confinanti o limitrofe con quelle interessate da una costruzione sono sempre legittimati ad impugnare i titoli edilizi che possono pregiudicare la loro posizione per l’incisione delle condizioni dell'area e, più in generale, per le modifiche all'assetto edilizio, urbanistico ed ambientale della zona ove sono ricompresi gli immobili di cui hanno la disponibilità, senza che sia necessaria la prova di un danno specifico, essendo insito nella violazione edilizia il danno a tutti i membri di quella collettività (cfr. Consiglio Stato sez. IV n. 284 del 23/01/2012; Consiglio Stato sez. IV 13 gennaio 2010 n. 72). Infatti, se l'art. 31 comma 9 L. 17 agosto 1942 n. 1150 (come modificato dall'art. 10 L. 6 agosto 1967 n. 765) non ha introdotto un'azione popolare, nondimeno ha riconosciuto una posizione qualificata e differenziata in favore dei proprietari di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una situazione di "stabile collegamento" con la zona stessa. Il possesso del titolo di legittimazione alla proposizione del ricorso per l'annullamento di una concessione edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato esime da qualsiasi indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione, atteso che l'esistenza della suddetta posizione legittimante abilita il soggetto ad agire per il rispetto delle norme urbanistiche, che assuma violate, a prescindere da qualsiasi esame sul tipo di lesione, che i lavori in concreto gli potrebbero arrecare (cfr. Consiglio Stato, Sez. VI 15 giugno 2010 n. 3744). (Consiglio di Stato. Sez. IV, sentenza 8.5.2013, n. 2488)
I proprietari di immobili in zone confinanti o limitrofe con quelle interessate da una costruzione sono sempre legittimati ad impugnare i titoli edilizi che possono pregiudicare la loro posizione per l’incisione delle condizioni dell'area e, più in generale, per le modifiche all'assetto edilizio, u ... Continua a leggere
Il sequestro penale sul manufatto abusivo non può costituire, per il responsabile, un’esimente per l’inosservanza dell’ordine di demolizione

In materia di esecuzione di sanzioni amministrative per abusi edilizi, la sussistenza di un sequestro penale sul manufatto abusivo non può affatto costituire, per il responsabile, un’esimente per l’inosservanza dell’ordine di demolizione del manufatto medesimo, ben potendo - ed anzi dovendo - l’interessato farsi parte attiva per chiedere alla competente A.G. la revoca del sequestro al fine di dare esecuzione all’ordine suddetto (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 20 gennaio 2010, n. 299). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 8.5.2013, n. 2484)
In materia di esecuzione di sanzioni amministrative per abusi edilizi, la sussistenza di un sequestro penale sul manufatto abusivo non può affatto costituire, per il responsabile, un’esimente per l’inosservanza dell’ordine di demolizione del manufatto medesimo, ben potendo - ed anzi dovendo - l’int ... Continua a leggere
La distanza di 10 metri tra pareti finestrate stabilita dal D.M. 1444/1968 prevale sulla disciplina regionale eventualmente difforme e va applicata anche in ipotesi di soprelevazione

L'art. 9 del D.M. 1444 del 1968, laddove impone l’anzidetta distanza di 10 metri tra parete finestrata e corpo edificato, è norma di ordine generale, prevalente anche sulla disciplina regionale eventualmente difforme, e va pertanto applicata anche a corpi distinti di un’unica costruzione, ivi dunque compresa l’ipotesi di sopraelevazione (cfr. sul punto, ad es., Cass. Civ., Sez. II, 27 marzo 2001 n. 4413). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 8.5.2013, n. 2483)
L'art. 9 del D.M. 1444 del 1968, laddove impone l’anzidetta distanza di 10 metri tra parete finestrata e corpo edificato, è norma di ordine generale, prevalente anche sulla disciplina regionale eventualmente difforme, e va pertanto applicata anche a corpi distinti di un’unica costruzione, ivi dunqu ... Continua a leggere
L’informativa antimafia non deve provare l’intervenuta infiltrazione o condizionamento, ma solo dimostrare sufficientemente la sussistenza di elementi dai quali è deducibile il tentativo o il rischio di ingerenza

L’informativa antimafia non deve provare l’intervenuta infiltrazione o condizionamento essendo questi, un quid pluris non richiesto, ma deve solo dimostrare sufficientemente la sussistenza di elementi dai quali è deducibile il tentativo o il rischio di ingerenza ancor prima del suo concreto realizzarsi (Cons. Stato, VI 8.6.2009 n.349), elementi connessi dunque a situazioni anche solo potenzialmente pericolose per la vicinanza tra l’impresa sottoposta alla valutazione del Prefetto e soggetti ritenuti appartenenti alla criminalità organizzata, nella prospettiva di massima anticipazione della tutela antimafia propria della normativa di riferimento. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 7.5.2013, n. 2478)
L’informativa antimafia non deve provare l’intervenuta infiltrazione o condizionamento essendo questi, un quid pluris non richiesto, ma deve solo dimostrare sufficientemente la sussistenza di elementi dai quali è deducibile il tentativo o il rischio di ingerenza ancor prima del suo concreto realizz ... Continua a leggere
Ordinanza di demolizione di opere abusive: decorso il termine di novanta giorni successivi alla notifica dell'ordinanza di demolizione, l’amministrazione ha il dovere di emanare gli atti conseguenti e di porre in essere – a spese dell’inadempiente – l’attività materiale di adeguamento dello stato di fatto a quello di diritto

Nella vicenda in esame il Consiglio di Stato ha evidenziato come nella specie è rilevabile un’inerzia in senso tecnico dell’amministrazione comunale, dato che la stessa avrebbe dovuto ultimare il procedimento sanzionatorio avviato, adottando, a seguito dell’emanazione dell’ingiunzione di demolizione, i provvedimenti e gli atti materiali ulteriori, diretti a darvi piena attuazione. Infatti, al dovere di concludere il procedimento, previsto dall’art.2, comma 1, l. n.241/1990, si accompagna l’art. 21-quater della legge medesima, il quale dispone che "i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente", sicché l’applicazione congiunta delle due disposizioni configura, in esplicazione del principio di esecutorietà dei provvedimenti amministrativi – ossia, della loro idoneità ad essere eseguiti, direttamente e coattivamente, dall’amministrazione senza necessità di precostituire un titolo esecutivo giudiziale – un potere-dovere dell’amministrazione di portare ad effettiva attuazione i propri provvedimenti emessi al termine del procedimento. Ovviamente, il sopra richiamato art. 21 quater va interpretato in connessione con le disposizioni del testo unico n. 380 del 2001 sull’obbligo di eseguire l’ordinanza di demolizione entro il termine di novanta giorni successivi alla sua notifica, decorso il quale l’amministrazione ha lo specifico dovere di emanare gli atti conseguenti e di porre in essere – a spese dell’inadempiente – l’attività materiale di adeguamento dello stato di fatto a quello di diritto. Ne deriva che a fronte di un’istanza tesa all’esercizio dei suoi poteri repressivi in materia edilizia, l’inerzia del Comune consente all’interessato di ricorrere avverso il suo silenzio. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.5.2013, n. 2565)
Nella vicenda in esame il Consiglio di Stato ha evidenziato come nella specie è rilevabile un’inerzia in senso tecnico dell’amministrazione comunale, dato che la stessa avrebbe dovuto ultimare il procedimento sanzionatorio avviato, adottando, a seguito dell’emanazione dell’ingiunzione di demolizion ... Continua a leggere
L’aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi socio sanitari, quali per esempio assistenza ed il trasporto degli infermi, è in linea principio esclusa dall’applicazione della disciplina del codice dei contratti

La nozione di servizio socio sanitario deve infatti ritenersi comprensiva di qualsiasi attività diretta a promuovere la salute psico-fisica e il benessere dei cittadini e quindi anche la assistenza ed il trasporto degli infermi; pertanto, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, non si esaurisce nel solo servizio di assistenza medica di emergenza (118), ma comprende nel suo ambito altre attività dirette a garantire in vario modo l’effettività dei principi, di rango costituzionale, solidaristici e di tutela della salute dei cittadini. Anche la Corte di Giustizia CE ha sottolineato che i servizi pubblici di soccorso comprendono solitamente, non solo servizi di trasporto medico d’urgenza, ma anche servizi di trasporto qualificato consistenti nel trasferimento mediante veicolo sanitario, con adeguata assistenza specialistica, di persone malate, infortunate o comunque bisognose di assistenza ma la cui situazione non riveste carattere di emergenza (Corte Giustizia CE, Sez. III, 29.4.2010 n.160). E’ poi da aggiungere che la natura eminentemente socio sanitaria del servizio di trasporto di pazienti dializzati, contrariamente a quanto sostenuto nell’atto di appello, non può mutare a seconda della consistenza numerica dei pazienti che beneficiano del servizio stesso, ma è collegata all’oggetto sostanziale del servizio da svolgere. Correttamente quindi il Tar ha ritenuto che il carattere socio sanitario della prestazione prevalesse sul mero trasporto dovendosi dare applicazione, nel caso, al c.d. principio qualitativo di matrice comunitaria previsto dall’art. 14 co.2 del d.lgs. 163/2006, basato sulla individuazione dell’oggetto principale del contratto. Posta quindi la prevalenza della componente socio sanitaria su quella di mero trasporto, all’appalto andava applicata la disciplina di cui all’art. 20 co. 1 del Codice contratti, il quale dispone che l’aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell’allegato II B, è in linea principio esclusa dall’applicazione della disciplina del codice dei contratti, fatta eccezione per talune norme specificamente individuate e non conferenti al caso in esame. Può essere utile aggiungere ancora che la Corte di Giustizia CE (sentenza 17.6.1997 C-70/95) ha riconosciuto la compatibilità con il Trattato, di una legge regionale italiana che consente la istituzione in particolari settori, tra cui quello socio assistenziale, di un regime di riserva a favore di organismi no-profit da gestire attraverso lo strumento delle convenzioni che danno diritto al solo rimborso dei costi. Pertanto la scelta del legislatore di ricorrere alle associazioni di volontariato connotate dalla assenza di finalità di lucro è stata ritenuta, dalla giustizia comunitaria, coerente con le finalità esclusivamente sociali del servizio pubblico erogato nel particolare settore. Conclusivamente l’amministrazione, in considerazione della non obbligatorietà della indizione di una procedura concorsuale ad evidenza pubblica, ha adottato una procedura specificatamente regolata da norme di legge regionali (art. 12 della l.r. del Piemonte 29.10.1992 n.42) che le ha consentito di ricorrere, per l’affidamento del servizio di che trattasi, allo strumento del convenzionamento. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 7.5.2013, n. 2477)
La nozione di servizio socio sanitario deve infatti ritenersi comprensiva di qualsiasi attività diretta a promuovere la salute psico-fisica e il benessere dei cittadini e quindi anche la assistenza ed il trasporto degli infermi; pertanto, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, non si es ... Continua a leggere
Il contributo di costruzione è posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione. Le deroghe all'onerosita'.

L’art. 9, lettera f), della l. 28 gennaio 1977, n. 10 stabilisce che "Il contributo di cui al precedente articolo 3 non è dovuto (…) f) per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici". Premesso che il contributo di costruzione è posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae (cfr., Cons Stato Sez. V, 21 aprile 2006 n.2258), la deroga alla onerosità della concessione ricorre nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge e, per quanto attiene in particolare la lettera f) dell’art. 9, l. citata, se ricorrano due requisiti che devono entrambi concorrere per fondare lo speciale regime di gratuità della concessione, l'uno di tipo soggettivo, per effetto del quale le opere devono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente e l'altro di carattere oggettivo per effetto del quale la costruzione deve riguardare opere pubbliche o di interesse generale (cfr, Sez. V, 20 ottobre 2004 n.6818; Sez. VI, 5 giugno 2007 n.2981; Cons. Stato Sez. IV, 2 marzo 2011, n. 1332). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 7.5.2013, n. 2467)
L’art. 9, lettera f), della l. 28 gennaio 1977, n. 10 stabilisce che "Il contributo di cui al precedente articolo 3 non è dovuto (…) f) per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazi ... Continua a leggere
E' legittimo il provvedimento d'esclusione dalla gara in caso di omessa dichiarazione di condanne riportate non dovendosi configurare in capo alla stazione appaltante l'ulteriore obbligo di vagliare la gravità del precedente penale di cui è stata omessa la dichiarazione

Nelle procedure ad evidenza pubblica l’incompletezza della dichiarazione di cui all’art. 38 del D.Lgs. 163/2006 (così come la sua integrale omissione) rappresenta una autonoma violazione di legge sanzionabile , come tale , con l’esclusione dalla gara. Al riguardo, infatti, è stato precisato che "la completezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da perseguire, consentendo – secondo i principi di buon andamento dell'amministrazione e di proporzionalità - la celere decisione sull'ammissione dei soggetti giuridici alla gara", con la conseguenza che "una dichiarazione inaffidabile (anche perché solo incompleta) è da considerare già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma a prescindere dal fatto che l'impresa meriti sostanzialmente di partecipare alla gara" (Cons. Stato, Sez. V, 8 novembre 2012, n. 5693). La dichiarazione ex art. 38 del D. Lgs. n. 163/2006, quindi, deve essere puntuale ed esaustiva poiché l'Amministrazione, sulla base della stessa, ha l’onere di decidere in merito alla legittima ammissione alla gara e, conseguentemente, la difformità della stessa dal vero o la sua incompletezza non possono essere "sanate" ex post ricorrendo alla categoria del falso innocuo. Peraltro, la mancata dichiarazione di condanne penali impedisce il doveroso controllo dell'amministrazione sulla rilevanza e sulla gravità del reato e, pertanto, nel caso in cui il concorrente abbia sottaciuto, secondo la propria discrezionalità, l’esistenza di addebiti penali, è legittima l’esclusione dello stesso (Cons. Stato, Sez. V, 28 settembre 2011, n. 5406). Le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne riportate dai concorrenti ed alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano, infatti, alla stazione appaltante e non ai concorrenti, i quali sono per converso tenuti a indicare tutte le condanne riportate, non potendo operare a monte alcun filtro, omettendo la dichiarazione di alcune di esse sulla base di una selezione compiuta secondo criteri personali. Così, "nell'ipotesi di omessa dichiarazione di condanne riportate, è legittimo il provvedimento d'esclusione, non dovendosi configurare in capo alla stazione appaltante l'ulteriore obbligo di vagliare la gravità del precedente penale di cui è stata omessa la dichiarazione" (Cons. Stato, Sez. IV, 22 marzo 2012, n. 1646). Del resto, i requisiti generali di ammissione previsti dalla norma sono di ordine pubblico ed attengono alla moralità dei concorrenti, la loro ratio essendo "l'ammissione alla fase procedimentale di concorrenti corretti e seri", con la conseguenza che al favor partecipationis deve preferirsi la certezza dei rapporti giuridici (Cons. Stato, Sez. V, 10 maggio 2012, n. 2701). In conclusione, il concorrente deve fornire alla stazione appaltante tutte le informazioni richieste dall’art. 38 del D.Lgs. 163/2006 senza omettere dati che spetta a quest’ultima valutare, al fine di poter aggiudicare l’appalto ad un concorrente in possesso dei requisiti di moralità individuati dalla predetta disposizione, a presidio di interessi pubblici non sacrificabili. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 7.5.2013, n. 2462)
Nelle procedure ad evidenza pubblica l’incompletezza della dichiarazione di cui all’art. 38 del D.Lgs. 163/2006 (così come la sua integrale omissione) rappresenta una autonoma violazione di legge sanzionabile , come tale , con l’esclusione dalla gara. Al riguardo, infatti, è stato precisato che "l ... Continua a leggere
La mera partecipazione alla gara non è sufficiente per attribuire la legittimazione al ricorso

Come chiarito dall'Adunanza Plenaria con la decisione n. 4/2011, la mera partecipazione alla gara non è sufficiente per attribuire la legittimazione al ricorso. La situazione legittimante costituita dall'intervento nel procedimento selettivo, infatti, deriva da una qualificazione di carattere normativo, che postula il positivo esito del sindacato sulla ritualità della ammissione del soggetto ricorrente alla procedura selettiva. Pertanto, la definitiva esclusione o l'accertamento della illegittimità della partecipazione alla gara impedisce di assegnare al concorrente la titolarità di una situazione sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva. Tale esito rimane fermo in tutti i casi in cui l'illegittimità della partecipazione alla gara è definitivamente accertata, sia per inoppugnabilità dell'atto di esclusione, sia per annullamento dell'atto di ammissione. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 7.5.2013, n. 2460)
Come chiarito dall'Adunanza Plenaria con la decisione n. 4/2011, la mera partecipazione alla gara non è sufficiente per attribuire la legittimazione al ricorso. La situazione legittimante costituita dall'intervento nel procedimento selettivo, infatti, deriva da una qualificazione di carattere norma ... Continua a leggere
La rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale è necessaria quando le varianti progettuali determinino la costruzione di un intervento significativamente diverso da quello già esaminato

E' principio acquisito quello per cui la rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale è necessario quando le varianti progettuali determinino la costruzione di un intervento significativamente diverso da quello già esaminato. Se è prevista un'autorizzazione alla realizzazione di un intervento in più fasi, è necessaria una seconda VIA se nel corso della seconda fase (e quindi per esempio in sede di definitivo o di variante) il progetto può avere mostrato un nuovo impatto ambientale importante, in particolare per la sua natura, le sue dimensioni o la sua ubicazione (in termini, Cons. Stato, VI, n.2694 del 2006, principio conforme a Corte giust. Comm. eu. 4 maggio 2006, C-290/2003; Consiglio di Stato sez. IV, 7 luglio 2011, n. 4072). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2446)
E' principio acquisito quello per cui la rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale è necessario quando le varianti progettuali determinino la costruzione di un intervento significativamente diverso da quello già esaminato. Se è prevista un'autorizzazione alla realizzazione di un interve ... Continua a leggere
La valutazione ambientale strategica (V.A.S.) riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale e non già ai singoli progetti, per i quali il legislatore ha predisposto il diverso strumento del procedimento di valutazione impatto ambientale (V.I.A)

Costituisce jus receptum, in giurisprudenza, il principio per cui la V.A.S. (valutazione ambientale strategica) introdotta dal D.Lgs. n. 152 del 2006 è una valutazione di compatibilità ambientale relativa ai piani e ai programmi e non già ai singoli progetti, per i quali il legislatore ha predisposto il diverso strumento del procedimento di valutazione impatto ambientale -cd. V.I.A.-. (Cons. Stato Sez. IV, 04-12-2009, n. 7651). Stabilisce in proposito l’art. 6 del Lgs. n. 152/2006 (del quale appare conducente riportare per esteso il testo dei primi due commi) che "la valutazione ambientale strategica riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale. Fatto salvo quanto disposto al comma 3, viene effettuata una valutazione per tutti i piani e i programmi: a) che sono elaborati per la valutazione e gestione della qualita' dell'aria ambiente, per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l'approvazione, l'autorizzazione, l'area di localizzazione o comunque la realizzazione dei progetti elencati negli allegati II, III e IV del presente decreto; b) per i quali, in considerazione dei possibili impatti sulle finalita' di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica, si ritiene necessaria una valutazione d'incidenza ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni.". Come è agevole riscontrare, il comma 3 della predetta disposizione, si ricollega al comma secondo prima citato, specificando/modificandone le prescrizioni, in quanto stabilisce che: "Per i piani e i programmi di cui al comma 2 che determinano l'uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e dei programmi di cui al comma 2, la valutazione ambientale e' necessaria qualora l'autorita' competente valuti che producano impatti significativi sull'ambiente, secondo le disposizioni di cui all'articolo 12 e tenuto conto del diverso livello di sensibilita' ambientale dell'area oggetto di intervento.". Il concetto di "piccola area di livello locale" si lega al comma secondo quindi; e poiché ivi non è direttamente definito il concetto opposto di "non piccola area di livello locale" non facendosi riferimento ad alcun dato dimensionale, ad avviso del Collegio il referente corrispondente va individuato con riguardo alla prescrizione, contenuta sempre al comma 2 della citata disposizione, che richiama gli allegati II, III, IV del decreto. Nell’allegato IV, in particolare, al punto 7 ("progetti di infrastrutture") è dato riscontrare il correlativo referente del concetto di "piccole aree a livello locale" mancante nel testo del comma 2 laddove sono stati indicati (quale oggetto di obbligatoria sottoposizione a Vas): "a) progetti di sviluppo di zone industriali o produttive con una superficie interessata superiore ai 40 ettari; b) progetti di sviluppo di aree urbane, nuove o in estensione, interessanti superfici superiori ai 40 ettari; progetti di riassetto o sviluppo di aree urbane all'interno di aree urbane esistenti che interessano superfici superiori a 10 ettari; costruzione di centri commerciali di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 "Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59"; parcheggi di uso pubblico con capacità superiori a 500 posti auto;". L’art. 12 del citato decreto, a propria volta richiamato dal comma 3 prevede che: "nel caso di piani e programmi di cui all'articolo 6, commi 3 e 3-bis, l'autorita' procedente trasmette all'autorita' competente, su supporto informatico ovvero, nei casi di particolare difficolta' di ordine tecnico, anche su supporto cartaceo, un rapporto preliminare comprendente una descrizione del piano o programma e le informazioni e i dati necessari alla verifica degli impatti significativi sull'ambiente dell'attuazione del piano o programma, facendo riferimento ai criteri dell'allegato I del presente decreto. L'autorita' competente, in collaborazione con l'autorita' procedente, individua i soggetti competenti in materia ambientale da consultare e trasmette loro il documento preliminare per acquisirne il parere. Il parere e' inviato entro trenta giorni all'autorita' competente ed all'autorita' procedente. Salvo quanto diversamente concordato dall'autorita' competente con l'autorita' procedente, l'autorita' competente, sulla base degli elementi di cui all'allegato I del presente decreto e tenuto conto delle osservazioni pervenute, verifica se il piano o programma possa avere impatti significativi sull'ambiente. L'autorita' competente, sentita l'autorita' procedente, tenuto conto dei contributi pervenuti, entro novanta giorni dalla trasmissione di cui al comma 1, emette il provvedimento di verifica assoggettando o escludendo il piano o il programma dalla valutazione di cui agli articoli da 13 a 18 e, se del caso, definendo le necessarie prescrizioni. Il risultato della verifica di assoggettabilita', comprese le motivazioni, deve essere reso pubblico. La verifica di assoggettabilita' a VAS ovvero la VAS relative a modifiche a piani e programmi ovvero a strumenti attuativi di piani o programmi gia' sottoposti positivamente alla verifica di assoggettabilita' di cui all'art. 12 o alla VAS di cui agli artt. da 12 a 17, si limita ai soli effetti significativi sull'ambiente che non siano stati precedentemente considerati dagli strumenti normativamente sovraordinati". Dalla piana lettura delle disposizioni summenzionate emerge quindi che l’art. 6 distingue la fattispecie della Vas obbligatoria -comma 2 della norma- rispetto a quella di cui al successivo comma terzo e che laddove si ravvisi la situazione normata al comma 3 si dà luogo a verifica di compatibilità, disciplinata dal successivo art. 12, mentre, laddove si verta nella fattispecie descritta al secondo comma si impone puramente e semplicemente l’obbligo di esperire la Vas. Come si è fatto presente allorchè è stata respinta l’eccezione di irricevibilità del mezzo di primo grado, ove si sostenga che doveva puramente e semplicemente esperirsi la Vas in quanto imposta dal secondo comma della citata disposizione di cui all’art. 6 (non essendovi spazio per una "valutazione in concreto" che è invece normata dal successivo comma 3 della predetta disposizione) non rileva l’esito della verifica di esperibilità della Vas, né la omessa impugnazione della determina negativa. La asserita incontestabilità della determina negativa non può precludere il rilievo del vizio di violazione di legge per non avere effettuato la vas laddove non v’era spazio alcuno per la verifica di esperibilità. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2446)
Costituisce jus receptum, in giurisprudenza, il principio per cui la V.A.S. (valutazione ambientale strategica) introdotta dal D.Lgs. n. 152 del 2006 è una valutazione di compatibilità ambientale relativa ai piani e ai programmi e non già ai singoli progetti, per i quali il legislatore ha predispos ... Continua a leggere
La valutazione ambientale strategica: e' incongruo che soggetti che non abbiano partecipato alla fase di verifica di esclusione, pur legittimati ad insorgere avverso gli atti successivamente adottati prescindendo dalla effettuazione della Vas vedano preclusa la propria legittimazione a denunciare il detto vizio per l'omessa impugnazione della delibera di esclusione

La valutazione ambientale strategica (VAS) di cui alla Direttiva 42/2001/Ce del Parlamento europeo, è volta a garantire che gli effetti sull'ambiente di determinati piani e programmi siano considerati durante l'elaborazione e prima dell'adozione degli stessi, così da anticipare nella fase di pianificazione e programmazione quella valutazione di compatibilità ambientale che, se effettuata (come avviene per la valutazione di impatto ambientale) sulle singole realizzazioni progettuali, non consentirebbe di compiere un'effettiva valutazione comparativa, mancando in concreto la possibilità di disporre di soluzioni alternative per la localizzazione degli insediamenti e, in generale, per stabilire, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile, le modalità di utilizzazione del territorio. Detta valutazione, si rende necessaria in armonia con il principio di "precauzione" direttamente discendente dal Trattato Ue che, per ciò solo, costituisce criterio interpretativo valido in Italia, a prescindere da singoli atti di recepimento delle direttive in cui esso si compendia (per una definizione di quest’ultimo: "il cd. "principio di precauzione" fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, ponendo una tutela anticipata rispetto alla fase dell'applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di prevenzione."- T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, 20-01-2012, n. 665-; "la regola della precauzione può essere considerata come un principio autonomo che discende dalle disposizioni del Trattato UE. L'applicazione del principio di precauzione comporta che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente pericolosa, l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali. "-T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, 20-01-2012, n. 663-). Sarebbe del tutto incongruo, ad avviso del Collegio, che soggetti che non abbiano partecipato alla fase di verifica di esclusione, pur legittimati ad insorgere (in virtù del criterio della vicinitas, ovvero come nel caso oggetto della odierna delibazione giudiziale, anche in virtù della propria particolare posizione di controinteresse discendente dalla titolarità di una attività "rivale" rispetto a quella in corso di autorizzazione) avverso gli atti successivamente adottati prescindendo dalla effettuazione della Vas vedano preclusa la propria legittimazione a denunciare il detto vizio a cagione della omessa impugnazione della delibera di esclusione. A tacer d’altro, infatti, non è assolutamente noto, al momento in cui viene adottata la determinazione di esclusione, se effettivamente il procedimento proseguirà sino all’adozione del piano o programma: è quest’ultimo, infatti, che spiega affetto lesivo nei confronti del soggetto legittimato a dolersi ed insorgere giudizialmente. La preclusione alla denuncia del vizio della omessa effettuazione della Vas "discrezionale" determinata dalla omessa tempestiva impugnazione della detta determina di esclusione, priverebbe di tutela l’interesse sostanziale e generale, pur a fronte di un atto negativo dal quale il soggetto leso è rimasto del tutto estraneo. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2446)
La valutazione ambientale strategica (VAS) di cui alla Direttiva 42/2001/Ce del Parlamento europeo, è volta a garantire che gli effetti sull'ambiente di determinati piani e programmi siano considerati durante l'elaborazione e prima dell'adozione degli stessi, così da anticipare nella fase di pianif ... Continua a leggere
Informativa dell’intento di proporre ricorso giurisdizionale: l’art. 243-bis, ultimo comma, del d.lgs. n. 163/2006, a mente del quale il diniego totale o parziale di autotutela, espresso o tacito, è impugnabile solo unitamente all’atto cui si riferisce, ovvero, se quest'ultimo è già stato impugnato, con motivi aggiunti, è norma meramente processuale

Questa Sezione ha già avuto modo di osservare che il testo dell'art. 243-bis del d.lgs. 163/2006 lascia intendere che il legislatore non abbia voluto dar vita ad un procedimento contenzioso o paracontenzioso a tutela di una posizione giuridica soggettiva, ma solo offrire all’Amministrazione l’opportunità di un riesame in via di autotutela, precisando che non a caso l’atto introduttivo non viene denominato "ricorso" ovvero "reclamo" o "opposizione", ma semplicemente "informativa dell’intento di proporre ricorso giurisdizionale", e il silenzio non viene denominato "rigetto" o "rifiuto" ma semplicemente "diniego di (procedere in) autotutela" (cfr. Cons. Stato, III, 29 dicembre 2012, n. 6712). Anche considerato ciò, il Collegio ritiene preferibile aderire all’orientamento secondo il quale la disposizione di cui all’art. 243-bis, ultimo comma, del d.lgs. n. 163/2006, a mente del quale il diniego totale o parziale di autotutela, espresso o tacito, è impugnabile solo unitamente all’atto cui si riferisce, ovvero, se quest'ultimo è già stato impugnato, con motivi aggiunti, lungi dall’imporre l’impugnazione del diniego di autotutela, è norma meramente processuale, volta ad assicurare che la necessaria impugnazione del provvedimento lesivo e quella soltanto eventuale, secondo i principi generali, del diniego di autotutela, siano trattate nell’ambito di un simultaneus processus (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, II, 10 settembre 2012, n. 914; TAR Liguria, II, 29 marzo 2012, n. 450; T.A.R. Valle d'Aosta, 17 febbraio 2012, n. 16; TAR Lazio, Latina, I, 1 dicembre 2011, n. 991). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 6.5.2013, n. 2449)
Questa Sezione ha già avuto modo di osservare che il testo dell'art. 243-bis del d.lgs. 163/2006 lascia intendere che il legislatore non abbia voluto dar vita ad un procedimento contenzioso o paracontenzioso a tutela di una posizione giuridica soggettiva, ma solo offrire all’Amministrazione l’oppor ... Continua a leggere
Appalti: la giurisprudenza prevalente limita l’applicabilità dell’esclusione stabilita dall’art. 38 D.lgs n. 163/06, nell'ipotesi di omessa dichiarazione, ai soli amministratori e non anche ai procuratori speciali o ad negotia

Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha aderito all’orientamento, che appare prevalente nella giurisprudenza più recente (cfr. Cons. Stato, V, 6 giugno 2012, n. 3340, oltre a nn. 5393/2012, 1186/2012, 6136/2011, 3069/2011, 1782/2011 e 513/2011; III, n. 5117/2011), volto a limitare l’applicabilità dell’esclusione stabilita dall’art. 38 D.lgs n. 163/2006, nell'ipotesi di omessa dichiarazione, ai soli amministratori e non anche ai procuratori speciali o ad negotia, i quali non sono amministratori, e ciò a prescindere dall'esame dei poteri loro assegnati (così, V, n. 513/2011, cit.), dovendosi ancorare l’applicazione della norma su basi di oggettivo rigore formale (così, V, n. 3069/11, cit.), ed occorrendo avere riguardo alla posizione formale del singolo nell'organizzazione societaria piuttosto che a malcerte indagini sulla portata dei poteri di rappresentanza, e ciò anche per non scalfire garanzie di certezza del diritto sotto il profilo della possibilità di partecipare ai pubblici appalti (di nuovo, V, n. 513/2011, cit., in cui si ribadisce anche che una norma che limiti la partecipazione alle gare e la libertà di iniziativa economica delle imprese assume carattere eccezionale ed è, quindi, insuscettibile di applicazione analogica a situazioni diverse, quale è quella dei procuratori). Tanto più nel caso in esame, in cui, come si è detto, un onere di diversa e maggiore portata non poteva desumersi nemmeno dalla formulazione del disciplinare e del modulo ad esso allegato, da utilizzare per la dichiarazione (ricordando che, in applicazione dei principi del favor partecipationis e di tutela dell'affidamento, non può procedersi all'esclusione di un'impresa da una gara pubblica nel caso in cui questa abbia compilato l'offerta in conformità al facsimile all'uopo approntato dalla stazione appaltante, potendo eventuali parziali difformità rispetto al disciplinare costituire oggetto di richiesta di integrazione – cfr., da ultimo, Cons. Stato, III, 14 novembre 2012, n. 5758).La questione va dunque risolta nel senso che anche sotto detto profilo l’offerta non dovesse essere esclusa. Tanto, senza dover invocare l’orientamento c.d. sostanzialistico, secondo il quale, comunque, la dimostrazione dell’assenza di precedenti penali a carico dei soggetti onerati della dichiarazione, in sede di verifica dei requisiti, ne impedisce l’esclusione dalla gara, che non corrisponderebbe ad alcun effettivo interesse pubblico. Quando il partecipante sia in possesso di tutti i requisiti richiesti e la lex specialis non preveda espressamente la pena dell’esclusione in relazione alla mancata osservanza delle puntuali prescrizioni sulle modalità e sull'oggetto delle dichiarazioni da fornire, ricorre un’ipotesi di c.d. "falso innocuo", come tale insuscettibile, in carenza di una espressa previsione legislativa o della legge di gara, a fondare l’esclusione, le cui ipotesi sono tassative (cfr., da ultimo, Cons. Stato, III, 13 marzo 2013, n. 1494; V, nn. 7967/2010 e 829/2009; VI, nn. 1017/2010 e 4906/2009). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 6.5.2013, n. 2449)
Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha aderito all’orientamento, che appare prevalente nella giurisprudenza più recente (cfr. Cons. Stato, V, 6 giugno 2012, n. 3340, oltre a nn. 5393/2012, 1186/2012, 6136/2011, 3069/2011, 1782/2011 e 513/2011; III, n. 5117/2011), volto a limitare l’applic ... Continua a leggere
Aggiudicazione dell’appalto secondo l’offerta economicamente più vantaggiosa: spetta all’amministrazione dare il peso alla pluralità di elementi, quali il prezzo e la qualità, fermo restando che la scelta di tali criteri di valutazione deve avvenire nel rispetto della proporzionalità, ragionevolezza e non discriminazione e sempre con riferimento all’oggetto dell’appalto

La scelta dei criteri più adeguati dell’offerta economicamente più vantaggiosa costituisce espressione tipica della discrezionalità della stazione appaltante e, impingendo nel merito dell’azione amministrativa è sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, tranne che in relazione alla natura ed oggetto dell’appalto non sia manifestamente illogica, arbitraria, irragionevole o macroscopicamente viziata da travisamento dei fatti (Cons. Stato Sez. IV 8 giugno 2007 n.3103; sez. V 16 febbraio 2009 n. 837). Così sempre sul punto è stato evidenziato che nel criterio di aggiudicazione dell’appalto secondo l’offerta economicamente più vantaggiosa si tiene conto di una pluralità di elementi, quali il prezzo e la qualità, spettando all’amministrazione dare il peso a tali elementi fermo restando che la scelta di siffatti criteri di valutazione pur connotata da ampia discrezionalità, deve avvenire nel rispetto della proporzionalità, ragionevolezza e non discriminazione e sempre con riferimento all’oggetto dell’appalto (Cons. Stato Sez. V 11 gennaio 2006 n.28; Sez. V 21 novembre 2007 n.5911). Ebbene, l’inserimento tra i criteri di valutazione dell’offerta tecnica dell’elemento costituito dal costo della futura manutenzione delle opere di ristrutturazione si muove nell’ambito dei parametri di giudizio fissati da una copiosa giurisprudenza di questo Consesso, non appalesandosi la scelta della stazione appaltante illogica, né irragionevole e neppure non pertinente con l’oggetto dell’appalto. Invero, ancorchè si tratti di appalto di esecuzione di opere, non può negarsi o comunque escludersi una stretta connessione logica tra la realizzazione di opere di ristrutturazione e la successiva attività di manutenzione delle stesse, in un rapporto di "variabile dipendente" nel senso che ai fini di una migliore esecuzione delle opere a farsi ben può la stazione appaltante (se non deve) tener conto della proiezione in futuro della "tenuta" nel tempo di tali opere e quindi anche della maggiore o minore spesa che l’Amministrazione sarà " costretta" a sopportare per la connessa, sia pure successiva attività manutentiva ha la sua incidenza sulla qualità delle opere a farsi di guisa che non si vede alcunché di macroscopica (ma neppure minima) illogicità nella scelta di valutare un progetto migliorativo di opere di ristrutturazione alla luce anche della economicità derivante dalla futura manutenzione. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2444)
La scelta dei criteri più adeguati dell’offerta economicamente più vantaggiosa costituisce espressione tipica della discrezionalità della stazione appaltante e, impingendo nel merito dell’azione amministrativa è sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, tranne che in relazio ... Continua a leggere
Le scelte urbanistiche relative alla zonizzazione delle aree del territorio comunale sono rimesse al potere ampiamente discrezionale dell’Ente locale, rispetto alle quali le posizioni dei privati sono necessariamente recessive

Ad avviso del Consiglio di Stato le scelte urbanistiche relative alla zonizzazione delle aree del territorio comunale sono rimesse al potere ampiamente discrezionale dell’Ente locale, rispetto alle quali le posizioni dei privati sono necessariamente recessive, né necessitano di specifica motivazione se non nel caso – qui non sussistente - che vadano ad incidere su posizioni giuridicamente differenziate ravvisabili nell’esistenza di piani o progetti di lottizzazione già approvati (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 27 luglio 2010 n. 4920), ed essendo al più le scelte stesse contestabili nel solo caso - parimenti qui non sussistente - in cui il contrasto tra la natura del bene e la sua destinazione urbanistica sia di indiscutibile ed assoluta, evidenziando la totale e del tutto manifesta illogicità ed irrazionalità delle scelte medesime (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 13 giugno 1984 n. 453 e 17 novembre 1981 n. 877). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2443)
Ad avviso del Consiglio di Stato le scelte urbanistiche relative alla zonizzazione delle aree del territorio comunale sono rimesse al potere ampiamente discrezionale dell’Ente locale, rispetto alle quali le posizioni dei privati sono necessariamente recessive, né necessitano di specifica motivazion ... Continua a leggere
La Conferenza di servizi – sia c.d. "istruttoria", sia "decisoria" - non costituisce un organo collegiale, ma soltanto un modulo procedimentale organizzativo suscettibile di produrre un’accelerazione dei tempi procedurali e, nel contempo, un esame congiunto degli interessi pubblici coinvolti

Ormai da tempo la giurisprudenza si è consolidata nel senso di ritenere che la Conferenza di servizi – sia c.d. "istruttoria", sia "decisoria" e, quindi, anche quella propria del modello procedimentale condiviso dagli artt. 4 e 5 del D.P.R. 447 del 1998 - non costituisce un organo collegiale, ma soltanto un modulo procedimentale (organizzativo) suscettibile di produrre un’accelerazione dei tempi procedurali e, nel contempo, un esame congiunto degli interessi pubblici coinvolti (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 8 maggio 2007 n. 2107); tale istituto di carattere generale, disciplinato dalla L. 241 del 1990 e attuato poi con specifiche variante nelle diverse discipline di settore, è precipuamente finalizzato all’assunzione concordata di determinazioni sostitutive, a tutti gli effetti, di concerti, intese, assensi, pareri, nulla osta, richiesti dal procedimento pluristrutturale specificatamente conformato dalla legge ed è uno strumento che non comporta pertanto modificazione o sottrazione delle competenze, né modificazione della natura o tipo d’espressione volitiva o di scienza che le amministrazioni sono tenute ad esprimere secondo la disciplina di più "procedimenti amministrativi connessi" o di un solo procedimento nel quale siano coinvolti "vari interessi pubblici" (cfr. ibidem). Discende quindi da ciò che in sede di conferenza di servizi è ben ammissibile esprimere valutazioni anche attraverso la trasmissione di note scritte, considerato, da un lato, che scopo della conferenza è – come detto innanzi - la massima semplificazione procedimentale e l’assenza di formalismo e che, pertanto, le forme della conferenza stessa vanno osservate nei limiti in cui siano strumentali all’obiettivo perseguito, non potendo far discendere automaticamente dalla inosservanza delle forme l’illegittimità dell’operato della conferenza se lo scopo è comunque raggiunto, e, dall’altro, che la conferenza di servizi non è – per l’appunto - un organo collegiale, a presenza necessaria, ma – come dianzi evidenziato - un modello di semplificazione amministrativa (cfr. sullo specifico punto, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 4 gennaio 2002 n. 34 e 11 luglio 2002 n. 3917). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2443)
Ormai da tempo la giurisprudenza si è consolidata nel senso di ritenere che la Conferenza di servizi – sia c.d. "istruttoria", sia "decisoria" e, quindi, anche quella propria del modello procedimentale condiviso dagli artt. 4 e 5 del D.P.R. 447 del 1998 - non costituisce un organo collegiale, ma so ... Continua a leggere
La verifica della esistenza o meno di sufficiente capacità edificatoria dell’area sulla quale si chiede il rilascio del titolo edilizio va fatta sulla base del nuovo strumento urbanistico vigente al momento della richiesta

Il Consiglio di Stato con la sentenza in esame ribadisce, tra l'altro, il principio giurisprudenziale a tenore del quale la verifica della esistenza o meno di sufficiente capacità edificatoria dell’area sulla quale si chiede il rilascio del titolo ad aedificandum va fatta, sulla base del nuovo strumento urbanistico vigente al momento della richiesta dell’assenso a costruire, non potendosi far valere situazioni di "favore" sulla scorta della normativa edilizia esistente all’epoca dell’edificazione di preesistenti edifici (Cons. Stato Sez. V, 7 novembre 2002 n. 6128). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2442)
Il Consiglio di Stato con la sentenza in esame ribadisce, tra l'altro, il principio giurisprudenziale a tenore del quale la verifica della esistenza o meno di sufficiente capacità edificatoria dell’area sulla quale si chiede il rilascio del titolo ad aedificandum va fatta, sulla base del nuovo stru ... Continua a leggere
In ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un’area asservita o accorpata, ai fini edificatori deve essere considerata l’intera estensione interessata con l’effetto che anche l’area accorpata non è più edificabile anche se è oggetto di frazionamento o di alienazione separata dalle aree su cui insistono i manufatti

Un’area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non può più essere tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio della seconda concessione nelle perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà de terreni (Cons. Stato, Sez.V, 10 febbraio 2000 n.749). Più specificatamente, si è precisato che in ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un’area asservita o accorpata, ai fini edificatori deve essere considerata l’intera estensione interessata (nella specie il comparto edificatorio unitariamente considerato) con l’effetto che anche l’area accorpata non è più edificabile anche se è oggetto di frazionamento o di alienazione separata dalle aree su cui insistono i manufatti ( Cons. Stato Sez. V, 7 novembre 2002 n. 6128; idem 10 febbraio 2000 n. 749 già citata; Sez. IV 6 agosto 2012 n. 4482). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2442)
Un’area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non può più essere tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio della seconda concessione nelle perdurante esi ... Continua a leggere
Al Regolamento edilizio dei Comuni e' demandata la specificazione delle regole fondamentali dell’edificazione sotto i profili tecnici, estetici, funzionali, igienico-sanitari e "di vivibilità" in senso ampio degli abitati

Nel giudizio in esame il Comune impugna la sentenza con cui è stata annullata la modifica del Regolamento Edilizio comunale, con cui si è introdotta la prescrizione per cui la superficie minima dei 45 mq doveva essere limitata al 25 % del totale degli alloggi di ogni nuovo fabbricato, mentre per il75 % la superficie minima avrebbe comunque dovuto essere portata a 60 mq. Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame, tra l'altro, rileva che fin dall’art. 33 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e s.m.i., ed oggi con l’art.4 del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 T.U. Edilizia, "Il regolamento che i comuni adottano ai sensi dell'articolo 2, comma 4, deve contenere la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi." L’amplissima latitudine della disposizione da sola giustifica il potere regolamentare del Comune di intervenire sulla struttura minima degli alloggi. Inoltre la norma deve essere collocata nell’alveo del D.M. 05 luglio 1975 "Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896", relativamente all'altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d'abitazione (ulteriormente modificato con D.M. 9 giugno 1999), "concernente la compilazione dei regolamenti locali sull'igiene del suolo e dell'abitato", nonché nella scia delle norme di cui agli artt. 220-222 del R.D. 1265/34 - T.U.L.S.; queste stabiliscono la superficie minima abitabile per persona, quelle minime per le stanze da letto, quelle di soggiorno ed i monolocali; prevedono l’obbligo del riscaldamento, della presenza di finestre almeno per i vani abitativi principali; fissano in 1/8 il rapporto tra superficie finestrata apribile e quella del pavimento, prevedono i casi in cui è ammessa la ventilazione forzata, ecc… Nel regolamento edilizio, oltre alle modalità concernenti gli oneri procedimentali e documentali, possono, dunque, essere collocate le disposizioni concernenti: i requisiti igienici; il rispetto delle regole estetiche e d’ornato; nonché le specifiche regole tecniche sull'attività costruttiva, quali, per l’appunto, fissazione quelle sui limiti generali di dimensionamento degli alloggi in esame. (...)In sostanza, pur dovendosi riconoscere che si tratta di valutazioni sostanzialmente rimesse all’autonomia normativa del Comune, si deve comunque rilevare in linea generale che sia il regolamento edilizio che le norme tecniche di attuazione contengono prescrizioni a contenuto generale. In conseguenza al Regolamento edilizio fanno propriamente capo le disposizioni di natura normativa-regolamentare, mentre nella NTA devono essere contenute le prescrizioni di natura più propriamente programmatica-pianificatoria, destinate, cioè, a regolare la futura attività edilizia. Nel caso non vi sono dubbi che la disposizione concernente le superfici minime ammissibili delle singole unità, riguardando l’intero territorio comunale, aveva carattere generale, per cui esattamente il Comune ha ritenuto di provvedere alla sua introduzione attraverso la modifica del R.E. . L’ampiezza del riferimento alle "modalità costruttive" comporta in sostanza che il regolamento edilizio ben possa riguardare tutti gli aspetti – nessuno escluso -- destinati a regolare le singole edificazioni. Si tratta di un fascio di profili inerenti al diritto fondamentale alla casa dei cittadini, che è sostanzialmente unitario sotto il profilo teleologico, in quanto tali profili sono diretti ad assicurare, in concreto, la salubrità e la vivibilità delle residenze. L’art. 4 del T.U. Edilizia implica che al Regolamento edilizio dei Comuni debba essere demandata la specificazione delle regole fondamentali dell’edificazione sotto i profili tecnici, estetici (secondo le antiche regole d’ornato), funzionali, igienico-sanitari e -- soprattutto per quello che qui interessa -- "di vivibilità" in senso ampio degli abitati. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2433)
Nel giudizio in esame il Comune impugna la sentenza con cui è stata annullata la modifica del Regolamento Edilizio comunale, con cui si è introdotta la prescrizione per cui la superficie minima dei 45 mq doveva essere limitata al 25 % del totale degli alloggi di ogni nuovo fabbricato, mentre per il ... Continua a leggere
Reiterazione del vincolo di inedificabilità: la permanenza del vincolo oltre i termini previsti, e senza alcun inizio serio dell’espropriazione, non può essere dissociato dalla previsione di un indennizzo

Secondo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (sez. V, 3 gennaio 2001 n. 3; sez. IV, 17 aprile 2003 n. 2015 e 22 giugno 2004 n. 4426), costituiscono vincoli soggetti a decadenza solo quelli preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificazione, e che dunque svuotino il contenutodel diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene, tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero diminuendone in modo significativo il suo valore di scambio. Tali non sono, tra gli altri, le previsioni di un piano regolatore che destinano un’area a "verde pubblico attrezzato, trattandosi di vincoli conformativi della proprietà, in quanto inquadrabili nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, che incidono su una generalità di beni, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui questi ricadono (Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 2008 n. 1095; sez. IV, 12 maggio 2010 n. 2843). La decadenza del vincolo non esclude che l’amministrazione, mediante il ricorso al procedimento per l’adozione delle varianti agli strumenti urbanistici, possa reiterare i vincoli preordinati all’espropriazione, fornendo congrua motivazione in ordine alla persistenza delle ragioni di interesse pubblico che sorreggono la predetta reiterazione (Cons. Stato, sez. IV, 24 settembre 1997 n. 1013 e 22 giugno 2004 n. 4397), così da escludere un contenuto vessatorio o comunque ingiusto dei relativi atti. Si è, in particolare, affermato quanto all'adeguatezza della motivazione, che, se in linea di principio può ritenersi giustificato il richiamo alle originarie valutazioni, in occasione di una prima reiterazione, quando il rinnovato vincolo sia a sua volta decaduto, è necessario che la motivazione dimostri che l'autorità amministrativa abbia provveduto ad una ponderata valutazione degli interessi coinvolti, esponendo le ragioni (riguardanti il rispetto degli standard, le esigenze della spesa, ovvero specifici accadimenti riguardanti le precedenti fasi procedimentali) che inducano ad escludere profili di eccesso di potere e ad ammetterne l'attuale sussistenza dell'interesse pubblico (Cons. Stato, sez. IV, 2 ottobre 2008 n. 4765). La Corte Costituzionale (sent. 20 maggio 1999 n. 179, indirizzo successivamente riconfermato con sent. 18 dicembre 2001 n. 411) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 l. n. 1150/1942 e 2, primo comma, della legge n. 1187/1968 "nella parte in cui consente alla "amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo". Secondo la Corte, "la reiterazione in via amministrativa dei vincoli decaduti (preordinati all’espropriazione o con carattere sostanzialmente espropriativo) . . . non sono fenomeni di per sé inammissibili dal punto di vista costituzionale", ma tale fenomeno assume aspetti patologici allorchè vi sia una indefinita reiterazione dei vincoli o una loro proroga sine die, o quando il limite temporale sia indeterminato. In presenza delle suddette situazioni patologiche, sorge obbligo di indennizzo che "opera una volta superato il periodo di durata (tollerabile) fissato dalla legge (periodo di franchigia)". In altre parole, la permanenza del vincolo oltre i termini previsti, e senza alcun inizio serio dell’espropriazione, "non può essere dissociato . . . dalla previsione di un indennizzo". (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2432)
Secondo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (sez. V, 3 gennaio 2001 n. 3; sez. IV, 17 aprile 2003 n. 2015 e 22 giugno 2004 n. 4426), costituiscono vincoli soggetti a decadenza solo quelli preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificazione, e che dunque svuotino il contenuto ... Continua a leggere
Le scelte urbanistiche richiedono una motivazione più o meno puntuale a seconda che si tratti di previsioni interessanti la pianificazione in generale ovvero un’area determinata, ovvero qualora incidano su aree specifiche, ledendo legittime aspettative

Le scelte di natura urbanistica rimesse all'Amministrazione nell'interesse generale sono di regola sufficientemente motivate con l'indicazione dei profili generali e dei criteri che hanno sorretto la previsione, senza necessità di una motivazione puntuale e "mirata" (Cons. Stato, sez. IV. 3 novembre 2008 n. 5478). Le scelte urbanistiche, dunque, richiedono una motivazione più o meno puntuale a seconda che si tratti di previsioni interessanti la pianificazione in generale ovvero un’area determinata, ovvero qualora incidano su aree specifiche, ledendo legittime aspettative; così come mentre richiede una motivazione specifica una variante che interessi aree determinate del PRG., per le quali quest’ultimo prevedeva diversa destinazione (a maggior ragione in presenza di legittime aspettative dei privati), non altrettanto può dirsi allorchè la destinazione di un’area muta per effetto della adozione di un nuovo strumento urbanistico generale, che provveda ad una nuova e complessiva definizione del territorio comunale. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2432)
Le scelte di natura urbanistica rimesse all'Amministrazione nell'interesse generale sono di regola sufficientemente motivate con l'indicazione dei profili generali e dei criteri che hanno sorretto la previsione, senza necessità di una motivazione puntuale e "mirata" (Cons. Stato, sez. IV. 3 novembr ... Continua a leggere
Se l’amministrazione ha in via generale espresso la propria volontà di riportare talune previsioni del piano particolareggiato ad una esatta corrispondenza con quanto previsto dal PRG, l’obbligo di motivazione e' già in tal modo assolto, salvo che non si dimostri che il nuovo deliberato ha un contenuto diverso e/o difforme dal piano regolatore

L’onere di motivazione gravante sull’amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico, salvo i casi in cui le scelte effettuate incidano su zone territorialmente circoscritte ledendo legittime aspettative, è di carattere generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza necessità di una motivazione puntuale e "mirata" (Cons. Stato, sez. IV, 3 novembre 2008 n. 5478), così come, nell’ambito del procedimento volto all’adozione dello strumento urbanistico, non occorre controdedurre singolarmente e puntualmente a ciascuna osservazione e opposizione (si veda anche, Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012 n. 2710). Sulla base di tali premesse il Collegio ha ritenuto che, una volta che l’amministrazione abbia in via generale espresso la propria volontà di riportare talune previsioni del piano particolareggiato ad una esatta corrispondenza con quanto previsto dal PRG, l’obbligo di motivazione sia stato già in tal modo assolto, salvo che non si dimostri che il nuovo deliberato, lungi dal ricostituire tale coerenza, abbia un contenuto diverso e/o difforme dal piano regolatore. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2428)
L’onere di motivazione gravante sull’amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico, salvo i casi in cui le scelte effettuate incidano su zone territorialmente circoscritte ledendo legittime aspettative, è di carattere generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili g ... Continua a leggere
Il potere di pianificazione urbanistica non è funzionale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio, ma è funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti

Il problema del contenuto e dei limiti della pianificazione urbanistica; del significato stesso del concetto di "urbanistica" in senso giuridico e, di conseguenza, del contenuto della potestà pianificatoria, è stato già affrontato dal Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza 10 maggio 2012 n. 2710, con considerazioni riconfermate nella presente decisione. Si è affermato che il potere di pianificazione urbanistica del territorio – la cui attribuzione e conformazione normativa è costituzionalmente conferita alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, ex art. 117, comma terzo, Cost. ed il cui esercizio è normalmente attribuito, pur nel contesto di ulteriori livelli ed ambiti di pianificazione, al Comune – non è limitato alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, ed in particolare alla possibilità e limiti edificatori delle stesse. Al contrario, tale potere di pianificazione deve essere rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica che non è limitato solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità, in tal modo definiti), ma che, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico – sociali della comunità locale (non in contrasto ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispetto e positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati. Proprio per tali ragioni, lo stesso legislatore costituzionale, nel novellare l’art. 117 della Costituzione per il tramite della legge cost. n. 3/2001, ha sostituito – al fine di individuare le materie rientranti nella potestà legislativa concorrente Stato - Regioni - il termine "urbanistica", con la più onnicomprensiva espressione di "governo del territorio", certamente più aderente, contenutisticamente, alle finalità di pianificazione che oggi devono ricomprendersi nel citato termine di "urbanistica". D’altra parte, già il legislatore ordinario (sia pure ai fini della attribuzione di giurisdizione sulle relative controversie), con l’art. 34, comma 2, d. lgs. 31 marzo 1998 n. 80, aveva affermato che "la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio". Tali finalità, per così dire "più complessive" dell’urbanistica, e degli strumenti che ne comportano attuazione, sono peraltro desumibili fin dalla legge 17 agosto 1942 n. 1150, laddove essa individua il contenuto della "disciplina urbanistica e dei suoi scopi" (art. 1), non solo nell’"assetto ed incremento edilizio" dell’abitato, ma anche nello "sviluppo urbanistico in genere nel territorio della Repubblica". In definitiva, l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo. Uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli - non in astratto, bensì in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi –, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, sia delle esigenze economico – sociali della comunità radicata sul territorio (tra le quali certamente rientra l’aspirazione, anche in proprietà, alla casa di abitazione), sia, in definitiva, del modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione "de futuro" sulla propria stessa essenza, svolta - per autorappresentazione ed autodeterminazione - dalla comunità medesima, attraverso le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, attraverso la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio. In definitiva, il potere di pianificazione urbanistica non è funzionale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità (civile abitazione, uffici pubblici, opifici industriali e artigianali, etc.), ma esso è funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti. Ne consegue che, diversamente opinando, e cioè nel senso di ritenere il potere di pianificazione urbanistica limitato alla sola prima ipotesi, si priverebbe la pubblica amministrazione di un essenziale strumento di realizzazione di valori costituzionali, quali sono almeno quelli espressi dagli articoli 9, comma secondo, 32, 42, 44, 47, comma secondo, Cost.. Alla luce di quanto esposto, la finalità di sostenere l’esigenza di una "prima casa" dei cittadini residenti appare del tutto coerente, in generale, con il potere pianificatorio conferito all’Ente locale dalla legge, e costituisce – soprattutto in Comuni a vocazione turistica - una evidente misura di declinazione dello sviluppo edilizio del territorio con le esigenze abitative della comunità locale, evitando sfruttamenti intensivi a fini turistici, tali da snaturare la quotidianità e l’essenza stessa della comunità locale. Dalle considerazioni espresse, appare evidente la legittimità degli atti adottati dal Comune di Cuneaz, con i quali si sono volute limitare le potenzialità edificatorie dei suoli, delimitandole a finalità di edificazione per prima casa; e ciò sia in coerenza con gli indirizzi e criteri generali del piano regolatore, sia nell’ambito di una più meditata (e limitata) valutazione delle facoltà edificatorie conferite in relazione a suoli già a destinazione agricola.. D’altra parte, occorre ricordare – in ciò condividendo quanto rappresentato dalla sentenza appellata – che l’onere di motivazione gravante sull’amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico, salvo i casi in cui le scelte effettuate incidano su zone territorialmente circoscritte ledendo legittime aspettative, è di carattere generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza necessità di una motivazione puntuale e "mirata" (Cons. Stato, sez. IV, 3 novembre 2008 n. 5478), così come, nell’ambito del procedimento volto all’adozione dello strumento urbanistico, non occorre controdedurre singolarmente e puntualmente a ciascuna osservazione e opposizione. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2427)
Il problema del contenuto e dei limiti della pianificazione urbanistica; del significato stesso del concetto di "urbanistica" in senso giuridico e, di conseguenza, del contenuto della potestà pianificatoria, è stato già affrontato dal Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza 10 maggio 2012 n. 2 ... Continua a leggere
Annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dell’ente territoriale delegato: l'evoluzione legislativa in materia di comunicazione di avvio del segmento procedimentale

In ordine all’applicabilità dell’istituito partecipativo al subprocedimento statale di eventuale annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dell’ente territoriale delegato, nell’originaria assenza di specificazioni normative, il prevalente orientamento della giurisprudenza era nelsenso di ritenere sussistente il dovere di comunicazione di avvio del segmento procedimentale in questione, quale nuova modalità dialettica di esercizio della funziona amministrativa (cfr., ad esempio, Cons. Stato, VI, 3 febbraio 2004, n. 342). Tale orientamento, tuttavia, fu superato dall’espressa abrogazione normativa dell’obbligo di cui si discute, in base al rinvio operato dall’art. 4, comma 1-bis, del d.m. 13 giugno 1994, n. 459 (comma aggiunto dal d.m. 19 giugno 2002, n. 165) all’art. 151 del d.lgs 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali). Detta previsione, con efficacia dall’entrata in vigore del d.m. n. 165 del 2002, disponeva che la comunicazione di avvio del procedimento non fosse dovuta, da parte del funzionario responsabile, "per i procedimenti avviati ad istanza di parte e, in particolare, per quelli disciplinati dagli articoli […] 151[…] del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490". Mentre l’art. 151 disciplina l’invio delle autorizzazioni paesaggistiche alla Soprintendenza, con facoltà di annullamento delle medesime, da parte del Ministero, entro sessanta giorni. Dall’entrata in vigore del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) veniva, invece, previsto nell’art. 159, quale disciplina transitoria, efficace sino al 31 dicembre 2009, che l’amministrazione competente desse immediata comunicazione alla Soprintendenza delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate, con contestuale invio di tale comunicazione agli interessati quale avviso di inizio del procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 7 agosto 1990, n. 241. Con tale disposizione è stata nuovamente regolata la questione e superata l’eliminazione delle formalità partecipative per i procedimenti ad istanza di parte operata dal ricordato art. 4, comma 1 bis del d.m. n. 495 del 1994, come modificato dal d.m. n. 165 del 2002. Al momento di adozione del provvedimento qui impugnato in primo grado (il decreto, che indica quale data di ricevimento della documentazione completa il 23 dicembre 2002, è stato emesso il 4 febbraio 2003) la materia era disciplinata, con effetto obbligatorio e vincolante per l’Amministrazione dei beni e delle attività culturali, dalle previsioni del d.m. n. 165 del 2002 e pertanto correttamente la Soprintendenza non ha comunicato all’interessato l’avvio del subprocedimento di controllo. La sentenza che non tiene conto della vigenza ratione temporis delle previsioni introdotte col predetto decreto ministeriale merita, quindi, di essere riformata nel senso richiesto dall’appellante Amministrazione. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 6.5.2013, n. 2406)
In ordine all’applicabilità dell’istituito partecipativo al subprocedimento statale di eventuale annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dell’ente territoriale delegato, nell’originaria assenza di specificazioni normative, il prevalente orientamento della giurisprudenza era nel ... Continua a leggere
L'esistenza di una autorizzazione che attesti la compatibilità ambientale e paesaggistica delle opere per il solo periodo estivo non comporta necessariamente che tale compatibilità sussista anche per il periodo invernale

Relativamente alla compatibilità ambientale del manufatto nel caso in cui rimanga "montato" oltre il periodo estivo, che, come già rilevato con recente pronuncia della Sezione per un caso analogo (Cons. Stato, Sez. VI, 7 settembre 2012, n. 4761): a) l'esistenza di una autorizzazione che attesti lacompatibilità ambientale e paesaggistica delle opere in questione per il solo periodo estivo non comporta necessariamente che tale compatibilità sussista anche per il periodo invernale; b) la limitazione temporale dell'autorizzazione al solo periodo estivo risulta, infatti, frutto di un complessivo bilanciamento fra gli interessi dei privati e quelli pubblici connessi con la necessità di tutela del paesaggio garantita dall'art. 9 della Costituzione, che ha trovato il suo punto di equilibrio proprio nella limitata incidenza temporale del manufatto sull’ambiente circostante; c) non può, infine, trovare accoglimento anche la censura dedotta concernente il fatto che la rimozione delle strutture in esame determinerebbe danni ambientali maggiori rispetto al loro mantenimento poiché tale rilievo non risulta adeguatamente supportato dagli atti di causa e non sarebbe comunque idoneo a far ritenere irragionevoli le valutazioni espresse dall’amministrazione. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.5.2013, n. 2564)
Relativamente alla compatibilità ambientale del manufatto nel caso in cui rimanga "montato" oltre il periodo estivo, che, come già rilevato con recente pronuncia della Sezione per un caso analogo (Cons. Stato, Sez. VI, 7 settembre 2012, n. 4761): a) l'esistenza di una autorizzazione che attesti la ... Continua a leggere
Il vincolo paesistico sui territori costieri: il vincolo di inedificabilità assoluta non può operare in modo retroattivo, tuttavia non si può considerare inesistente per il solo fatto che sia sopravvenuto all’edificazione

Nel caso in esame, il vincolo gravante sulle aree oggetto dell’intervento edilizio di cui si controverte è quello proprio dei territori costieri, implicante un regime di inedificabilità assoluta, ai sensi del precitato art. 33. Il vincolo paesistico sui territori costieri compresi in una fascia di300 metri dalla linea di battigia, in relazione all’intero territorio nazionale, è stato per la prima volta imposto, come è noto, con d.m. 21 settembre 1984 (recante Dichiarazione di notevole interesse pubblico dei territori costieri, dei territori contermini ai laghi, dei fiumi, dei torrenti, dei corsi d'acqua, delle montagne, dei ghiacciai, dei circhi glaciali, dei parchi, delle riserve, dei boschi, delle foreste, delle aree assegnate alle Università agrarie e delle zone gravate da usi civici), poi seguito dalle norme primarie di cui alla l. 8 agosto 1985, n. 431, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, assorbito poi dal d.lgs. 29 ottobre 1999, n, 490. Già in base a tale considerazione non appare pertinente il rilievo dell’appellante secondo cui l’Amministrazione comunale avrebbe fatto riferimento a una disciplina vincolistica sopravvenuta, in quanto introdotta soltanto con il d.lgs. 22 gennaio 2004 n.42, atteso che riguardo al vincolo sui territori costieri l’ art. 142 d.lgs. cit. (recante l’elenco delle aree tutelate per legge) è riproduttivo – in continuità della fattispecie sostanziale - di quel regime vincolistico ex lege, ben più risalente nel tempo. Inoltre, vale al riguardo rammentare che, in base alle conclusioni raggiunte dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 22 luglio 1999. n. 20 circa la disciplina del condono edilizio della legge n. 47 del 1985 e delle connesse questioni (poste dall’art. 33) relative ai procedimenti di condono riguardanti territori con vincoli di inedificabilità relativa, si deve avere riguardo al regime vincolistico sussistente alla data di esame della domanda di sanatoria, secondo il principio tempus regit actum. Inoltre, quanto ai vincoli di in edificabilità assoluta, questo Consiglio di Stato ha più volte chiarito che se è vero che alla stregua dell’art. 33 l. n. 47 del 1985 il vincolo di inedificabilità assoluta non può operare in modo retroattivo, tuttavia non si può considerare inesistente per il solo fatto che sia sopravvenuto all’edificazione (ciò che paradossalmente porterebbe a ritenere senz’altro sanabili gli interventi, i quali pertanto fruirebbero di un regime più favorevole di quello riservato agli abusi interessati da vincoli sopravvenuti di inedificabilità relativa). Pertanto, se il vincolo di inedificabilità assoluto sopravvenuto non può considerarsi sic et simpliciter inesistente, ne discende che gli va applicato lo stesso regime della previsione generale dell’art. 32, comma 1, della stessa legge n. 47 del 1985, che subordina il rilascio della concessione in sanatoria per opere su aree sottoposte a vincolo al parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 ottobre 2003, nr. 5918; sez. IV, 14 febbraio 2012 n.731). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 6.5.2013, n. 2409)
Nel caso in esame, il vincolo gravante sulle aree oggetto dell’intervento edilizio di cui si controverte è quello proprio dei territori costieri, implicante un regime di inedificabilità assoluta, ai sensi del precitato art. 33. Il vincolo paesistico sui territori costieri compresi in una fascia di ... Continua a leggere
Una situazione paesisticamente compromessa ad opera di preesistenti realizzazioni, anziché impedire, maggiormente richiede per la legittimità dell’azione amministrativa che nuove costruzioni non deturpino esteriormente l’ambito protetto

La già intervenuta compromissione dei valori paesaggistici ad opera di interventi edilizi precedenti, anche ove fosse in fatto dimostrata, sarebbe certamente non decisiva sul piano giuridico; anzi, come più volte da tempo rimarcato da questa Sezione (es. Cons. Stato, VI, 11 giugno 1990, n. 600; 28agosto 1995, n. 820; 20 ottobre 2000, n. 5651; 29 novembre 2005, n. 6756) una situazione paesisticamente compromessa ad opera di preesistenti realizzazioni, anziché impedire, maggiormente richiede per la legittimità dell’azione amministrativa che nuove costruzioni non deturpino esteriormente l’ambito protetto. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 6.5.2013, n. 2410)
La già intervenuta compromissione dei valori paesaggistici ad opera di interventi edilizi precedenti, anche ove fosse in fatto dimostrata, sarebbe certamente non decisiva sul piano giuridico; anzi, come più volte da tempo rimarcato da questa Sezione (es. Cons. Stato, VI, 11 giugno 1990, n. 600; 28 ... Continua a leggere
Annullamento ministeriale del l'autorizzazione paesaggistica: l'eccesso di potere della Soprintendenza per l'intromissione nel merito di valutazioni paesaggistiche riservate all’autorità locale

Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame per quanto attiene alla questione della lamentata illegittimità dell’annullamento ministeriale per omessa istruttoria e motivazione, e comunque per aver la Soprintendenza esorbitato dai limiti propri del suo potere, con intromissione nel merito di valutazioni paesaggistiche riservate all’autorità locale, ha ricordato, in ordine agli aspetti sostanziali della potestà in esame, che la giurisprudenza ha unanimemente riconosciuto che il potere ministeriale di annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche, pur non essendo espressione di un potere di riesame nel merito del provvedimento di base, investe tuttavia ogni aspetto della legittimità dell’atto sottoposto al suo scrutinio, ivi compreso l’eccesso di potere per vizio di motivazione (tra le altre, Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9; Cons. Stato, VI, 9 aprile 2001 n. 2152). In quest’ambito, pertanto, l’autorità ministeriale non è impedita di – e anzi deve, ad estrema difesa del vincolo (cfr. Corte cost., 27 giugno 1986, n. 151; 18 ottobre 1996, n. 341; 25 ottobre 2000, n. 437) - vagliare, in relazione alla fattispecie concreta, la congruenza del giudizio di compatibilità paesaggistica dell’intervento. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 6.5.2013, n. 2410)
Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame per quanto attiene alla questione della lamentata illegittimità dell’annullamento ministeriale per omessa istruttoria e motivazione, e comunque per aver la Soprintendenza esorbitato dai limiti propri del suo potere, con intromissione nel merito di valut ... Continua a leggere
Il termine fissato alla soprintendenza competente per l’eventuale annullamento della autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Regione (ovvero dall’ente subdelegato), nel regime transitorio ex art. 159, comma 3, d.lgs. n. 42/2004, per quanto di natura perentoria, è previsto dalla legge soltanto ai fini dell’adozione dell’eventuale provvedimento di annullamento e non anche per la sua comunicazione ai soggetti interessati

Secondo un consolidato orientamento (tra le tante, Cons. Stato, VI sez., 8 marzo 2006 n. 1261; VI, 29 dicembre 2008, n.6586), il termine fissato alla soprintendenza competente per l’eventuale annullamento della autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Regione (ovvero dall’ente subdelegato), nel regime transitorio di cui al citato art. 159, comma 3, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (che riproduce la norma già contenuta dapprima nell’art. 82 d.PR 24 luglio 1977, n. 616 – come modificato dall’art. 1 l. 8 agosto 1985, n. 431, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 - e poi nell’art. 151 del d.lgs. 29 ottobre1999, n. 490), per quanto di natura perentoria, è previsto dalla legge soltanto ai fini dell’adozione dell’eventuale provvedimento di annullamento e non anche per la sua comunicazione ai soggetti interessati. In altri termini, perché possa dirsi rispettato il suddetto termine è sufficiente che l’atto sia adottato nel termine per provvedere, non dovendosi ricomprendere nel computo del termine stesso l’attività successiva di partecipazione di conoscenza dell’atto ai suoi destinatari. A tali conclusioni la giurisprudenza è pervenuta in considerazione della natura non recettizia di questo tutorio annullamento, che è espressione di cogestione attiva del vincolo paesaggistico (Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9), e della conseguente ininfluenza, ai fini della sua validità, della comunicazione ai diretti interessati nell’arco temporale fissato dalla legge per l’adozione del provvedimento. Correttamente la sentenza impugnata ha escluso il carattere invalidante della mancata tempestiva comunicazione dell’annullamento, una volta accertato che la sua adozione è avvenuta nel rispetto del termine per provvedere. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 6.5.2013, n. 2410)
Secondo un consolidato orientamento (tra le tante, Cons. Stato, VI sez., 8 marzo 2006 n. 1261; VI, 29 dicembre 2008, n.6586), il termine fissato alla soprintendenza competente per l’eventuale annullamento della autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Regione (ovvero dall’ente subdelegato), ne ... Continua a leggere
Autorizzazione unica regionale per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili: le determinazioni conclusive delle conferenze decisorie non sono autonomamente impugnabili

La semplificata e concentrata disciplina procedimentale ad hoc per l’autorizzazione unica regionale per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è definita dall'art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità), il quale – al comma 3 - individua nella conferenza di servizi (detta decisoria) il modulo procedimentale ordinario essenziale alla formazione del successivo titolo abilitativo funzionale alla costruzione e all'esercizio di tali impianti. Ai sensi del richiamato comma 3, l'autorizzazione "va rilasciata nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico"; e ai sensi del comma 4 in relazione a tale procedimento trovano applicazione, per quanto non diversamente previsto, le disposizioni generali sul procedimento amministrativo di cui alla l. 7 agosto 1990, n. 241. Ebbene, per quanto riguarda i lavori della conferenza di servizi, ai sensi della stessa l. n. 241 del 1990, l'autorità procedente cui spetta l'iniziativa di indire la conferenza di servizi, assume la determinazione conclusiva tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in sede di conferenza (art. 14-ter,comma 6-bis). Tanto però non si verifica, come appunto è avvenuto nel caso di specie, ove in sede di conferenza sia espresso il dissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità. In tal caso l'eventuale superamento del dissenso deve avvenire seguendo le specifiche vie procedimentali appositamente stabilite dal successivo articolo 14-quater (in tal senso: Cons. giust. amm. sic., 11 aprile 2008, n. 295; Cons. Stato, VI, 22 febbraio 2010, n. 1020; id., 23 febbraio 2011, n. 1132; id., 23 maggio 2012, n. 3039; 15 gennaio 2013, n. 220): il che è dalla legge (art. 14-quater, comma 3) previsto "in attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e dell'articolo 120 della Costituzione". Pertanto, nell’ambito del particolare modulo procedimentale di cui all’articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003, il rinvio alle disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990 in materia di conferenza di servizi è operato in modo pieno ed integrale, il rende applicabili gli orientamenti formatisi in subiecta materia. Al riguardo, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha stabilito che non può ritenersi non applicabile, in tema di autorizzazione unica, l'art. 14-quater della legge n. 241 del 1990 (in tema di effetti del dissenso espresso in sede di conferenza di servizi anche da parte di un’amministrazione preposta alla tutela di un valore ‘sensibile’ di rilievo costituzionale). Tale integrale applicabilità discende – tra l’altro – dall’espresso richiamo allo strumento della conferenza di servizi nella sua disciplina unitariamente intesa contenuto nell'art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003. La disposizione da ultimo richiamata, infatti, individua nella conferenza di servizi (detta decisoria) il modulo procedimentale ordinario essenziale alla formazione del successivo titolo abilitativo funzionale alla costruzione e all'esercizio di tali impianti (in tal senso: Cons. Stato, VI, 15 gennaio 2013, n. 220). Ebbene, una volta chiarito che in tema di conferenze di servizi decisorie prodromiche al rilascio delle autorizzazioni uniche di cui all’articolo 12, cit., trovano applicazione le coordinate interpretative proprie dell’autorizzazione unica, troverà altresì applicazione il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui gli atti presupposti a tale rilascio (ad es., i pareri e le posizioni espresse in sede di conferenza di servizi) costituiscono atti interni di una conferenza di servizi decisoria, nei cui confronti non è in via di principio ammissibile una impugnazione diretta. E’ evidente, infatti, che la risoluzione in parte qua della controversia è strettamente connessa all'opzione ermeneutica preferibile in ordine al se possa riconoscersi il carattere dell'immediata lesività (e quindi, dell'immediata impugnabilità) alle determinazioni conclusive adottate in sede di conferenza di servizi decisoria e, prima ancora, alle posizioni in tale sede espresse dalle singole amministrazioni. Ad avviso del Collegio, al quesito deve fornirsi risposta negativa, ragione per cui deve essere confermata la decisione del primo giudice, il quale ha ritenuto che le determinazioni conclusive delle conferenze decisorie (e, a maggior ragione, le prodromiche valutazioni espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi, che qui vengono in rilievo) abbiano valenza meramente endoprocedimentale e che, conseguentemente, non siano autonomamente impugnabili. Come già in altre occasioni osservato (ex plurimis: Cons. Stato, VI, 3 dicembre 2009, n. 7570; id., VI, 11 novembre 2008, n. 5620), il dibattito circa i rapporti sistematici fra la determinazione conclusiva della conferenza (commi 6-bis e 9 dell'art. 14-ter, l. 241 del 1990 e ss.mm.ii.) e il provvedimento finale (in base ad un approccio dicotomico introdotto dalla l. n. 340 del 2000 e sostanzialmente confermato dalla l. n. 15 del 2005), così come il dubbio circa il se la valenza lesiva per la sfera dell'interessato (e il conseguente onere di impugnativa) siano da riconnettere al primo ovvero al secondo di tali atti, sono questioni che hanno interessato la dottrina e la giurisprudenza sin dalla riforma dell'istituto della conferenza di servizi (l. n. 340 del 2000, cit.) e il cui esame ha ricevuto ulteriori indicazioni all'indomani dell'entrata in vigore della l. n. 15 del 2005, la quale ha in parte modificato il quadro normativo di riferimento. Si osserva, inoltre, che nella vigenza del sistema delineato dalla l. n. 340 del 2000 i pochi precedenti sulla questione hanno concluso nel senso del carattere immediatamente lesivo della determinazione conclusiva della conferenza di servizi (sul punto, cfr. Cons. Stato, VI, 1 luglio 2003, n. 5708). Al riguardo, la giurisprudenza in questione aveva fondato le proprie conclusioni essenzialmente su tre argomenti: a) in primo luogo, sul disposto di cui al comma 2 dell'art. 14-quater (nel testo introdotto dall'art. 12 della l. n. 340 del 2000) il quale, nel disciplinare l'ipotesi del dissenso espresso in sede di conferenza, stabiliva espressamente che la determinazione conclusiva avesse carattere immediatamente esecutivo; b) in secondo luogo, sul disposto di cui al comma 7 dell'art. 14-ter (nel testo introdotto dall'art. 10 della l. 340 del 2000), a tenore del quale la determinazione conclusiva della conferenza era immediatamente impugnabile da parte dell'Amministrazione dissenziente; c) in terzo luogo, sull'espressa previsione normativa (comma 9 dell'art. 14-ter) secondo cui il provvedimento finale non potrebbe che avere un carattere conforme rispetto al contenuto della richiamata determinazione conclusiva (dal che emergerebbe che il contenuto prescrittivo di quanto stabilito in sede di conferenza, la relativa valenza lesiva ed il conseguente onere di impugnativa non potrebbero che essere anticipati al momento di adozione della richiamata determinazione conclusiva). Nella tesi in questione, pertanto, al provvedimento conclusivo dovrebbe essere riconosciuto un carattere meramente ricognitivo e non anche di tipo costitutivo-provvedimentale. Al riguardo, mette anche conto segnalare che la correttezza del richiamato orientamento giurisprudenziale fosse stata revocata in dubbio da un diverso orientamento (di matrice essenzialmente dottrinale), il quale sottolineava che al provvedimento conclusivo della fattispecie dovesse riconoscersi un indubbio carattere costitutivo quanto meno nelle ipotesi in cui il dissenso postumo espresso al di fuori della conferenza avesse condotto ad un esito finale difforme rispetto a quello trasfuso nella determinazione conclusiva dei lavori della conferenza medesima. Tale essendo il quadro ricostruttivo nella vigenza del sistema delineato dalla l. n. 340 del 2000, il Collegio osserva che a conclusioni affatto diverse debba giungersi con riferimento alla nuova disciplina in materia di conferenza di servizi introdotta ad opera della l. n. 15 del 2005 (che trova applicazione nel caso di specie). Ad avviso del Collegio, infatti, all'indomani della riforma del 2000 prevale la tesi secondo cui sussiste ancora uno iato sistematico fra la determinazione conclusiva della conferenza di tipo decisorio (nonché –a fortiori – fra le posizioni espresse in sede di conferenza dalla singola amministrazione) e il successivo provvedimento finale, nonché la tesi secondo cui solo al secondo di tali atti possa essere riconosciuta una valenza effettivamente determinativa della fattispecie (con conseguente sorgere dell'onere di immediata impugnativa), mentre alla determinazione conclusiva deve essere riconosciuto un carattere meramente endoprocedimentale. Ad avviso del Collegio, almeno tre argomenti depongono nella direzione indicata. In primo luogo, appare rilevante osservare l’espressa abrogazione, da parte del legislatore del 2000, della previsione normativa (comma 2 dell'art. 14-quater) circa il carattere immediatamente esecutivo della determinazione conclusiva dei lavori della conferenza. Al riguardo, non sfugge al Collegio che la disposizione oggetto di abrogazione era collegata ad una disciplina normativa in tema di superamento del dissenso che la riforma del 2005 ha inteso modificare. Si osserva, tuttavia, che la notazione in parola non conduce a conclusioni diverse da quelle appena richiamate, atteso che l'ultimo periodo del comma 2, cit. (secondo cui "la determinazione è immediatamente esecutiva") presentava una propria evidente autonomia concettuale rispetto al sistema di componimento dei dissensi di cui alla l. n. 340 del 2000, con la conseguenza che la sua espunzione dall'ordinamento non possa essere intesa, se non come espressione di una piana voluntas legis volta al superamento del carattere di autonoma impugnabilità della richiamata determinazione conclusiva. In secondo luogo appare rilevante sottolineare l'espressa abrogazione, ad opera della l. 15 del 2005, della previsione normativa (comma 7 dell'art. 14-ter) che consentiva alle Amministrazioni dissenzienti di impugnare direttamente ed immediatamente la determinazione conclusiva della conferenza di servizi. In terzo luogo si osserva che, se da un lato appare innegabile che il sistema introdotto nel 2005 sia ispirato dall'intento di anticipare già al momento della conclusione dei lavori della conferenza la palese espressione delle volontà da parte delle amministrazioni partecipanti (in particolare, abrogando il meccanismo del c.d. "dissenso postumo" e la possibilità con esso connessa di ribaltamenti di posizioni fra il momento della determinazione conclusiva e quello del provvedimento finale), dall'altro lato ciò non possa indurre a ritenere che le medesime esigenze di semplificazione e concentrazione comportino anche la dequotazione sistematica delle ragioni sottese alla distinzione fra il momento conclusivo dei lavori della conferenza e il successivo momento provvedimentale. A riguardo il Collegio ritiene condivisibili le linee di fondo dell'orientamento interpretativo (delineato all'indomani della riforma del 2000 in particolare nella giurisprudenza di primo grado) secondo cui la scelta del legislatore del 2000 di lasciare inalterata la richiamata struttura dicotomica esprime un orientamento di fondo per cui il provvedimento finale non rappresenta soltanto una sorta di momento meramente riepilogativo (e dichiarativo) delle determinazioni assunte in sede di conferenza, ma che un vero e proprio momento costitutivo delle determinazioni conclusive del procedimento. E' stato condivisibilmente affermato al riguardo che, nella richiamata ottica, l'espresso mantenimento di una struttura bifasica (articolato fra la fase comunque procedimentale che si conclude con la determinazione conclusiva della conferenza e la successiva fase provvedimentale) è ispirato dalla volontà di consentire che il cittadino interessato dal procedimento di cui agli artt. 14 e segg. abbia come referente ed interlocutore il solo responsabile del complessivo procedimento e, quindi, una sola Amministrazione, lasciando che il concerto fra le Amministrazioni resti all'interno dei processi decisionali amministrativi. Questo assunto (che sottolinea lo iato sistematico fra il momento procedimentale - o della dialettica/sintesi fra posizioni - ed il momento provvedimentale - o determinativo degli effetti per il destinatario finale -) è, del resto, coerente con gli orientamenti della l. n. 15 del 2005, che è volta ad enfatizzare la valenza sistematica e la piena autonomia concettuale, nell'ambito dell'azione amministrativa, dell’espressione provvedimentale. Ancora, la scelta di mantenere un provvedimento espresso come momento conclusivo della complessiva vicenda corrisponde alla volontà di lasciare inalterato il complessivo sistema di garanzie trasfuso nel nuovo Capo IV-bis della l. n. 241 del 1990, con particolare riguardo all'onere di comunicazione, all'acquisto di efficacia e - sussistendone le condizioni - al carattere di esecutorietà del provvedimento. Sotto tale aspetto, appare non plausibile che la scelta del legislatore del 2005, laddove si è risolta nella scelta di mantenere nell'economia complessiva della conferenza di servizi un momento claris verbis provvedimentale (art. 14-ter, cit., comma 9), sia da intendere come un sorta di lapsus calami del legislatore (atteso che il provvedimento non rappresenterebbe altro, se non un "atto meramente esecutivo e consequenziale delle determinazioni assunte in sede di conferenza di servizi" - si richiama nuovamente quanto affermato, nella vigenza della precedente disciplina: Cons. Stato, sent. 5708 del 2003, cit. ). In definitiva, è condivisibile l'orientamento secondo cui, anche all'indomani della riforma del 2005, la scelta di mantenere sostanzialmente inalterata la struttura bifasica testimonia un modello che il legislatore ha inteso far proprio nel fissare le regole di funzionamento della conferenza di servizi e che si compendia nella necessità che, all'esito dei lavori della conferenza decisoria, sopraggiunga pur sempre un provvedimento conclusivo (del quale la conferenza rappresenta solo un passaggio procedurale) avente la veste di atto adottato, in via ordinaria, da un organo monocratico dell'Amministrazione procedente. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 6.5.2013, n. 2417)
La semplificata e concentrata disciplina procedimentale ad hoc per l’autorizzazione unica regionale per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è definita dall'art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa al ... Continua a leggere
La tutela vincolististica delle Ville vesuviane: la previsione della pubblicazione dell’elenco nella Gazzetta ufficiale costituirebbe un adeguato strumento di conoscenza del vincolo che sostituisce l’usuale notificazione

Nel giudizio in esame la ricorrente ha acquistato una la villa vesuviana che decreto ministeriale 19 ottobre 1976 era stata stata inserita nell’elenco delle ville vesuviane, di cui all’art. 13 della legge 29 luglio 1971, n. 578. Con decreto 7 aprile 2003, n. 871 il Direttore generale del Ministeroper i beni culturali e ambientali ha esercitato il diritto di prelazione sulla predetta villa. Tale atto è stato impugnato dall’interessata innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania che accoglieva il ricorso in quanto non essendo stato il vincolo notificato e trascritto, non poteva essere opposto all’acquirente. Il Ministero per i beni e le attività culturali ha proposto appello che è' stato accolto dal Consiglio di Stato. Nella motivazione si legge che l’art. 1, terzo comma, della legge 1° giugno 1939 n. 1089 (Tutela delle cose di interesse artistico e storico) – con disposizione poi ripresa, in continuità della fattispecie, dall’art. 2, comma 2, lett. f) d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 e poi dall’art. 10, comma 4, lett. f) d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – elenca tra le cose di interesse storico e artistico (nella successiva terminologia: beni culturali) le ville che abbiano interesse artistico o storico. Il successivo art. 2 – con disposizione poi ripresa, in continuità della fattispecie, dall’art. 2, comma 1, lett. b) d.lgs. n. 490 del 1999 e poi dall’art. 10, comma 3, lett. d) d.lgs. n. 42 del 2004 - prevedeva che sono, altresì, sottoposte a tutela «le cose immobili che, a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, siano state riconosciute di interesse particolarmente importante». Mentre all’epoca dell’entrata in vigore della legge n. 578 del 1971 vigevano le disposizioni della l. n. 1089 del 1939, all’epoca (2003) dell’atto di prelazione per cui è causa vigevano quelle del d.lgs. n. 490 del 1999: ma, in ragione della continuità sostanziale delle norme ivi contenute, può farsi riferimento all’una e all’altra normativa. Gli artt. 2, comma 1, e 3 della l. n. 1089 del 1939 stabilivano che il Ministero competente notificasse in forma amministrativa le cose mobili e immobili riconosciute di interesse particolarmente importante. L’art. 2, comma 2, disponeva, poi, limitatamente ai beni immobili, che la notifica, su richiesta del Ministero, fosse trascritta nei registri immobiliari. Gli artt. 31-34 della stessa legge prevedevano che, in presenza di culturali cose d’arte, il Ministero competente potesse esercitare, nel caso di alienazione a titolo oneroso, il diritto di prelazione nel rispetto del procedimento prefigurato dalle stesse disposizioni. Similmente dispongono sia il d.lgs. n. 490 del 1999, sia oggi il d.lgs. n. 42 del 2004. La speciale legge n. 578 del 1971 ha previsto che «allo scopo di provvedere alla conservazione, al restauro e alla valorizzazione del patrimonio artistico costituito dalle ville vesuviane del secolo XVIII è costituito, sotto la vigilanza del Ministero della pubblica istruzione, un consorzio fra lo Stato, la regione Campania, la provincia di Napoli ed i comuni di Napoli, Ercolano, Portici, San Giorgio a Cremano, Torre Annunziata e Torre del Greco». L’art. 13 della stessa legge prevede che il consiglio di amministrazione dell’Ente provvede alla nomina, nel suo ambito, «di una commissione per la ricognizione delle ville vesuviane del secolo XVIII, avente lo scopo di rilevare le condizioni di ciascuna, di compilare l'elenco di quelle suscettibili di restauro e di indicare i lavori necessari per le relative opere». La stessa disposizione dispone che: «La commissione conclude i suoi lavori, entro sei mesi dalla propria costituzione, con una relazione da inviare, unitamente all'elenco di cui al primo comma, al Ministro per la pubblica istruzione, il quale, entro sessanta giorni dal ricevimento, approva l'elenco stesso e ne dispone la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale». Con il citato decreto ministeriale 19 ottobre 1976 è stato approvato il predetto elenco, nel cui ambito è stata inclusa anche la villa per cui è causa, che è stato, poi, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Chiarito ciò, per la risoluzione della controversia, occorre stabilire se l’esistenza del vincolo e la sua opponibilità, ai fini del successivo esercizio del diritto di prelazione, deve essere riconosciuta alla luce della legge generale o di quella speciale. Nello schema generale della legge del 1939 (e delle successive rammentate) le tipologie di cose ivi indicate vengono, in base ad un provvedimento di accertamento, assoggettate al particolare regime di tutela vincolistica. La sottoposizione del bene alle disposizioni di tutela discende in via diretta dalle intrinseche qualità e caratteristiche del bene (Cons. Stato, VI, 22 aprile 2010, n. 2278). La giurisprudenza amministrativa ha più volte avuto modo di affermare che la notificazione non ha di suo una funzione costitutiva del vincolo, perché segue ad una ricognizione delle intrinseche qualità della cosa dalla quale nasce l’applicazione oggettiva per essa di quel regime: la sua funzione è piuttosto preordinata a creare nel proprietario, possessore o detentore la conoscenza legale degli obblighi incombenti (Cons. giust. amm. sic. 4 febbraio 1985, n. 12; Cons. Stato, IV, 22 novembre 1967, n. 632). La trascrizione, per le cose immobili, assolve alla finalità di rendere opponibili ai terzi acquirenti il vincolo imposto. La legge speciale n. 578 del 1971 chiaramente si inserisce – per l’identità di ragione e di finalità – come normativa speciale rispetto alla ricordata normativa generale in tema di tutela dei beni culturali: la previsione di interventi o sussidi pubblici, o di particolari obblighi di fare testualmente ivi prevista (es. art. 14: «eseguire i lavori di consolidamento, manutenzione e restauro necessari per assicurare la conservazione, ovvero per impedire il deterioramento degli immobili»), logicamente presuppone l’insistenza quelli di non fare di cui alla legge generale, o gli altri assoggettamenti, come ad esempio la prelazione pubblica in caso di vendita. Nell’impostazione di questa legge speciale, la natura culturale del bene discende, anche in questo caso, dalle qualità intrinseche della cosa tutelata. La ricognizione che conduce alla costituzione in concreto e all’applicazione del regime di tutela si manifesta qui attraverso l’inclusione negli elenchi dell’art. 13. In principio, pertanto, è solo la modalità di questo accertamento costitutivo che caratterizza, sotto questo profilo, la legge speciale rispetto alla generale. Il metodo del pubblicando elenco (con le forme previste da quella legge), in luogo del notificando provvedimento individuo della legge generale, non muta la ragione e gli effetti dell’intervento amministrativo. Piuttosto, è da considerare che l’esistenza di una serie di cose immobili connotate sì da specifiche individualità, ma al tempo stesso unite da una comune caratterizzazione storica e tipologica, giustifica sia questa procedura a carattere collettivo, sia una conseguente peculiare disciplina di conoscenza dell’esistenza del vincolo, che è quella descritta dalla stessa legge speciale. E’ prevista, infatti, la pubblicazione dell’elenco nella Gazzetta ufficiale, che serve per rendere edotto sia l’attuale proprietario sia i successivi ed eventuali acquirenti dell’esistenza del vincolo. Tale forma di pubblicazione renderebbe un inutile aggravio la notifica individua in forma amministrativa e la successiva trascrizione. In definitiva, il legislatore ha ritenuto che, in presenza di un complesso di beni omogenei, quali sono le Ville vesuviane da iscrivere in quegli elenchi, fosse necessario sottoporle ad un regime specialistico che contempla quale unico e sufficiente strumento di conoscenza per il destinatario diretto del vincolo e per i suoi eventuali terzi acquirenti la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale. Il che sostituisce l’usuale notificazione. Deve, pertanto, ritenersi che al terzo acquirente sia opponibile l’apposizione del vincolo e pertanto legittimo l’esercizio del diritto di prelazione. Per le ragioni sin qui esposte l’atto con il quale è stato esercitato il diritto di prelazione si sottrae alle censure prospettate. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 6.5.2013, n. 2420)
Nel giudizio in esame la ricorrente ha acquistato una la villa vesuviana che decreto ministeriale 19 ottobre 1976 era stata stata inserita nell’elenco delle ville vesuviane, di cui all’art. 13 della legge 29 luglio 1971, n. 578. Con decreto 7 aprile 2003, n. 871 il Direttore generale del Ministero ... Continua a leggere
Nelle gare d’appalto ciascun membro di un’associazione temporanea può impugnare a titolo individuale gli atti della procedura

Per il consolidato orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato, nelle gare d’appalto, ciascun membro di un’associazione temporanea può impugnare a titolo individuale gli atti della procedura, atteso che il fenomeno del raggruppamento di imprese non dà luogo a un’entità giuridica autonomache escluda la soggettività delle singole imprese che lo compongono (v., per tutte, Cons. St., Ad. Plen., 15 aprile 2010, n. 1). Tale legittimazione - che si correla alla posizione sostanziale di interesse legittimo alla regolarità della procedura concorsuale, in relazione ai poteri autoritativi che fanno capo alla stazione appaltante nella fase di evidenza pubblica della selezione del contraente, ed alla consequenziale pretesa al risarcimento dei danni (in forma specifica e/o per equivalente monetario) – non viene meno, né trova limite quanto all’oggetto ed agli effetti della domanda di annullamento e della connessa domanda risarcitoria, ove taluno degli iniziali litisconsorti, individuati fra le imprese del raggruppamento costituito o costituendo, non impugni la sentenza sfavorevole di primo grado (oppure rinunzi al ricorso in corso di causa). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.5.2013, n. 2563)
Per il consolidato orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato, nelle gare d’appalto, ciascun membro di un’associazione temporanea può impugnare a titolo individuale gli atti della procedura, atteso che il fenomeno del raggruppamento di imprese non dà luogo a un’entità giuridica autonoma ... Continua a leggere