
Gazzetta Informa News 23 Aprile 2013 - Area Tecnica
Servizi Pubblici Locali: on line una raccolta normativa che ricostruisce lo stato della normativa e giurisprudenza vigente

Sulla base del Protocollo di Intesa tra il Ministero dello Sviluppo Economico, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Dipartimento Affari regionali, turismo e sport, il Dipartimento per le politiche europee e Invitalia del 16 gennaio 2013, le attività di ricognizione e riorganizzazione dellanormativa in materia di servizi pubblici locali a rilevanza economica sono state realizzate nell’ambito del "Progetto di supporto e affiancamento operativo a favore degli Enti Pubblici delle Regioni Obiettivo Convergenza per l’implementazione della riforma del mercato dei Servizi Pubblici Locali a rilevanza economica" in attuazione dell’obiettivo specifico 5.2 dell’ASSE E "Capacità istituzionale" del PON Governance e Azioni di Sistema cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo. Il documento visualizzabile cliccando sul titolo sopra linkato risponde all’esigenza di individuare lo stato della normativa vigente in materia di servizi pubblici locali, con particolare riferimento ai servizi di rilevanza economica, tenendo conto delle più recenti evoluzioni normative e dei recenti giudicati di costituzionalità che hanno inciso profondamente su queste tematiche. Il lavoro di ricostruzione della normativa ha evidenziato, oltre alle inevitabili difficoltà interpretative, anche la necessità di inserire nella ricognizione normativa disposizioni che, sebbene non strettamente afferenti all’ambito dei servizi pubblici locali, presentano forti connessioni con il settore e di coordinare e dare coerenza alle norme riformatrici che con diversi obiettivi impattano sul settore dei SPL (è il caso ad esempio delle norme di riorganizzazione del settore e delle norme del d.l. spending review che definiscono le funzioni degli enti locali e la possibilità di esercitare in forma coordinata tali funzioni al fine di garantire un risparmio di spesa). Peraltro il documento e' completato da tre capitoli contenenti la disciplina specifica dei settori idrico, trasporti pubblici locali e rifiuti (Presidenza del Consiglio dei Ministri, comunicato del 22.4.2013)
Sulla base del Protocollo di Intesa tra il Ministero dello Sviluppo Economico, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Dipartimento Affari regionali, turismo e sport, il Dipartimento per le politiche europee e Invitalia del 16 gennaio 2013, le attività di ricognizione e riorganizzazione della ... Continua a leggere
Novità sulle SOA

L'Avcp ha pubblicato due comunicati, il primo n. 79 è stato emanato a seguito di richieste di chiarimenti da parte di alcune imprese in merito alla interpretazione dell'art. 73, comma 8, del D.P.R. 207/2010. In particolare, circa la possibilità che ha l'impresa qualificata di potere annullare unaprima designazione della SOA, quale destinataria della documentazione utilizzata ai fini del rilascio dell'attestazione da parte di un Organismo che ha cessato la propria attività, chiedendo contestualmente alla SOA designata di volere ritrasferire la predetta documentazione ad altra SOA. Successivamente, nel medesimo comunicato, vengono fornite raccomandazioni alle SOA sullo svolgimento delle operazioni per l'inserimento delle attestazioni SOA nel casellario informatico, al fine della correttezza dei dati ivi presenti. Il Comunicato n. 80 riguarda invece l’interpretazione dell’art. 79, comma 16 del D.P.R. n. 207/2010 in tema di valutazione dei requisiti per la qualificazione nella categoria OG11, al fine di garantire che le SOA operino secondo criteri di imparzialità ed equo trattamento. (Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, comunicato del 17.4.2013)
L'Avcp ha pubblicato due comunicati, il primo n. 79 è stato emanato a seguito di richieste di chiarimenti da parte di alcune imprese in merito alla interpretazione dell'art. 73, comma 8, del D.P.R. 207/2010. In particolare, circa la possibilità che ha l'impresa qualificata di potere annullare una ... Continua a leggere
La presentazione di una domanda di concessione in sanatoria per abusi edilizi determina la sopravvenuta carenza d’interesse all’annullamento dell’atto sanzionatorio in relazione al quale tale domanda è stata presentata (a seconda dei casi, l’ordine di demolizione dell’abuso, la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, e/o i successivi provvedimenti di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale)

Per consolidato orientamento giurisprudenziale la presentazione di una domanda di concessione in sanatoria per abusi edilizi ex L. 28 febbraio 1985 n. 47 (fonte richiamata dalle successive leggi di condono) impone al Comune competente la sua disamina e l'adozione dei provvedimenti conseguenti, di talché gli atti repressivi dell'abuso in precedenza adottati perdono efficacia, salva la necessità di una loro rinnovata adozione nell’eventualità di un successivo rigetto dell'istanza di sanatoria. Invero, delle due l’una : o l'Amministrazione accoglie la predetta domanda e rilascia la concessione in sanatoria, con il superamento per questa via degli atti sanzionatori impugnati ; oppure il Comune disattende l'istanza, respingendola, e allora esso è tenuto, in base all'art. 40, comma 1, L. n. 47 del 1985 (anche questo richiamato dall’art. 32, comma 25, del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, che fa rinvio a tutte le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge n. 47), a procedere al completo riesame della fattispecie, assumendo se del caso nuovi, e questa volta conclusivi, provvedimenti sanzionatori, che a loro volta troveranno esecuzione oppure saranno oggetto di autonoma impugnativa, con conseguente cessazione immediata, anche in caso di diniego di sanatoria, di ogni efficacia lesiva da parte della primitiva ordinanza impugnata. Di conseguenza, in presenza della richiesta di una concessione in sanatoria si deve registrare la sopravvenuta carenza d’interesse all’annullamento dell’atto sanzionatorio in relazione al quale tale domanda è stata presentata (a seconda dei casi, l’ordine di demolizione dell’abuso accertato, la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, e/o i successivi provvedimenti di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale), con la traslazione dell’interesse a ricorrere sul futuro provvedimento che, eventualmente, abbia a respingere la domanda medesima (ad esempio, per la mancata corresponsione dell’oblazione definitivamente accertata come dovuta), e disponga nuovamente la demolizione dell’opera abusiva (C.d.S., Sez. V, 28 giugno 2012, n. 3821; 26 giugno 2007, n. 3659 ; 19 febbraio 1997, n. 165; IV, 16 aprile 2012, n. 2185; VI, 26 marzo 2010, n. 1750 ; 7 maggio 2009, n. 2833; 12 novembre 2008, n. 5646). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.4.2013, n. 2221)
Per consolidato orientamento giurisprudenziale la presentazione di una domanda di concessione in sanatoria per abusi edilizi ex L. 28 febbraio 1985 n. 47 (fonte richiamata dalle successive leggi di condono) impone al Comune competente la sua disamina e l'adozione dei provvedimenti conseguenti, di t ... Continua a leggere
Cessione di cubatura: l'asservimento della volumetria da un lotto a favore di un altro, onde realizzare una maggiore edificabilità, è consentita solo con riferimento ad aree aventi una medesima destinazione urbanistica

La giurisprudenza è consolidata sul principio per cui l'asservimento della volumetria da un lotto a favore di un altro, onde realizzare una maggiore edificabilità, è consentita solo con riferimento ad aree aventi una medesima destinazione urbanistica, posto che diversamente si verificherebbe un'evidente alterazione delle caratteristiche tipologiche della zona tutelate dalle norme urbanistiche (Consiglio Stato sez. V, 11 aprile 1991, n. 530; v. peraltro, in precedenza, sez. IV, 4 maggio 1979, n. 302, che, dopo avere avvertito che l'asservimento di aree rispetto ad una licenza edilizia ha la funzione di concentrare su un'area, oltre alla volumetria propria di essa, anche quella spettante ad aree diverse appartenenti allo stesso o ad altri proprietari, aveva già chiarito che una simile possibilità è data solo nel rispetto delle norme disciplinanti l'attività edilizia sull'area a favore della quale viene operato l'asservimento, che trova un limite insuperabile nell'omogeneità dell'area da asservire rispetto a quella destinata all'edificazione, onde prevenire l'elusione dei limiti posti dallo strumento urbanistico; sul requisito dell’omogeneità cfr. anche, più di recente, sez. V, 3 marzo 2003, n. 1172; 10 giugno 2005, n. 3052; 22 ottobre 2007, n. 5496; sez. IV, 30 settembre 2008, n. 4708). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.4.2013, n. 2220)
La giurisprudenza è consolidata sul principio per cui l'asservimento della volumetria da un lotto a favore di un altro, onde realizzare una maggiore edificabilità, è consentita solo con riferimento ad aree aventi una medesima destinazione urbanistica, posto che diversamente si verificherebbe un'evi ... Continua a leggere
La destinazione delle strade vicinali "ad uso pubblico" comporta che le medesime debbano essere necessariamente interessate da un transito generalizzato

Per giurisprudenza costante del Consiglio di Stato affinché la servitù di uso pubblico possa dirsi sorto occorre che il bene privato sia idoneo ed effettivamente destinato al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interessedi carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato (Sez. V, 14 febbraio 2012 n. 728; in senso conforme: Sez. IV, 15 maggio 2012, n. 2760; Sez. V, 5 dicembre 2012, n. 6242, quest’ultima citata dall’appellante). L’indirizzo ora citato è perfettamente conforme a quello della Cassazione, nel quale ha da ultimo ribadito che la servitù di uso pubblico è caratterizzata dall'utilizzazione da parte di una collettività indeterminata di persone del bene privato idoneo al soddisfacimento di un interesse della stessa (Sez. II, sentenza del 10 gennaio 2011, n. 333). Caratteristiche indispensabili di questo diritto sono: 1. il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale; 2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via; 3. un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile. Va poi soggiunto che la destinazione delle strade vicinali "ad uso pubblico", imposta dal codice della strada di cui al d.lgs. n. 285/1992 (art. 3, comma 1, n. 52) fa sì che queste debbano necessariamente interessate da un transito generalizzato, tale per cui, a fronte della proprietà privata del sedime stradale e dei relativi accessori e pertinenze (spettante ai proprietari dei fondi latistanti), l’ente pubblico comunale possa vantare su di essa, ai sensi dell’art. 825 cod. civ., un diritto reale di transito, con correlativo dovere di concorrere alle spese di manutenzione della stessa (pro quota rispetto al consorzio privato di gestione ai sensi dell’art. 3 D.lgs.lgt. n. 1446/1918, "Facoltà agli utenti delle strade vicinali di costituirsi in Consorzio per la manutenzione e la ricostruzione di esse"), onde garantire la sicurezza della circolazione che su di essa si realizza. Non è dunque sufficiente che l’utilizzo della strada avvenga in favore di proprietari di fondi vicini, né di personale dei consorzi irrigui incaricati della gestione del canale. Del resto, l’amministrazione resistente, che della prova dell’uso generale è onerata, non ha in alcun modo riferito di segnalazioni o esposti della cittadinanza tendenti a denunciare un diminuito godimento del diritto transito per effetto della (pur risalente) opera muraria oggetto dell’ordine di demolizione. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.4.2013, n. 2218)
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La partecipante ad una gara che sia stata legittimamente esclusa, non ha legittimazione a censurare l’ammissione alla gara dell’aggiudicataria e gli atti di gara

Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato ha richiamato il principio a tenore del quale la partecipante ad una gara che sia stata legittimamente esclusa, non ha legittimazione a censurare l’ammissione alla gara dell’aggiudicataria e gli atti di gara, assumendo la posizione del quisquis de populo, non potendo trarre alcun vantaggio dall’eventuale fondatezza delle censure (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza plenaria n. 11 del 2010). A termini della citata sentenza dell’Adunanza plenaria , nel caso in cui l’amministrazione abbia escluso dalla gara il concorrente, questi non ha la legittimazione ad impugnare l’aggiudicazione al controinteressato, a meno che non ottenga una pronuncia di accertamento della illegittimità dell’esclusione. Infatti, la determinazione di esclusione, non impugnata o non annullata, cristallizza definitivamente la posizione sostanziale del concorrente, ponendolo nelle stesse condizioni di colui che sia rimasto estraneo alla gara, non avendo un’aspettativa diversa e maggiormente qualificata di quella che si può riconoscere in capo ad un qualunque altro soggetto che non abbia partecipato alla gara. Ne deriva, pertanto, che non spetta alcuna legittimazione a contestare gli esiti della gara al concorrente escluso dalla gara, che non abbia impugnato l’atto di esclusione o la cui impugnazione sia stata respinta. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.4.2013, n. 2206)
Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato ha richiamato il principio a tenore del quale la partecipante ad una gara che sia stata legittimamente esclusa, non ha legittimazione a censurare l’ammissione alla gara dell’aggiudicataria e gli atti di gara, assumendo la posizione del quisquis de popul ... Continua a leggere
Le scelte effettuate dall'amministrazione per la destinazione delle singole aree, al momento dell'adozione del piano regolatore generale o di variante al medesimo, costituiscono apprezzamenti di merito sottratti al sindacato giurisdizionale, salvo che non siano affette da errori di fatto o da abnormi illogicità

Ritiene il Consiglio di Stato nella sentenza in esame di rimarcare che per pacifica giurisprudenza "le scelte effettuate dall'amministrazione per la destinazione delle singole aree, al momento dell'adozione del piano regolatore generale o di variante al medesimo, costituiscono apprezzamenti di merito sottratti al sindacato giurisdizionale, salvo che non siano affette da errori di fatto o da abnormi illogicità."(Cons. Stato Sez. IV, 03-08-2010, n. 5157). Ciò implica, quale necessario corollario, la conseguenza per cui "trattandosi di scelte discrezionali, in merito alla destinazione di singole aree, queste non necessitano di apposita motivazione, oltre quelle che si possono evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nella impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale."(Cons. Stato Sez. IV Sent., 03-11-2008, n. 5478). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.4.2013, n. 2171)
Ritiene il Consiglio di Stato nella sentenza in esame di rimarcare che per pacifica giurisprudenza "le scelte effettuate dall'amministrazione per la destinazione delle singole aree, al momento dell'adozione del piano regolatore generale o di variante al medesimo, costituiscono apprezzamenti di meri ... Continua a leggere
Alle norme tecniche di attuazione di un Piano regolatore generale deve essere data lettura sistematica, per cui ciascuna di esse va interpretata nel contesto e nell'insieme di riferimento

La giurisprudenza è costantemente orientata nel ritenere che "alle norme tecniche di attuazione di un Piano regolatore generale deve essere data lettura sistematica, per cui ciascuna di esse va interpretata nel contesto e nell'insieme di riferimento, ed un' interpretazione utile, per cui ciascuna di esse deve essere intesa non solo in modo che abbia un senso, ma anche, tra più possibili significati, quello maggiormente conforme a Costituzione, la quale impone vincoli espliciti e puntuali alla possibilità edificatoria dei suoli."( Cons. di Stato 10.03.1981 n. 248; T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 13 maggio 2004, n. 2890 e, ancora di recenteT.A.R. Lombardia Milano Sez. II, 05-07-2011, n. 1752). La giurisprudenza di legittimità, in particolare, ha puntualmente precisato che "l'interpretazione di un atto amministrativo a contenuto non normativo, risolvendosi nell'accertamento della volontà della p.a., ovverosia di una realtà fenomenica e obiettiva, è riservata al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e immune dalla violazione di quelle norme - in particolare, gli art. 1362, comma 2, 1363 e 1366 - che, dettate per l'interpretazione dei contratti, sono applicabili anche agli atti amministrativi, tenendo peraltro conto della natura dei medesimi nonché dell'esigenza della certezza dei rapporti e del buon andamento della pubblica amministrazione"."(si veda Cassazione civile, sez. lav., 23 luglio 2010, n. 17367). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.4.2013, n. 2170)
La giurisprudenza è costantemente orientata nel ritenere che "alle norme tecniche di attuazione di un Piano regolatore generale deve essere data lettura sistematica, per cui ciascuna di esse va interpretata nel contesto e nell'insieme di riferimento, ed un' interpretazione utile, per cui ciascuna d ... Continua a leggere
In caso di contrasto tra le indicazioni grafiche del piano regolatore generale e le prescrizioni normative prevalgono quest'ultime, in quanto in sede di interpretazione degli strumenti urbanistici le risultanze grafiche possono solo chiarire e completare quanto è normativamente stabilito nel testo

La giurisprudenza del Consiglio di Stato è concorde nel ritenere che, laddove si evidenzi un contrasto tra le indicazioni grafiche del piano regolatore generale e le prescrizioni normative, debba prevalere la parte normativa. È, infatti, principio costantemente affermato da questo Consiglio (Cons.St., sez. V, 22.8.2003 , n. 4734; Cons. St., sez. IV, 10.8.2000, n. 4462; Cons. St., sez. IV, 5.6.1998, n. 917; Cons. St., sez. V, 21.6.1995, n. 724), dalla quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, che, qualora vi sia un contrasto tra le indicazioni grafiche del piano regolatore generale e le prescrizioni normative, siano queste ultime a prevalere, in quanto in sede di interpretazione degli strumenti urbanistici le risultanze grafiche possono solo chiarire e completare quanto è normativamente stabilito nel testo, ma non possono sovrapporsi o negare quanto risulta da questo. Il Consiglio di Stato in più occasioni, ha avuto modo di ribadire il principio che, nel contrasto tra normativa e segno grafico, occorre dare prevalenza alla prima (cfr., ex plurimis, sent. n. 3081 del 12.6.2007). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.4.2013, n. 2158)
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è concorde nel ritenere che, laddove si evidenzi un contrasto tra le indicazioni grafiche del piano regolatore generale e le prescrizioni normative, debba prevalere la parte normativa. È, infatti, principio costantemente affermato da questo Consiglio (Cons. ... Continua a leggere
La vicinitas tra fabbricati è sufficiente a integrare la legittimazione e l’interesse ad impugnare in giudizio un provvedimento che consente la realizzazione di un’opera edilizia in tesi illegittima, e il conseguente incremento del carico urbanistico della zona interessata

E' questo il principio sancito nella sentenza in esame a tenore del quale la vicinitas tra fabbricati è sufficiente a integrare la legittimazione e l’interesse ad impugnare in giudizio un provvedimento che consente la realizzazione di un’opera edilizia in tesi illegittima, e il conseguente incremento del carico urbanistico della zona interessata. Tale considerazione vale tanto più nel caso di specie, nel quale legittimazione e interesse sono riferiti alla asserita violazione delle distanze e al maggior carico urbanistico derivante dal cambio di destinazione d’uso consentito dal Comune. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 18.4.2013, n. 2153)
E' questo il principio sancito nella sentenza in esame a tenore del quale la vicinitas tra fabbricati è sufficiente a integrare la legittimazione e l’interesse ad impugnare in giudizio un provvedimento che consente la realizzazione di un’opera edilizia in tesi illegittima, e il conseguente incremen ... Continua a leggere
La proroga delle concessioni demaniali marittime per la nautica da riporto

Nel giudizio in esame si controverte della prorogabilità, ex art. 1, comma 18, d.-l. n. 194 del 2009, convertito nella legge n. 25 del 2010, delle concessioni demaniali marittime per la nautica da diporto. Nell’ambito delle strutture dedicate a tale attività, il d.P.R. 2 dicembre 1997 n. 509 (regolamento recante disciplina del procedimento di concessione di beni del demanio marittimo per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto) distingue, all’art. 2: a) il "porto turistico", ovvero il complesso di strutture amovibili ed inamovibili realizzate con opere a terra ed a mare, allo scopo di servire unicamente o precipuamente la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l'apprestamento di servizi complementari; b) il c.d. "approdo turistico", ovvero la porzione dei porti polifunzionali aventi le funzioni di cui all'articolo 4, comma 3, legge 28 gennaio 1994 n. 84, destinata a servire la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l'apprestamento di servizi complementari; c) i "punti d'ormeggio", ovvero le aree demaniali marittime e gli specchi acquei dotati di strutture non implicanti impianti di difficile rimozione, destinati ad ormeggio, alaggio, varo e rimessaggio di piccole imbarcazioni e natanti da diporto. Il medesimo d.P.R. conforma il procedimento per il rilascio delle concessioni per le strutture di cui alle lettere a) e b), mentre, per quelle definibili come punti di ormeggio, specifica come la concessione debba essere rilasciata conducendo secondo principi di celerità e snellezza le procedure già operanti per le strutture d’interesse turistico-ricreativo. Sulla base delle definizioni sopra ricordate, non è dubbio che, come ha ritenuto il T.a.r., la struttura in esame sfugga alla definizione di mero punto di ormeggio, a ciò ostando l’esistenza nel suo ambito di strutture inamovibili (le banchine), i servizi e le attività finalizzati all’attività nautica e le dimensioni delle imbarcazioni da diporto ospitate, dimensioni superiori al limite compreso nella definizione di "piccole" (dieci metri, come precisato dalla sentenza della Corte di cassazione, sez. III penale, 3 marzo 2010 n. 21413), come documentato in causa. Dall’attrazione nell’ambito delle più ampie e stabili strutture dedicate alla nautica da diporto non deriva, peraltro, l’illegittimità della proroga concessa ex art. 1, comma 18, d.-l. n. 194 del 2009, convertito nella legge n. 25 del 2010, con il provvedimento oggetto del giudizio di primo grado. Tale norma prescrive che "nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative,…il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015" è prorogato fino a tale data (termine ulteriormente prorogato dal d.-l. 18 ottobre 2012 n. 179, convertito nella legge 17 dicembre 2012 n. 221). La norma, pertanto, dispone la proroga delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreativa, in evidente contrapposizione rispetto ad altre finalità, mercantili o industriali, pur attinenti alle attività nautiche, ma non opera ulteriori distinzioni, questa essendo la connotazione unitaria rilevante, in quanto coincidente con l’ambito della prevista revisione normativa, atta a riscontrare la comunitaria procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia, nella misura in cui tali concessioni non rispettino completamente i princìpi di evidenza pubblica ed affidamento. L’esclusione degli approdi e dei porti turistici dal novero delle strutture turistico-ricreative che, nella ricostruzione del T.a.r., atterrebbe solo ai punti di ormeggio, si scontra, perciò, con il dato letterale del citato art. 1, comma 18, interpretabile alla luce dell’art. 2, d.P.R. 2 dicembre 1997 n. 509, il quale, come si è già ricordato, include anche le più ampie strutture nell’ambito di quelle dedicate alla nautica da diporto (e coincidente con lo scopo turistico-ricreativo). Tale significato, già immanente nel testo della norma che dispone la proroga, è stato enucleato, con portata esaustivamente esplicativa, dall’art. 1, comma 547, legge 24 dicembre 2012 n. 228, il quale aggiunge all’art. 1, comma 18, dopo le parole: «turistico-ricreative», le seguenti: «e sportive, nonché quelli destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto», con ciò rendendo palese che il comune denominatore dell’essere attinenti alle medesime finalità pareggia tali strutture nel regime di proroga. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 18.4.2013, n. 2151)
Nel giudizio in esame si controverte della prorogabilità, ex art. 1, comma 18, d.-l. n. 194 del 2009, convertito nella legge n. 25 del 2010, delle concessioni demaniali marittime per la nautica da diporto. Nell’ambito delle strutture dedicate a tale attività, il d.P.R. 2 dicembre 1997 n. 509 (regol ... Continua a leggere
Il criterio della vicinitas: per proporre impugnativa è necessario che la nuova destinazione urbanistica che concerne un'area non appartenente al ricorrente incida direttamente sul godimento o sul valore di mercato dell'area viciniore o comunque su interessi propri e specifici del medesimo esponente

La giurisprudenza ha riconosciuto il criterio della vicinitas come idoneo a legittimare l'impugnazione di singoli titoli edilizi, ma tale arresto deve ritenersi recessivo allorché oggetto di contestazione giudiziale sia la disciplina urbanistica -contenuta in uno strumento attuativo- di aree estranee a quelle di proprietà del ricorrente. In questo caso il criterio della vicinitas non è sufficiente a fornire le condizioni dell'azione, dal momento che non esaurisce gli ulteriori profili di interesse all'impugnazione. Soccorre, in tali evenienze, il principio per cui per proporre impugnativa è necessario che la nuova destinazione urbanistica che concerne un'area non appartenente al ricorrente incida direttamente sul godimento o sul valore di mercato dell'area viciniore o comunque su interessi propri e specifici del medesimo esponente, dovendo di tanto l'interessato fornire se non una rigorosa dimostrazione, almeno idonei principi di prova" Cons. Stato Sez. IV, 15-11-2011, n. 6016) evidenzia il Collegio che nel ricorso di primo grado non era stata punto approfondita -e neppure accennata, per il vero- la problematica concernente il pregiudizio arrecato all’appellante dalla avversata variante (e men che meno con riguardo alle aree di propria pertinenza ulteriori rispetto a quelle oggetto della domanda di retrocessione). Costituisce jus receptum quello per cui la allegazione dell’interesse tutelato (o del bene della vita che si intende perseguire ovvero difendere) è connotato essenziale del ricorso di primo grado, in carenza del quale esso va dichiarato inammissibile (ex multis: "colui che invoca l'inadempimento di una norma di azione da parte della pubblica amministrazione deve dedurre innanzi al Giudice elementi idonei a rappresentare, quale conseguenza della regola che si assume violata, la lesione di un bene della vita ovvero di un interesse anche solo strumentale alla sua realizzazione, in mancanza della cui allegazione deve ritenersi azionata non una posizione soggettiva di interesse legittimo, quanto una mera pretesa alla legalità della azione amministrativa."-T.A.R. Lombardia Milano Sez. III Sent., 24-07-2008, n. 2979). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.4.2013, n. 2173)
La giurisprudenza ha riconosciuto il criterio della vicinitas come idoneo a legittimare l'impugnazione di singoli titoli edilizi, ma tale arresto deve ritenersi recessivo allorché oggetto di contestazione giudiziale sia la disciplina urbanistica -contenuta in uno strumento attuativo- di aree estran ... Continua a leggere
L’institore è titolare di una posizione corrispondente a quella di un vero e proprio amministratore, munito di poteri di rappresentanza, cosicché deve anche essere annoverato fra i soggetti tenuti alla dichiarazione ex art. 38 dlgs n. 163/2006

Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato ha rigettato la censura formulata dall'appellante secondo il quale l’institore non rientrerebbe tra i soggetti indicati dall’art. 38 d.lgs. 163/2006, tenuti, quindi, a rendere la correlata dichiarazione a tal fine l'appellante richiama le sentenze del Cons. St., n. 4970/2012 e da Cons. St., 2818/2012. Ad avviso del Collegio non appare condivisibile la lettura dell’art. 38, d.lgs. 163/2006, prospettata dall’appellante, in quanto il ruolo dell’institore disegnato dall’art. 2203 c.c. quale soggetto preposto dal titolare all'esercizio di un'impresa commerciale, lo caratterizza come alter ego dell’imprenditore. L’institore, infatti, è titolare di una posizione corrispondente a quella di un vero e proprio amministratore, munito di poteri di rappresentanza, cosicché deve anche essere annoverato fra i soggetti tenuti alla dichiarazione. La peculiarità del ruolo, determinata dall’ampiezza dei poteri di rappresentanza allo stesso attribuiti dalla legge, lo differenzia in modo significativo dalla diversa figura del procuratore, che, infatti, non può ritenersi tenuto a rendere la dichiarazione de qua (Cons. St., Sez. V, n. 939/2011; n. 5084/2009). Conclude, quindi il Collegio rilevando come precedenti giurisprudenziali richiamati dall’appellante siano inconferenti, perché fanno riferimento ad ipotesi diverse dalla presente, e che, in particolare, le sentenze n. 4970/2012 e n. 2818/2012 affrontano il diverso caso della dichiarazione ex art. 38, d.lgs. 163/2006 (in relazione a impresa ausiliaria ex art. 49, comma 2, d.lgs. 163/2006); mentre le sentenze n. 6136/2011 e n. 513/2011, non riguardano la figura dell’institore, ma quella del procuratore speciale. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.4.2013, n. 2118)
Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato ha rigettato la censura formulata dall'appellante secondo il quale l’institore non rientrerebbe tra i soggetti indicati dall’art. 38 d.lgs. 163/2006, tenuti, quindi, a rendere la correlata dichiarazione a tal fine l'appellante richiama le sentenze del Con ... Continua a leggere
Individuazione degli elementi dai quali desumere l’intervenuta conoscenza del provvedimento per calcolare il decorso del termine per avanzare azione caducatoria avverso i provvedimenti di concessione edilizia

La giurisprudenza del Consiglio di Stato si è espressa a più riprese in merito agli elementi dai quali desumere l’intervenuta conoscenza del provvedimento per calcolare il decorso del termine per avanzare azione caducatoria avverso i provvedimenti di concessione edilizia, distinguendo a seconda deivizi proposti. Secondo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria n. 15/2011, il termine per impugnare il permesso di costruzione edilizia decorre dalla piena conoscenza del provvedimento, che s'intende avvenuta al completamento dei lavori, a meno che sia data prova di una conoscenza anticipata (in termini da ultimo Cons. St., sez. V, n. 3777 del 2012). Una simile prova va addossata a chi eccepisce la tardività del ricorso, e può essere desunta anche da elementi presuntivi (Cons. St., Sez. VI, 18 aprile 2012, n. 2209), che evidenzino la potenziale lesione portata all’interesse del ricorrente (Cons. St., Sez. VI, 28 aprile 2010, n. 2439). Inoltre, la stessa non appare necessaria quando si deducono censure di inedificabilità assoluta, potendosi presumere la stessa dall’avvenuta affissione del provvedimento nell’albo pretorio, dall’affissione dei cartelli e dal concreto inizio dei lavori (Cons. St., Sez. IV, 12 febbraio 2007, n. 599). Il necessario contemperamento, infatti, tra il principio di certezza dell’azione amministrativa e di effettività della tutela giurisdizionale deve essere rinvenuto sul crinale della manifestazione della lesione dell’interesse legittimo, che impone al suo titolare di attivarsi per chiederne tutela innanzi alla giurisdizione amministrativa al momento in cui la lesione della posizione giuridica diviene attuale e manifesta. Appare, infatti, evidente che la titolarità della posizione di interesse legittimo si origina nel momento in cui l’amministrazione intraprende l’esercizio del potere per il soddisfacimento dell’interesse pubblico, quindi con l’apertura del procedimento. Mentre, l’onere per il privato, il cui interesse sia stato leso dall’amministrazione, di attivarsi in sede giurisdizionale si manifesta quando la lesione al bene della vita diviene chiaramente percepibile o perché il provvedimento lesivo entra nella sfera giuridica del destinatario o perché gli effetti materiali dell’attività assentita dalla p.a. a favore del terzo beneficiario si palesano all’interno della sfera di conoscenza del futuro ricorrente. Il dies a quo per impugnare decorre, quindi, dalla piena conoscenza dell’effetto lesivo dell’atto amministrativo che va determinata in relazione alle ragioni che a giudizio del ricorrente concretizzano una lesione giuridicamente tutelabile del bene della vita sotteso all’interesse legittimo di cui è titolare. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.4.2013, n. 2107)
La giurisprudenza del Consiglio di Stato si è espressa a più riprese in merito agli elementi dai quali desumere l’intervenuta conoscenza del provvedimento per calcolare il decorso del termine per avanzare azione caducatoria avverso i provvedimenti di concessione edilizia, distinguendo a seconda dei ... Continua a leggere
Custodia dei plichi contenente le offerte: l'omessa verbalizzazione della conservazione dei plichi contenenti le offerte tecniche successivamente alla prima seduta

Nel giudizio in esame l'appellante si duole della mancata verbalizzazione della conservazione dei plichi contenenti le offerte tecniche successivamente alla prima seduta. Tale censura e' stata rigettata dal Consiglio di Stato laddove ha rilevato che la verbalizzazione dell’integrità dei plichi nella prima seduta pubblica ha permesso ai concorrenti di verificarne l’integrale conservazione sino a quel momento; successivamente le modalità di conservazione sono state verbalizzate con l’indicazione precisa del luogo di conservazione e nei verbali delle sedute riservate successive non vi è stata traccia di menomazioni o irregolarità, né, soprattutto, l'appellante ha mai fatto rilevare il minimo sospetto di irregolarità o contestato carenza di cautele nella conservazione e nemmeno in sede di ricorso la stessa interessata ha provato o insinuato episodi di manomissione (cfr. sul punto Cons. Stato, V, 18 febbraio 2013 n. 978 cit.). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.4.2013, n. 2105)
Nel giudizio in esame l'appellante si duole della mancata verbalizzazione della conservazione dei plichi contenenti le offerte tecniche successivamente alla prima seduta. Tale censura e' stata rigettata dal Consiglio di Stato laddove ha rilevato che la verbalizzazione dell’integrità dei plichi nell ... Continua a leggere
E' inapplicabile la DIA ai manufatti abusivi non sanati

Giurisprudenza uniforme rammenta come non possano essere destinatari dei provvedimenti di assenso al regime della d.i.a. manufatti abusivi che non siano stati sanati o condonati, in quanto gli interventi ulteriori - sia pure riconducibili a manutenzione straordinaria, restauro e/o risanamento conservativo oppure ristrutturazione – "ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera cui ineriscono strutturalmente" (Cass. pen., III, 24 ottobre 2008 n. 45070; id., 19 aprile 2006 n. 21490). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.4.2013, n. 2102)
Giurisprudenza uniforme rammenta come non possano essere destinatari dei provvedimenti di assenso al regime della d.i.a. manufatti abusivi che non siano stati sanati o condonati, in quanto gli interventi ulteriori - sia pure riconducibili a manutenzione straordinaria, restauro e/o risanamento conse ... Continua a leggere
Le norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale comunale che, per la loro natura regolamentare, sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l'atto applicativo, possono formare oggetto di censura in occasione della impugnazione di quest'ultimo

Il Consiglio di Stato rileva nella sentenza in esame che, mentre le disposizioni dirette a regolamentare l'uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi che in via immediata (come le norme di c.d. zonizzazione, la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici, la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo) stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata devono essere impugnate immediatamente, invece le prescrizioni di dettaglio contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale comunale che, per la loro natura regolamentare, sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l'atto applicativo, possono formare oggetto di censura in occasione della impugnazione di quest'ultimo (Consiglio di Stato, Ad. Gen., 6 giugno 2012, n. 3240). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.4.2013, n. 2101)
Il Consiglio di Stato rileva nella sentenza in esame che, mentre le disposizioni dirette a regolamentare l'uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi che in via immediata (come le norme di c.d. zonizzazione, la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici, la localizzazio ... Continua a leggere
Sopraelevazione: il punto iniziale da cui misurare l’altezza dell'edificio è il piano di campagna e il punto finale (cd. sottogronda) è costituito dall’ultimo solaio di copertura

Per quanto riguarda la realizzazione effettiva di una sopraelevazione, rileva il Consiglio di Stato che il punto iniziale da cui misurare l’altezza di tale edificio è il piano di campagna e il punto finale (cd. sottogronda) è costituito dall’ultimo solaio di copertura. Aggiunge poi il Collegio che,nel caso di spezzettamento della falda originaria in due, come nella specie, esistano due sottogronde da prendere in considerazione, una più alta dell’altra: il punto finale da prendere in considerazione ai fini di stabilire l’altezza di un edificio è, ovviamente, la seconda e più alta sottogronda; altrimenti, nell’ipotesi di tetto a più falde, si potrebbero realizzare innalzamenti plurimi agevolmente eludendo i divieti relativi alle altezze indicati nelle disposizioni del regolamento edilizio. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.4.2013, n. 2085)
Per quanto riguarda la realizzazione effettiva di una sopraelevazione, rileva il Consiglio di Stato che il punto iniziale da cui misurare l’altezza di tale edificio è il piano di campagna e il punto finale (cd. sottogronda) è costituito dall’ultimo solaio di copertura. Aggiunge poi il Collegio che, ... Continua a leggere
Appalti pubblici: l’apprezzamento equitativo del danno curricolare può trovare spazio anche nell’ambito di una riparazione a titolo di perdita di chances di aggiudicazione, quantificata con la tecnica della determinazione dell’utile conseguibile in caso di vittoria, scontato percentualmente in base al numero dei partecipanti alla gara

La perdita della possibilità di ottenere la commessa, nello specifico ormai eseguita dall’avversaria, si riverbera anche nella direzione dello specifico pregiudizio del mancato sviluppo del curriculum professionale del concorrente leso, conseguenza negativa la cui risarcibilità non avrebbe ragionedi essere subordinata alla condizione di una dimostrata spettanza "certa" dell’aggiudicazione al danneggiato. Di conseguenza, l’apprezzamento equitativo del danno curricolare può trovare spazio –naturalmente, per quanto di ragione- anche nell’ambito di una riparazione a titolo di perdita di (semplici) chances di aggiudicazione, quantificata con la tecnica della determinazione dell’utile conseguibile in caso di vittoria, scontato percentualmente in base al numero dei partecipanti alla gara (in tal senso v. ad es. C.d.S., V, 19 novembre 2012, 5846; 12 giugno 2009, n. 3785; 18 gennaio 2006, n. 126; VI, 15 giugno 2009, n. 3829). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.4.2013, n. 2038)
La perdita della possibilità di ottenere la commessa, nello specifico ormai eseguita dall’avversaria, si riverbera anche nella direzione dello specifico pregiudizio del mancato sviluppo del curriculum professionale del concorrente leso, conseguenza negativa la cui risarcibilità non avrebbe ragione ... Continua a leggere
L'attribuzione alle offerte tecniche di tutti i concorrenti di un medesimo punteggio non costituisce di per sé motivo di illegittimità

Ferma restando l'ampia discrezionalità in capo alla stazione appaltante, ai sensi dell'art. 81, comma 2, del Codice Contratti pubblici, in ordine alla scelta del criterio di aggiudicazione tra il prezzo più basso o l'offerta economicamente più vantaggiosa ( ex multis, Consiglio Stato sez. V, 26 febbraio 2010, n. 1154 ), la circostanza dell'attribuzione alle offerte tecniche di tutti i concorrenti di un medesimo punteggio non costituisce di per sé motivo di illegittimità, poiché sebbene le offerte siano suscettibili di una valutazione differenziata sul piano quantitativo, tale elemento probabilistico non può essere posto a fondamento dell'annullamento di una attività amministrativa espressione di elevata discrezionalità tecnica (Consiglio di Stato, sez. V, 25 agosto 2008, n. 4069).Nella fattispecie, la ricorrente, anziché contestare i criteri fissati dal bando sotto il profilo della eccessiva genericità e non idoneità a consentire un effettiva selezione qualitativa, ne lamenta la cattiva applicazione, la quale premierebbe esclusivamente l'offerta con il maggior ribasso. Evidentemente, nell'ipotesi in cui le offerte siano state ritenute tecnicamente identiche oppure con lieve discostamento (peraltro nel caso di specie con riferimento ad un elemento di valutazione cui è riservato solo un sesto del punteggio complessivo riservato al parametro delle caratteristiche tecniche e di qualità), l'elemento prezzo può divenire giocoforza determinante al fine dell'aggiudicazione, senza che ciò comporti alcun effetto invalidante della gara effettuata con il criterio dell'aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 15.4.2013, n. 2032)
Ferma restando l'ampia discrezionalità in capo alla stazione appaltante, ai sensi dell'art. 81, comma 2, del Codice Contratti pubblici, in ordine alla scelta del criterio di aggiudicazione tra il prezzo più basso o l'offerta economicamente più vantaggiosa ( ex multis, Consiglio Stato sez. V, 26 feb ... Continua a leggere
La scelta del criterio più idoneo per l'aggiudicazione di un appalto per l'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, costituiscono espressione tipica della discrezionalità della stazione appaltante

Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, sia la scelta del criterio più idoneo per l'aggiudicazione di un appalto (tra quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa e quello del prezzo più basso), sia la scelta dei criteri più adeguati (tra quelli esemplificativamente indicati dall'art. 83 del d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163) per l'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, costituiscono espressione tipica della discrezionalità della stazione appaltante e, impingendo nel merito dell'azione amministrativa, restano sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo (peraltro nel caso di specie nemmeno sollecitato col ricorso di primo grado in relazione alla congruità e logicità dei criteri stessi in rapporto alle previsioni di capitolato inerenti la struttura dell’offerta tecnica), con la conseguenza che il giudice amministrativo non può sostituire con proprie scelte quelle operate dall'Amministrazione ( cfr. Consiglio Stato, sez. V, 19 novembre 2009 , n. 7259 ). In ogni caso, come insegna la giurisprudenza comunitaria, gli offerenti devono essere posti su un piano di parità durante l’intera procedura di gara, il che comporta che i criteri e le condizioni che si applicano a ciascuna gara non possono in nessun caso predeterminare situazioni di vantaggio. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 15.4.2013, n. 2032)
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, sia la scelta del criterio più idoneo per l'aggiudicazione di un appalto (tra quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa e quello del prezzo più basso), sia la scelta dei criteri più adeguati (tra quelli esemplificativamente indicati da ... Continua a leggere
Gli atti a carattere generale non abbisognano di specifiche motivazioni e tale è indubbiamente il Piano regolatore generale

Nel caso dello strumento urbanistico generale, le motivazioni relativamente alle modifiche alla zonizzazione sono ritenute necessarie solo quando in capo ad alcuni soggetti si siano consolidate situazioni obiettive, mentre in ogni altro caso in cui lo strumento urbanistico modifichi una precedentedestinazione urbanistica (come è nella specie), ciò non determina la necessità di alcuna specifica motivazione in ordine alle ragioni che hanno determinato tale modificazione, è giurisprudenza pacifica quella che, peraltro, risponde ad esigenze operative evidenti e si trova altresì inserita nella L. n. 241 del 1990, per cui gli atti a carattere generale non abbisognano di specifiche motivazioni e tale è indubbiamente il Piano regolatore generale. "-Cons. Stato Sez. IV, 21-02-2005, n. 558 -; "il principio generale di non necessità di motivazione analitica e specifica in materia di pianificazione urbanistica incontra una deroga nel caso in cui venga disposta una variante ad uno strumento urbanistico limitata ad un unico determinato terreno: soltanto in tal caso, come nel caso in cui la variante incida su aspettative assistite da speciale tutela, si rende necessaria una puntuale motivazione-T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Bolzano, 12-01-2012, n. 9. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.4.2013, n. 2030)
Nel caso dello strumento urbanistico generale, le motivazioni relativamente alle modifiche alla zonizzazione sono ritenute necessarie solo quando in capo ad alcuni soggetti si siano consolidate situazioni obiettive, mentre in ogni altro caso in cui lo strumento urbanistico modifichi una precedente ... Continua a leggere
Decadenza del permesso di costruire: affinché non operi la decadenza per mancato inizio dei lavori entro l'anno, non possono essere valutate come cause di forza maggiore le libere scelte imprenditoriali

Per costante e condivisibile giurisprudenza l"'amministrazione non è tenuta a fornire specifiche motivazioni sulla adozione dell'atto di decadenza del permesso di costruire di cui all'art. 15, comma 4, d.p.r. n. 380/2001, in quanto qui non si è in presenza di un provvedimento negativo o di autotutela e la pronuncia di decadenza, per il suo carattere dovuto, è sufficientemente motivata con la sola evidenziazione dell'effettiva sussistenza dei presupposti di fatto. Né è richiesta alcuna ulteriore specificazione, stante la immediata e diretta prevalenza dell'interesse pubblico all'attuazione della regolamentazione sopravvenuta che è imposta dalla norma in questione(Cons. Stato Sez. IV, 07-09-2011, n. 5028), ritiene il Consiglio di Stato di dovere sinteticamente richiamare alcuni precedenti giurisprudenziali di merito, che hanno costantemente affermato il principio (riferibile sia all'art. 31, legge 17 agosto 1942, n. 1150 che all’art. 15 del TU edilizia) per cui ai fini dell'impedimento della decadenza della concessione ai sensi dell'art. 31, legge 17 agosto 1942, n. 1150, l'avvio dei lavori può senz'altro ritenersi sussistente quando le opere intraprese ed oggetto della concessione siano tali da manifestare l'univoca intenzione del concessionario di realizzare il manufatto assentito. La circostanza relativa alla ripulitura del sito e di aver approntato il cantiere ed i materiali necessari per l'esecuzione dei lavori sull'immobile non può certamente considerarsi come volontà diretta ed univoca volta al compimento delle opere assentite.(ex multis T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, 19-09-2005, n. 875). Del pari, è stato in passato rimarcato che al fine di impedire la decadenza comminata dall'art. 31 della L. 17 agosto 1942, n. 1150, come sostituito dall'art. 10 della L. 6 agosto 1967, n. 765 e dall'art. 4 della L. 28 gennaio 1977, n. 10 l'inizio dei lavori può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da manifestare una effettiva volontà da parte del concessionario di realizzare il manufatto assentito e tale non può considerarsi il semplice sbancamento del terreno (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. V, 22 novembre 1993, n. 1165, ma anche T.A.R. Marche Ancona Sez. I Sent., 13-03-2008, n. 195 ). Nel caso di specie, nei tre lotti attinti dal provvedimento dichiarativo decadenziale veniva notata la realizzazione (soltanto) di "movimenti terra e gittata di uno strato di battuto di calcestruzzo a circoscrivere le fondamenta della costruzione a farsi". Appare evidente pertanto che non sussistevano i requisiti minimali per ritenere che i lavori fossero stati iniziati e, stante la circostanza che erano state rilasciate a parte appellante autonome e separate concessioni edilizie non giova alla posizione di quest’ultima il richiamo all’avvenuto inizio dei lavori nell’altro lotto. La prescrizione relativa all’inizio "serio e comprovato" delle opere assentite entro l’anno risponde ad un evidente interesse pubblico, incidente sui poteri programmatori dell’amministrazione comunale: si è detto infatti, in passato, che affinchè non operi la decadenza della concessione edilizia per mancato inizio dei lavori entro l'anno, non possono essere valutate come cause di forza maggiore le libere scelte imprenditoriali, come tali implicanti un'alea, le cui conseguenze negative non possono che essere imputate al concessionario (tra le tante, T.A.R. Sicilia Catania Sez. I, 21-11-2006, n. 2316). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.4.2013, n. 2027)
Per costante e condivisibile giurisprudenza l"'amministrazione non è tenuta a fornire specifiche motivazioni sulla adozione dell'atto di decadenza del permesso di costruire di cui all'art. 15, comma 4, d.p.r. n. 380/2001, in quanto qui non si è in presenza di un provvedimento negativo o di autotute ... Continua a leggere
Indennità risarcitoria ambientale: l’autorizzazione postuma ai fini ambientali è valevole all’esclusivo fine di perfezionare la sanatoria prevista dall'art. 13 l. n. 47/1985, ma non elide del tutto le conseguenze della violazione dell’obbligo di munirsi di tale assenso in via preventiva sancito dall’art. 7 l. n. 1497/1939

Nel giudizio in esame viene impugnata l’ordinanza con la quale il Comune appellante ha ingiunto il pagamento della somma di lire 140.100.000, a titolo di "indennità risarcitoria ambientale" ex art. 15 l. n. 1497/1939 ("Protezione delle bellezze naturali"). Tale ingiunzione è scaturita dai lavori diristrutturazione edilizia eseguiti dai ricorrenti sull’immobile ad uso residenziale di loro proprietà ricadente in zona sottoposta a vincolo paesaggistico per la quale avevano il contributo di costruzione in misura doppia ai sensi dell’art. 13 l. n. 47/1985 ("Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie"), pari a lire 26.307.960. La conseguente impugnativa da questi proposta davanti al TAR Liguria veniva accolta. Il giudice di primo grado reputava fondata ed assorbente la censura di violazione della citata disposizione della legge n. 1497/1939, sul rilievo che il nulla-osta paesistico rilasciato dall’autorità preposta al vincolo in sede di concessione in sanatoria ex art. 13 l. n. 47/1985, rendesse inapplicabile l’indennità in questione. In particolare, secondo il TAR il parere favorevole espresso dall’autorità preposta al vincolo e l’accertamento in ordine all’inesistenza di pregiudizi di tipo ambientale in cui esso si sostanzia avevano reso inoperante la salvezza delle sanzioni ambientali disposto dell’art. 2, comma 46, l. n. 662/1996, invocato dall’amministrazione resistente. Il Consiglio di Stato ha accolto l'appello proposto dal Comune rilevando in primo luogo come nella giurisprudenza si registra un incontrastato orientamento, formatosi successivamente alla sentenza appellata, favorevole all’applicazione della sanzione prevista dall’art. 15 l. n. 1497/1939 a prescindere dell’esistenza di un effettivo danno ambientale (oltre alle pronunce citate dall’amministrazione appellante: sez. IV, 3 novembre 2003 n. 7047; 8 novembre 2000 n. 6007; sez. VI, 13 luglio 2006 n. 4420; 21 febbraio 2001 n. 912; vanno richiamate: sez. IV, 15 novembre 2004, n. 7405; 5 agosto 2003, n. 4482; 30 giugno 2003, n. 3931; 12 novembre 2002, n. 6279; sez. VI, 3 aprile 2003, n. 1729; 2 giugno 2000 n. 3184). Le giurisprudenza in discorso ha infatti precisato, in frontale contrario a quanto statuito nella sentenza appellata, che la salvezza delle sanzioni ambientali di cui all'art. 15 legge n. 1497 del 1939 disposta dall’art. 2 comma 46 legge n. 662/1996, opera anche se l'abuso edilizio sia stato ritenuto compatibile con l’assetto paesaggistico dall'autorità preposta alla tutela del vincolo, attraverso il rilascio del parere favorevole ai sensi dell’art. 32 l. n. 47/1985. Ciò in coerenza appunto con il carattere sanzionatorio e non già risarcitorio dell’istituto, confermato con norma di carattere interpretativo dalla menzionata disposizione della legge finanziaria per il 1997. E’ stato in altri termini affermato che l’autorizzazione postuma ai fini ambientali è valevole all’esclusivo fine di perfezionare la sanatoria prevista dal più volte citato art. 13 l. n. 47/1985, ma non elide del tutto le conseguenze della violazione dell’obbligo di munirsi di tale assenso in via preventiva sancito dall’art. 7 l. n. 1497/1939. Tale indirizzo muove dalla premessa di carattere generale, espressa dall’Adunanza generale nel parere n. 4 dell’11 aprile 2002, che l’autorizzazione ambientale in sanatoria non costituisce un equipollente perfetto dell’autorizzazione preventiva, giacché solo un effettivo controllo a priori degli interventi di trasformazione edilizia in aree vincolate è idoneo ad assicurare la tutela dei valori paesaggistici, cosicché, una volta nondimeno ammessa, essenzialmente per economia di mezzi, l’assentibilità postuma di tali interventivi, con l’effetto di precludere la riduzione in pristino attraverso la demolizione dell’edificio, deve comunque essere fatto salvo il potere di infliggere la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 15 della legge n. 1497/1939, come appunto precisato dal legislatore in sede di legge finanziaria per il 1997 con il più volte citato art. 2, comma 46. Ciò posto il Consiglio di Stato con la sentenza in esame prende atto di tale indirizzo, visto che la formulazione letterale dell’art. 2, comma 46, l. n. 662 citata, ha indubbia valenza confermativa della natura di sanzione dell’indennità risarcitoria ambientale e della sua applicabilità in ogni caso, anche dunque a quelli di nulla-osta paesaggistico ex art. 32 l. n. 47/1985. Sotto questo profilo deve dunque essere disattesa la tesi degli appellati secondo i principi di legalità e tipicità valevoli in materia di potere sanzionatorio amministrativo dovrebbero condurre ad escludere l’indennità risarcitoria nel caso di specie. In contrario a quest’ultimo rilievo, deve infatti sottolinearsi che è proprio la lettura del combinato disposto degli artt. 15 l. n. 1497 e 2, comma 46, l. n. 662 citati, oltre che evidenti ragioni di coerenza con le esigenze di massima tutela dell’ambiente, che conducono a ritenere intatta la potestà sanzionatoria in qualsiasi caso di abuso edilizio in zone vincolate, altimenti svilendosi la specifica funzione preventiva dell’assenso richiesto in relazione a tale vincolo. Ad ulteriore confutazione dei rilievi di parte appellata, è ancora il caso di ricordare che le pronunce di questo Consiglio sopra citate hanno anche precisato che il danno ambientale costituisce unicamente un criterio di commisurazione della sanzione pecuniaria, peraltro alternativo a quello del profitto, dacché l’assenza del primo non può sortire l’effetto di precludere l’esercizio della potestà di reazione spettante all’amministrazione. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.4.2013, n. 2216)
Nel giudizio in esame viene impugnata l’ordinanza con la quale il Comune appellante ha ingiunto il pagamento della somma di lire 140.100.000, a titolo di "indennità risarcitoria ambientale" ex art. 15 l. n. 1497/1939 ("Protezione delle bellezze naturali"). Tale ingiunzione è scaturita dai lavori di ... Continua a leggere
La possibile rilevanza urbanistica dei cd sottotetti e la loro conseguente includibilità nei computi volumetrici

La sentenza in esame viene attenzionata in quanto viene affrontata la problematica riguardante le cd soffitte. In particolare il T.A.R., in proposito, sulla scia della verificazione ha riscontrato l’avvenuta realizzazione di vani sottotetto, dalla superficie coperta di mq. 105, i quali per l’altezza progettata e la tipologia delle terrazze a livello esistenti (dalla superficie di mq. 10,64) sono stati valutati come veri e propri ambienti mansardati, non compatibili con l’uso di soffitta indicato dal progetto. Ambienti che integravano, dunque, un incremento di volumetria di cui né il progetto di concessione, né il titolo rilasciato dall’Amministrazione, avevano tenuto conto. Al riguardo l’appellante si limita ad obiettare, del tutto genericamente, che la porzione delle "soffitte" concretamente utilizzabile ("per ovvii motivi di altezza") avrebbe avuto, in realtà, una superficie inferiore ai mq. 105 indicati dal verificatore. Con tale replica non viene tuttavia posto in discussione il punto che anche tali locali avrebbero dovuto essere inclusi, quantomeno per la porzione appena indicata (che gli appellati quantificano, senza venire smentiti, in oltre mq. 70), nel computo delle volumetrie. E il fatto è che questa inclusione non risulta avvenuta, essendo stato il piano "soffitte", al contrario, interamente escluso dal calcolo del volume, che già con i piani inferiori era pervenuto all’esaurimento della cubatura massima (nel senso della possibile rilevanza urbanistica dei c.d. sottotetti, e per la loro conseguente includibilità nei computi volumetrici, v. ad es. C.d.S., IV, 30 maggio 2005, n. 2767, e 28 gennaio 2011, n. 678; V, 31 gennaio 2006, n. 354, e 4 marzo 2008, n. 918). Sempre con riferimento alle c.d. soffitte, l’originaria ricorrente aveva altresì dedotto, e qui ripropone, il rilievo per cui le medesime, attesa la loro reale natura, dovevano essere incluse anche nel computo dell’altezza complessiva del fabbricato, non integrando esse, stanti le loro terrazze di corredo, quei puri e semplici "abbaini" o "parapetti" soli consentiti, entro certi limiti, dall’art. 110, lett. d), della N.T.A. (il primo Giudice si era già espresso, del resto, nel senso della computabilità anche del "prolungamento delle falde oltre il piano di facciata che ha permesso l’innalzamento del livello delle soffitte": pag. 7 della sentenza in epigrafe). Ed anche questo logico rilievo, privo di puntuale replica ex adverso, deve essere ritenuto fondato, in coerenza con quanto testé osservato sulla natura dei locali di cui si tratta. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.4.2013, n. 2219)
La sentenza in esame viene attenzionata in quanto viene affrontata la problematica riguardante le cd soffitte. In particolare il T.A.R., in proposito, sulla scia della verificazione ha riscontrato l’avvenuta realizzazione di vani sottotetto, dalla superficie coperta di mq. 105, i quali per l’altez ... Continua a leggere