Gazzetta Informa News 3 Giugno 2013 - Area Tecnica


NORMATIVA

Prevenzione e repressione della corruzione e dell'illegalità nella P.A: prime indicazioni per l’adempimento agli obblighi di pubblicazione e trasmissione all’Avcp dei dati inerenti la trasparenza dell’azione amministrativa

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L'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici, servizi e forniture per dare seguito alla norma che dispone che le pubbliche amministrazioni devono assicurare livelli essenziali di trasparenza in merito ai procedimenti di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, servizi e forniture,inclusa la modalità di selezione prescelta ("Art. 1 comma 32 Legge n. 190/2012 recante ‘Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione’), ha emanato la Deliberazione n. 26 del 2013, che fornisce le prime indicazioni sull’assolvimento degli obblighi di pubblicazione e trasmissione delle informazioni all’Avcp.Contestualmente sono state emanate, con il Comunicato del Presidente del 22 maggio, le specifiche tecniche per l’adempimento degli obblighi di pubblicazione.Nella sezione Modulistica del sito dell' AVCP è disponibile il modulo per la dichiarazione di adempimento agli obblighi di pubblicazione dei dati. Per la lettura della deliberazione e del comunicato cliccare sul titolo sopra linkato. (AVCP, comunicato del 30.5.2013)

 
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L'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici, servizi e forniture per dare seguito alla norma che dispone che le pubbliche amministrazioni devono assicurare livelli essenziali di trasparenza in merito ai procedimenti di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, servizi e forniture, ... Continua a leggere

 
GIURISPRUDENZA

Il termine per l’impugnazione di strumenti urbanistici attuativi, quali piani di lottizzazione o piani di recupero, da parte di soggetti terzi perché non direttamente contemplati in essi, quali i confinanti, decorre dall'ultimo giorno di pubblicazione della deliberazione di approvazione nell'albo del comune

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Osserva il collegio nella sentenza in esame che, in base ad una consolidata giurisprudenza la notificazione individuale di strumenti urbanistici attuativi è prevista esclusivamente nei confronti dei proprietari direttamente incisi dalla nuova disciplina (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. 29 dicembre2010 n. 9537) e che "in caso d’impugnazione di strumenti urbanistici attuativi, quali piani di lottizzazione o piani di recupero, da parte di soggetti terzi perché non direttamente contemplati in essi, quali i confinanti, il termine per l'impugnazione decorre dall'ultimo giorno di pubblicazione della deliberazione di approvazione nell'albo del comune" (Cons. Stato, sez. VI, sent. 10 aprile 2003 n. 1910, e sez. IV, sent. 25 luglio 2005 n. 3930). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.5.2013, n. 2848)

 
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Sistema delle gare centralizzate e delle convenzioni CONSIP: l’ente non è tenuto a priori a bandire una gara, prima di aderire alla convenzione-quadro, la cui funzione istituzionale è proprio quella di rendere superflua l’indizione di gare separate per i singoli contratti dei singoli enti

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L'Amministrazione ha una pluralità opzioni per l’effettuazione di servizi relativi a beni del proprio patrimonio. Gli interventi manutentivi e gestori del patrimonio aziendale possono, in primo luogo, essere svolti direttamente dall’ente, avvalendosi di proprie risorse umane e materiali. E’ poi consentito l’ affidamento a terzi secondo i criteri di concorrenzialità ed accesso recepiti dal codice dei contratti pubblici o tramite adesione al sistema centralizzato delle convenzioni stipulate dalla CONSIP. Come posto in rilievo dalla società appellante nell’ultima delle indicate modalità non vengono in discussione le regole dell’evidenza pubblica, che si è già consumata a monte in sede di gara centralizzata. Segue che la singola impresa operante nel settore di mercato cui è riferito l’appalto che si contesta è priva di legittimazione quanto alla scelta del criterio selettivo del gestore del servizio, nella specie avvalendosi del sistema centralizzato, valorizzato dalla legislazione sia nazionale, che regionale, e garante dei concorrenti profili di idoneità tecnica degli affidatari e di economicità dei costi. Tale conclusione è in linea con i principi sanciti nella decisione dell’ Adunanza Plenaria n. 4 del 2011 che riconduce la legittimazione dell’operatore del settore, non partecipante alla gara, a censurare le scelte della stazione appaltante nei limiti dell’indizione o meno della gara; nei casi del ricorso ad affidamenti diretti; in presenza di clausole del bando escludenti. Non ricorrono nella specie le ultime due delle elencate ipotesi, né si versa a fronte della prima, perché il modello nazionale CONSIP non si pone in contrasto con le regole dell’evidenza pubblica. Va, inoltre, escluso che la legittimazione all’impugnazione possa ricondursi alla qualità di precedente gestore del servizio, per di più in associazione con altre imprese, in una sorta di diritto di insistenza a conservare la qualità di affidatario. Ai sensi dell’art. 57, ultimo comma, del d.lgs. n. 163 del 2006 è invero precluso ogni rinnovo del contratto oltre i termini stabiliti nell’originaria procedura di affidamento. La legittimazione all’impugnativa non può, inoltre ricondursi ad elementi probabilistici, futuri, incerti o solamente virtuali di una migliore convenienza economica per l’ Amministrazione derivante dall’indizione di un esperimento di gara al quale, come potenziale aggiudicataria, avrebbe partecipato la ricorrente in prime cure. In tale ottica si è, invero, mosso il primo giudice, muovendo da un giudizio comparativo fra le condizioni economiche del contratto derivante dall’ adesione alla convenzione CONSIP ed i contenuti di un possibile contratto da stipularsi agli stessi costi praticati dal precedente affidatario. Ma, come innanzi detto, si tratta di uno scenario futuro ed incerto, subordinato all’esperimento di una procedura competitiva non prevedibile nel suo esito. L’ Amministrazione si è, invece, mossa in un contesto normativo volto a privilegiare il ricorso al sistema degli acquisti secondo le convenzioni quadro definite dalla CONSIP, con scelta che non si esaurisce nel solo criterio di economicità, ma investe anche le qualità soggettive degli operatori economici, dei quali è stato accertato il peculiare grado di affidabilità in base ai criteri selettivi osservati nelle gare centralizzate. D’altra parte, sembra evidente che l’intero sistema delle gare centralizzate e delle convenzioni CONSIP (sistema peraltro privilegiato dal legislatore per ragioni ben note e qui non sindacabili) mancherebbe di senso e di ragion d’essere se si dovesse accogliere il principio (recepito dal T.A.R. con la sentenza appellata) che la possibilità di acquisire un servizio e/o una fornitura mediante adesione alla convenzione CONSIP non esoneri l’ente committente dal dovere di bandire una gara di evidenza pubblica. Semmai si potrà discutere se, ed a quali condizioni ed entro quali limiti, l’ente committente sia autorizzato, o addirittura tenuto, a disattendere la convenzione-quadro nel momento in cui riceva una proposta alternativa, pienamente comparabile per omogeneità di contenuti e significativamente più vantaggiosa; ma altra cosa è dire che l’ente sia tenuto a priori a bandire una gara, prima di aderire alla convenzione-quadro, la cui funzione istituzionale invece è proprio quella di rendere superflua l’indizione di gare separate per i singoli contratti dei singoli enti. Nella vicenda concreta, invero, osta all’introduzione del giudizio comparativo fra il potenziale affidatario e le condizioni economiche della convenzione CONSIP la non omogeneità delle fattispecie messe a confronto, stante la non identità delle prestazioni da introdursi nel nuovo contratto rispetto a quelle in precedenza praticate, e la non sovrapponibilità con il precedente dell’ambito territoriale cui è riferito il nuovo contratto. In conclusione si versa a fronte di una scelta dell’ Amministrazione espressione di discrezionalità tecnica che per il suo oggetto si sottrae a sindacato di merito e, quanto al metodo di selezione del contraente, trae fondamento in una pluralità di opzioni alternative (indizione di pubblica gara o ricorso alla convenzione CONSIP) di cui la seconda risulta privilegiata dal Legislatore sia nazionale e che regionale (cfr. art. 1, comma 455 e segg., della legge n. 296 del 2006, sulle centrali si committenza in ambito regionale secondo il modello nazionale CONSIP, e l’art. 14 della L.R. n. 10 del 2002). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 24.5.2013, n. 2842)

 
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L'Amministrazione ha una pluralità opzioni per l’effettuazione di servizi relativi a beni del proprio patrimonio. Gli interventi manutentivi e gestori del patrimonio aziendale possono, in primo luogo, essere svolti direttamente dall’ente, avvalendosi di proprie risorse umane e materiali. E’ poi co ... Continua a leggere

 

Niente indennizzo se la procedura di evidenza pubblica si sia bloccata alla fase dell'aggiudicazione provvisoria, poiché in tal caso manca l'adozione di un provvedimento amministrativo ad "efficacia durevole"

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La giurisprudenza, per le ipotesi in cui la revoca intervenga nei confronti di un’aggiudicazione provvisoria, sottolinea che in tema di contratti pubblici la possibilità che ad un'aggiudicazione provvisoria non segua quella definitiva è un evento del tutto fisiologico, disciplinato dagli artt. 11,comma 11, 12 e 48, comma 2, del d.lgs. 163/2006, inidoneo di per sé a ingenerare qualunque affidamento tutelabile con conseguente obbligo risarcitorio, qualora non sussista nessuna illegittimità nell'operato dell’Amministrazione (Cons. Stato, VI, 19 gennaio 2012, n. 195; 27 luglio 2010, n. 4902; 17 marzo 2010, n. 1554; V, 15 febbraio 2010, n. 808). La giurisprudenza, inoltre, con riferimento all’art. 21-quinquies, comma 1, della legge 241/1990, ritiene che non debba essere riconosciuto il diritto all'indennizzo qualora la procedura di evidenza pubblica si sia bloccata alla fase dell'aggiudicazione provvisoria, poiché in tal caso manca l'adozione di un provvedimento amministrativo ad "efficacia durevole", caratteristica questa da attribuire soltanto all'aggiudicazione definitiva (cfr. Cons. Stato, III, n. 4116/2012, cit.; IV, n. 195/2012; vedi anche, TAR Toscana, I, 12 giugno 2012, n. 1154). Pertanto, a maggior ragione, la pretesa risarcitoria o indennitaria deve essere esclusa, qualora, come nel caso in esame, la revoca sia stata disposta quando era ancora in corso la valutazione delle offerte (cfr., in relazione alla revoca del bando, prima dell’aggiudicazione provvisoria, TAR Lazio, III, 2 luglio 2012, n. 6024; TAR Campania, Napoli, VIII, 5 aprile 2012, n. 1646). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 24.5.2013, n. 2838)

 
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Prima dell’aggiudicazione definitiva la stazione appaltante non ha l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento di revoca al concorrente, anche se aggiudicatario provvisorio

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La giurisprudenza esclude che prima dell’aggiudicazione definitiva, la stazione appaltante abbia l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento di revoca al concorrente, anche se aggiudicatario provvisorio (cfr. Cons. Stato, V, 18 luglio 2012, n. 4189; 21 novembre 2007, n. 5925; 24 marzo 2006, n.1525). In particolare, la giurisprudenza ritiene che l'aggiudicazione provvisoria, quale atto endoprocedimentale che determina una scelta non ancora definitiva del soggetto aggiudicatario della gara, non faccia nascere in capo all'interessato un mera aspettativa alla conclusione del procedimento, e di conseguenza, al contrario dell'aggiudicazione definitiva, sia inidonea ad ingenerare il legittimo affidamento che impone l'instaurazione del contraddittorio procedimentale prima della revoca in autotutela (cfr. Cons. Stato, III, 11 luglio 2012, n. 4116; V, 23 giugno 2010, n. 3966). Per altro verso, è stato affermato che non sussiste l'obbligo dell'amministrazione di comunicare agli interessati l'avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7 della legge 241/1990, giacché il procedimento procedimento al cui interno si colloca, appunto, l'aggiudicazione provvisoria e che è destinato a concludersi positivamente con l'aggiudicazione definitiva ovvero negativamente, con la revoca dell' aggiudicazione provvisoria, è già stato avviato con l'atto di indizione della gara (cfr., Cons. Stato, III, n. 4116/2012, cit.; IV, 19 marzo 2003, n. 1457; 29 ottobre 2002 n. 5903). A maggior ragione deve ritenersi insussistente l’onere di attivare una preventiva fase di partecipazione, qualora, come nel caso in esame, non sia stata disposta neanche l’aggiudicazione provvisoria, dal momento che il partecipante (quand’anche, come avviene nel caso di specie, sia l’unico per il lotto di cui si tratta) non ha acquisito, in relazione allo stato della procedura, una posizione di vantaggio concreta, e comunque tale da far sorgere, nel contesto del procedimento amministrativo in corso, un interesse qualificato e differenziato e quindi meritevole di tutela attraverso detta comunicazione. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 24.5.2013, n. 2838)

 
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Vincoli paesistici: è pienamente ammissibile e legittima l’esclusione di determinati interventi di trasformazione se valutati incompatibili con la "conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato"

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"I vincoli paesistici non sono più, dopo le recenti riforme (in particolare il D. Lgs. 63/2008), dei meri atti di accertamento del valore estetico dei beni tutelati privi di contenuto prescrittivo, ma dei contenitori di regole e prescrizioni d’uso stabilite a priori e non più rimesse alla esclusivadecisione dell’autorità competente alla gestione del vincolo, com’era in passato". Al riguardo si deve aggiungere che assume peculiare rilevanza il disposto dell’art. 140 comma 2 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (recante "Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137"), come novellato dall’art. 2, comma 1, lettera l) del d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63, a tenore del quale: "La dichiarazione di notevole interesse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato". La disposizione evidenzia il passaggio da una logica vincolistica di tipo statico-strutturale, nella quale all’imposizione del vincolo conseguiva l’esigenza di acquisire e valutare, volta a volta, gli interventi compatibili, ad una logica dinamico-funzionale, secondo la quale l’atto impositivo del vincolo già individua il quadro essenziale degli interventi ammissibili e di quelli vietati. In tale contesto, è evidente che è pienamente ammissibile e legittima l’esclusione di determinati interventi di trasformazione, quando valutati incompatibili con la "conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato". (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.5.2013, n. 2836)

 
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Conferenza di servizi: il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni deve essere un "dissenso costruttivo" con la necessaria indicazione delle modifiche progettuali utili all’espressione dell’assenso, ossia al superamento delle ragioni del dissenso

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L’art. 14-quater Legge n. 241/90 stabilisce che: "Il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni ivi comprese quelle preposte alla tutela ambientale regolarmente convocate alla conferenza di servizi, a pena di inammissibilità, deve essere manifestato nella conferenza di servizi, deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso". Deve dunque trattarsi di "dissenso costruttivo", e la sua motivazione, nonché la necessaria indicazione delle modifiche progettuali utili all’espressione dell’assenso, ossia al superamento delle ragioni del dissenso, "…è conforme non solo all’esigenza dell’effettivo perseguimento degli obiettivi di semplificazione e di accelerazione dell’azione amministrativa, ma anche nell’ottica dell’altro principio di leale collaborazione cui pure devono essere improntati i rapporti tra le varie pubbliche amministrazioni" (Cons. Stato, Sez. V, 23 maggio 2011, n. 3099). In altri termini, la motivazione e la coeva individuazione, ove possibili, di modifiche progettuali atte a superare i profili ostativi al rilascio del provvedimento (nella specie, dell’autorizzazione integrata ambientale), mirano ad evitare una duplicazione di procedimenti, la dilatazione dei tempi di definizione, la stessa insorgenza di contenziosi amministrativi e giurisdizionali, in ossequio ai principi generali di economicità, di efficacia e di pubblicità già enunciati nel testo originario dell’art. 1 della legge n. 241/1990, ora "implementati" con il richiamo, peraltro già desumibile dai principi generali costituzionali sull’attività amministrativa, ex art. 97 Cost., a quelli di imparzialità e trasparenza. Peraltro, lo stesso modulo procedimentale della conferenza di servizi rispecchia finalità di economicità, efficacia, pubblicità, con la concentrazione, in un unico luogo procedimentale, di tutti i pareri, nullaosta, atti di assenso, in funzione di un esame complessivo, bilanciato e contemperato, di tutti gli interessi pubblici coinvolti dall’emanazione del provvedimento finale, come espressi dai vari enti e organi invitati e titolati a parteciparvi in funzione della cura loro istituzionalmente attribuita di quegli interessi, nonché del costruttivo confronto con gli stessi dell’interesse del privato all’emanazione del provvedimento. Ne consegue che, in presenza di "dissensi" correlati a specifici aspetti progettuali, come emersi nella conferenza di servizi, l’Autorità competente avrebbe dovuto segnalarli puntualmente, e, comunque, non avrebbe potuto esimersi dal sottoporre le modifiche progettuali formulate, a seguito del preavviso di diniego, ad esame, mediante riconvocazione della conferenza di servizi. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.5.2013, n. 2836)

 
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L’art. 14-quater Legge n. 241/90 stabilisce che: "Il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni ivi comprese quelle preposte alla tutela ambientale regolarmente convocate alla conferenza di servizi, a pena di inammissibilità, deve essere manifestato nella conferenza di servizi, dev ... Continua a leggere

 

L'informativa prefettizia atipica non legittima la risoluzione automatica del contratto d'appalto

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L'informativa prefettizia "atipica" non ha carattere automaticamente interdittivo, ma l'amministrazione deve sempre compiere una valutazione sulla conservazione del rapporto contrattuale, proprio perché l'art. 11 del D.P.R. n. 252/98 e l'art. 4 del D.lg. n. 490 del 1994 implicano l'esercizio di unpotere discrezionale e l'assenza di qualsiasi automatismo (Consiglio di Stato, sez. VI, 19 gennaio 2012, n. 197; Consiglio di Stato, sez. III, 14 settembre 2011, n. 5130; Consiglio di Stato, sez. VI, 4 luglio 2011, n. 3999); e di una tale valutazione, occorre sottolineare, non v’è traccia nei provvedimenti oggetto del giudizio. Infine, a nulla vale il richiamo fatto dal Comune appellante alle clausole del Protocollo di legalità, accettate dall’impresa, che non fa venir meno l’onere di motivazione della revoca dell’affidamento a carico della stazione appaltante. Il Protocollo è da interpretare nel senso che impone la risoluzione automatica del contratto, senza alcuna possibilità di valutazione da parte della stazione appaltante, solo in presenza di informativa prefettizia tipica, ossia di informativa interdittiva, e non anche di informativa atipica (Consiglio di Stato, sez. VI, 4 luglio 2011, n. 3999). Neppure l’accettazione della clausola n. 4 delle norme pattizie di cui al Protocollo di legalità comporta la risoluzione immediata e automatica del contratto, in quanto la clausola si riferisce chiaramente alle eventuali informazioni interdittive, di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998, e non all’informativa "atipica". (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 24.5.2013, n. 2835)

 
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Il Consiglio di Stato boccia l'avvalimento a cascata: l’ordinamento non consente di avvalersi di un soggetto che a sua volta utilizza i requisiti di un altro soggetto, sia pure ad esso collegato

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L’ordinamento di per sé prevede il collegamento societario quale presupposto eventuale per l’avvalimento da parte di un concorrente dei requisiti posseduti da un altro soggetto, e che in tale evenienza l’art. 49 del D.L.vo 163 del 2006 consente di comprovare il vincolo giuridico fra i due soggettimediante una dichiarazione di appartenenza al gruppo societario, dispensando l’ausiliata dalla produzione di un apposito contratto di avvalimento; in tale evenienza, quindi, il collegamento societario non si cumula con l’istituto dell’avvalimento, ma ne rappresenta un possibile fattore genetico e giustificativo idoneo a dimostrare, sul piano sostanziale, una comunanza di interessi fra i due soggetti interessati al prestito dei requisiti. E, se così è, l’ordinamento non consente di avvalersi di un soggetto che a sua volta utilizza i requisiti di un altro soggetto, sia pure ad esso collegato, posto che in tal modo verrebbe si realizzerebbe una fattispecie di avvalimento, per così dire, "a cascata", non ricavabile come consentita dal predetto art. 49. Va soggiunto che – sempre come correttamente ha affermato il giudice di primo grado - la deroga al principio di personalità dei requisiti di partecipazione alla gara è strettamente collegata alla possibilità di avere un rapporto diretto ed immediato con l’impresa ausiliaria, dalla quale l’impresa ausiliata è legata in virtù della dichiarazione di responsabilità resa dalla prima e - eventualmente -dalla stipulazione di un contratto, dal cui discende una responsabilità solidale delle due imprese in relazione all’intera prestazione dedotta nel contratto da aggiudicare: e l’innesto di un ulteriore passaggio tra l’impresa che partecipa alla gara e l’impresa che possiede i requisiti infrangerebbe per certo questo ineludibile vincolo di responsabilità che giustifica il ricorso all’istituto dell’avvalimento ed alla deroga del principio del possesso in proprio dei requisiti di gara. Va anche evidenziato che l’insieme di tali argomenti è già stato condiviso dalla giurisprudenza. In particolare, è già stato affermato che l’istituto dell’avvalimento risponde all’esigenza della massima partecipazione alle gare consentendo ai concorrenti, che siano privi dei requisiti richiesti dal bando, di concorrere ricorrendo ai requisiti di altri soggetti, e che – nondimeno – l’istituto medesimo va letto in coerenza con la disciplina di fonte comunitaria, la quale è sicuramente deputata a favorire la massima concorrenza, ma come condizione di maggior garanzia e di sicura ed efficiente esecuzione degli appalti; e da ciò, pertanto, scaturisce la duplice conseguenza che la possibilità di ricorrere a soggetti ausiliari presuppone che i requisiti mancanti siano da questi integralmente e autonomamente posseduti, senza poter estendere teoricamente all’infinito la catena dei possibili sub-ausiliari e che va pertanto escluso dalla gara chi si avvale di impresa ausiliaria a sua volta priva del requisito richiesto dal bando nella misura sufficiente ad integrare il proprio requisito di qualificazione mancante (cfr. sul punto e tra le più recenti, ad es., Cons. Stato, Sez. III, 1 ottobre 2012 n. 5161). Va anche evidenziato che, sempre secondo la giurisprudenza, il rapporto di partecipazione societaria. anche sotto forma di holding non è certamente idoneo a dimostrare che una delle imprese della holding medesima possa ipso facto disporre dei requisiti tecnici, organizzativi e finanziari di un’altra, e viceversa (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 20 novembre 2008 n. 5742). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.5.2013, n. 2832)

 
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L’ordinamento di per sé prevede il collegamento societario quale presupposto eventuale per l’avvalimento da parte di un concorrente dei requisiti posseduti da un altro soggetto, e che in tale evenienza l’art. 49 del D.L.vo 163 del 2006 consente di comprovare il vincolo giuridico fra i due soggetti ... Continua a leggere

 

Incompatibilità della retrocessione con l'accessione invertita: se si ritiene configurarsi accessione invertita non vi è stata espropriazione e, quindi, non può esservi retrocessione; se invece si richiede la retrocessione, non si può che essere in presenza di un bene in precedenza espropriato e, in tutto o in parte, non utilizzato per le finalità di interesse pubblico legittimanti la precedente espropriazione

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Il Consiglio di Stato ha già affrontato il tema della compatibilità dell’istituto della retrocessione con ipotesi nelle quali si sia verificata la cd. accessione invertita. Con sentenza 15 dicembre 2011 n. 6619, il Collegio ha rilevato che l’istituto della retrocessione, sia in base alla legge n. 2359/1865, sia attualmente ai sensi degli articoli 46 (retrocessione totale) e 47 (retrocessione parziale) del DPR n. 327/2001, presuppone, a monte, un procedimento espropriativo conclusosi con l’emanazione del decreto di esproprio. Ed infatti, l’art. 46, espressamente prevede, per il caso di retrocessione totale: (comma 1) "se l'opera pubblica o di pubblica utilità non è stata realizzata o cominciata entro il termine di dieci anni, decorrente dalla data in cui è stato eseguito il decreto di esproprio, ovvero se risulta anche in epoca anteriore l'impossibilità della sua esecuzione, l'espropriato può chiedere che sia accertata la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e che siano disposti la restituzione del bene espropriato e il pagamento di una somma a titolo di indennità". A sua volta, l’art. 47, in tema di retrocessione parziale, prevede "1. Quando è stata realizzata l'opera pubblica o di pubblica utilità, l'espropriato può chiedere la restituzione della parte del bene, già di sua proprietà, che non sia stata utilizzata. In tal caso, il soggetto beneficiario della espropriazione, con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, trasmessa al proprietario ed al Comune nel cui territorio si trova il bene, indica i beni che non servono all'esecuzione dell'opera pubblica o di pubblica utilità e che possono essere ritrasferiti, nonché il relativo corrispettivo. 2. Entro i tre mesi successivi, l'espropriato invia copia della sua originaria istanza all'autorità che ha emesso il decreto di esproprio e provvede al pagamento della somma, entro i successivi trenta giorni. 3. Se non vi è l'indicazione dei beni, l'espropriato può chiedere all'autorità che ha emesso il decreto di esproprio di determinare la parte del bene espropriato che non serve più per la realizzazione dell'opera pubblica o di pubblica utilità." Come è dato osservare, l’intera definizione normativa dell’istituto – in disparte l’uso inequivocabile delle definizioni di "espropriato" e di "soggetto beneficiario dell’espropriazione" – presuppone il valido compimento di un procedimento espropriativo, fino alla sua corretta conclusione con il decreto di esproprio, e quindi il prodursi dell’effetto estintivo/acquisitivo del diritto di proprietà. Come peraltro la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già affermato (Cons. Stato, sez. V, 25 novembre 2002 n. 6470), è la dichiarazione di inservibilità del bene espropriato per la realizzazione di opera pubblica e non utilizzato ad avere valenza costitutiva, per i soggetti espropriati o per i loro aventi causa, del diritto soggettivo alla retrocessione. L’istituto dell’accessione invertita, di creazione giurisprudenziale (Cass. Sez. Un., 26 febbraio 1983 n. 1264; 10 giugno 1988 n. 3940) - pur senza necessità di entrare nel merito (e nell’attualità) dell’istituto medesimo - presuppone, invece, proprio una occupazione di un bene da parte della Pubblica Amministrazione (quantomeno) in assenza di legittima conclusione del procedimento espropriativo entro i termini previsti dalla dichiarazione di pubblica utilità. Proprio per questo, la giurisprudenza ha collegato l’effetto acquisitivo del diritto di proprietà alla irreversibile destinazione del suolo all’opera pubblica, con diritto al risarcimento del danno conseguente all’illecito commesso dalla pubblica amministrazione. Da ciò consegue l’incompatibilità, sul piano logico – giuridico, dei due istituti: ed infatti, se si ritiene configurarsi accessione invertita non vi è stata espropriazione e, quindi, non può esservi retrocessione (l’area non può non essere stata dichiarata come "irreversibilmente trasformata"); se invece si richiede la retrocessione, non si può che essere in presenza di un bene in precedenza espropriato e, in tutto o in parte, non utilizzato per le finalità di interesse pubblico legittimanti la precedente espropriazione. Occorre, infine, notare che il legislatore, anche quando ha inteso estendere l’istituto della retrocessione alla ben più semplice ipotesi di procedimenti espropriativi non conclusisi con il decreto di esproprio (ma per il tramite di cessione volontaria), lo ha espressamente affermato (v. art. 45, co. 4, DPR n. 327/2001) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.5.2013, n. 2825)

 
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Il difetto di competenza del Sindaco a rilasciare la concessione edilizia impugnata è stato sanato per effetto della ratifica effettuata con atto adottato dal segretario comunale ex art. 6, l. n. 249/68 anche in pendenza di ricorso giurisdizionale

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Nel giudizio in esame il Collegio ha rilevato come il difetto di competenza del Sindaco a rilasciare la concessione edilizia impugnata è stato sanato per effetto della ratifica effettuata con atto adottato dal segretario comunale in ossequio alle coordinate sancite dall’art. 6, l. n. 249/68, espressione del principio di conservazione degli atti giuridici operante, anche in pendenza di ricorso giurisdizionale, al fine di soddisfare l’interesse pubblico da identificare in re ipsa nell’eliminazione del vizio di incompetenza che affligge l’atto (in termini, Cons. Stato., ad. plen., 9 marzo 1984 n. 5); è appena il caso di osservare, inoltre, che tale peculiare procedura di convalida è sopravvissuta alla riforma della l. n. 241 del 1990 operata dalla l. n. 15 del 2005 (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 2894 del 2007). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.5.2013, n. 2782)

 
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Se l’Amministrazione ha escluso dalla gara il concorrente, questi non ha la legittimazione ad impugnare l’aggiudicazione, a meno che non ottenga una pronuncia di accertamento della illegittimità dell’esclusione

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ln virtù dell’insegnamento fondamentale contenuto nella sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 7 aprile 2011 nel caso in cui l’Amministrazione abbia escluso dalla gara il concorrente, questi non ha la legittimazione ad impugnare l’aggiudicazione al controinteressato, a menoche non ottenga una pronuncia di accertamento della illegittimità dell’esclusione. Infatti, la legittima esclusione del partecipante esclude in radice il titolo di partecipazione su cui si fondava la legittimazione del ricorso. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.5.2013, n. 2765)

 
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Apertura di una struttura commerciale: ai fini della legittimazione ad impugnare l'autorizzazione non basta la semplice vicinitas con l'esercizio di nuova istituzione

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In materia edilizia, e con esclusivo riferimento soltanto a tale materia, il Consiglio di Stato ha già più volte precisato con un indirizzo assolutamente prevalente (anche se non completamente univoco) che, ai fini della legittimazione a impugnare un permesso di costruire da parte del proprietarioconfinante, è sufficiente la semplice vicinitas, ossia la dimostrazione di uno stabile collegamento materiale fra il suolo del ricorrente e quello interessato dai lavori, escludendosi in tal caso la necessità di dare dimostrazione di un pregiudizio specifico e ulteriore (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 15 maggio 2012, n. 2753; contra, di recente, soltanto Consiglio di Stato, sez. IV, 27 gennaio 2012, n. 420). Infatti, il Consiglio di Stato ha ribadito l'indirizzo per cui, ai fini della legittimazione a impugnare un permesso di costruire da parte del proprietario confinante, è sufficiente la semplice vicinitas, ossia la dimostrazione di uno stabile collegamento materiale fra il suolo del ricorrente e quello interessato dai lavori conformandosi alla giurisprudenza assolutamente prevalente al riguardo (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. IV, 23 gennaio 2012, n. 284; 16 marzo 2011, n. 1645; 5 gennaio 2011, n. 18; sez. VI, 1° febbraio 2010, n. 400). Al contrario, per citare un esempio in settori diversi, in tema di autorizzazione all'apertura di una struttura commerciale, questo Consiglio ha ritenuto non sufficiente, per comprovare la legittimazione e l'interesse a ricorrere in via giurisdizionale, la dimostrazione della semplice vicinitas con l'esercizio di nuova istituzione, occorrendo comprovare l'esistenza di un pregiudizio specifico, diretto e immediato (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 12 settembre 2007, n. 4821). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.5.2013, n. 2757)

 
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Monopoli di Stato, percorso agevolato per l’assegnazione della rivendita rimasta vacante in favore del coadiutore

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Il soggetto coadiutore che ha svolto per almeno sei mesi il servizio con tale qualifica senza incorrere in rilievi può giovarsi della possibilità di vedersi assegnato in via definitiva la rivendita rimasta vacante e solo allora e a tale precipuo scopo deve provare di avere la disponibilità del locale dove la rivendita ha sede o di altro idoneo locale. Questo il principio sancito dal Consiglio di Stato nella sentenza in esame. La vicenda riguarda il gravame proposto l'AAMS con il quale contesta la sussistenza in capo all’appellata dei requisiti prescritti dalla legge (combinato disposto degli artt.25 e 28 della legge n.1293/1957 e art.65 DPR n.1074 del 1958) per farsi luogo sia alla gerenza provvisoria della licenza di rivendita dei generi di monopolio in caso di vacanza della stessa (nella specie per l’avvenuta scomparsa della originaria titolare) sia alla concessione definitiva e si difende perciò la validità del provvedimento di decadenza che avrebbe posto in evidenza per l'appellata l’assenza dei titoli legittimanti le già ottenute assegnazioni (quella provvisoria e quella definitiva). Parte appellante mette in sostanza in discussione la sussistenza in capo all’appellata del requisito sia soggettivo e/o personale sia oggettivo previsti dalla normativa sopra indicata per ottenere i benefici de quibus, costituiti rispettivamente dal possesso della qualifica di coadiutore ed esperienza lavorativa semestrale con tale status e dall’avere contestualmente la disponibilità dei locali dove la rivendita (resasi vacante) trovasi ubicata. Con riferimento al primo dei predetti requisiti l’art.28 della legge n.1923 del 1975 consente la presenza di un primo ed anche di un secondo coadiutore nella gestione della rivendita, prevedendo per entrambe tali figure la possibilità, in ipotesi di vacanza della rivendita di ottenere l’assegnazione della stessa alle condizioni e modalità di cui all’art. 65 del DPR 14 ottobre 1958 n. 1074. Per completezza, quest’ultima norma stabilisce che è in facoltà dell’Ispettorato compartimentale di assegnare a trattativa privata o in diretta gestione la rivendita vacante al coadiutore che abbia svolto le sue mansioni per sei mesi senza aver dato luogo a rilievi e che provi " per essere ammesso al beneficio di avere la disponibilità del locale dove la rivendita trovasi ubicata o di altro idoneo nelle immediate vicinanze" . A tale proposito risulta per tabulas che l’appellata ha ricoperto la figura di seconda coadiutrice e quindi il possesso di tale qualifica le va riconosciuto, non potendo valere il preliminare rilievo della difesa dell’appellante volto ad inficiare la qualificazione soggettiva di coadiutrice e fondato, specificatamente, sulla denunciata pendenza di un procedimento penale avente ad oggetto l’eventuale falsità della sottoscrizione apposta in calce all’atto di conferimento dell’incarico de quo in favore dell'appellata. In vero, in assenza di un decisum avente valenza di giudicato, all’attualità non può essere negata la sussistenza in capo all’interessata dal requisito soggettivo di che trattasi, non potendo fare stato, ai fini della affermata invalidità, la pendenza di un procedimento penale che trovasi in una fase istruttoria del processo ( rimessione della causa innanzi al GIP ) . Ciò preliminarmente precisato, parte appellante fonda la tesi della mancanza di legittimazione ad avere le concessione in parola, sulla base di una prima propedeutica osservazione secondo la quale l’appellata non poteva vantare la gerenza provvisoria dal momento che non aveva contestualmente a quella data la disponibilità del locale oltrechè la qualifica di coadiutore. Ora, premesso che l'appellata era da tempo in possesso della qualifica di coadiutore e che tale veste essa rivestiva "all’atto della vacanza " l’ assunto difensivo sopra illustrato appare erroneo, in quanto non supportato da una piana lettura delle disposizioni di cui al combinato disposto dell’art.28 della legge n.1923/75 e dell’art. 65 del DPR n. 1074 del 1958 che, per come formulati, non presuppongono affatto per la cosiddetta gerenza provvisoria il contestuale possesso dei requisiti più volte accennati. In realtà, dalla piana lettura delle disposizioni in parola si evince un percorso logico articolato nel senso che il soggetto coadiutore che ha assunto tale qualifica e ha svolto per almeno sei mesi il servizio con tale qualifica senza incorrere in rilievi, per questo solo fatto può giovarsi della possibilità di vedersi assegnato in via definitiva la rivendita rimasta vacante e solo allora e a tale precipuo scopo deve provare di avere la disponibilità del locale dove la rivendita ha sede o di altro idoneo locale. In definitiva, dal senso logico- letterale della normativa in rilievo, si può agevolmente evincere che è stato configurato un "percorso agevolato" ai fini dell’assegnazione della rivendita rimasta vacante in favore del coadiutore (significativa al riguardo è la dizione " per essere ammesso al beneficio" utilizzata dal citato art.65 ) in modo da consolidare quella sorta di continuum nella gestione dell’attività di rivendita tra il dante causa originario assegnatario e il suo collaboratore già inserito nell’organizzazione di vendita ). Tenuto conto di siffatto favor si comprende anche la portata dell’onere attenuato costituito dalla dimostrazione da parte del coadiutore della disponibilità del locale già sede di rivendita o di altro locale idoneo posto nelle vicinanze, lì dove il legislatore anche qui ha inteso dare rilevanza a circostanze di fatto comunque univocamente dirette ad assicurare la continuazione dell’attività di rivendita. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.5.2013, n. 2744)

 
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E' inammissibile il ricorso avverso le disposizioni di P.R.G. che non e' stato notificato, oltre che al Comune, anche alla Regione

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"La giurisprudenza è concorde nel ritenere che il ricorso avverso le disposizioni di p.r.g. vada notificato, oltre che al Comune, anche alla Regione, in considerazione della natura complessa dell’atto impugnato e del concorso della volontà di entrambi gli enti alla sua formazione definitiva (Cons.Stato, Sez. II, 12 dicembre 1990, n. 358), e che l’omesso assolvimento di tale onere implica l’inammissibilità del ricorso, per la sua mancata notificazione ad una delle autorità emananti (Cons. Stato, Sez. V, 19 maggio 1998, n.616). Nella vicenda in esame il Collegio ha ritenuto inammissibili le censure proposte avverso le previsioni delle n.t.a. poiché il ricorso è stato notificato solo al Comune e non anche alla Regione, quale autorità emanante il piano regolatore (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 19 maggio 1998, n. 616; Sez. V, 28 febbraio 1995, n. 304; Sez. VI, 15 giugno 1983, n. 493; Sez. V, 13 maggio 1977, n. 447; T.A.R. Lombardia, Brescia, 26 agosto 2002, n. 1159)". In effetti, l’orientamento richiamato è, più che consolidato, granitico e ancora più di recente riaffermato, con ovvia esclusione di ogni possibilità d’integrazione del contraddittorio, ammessa solo nei confronti di controinteressati ulteriori non evocati e non anche con riferimento alla mancata intimazione di una delle Autorità coemananti (Cons. Stato, 23 dicembre 2010, n. 9375 e 12 maggio 2009, n. 2901; Sez. V, 4 febbraio 2004, n. 367). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.5.2013, n. 2736)

 
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Compete al giudice amministrativo di conoscere le controversie relative alla domanda risarcitoria connessa alla perdurante occupazione del suolo dopo la scadenza dei termini

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La domanda risarcitoria connessa alla perdurante occupazione del suolo dopo la scadenza dei termini e in funzione dell’inidoneità del tardivo decreto espropriativo a produrre l’effetto ablatorio, pertenga alla giurisdizione esclusiva amministrativa, ai sensi dell’art. 53 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 ("Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità"), già vigente al momento della pronuncia della sentenza appellata, e ancor prima dell’art. 34 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205. Nel caso di specie, infatti, non si è in presenza di un mero comportamento, sebbene di una condotta dell’amministrazione direttamente collegata all’esercizio del potere pubblico concernente l’apprensione del bene ai fini della realizzazione di un’opera pubblica, nei sensi precisati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 191 dell’11 maggio 2006. La Consulta ha chiarito, a proposito, che "deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a "comportamenti" (di impossessamento del bene altrui) collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di "comportamenti" posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto". Il confine tra le due giurisdizioni è così tracciato in modo chiaro e netto: laddove il comportamento sia riconducibile, anche "mediatamente", all’esercizio del potere pubblico, compete al G.A. di conoscere le controversie relative al comportamento e ai suoi effetti, con la stessa ampiezza di poteri giurisdizionali propri della tutela risarcitoria, ossia, come chiarito ancora dalla Corte Costituzionale, "sia per equivalente sia in forma specifica". E’ tale anche il caso in cui l’occupazione sia seguita a una dichiarazione di pubblica utilità, e dunque a un iniziale esercizio di potere pubblicistico, anche se il procedimento non si sia concluso con un decreto di esproprio o si sia concluso con un decreto di esproprio tardivo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 31 maggio 2012, n. 3269; vedi anche, nello stesso senso, 6 novembre 2008, n. 5498). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.5.2013, n. 2731)

 
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Nelle gare per l’affidamento di concessioni di servizi, la lex specialis può anche esonerare i partecipanti dall’obbligo di rendere la dichiarazione richiesta dall’art. 38 d.lgs.n. 163 del 2006 o prevedere una dichiarazione meno ampia, fermo l’obbligo per la stazione appaltante di accertare la sussistenza in capo ai concorrenti dei requisiti di moralità

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Il principio espresso dall’art. 38 d.lgs.n. 163 del 2006, in base al quale la partecipazione alle gare pubbliche richiede il possesso, in capo ai partecipanti, di alcuni inderogabili requisiti di moralità, rappresenta un principio di carattere generale, che trova, quindi, applicazione anche nelle gare dirette all’affidamento di concessioni di servizi. Si tratta, infatti, di un fondamentale principio di ordine pubblico economico, che soddisfa l’imprescindibile esigenza che il soggetto che contrae con l’Amministrazione sia "affidabile" e, quindi, in possesso dei requisiti di ordine generale e di moralità che la norma tipizza. Il principio generale attiene però al profilo sostanziale (la necessità che alla gara partecipa solo chi è in possesso dei requisiti di moralità), non anche al profilo dichiarativo o formale (l’obbligo di dichiarare comunque l’assenza di cause ostative), nel senso che, fermo l’obbligo per la stazione appaltante di accertare la sussistenza in capo ai concorrenti dei requisiti di moralità di cui all’art. 38 cit, nelle gare dirette all’affidamento di concessioni di servizi (e, quindi, sottoposte solo al rispetto dei principi fondamentali desumibili dal diritto comunitario e nazionale), la lex specialis può anche esonerare i partecipanti dall’obbligo di rendere la specifica dichiarazione richiesta dall’art. 38 o prevedere una dichiarazione meno ampia rispetto a quella prevista da tale disposizione. Sotto tale profilo, quindi, la lettera di invito non può ritenersi illegittima, anche in considerazione del fatto che essa comunque richiedeva ai concorrenti di allegare alla domanda di partecipazione una serie di dichiarazioni e documenti secondo uno schema analogo a quello previsto dall’art. 38 cit. Ciò che rileva è la verifica, in concreto, del possesso da parte dell’aggiudicatario dei requisiti di moralità di cui all’art. 38 cit., e non anche la previsione da parte della lex specialis del corrispondente obbligo dichiarativo. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.5.2013, n. 2725)

 
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Il principio espresso dall’art. 38 d.lgs.n. 163 del 2006, in base al quale la partecipazione alle gare pubbliche richiede il possesso, in capo ai partecipanti, di alcuni inderogabili requisiti di moralità, rappresenta un principio di carattere generale, che trova, quindi, applicazione anche nelle g ... Continua a leggere

 

Le Autorità Garanti hanno natura amministrative e sono soggette al principio di legalità ed a quello della riserva di legge per il relativo funzionamento, quest’ultimo caratterizzato da ampi margini di discrezionalità tecnica ed assoggettato alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo

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Le questioni sottoposte all’esame del Consiglio di Stato nella sentenza attenzionata investono un provvedimento sanzionatorio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per abuso di posizione dominante e presuppongono un sintetico richiamo all’ambito di esercizio – ed ai conseguenti limiti – del sindacato giurisdizionale di legittimità sull’operato delle cosiddette Autorità indipendenti. Le Autorità hanno natura amministrative e sono soggette al principio di legalità ed a quello della riserva di legge per il relativo funzionamento, quest’ultimo caratterizzato da ampi margini di discrezionalità tecnica ed assoggettato alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, prima ex art. 33 L. n. 287/1990, poi, con decorrenza 16 settembre 2010, ex art. 133, comma 1, lettera l) del codice del processo amministrativo (c.p.a.), approvato con d.lgs. n. 104/2010. Il sindacato giurisdizionale è contenuto sul piano della legittimità e non anche del merito, tranne che per quanto riguarda le sanzioni pecuniarie, ex art. 134, comma 1, lettera c) del medesimo codice. Circa i limiti dell’ordinario sindacato di legittimità, la giurisprudenza è concorde nel riconoscere al riguardo quelli riconducibili ai noti profili sintomatici dell’eccesso di potere, che circoscrivono il giudizio sugli atti discrezionali (cfr. in tal senso Cass. civ. SS.UU., 29.4.2005, n. 8882; Cons. St., sez. VI, 21.9.2007, n. 4888, 10.5.2007, n. 2244, e 1.10.2002, n. 5105), in coerenza con le regole tecniche e le competenze scientifiche, che rientrano nel bagaglio di conoscenze specialistiche, proprie di ciascuna Autorità. In ordine all’apprezzamento – condotto in base a dette competenze ed insindacabile nel merito – occorre pertanto un’ulteriore riflessione, intesa a coordinare l’evoluzione giurisprudenziale, in materia di sindacato di legittimità sugli atti discrezionali, con le peculiari esigenze del giudizio su provvedimenti delle citate autorità Garanti. In via generale, infatti, è ormai pacificamente affermata la cognizione piena del Giudice Amministrativo anche in rapporto all’esercizio di discrezionalità tecnica, dovendosi essa esercitare in rapporto a fatti che devono risultare sussistenti, a seguito delle acquisizioni probatorie emerse nel corso del procedimento. In tale ottica – ed in applicazione del principio di effettività della tutela delle situazioni soggettive protette, rilevanti a livello comunitario (quale principio imposto anche dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, promossa dal Consiglio d’Europa nel 1950) – se è vero che il Giudice non può sostituirsi all’Amministrazione, è anche vero che il medesimo Giudice non può esimersi anche dal valutare l’eventuale manifesta erroneità dell’apprezzamento dell’Amministrazione stessa. A differenza di quanto previsto in rapporto alla cosiddetta discrezionalità amministrativa, corrispondente alla scelta della soluzione ritenuta più opportuna, per il soddisfacimento dell’interesse pubblico (adeguatamente bilanciato con ogni altro interesse rilevante), nel caso concreto, ove debba esercitarsi una discrezionalità tecnica l’esercizio del potere può richiedere in effetti non solo una scelta di opportunità, ma anche l’esatta valutazione di un fatto secondo i criteri di determinate scienze o tecniche. Il sindacato di legittimità del giudice, in tale ultima fattispecie, si estrinseca nella possibilità di accertare se l’atto si ponga al di fuori dell'ambito di esattezza o attendibilità, non risultando rispettati parametri tecnici di univoca lettura, ovvero orientamenti già oggetto di giurisprudenza consolidata, o di dottrina dominante in materia (cfr. Cons. St., sez IV, 13 ottobre 2003, n. 6201). L’indirizzo sopra sintetizzato si è tradotto nelle formule, di norma utilizzate dalla giurisprudenza, secondo le quali l’esercizio della discrezionalità tecnica deve rispondere ai dati concreti, deve essere logico e non arbitrario. L’orientamento giurisprudenziale indicato mira a garantire un giudizio coerente con i principi, di cui agli articoli 24, 111 e 113 Cost , nonché 6, par.1, CEDU. In tale ottica è necessario che la pretesa fatta valere in giudizio trovi, "se fondata, la sua concreta soddisfazione" (Corte costituzionale, sent. n. 63 in data 1° aprile 1982), che il giudice abbia una cognizione estesa a tutte le questioni di fatto e di diritto (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, Albert et Le Compte c. Belgio, par. 29, 10 febbraio 1983) e che il controllo giurisdizionale su un atto amministrativo non sia limitato alla compatibilità di esso con la norma attributiva del potere (Corte europea dei diritti dell’uomo, Obermeier c. Austria, par 70, 28 giugno 1990). Per i provvedimenti delle Autorità Garanti, tuttavia, l’evoluzione della giurisprudenza in materia di sindacato sugli atti discrezionali non può non incontrare una delimitazione almeno in parte diversa, tenuto conto della specifica competenza, della posizione di indipendenza e dei poteri esclusivi, spettanti alle medesime: non è consentito per il giudice l’esercizio di un potere sostitutivo, salvo come già ricordato per le sanzioni pecuniarie, sulle quali è consentito dalla legge un controllo più penetrante; come osservato dalla giurisprudenza, infatti, il giudizio dell’Autorità trova come parametri di riferimento non regole scientifiche non opinabili, ma valutazioni, anche di natura prognostica, a carattere economico, sociologico, o comunque non ripercorribile in base a dati univoci (cfr., per il principio, Cons. St., sez. VI, nn. 2199/2002, 5156/2002, 926/2004, 6152/2005; Cons. St., sez. III, 25.3.2013, n. 1645). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.5.2013, n. 2722)

 
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Le questioni sottoposte all’esame del Consiglio di Stato nella sentenza attenzionata investono un provvedimento sanzionatorio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per abuso di posizione dominante e presuppongono un sintetico richiamo all’ambito di esercizio – ed ai conseguenti limi ... Continua a leggere

 

L’acquirente del bene sottoposto al vincolo non si avvale della riapertura dei termini di impugnazione

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Un provvedimento amministrativo di imposizione di un vincolo su un bene determinato (sia esso mobile o immobile) è impugnabile innanzi al TAR o con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica entro i termini stabiliti dalle legge, che decorrono - per il proprietario o il titolare del diritto reale – dalla data della relativa notifica o della acquisita conoscenza. L’inoppugnabilità del provvedimento impositivo del vincolo si verifica col decorso di tali termini. Un successivo passaggio di proprietà (inter vivos o mortis causa) non rimette in termini l’acquirente, che subentra nella medesima situazione giuridica nella quale si trova il dante causa. Pertanto, l’acquirente del bene sottoposto al vincolo non si avvale della riapertura dei termini di impugnazione: gli atti di trasferimento del bene sono vicende di diritto privato, che non pongono nel nulla la conseguita inoppugnabilità del provvedimento. Non rileva pertanto la circostanza secondo cui l’appellante non sia una ‘persona esperta’ e non poteva dunque rendersi conto del regime giuridico del bene, di cui sarebbe stato edotto solo a seguito della ulteriore notifica del decreto, disposta nei suoi confronti dall’Amministrazione il 21 dicembre 2000.Del resto, con la notifica del decreto di vincolo il dipinto è stato sottoposto ad un particolare regime giuridico che, ad un tempo, ha inciso non solo sul regime di tutela (con le conseguenti limitazioni dell’esercizio del diritto di proprietà, perché il bene non può essere distrutto o deteriorato, né può essere esportato, senza l’autorizzazione dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo), ma anche sui rapporti negoziali che riguardano il bene medesimo. Infatti, il vincolo incide sul valore di mercato del bene e comporta che il proprietario debba comunicare all’acquirente l’esistenza del vincolo, che ne determina una qualità essenziale. L’eventuale reticenza dell’alienante – nel corso delle trattative o in sede di vendita - può dar luogo ai rimedi previsti dal codice civile, ma non incide in alcun modo né sui poteri attribuiti dalla legge all’Amministrazione per la tutela del bene, né sul regime giuridico del bene, conseguente alla inoppugnabilità del decreto di vincolo. Beninteso, l’acquirente del bene mobile vincolato, proprio perché succede nella posizione del dante causa, è legittimato ad impugnare il decreto di vincolo, ma – per le sopra esposte ragioni - non si avvale di un ulteriore termine di impugnazione, diventando l’atto inoppugnabile con la scadenza dei termini conseguenti alla notifica del decreto di vincolo. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.5.2013, n. 2707)

 
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L'immediata impugnazione delle clausole che prescrivono requisiti di partecipazione dipende dalla portata immediatamente lesiva delle clausole che è incentrata sulla loro capacità di determinare l’esclusione del concorrente ben prima e al di là di qualsiasi valutazione comparativa della sua offerta con quelle degli altri

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Ai fini dell’affermazione dell’onere di immediata impugnazione delle clausole che prescrivono requisiti di partecipazione, è non soltanto il fatto che esse manifestino immediatamente la loro attitudine lesiva, ma il rilievo che "le stesse, essendo legate a situazioni e qualità del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara, risultino esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla gara stessa, e non condizionate dal suo svolgimento e, perciò, in condizioni di ledere immediatamente e direttamente l’interesse sostanziale del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara od alla procedura concorsuale" (Cons. St., Ad. Plen., 29.1.2013, n. 1). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 24.5.2013, n. 2841)

 
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