Gazzetta Informa News 16 Aprile 2013 - Area Tecnica


NORMATIVA

Interscambio dei dati catastali Agenzia - Comuni: pubblicate le regole tecniche

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L'Agenzia delle Entrate ha pubblicato il documento contenente le regole tecniche per lo scambio dei dati catastali tra l'Agenzia e i Comuni. In particolare il documento descrive, tra l'altro: 1) i formati utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per fornire ai Comuni le superfici calcolate, ai sensi del DPR 138/1998, comprensive o meno delle aree scoperte; 2) i formati utilizzati dai Comuni per segnalare all’Agenzia le unità immobiliari con scostamenti significativi tra le superfici calcolate ai sensi del DPR 138/1998 e i dati in loro possesso. Il tracciato per lo scambio dei dati di superficie ai fini dell’accertamento del tributo Tares è stato predisposto sulla base di quello già in uso per l’applicazione della Tarsu, che continuerà ad essere fornito. Per approfondire l'argomento cliccare sul titolo sopra linkato. (Agenzia delle Entrate, comunicato del 12.4.2013)

 
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GIURISPRUDENZA

L'attribuzione alle offerte tecniche di tutti i concorrenti di un medesimo punteggio non costituisce di per sé motivo di illegittimità

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Ferma restando l'ampia discrezionalità in capo alla stazione appaltante, ai sensi dell'art. 81, comma 2, del Codice Contratti pubblici, in ordine alla scelta del criterio di aggiudicazione tra il prezzo più basso o l'offerta economicamente più vantaggiosa ( ex multis, Consiglio Stato sez. V, 26 febbraio 2010, n. 1154 ), la circostanza dell'attribuzione alle offerte tecniche di tutti i concorrenti di un medesimo punteggio non costituisce di per sé motivo di illegittimità, poiché sebbene le offerte siano suscettibili di una valutazione differenziata sul piano quantitativo, tale elemento probabilistico non può essere posto a fondamento dell'annullamento di una attività amministrativa espressione di elevata discrezionalità tecnica (Consiglio di Stato, sez. V, 25 agosto 2008, n. 4069).Nella fattispecie, la ricorrente, anziché contestare i criteri fissati dal bando sotto il profilo della eccessiva genericità e non idoneità a consentire un effettiva selezione qualitativa, ne lamenta la cattiva applicazione, la quale premierebbe esclusivamente l'offerta con il maggior ribasso. Evidentemente, nell'ipotesi in cui le offerte siano state ritenute tecnicamente identiche oppure con lieve discostamento (peraltro nel caso di specie con riferimento ad un elemento di valutazione cui è riservato solo un sesto del punteggio complessivo riservato al parametro delle caratteristiche tecniche e di qualità), l'elemento prezzo può divenire giocoforza determinante al fine dell'aggiudicazione, senza che ciò comporti alcun effetto invalidante della gara effettuata con il criterio dell'aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 15.4.2013, n. 2032)

 
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Sopraelevazione: il punto iniziale da cui misurare l’altezza dell'edificio è il piano di campagna e il punto finale (cd. sottogronda) è costituito dall’ultimo solaio di copertura

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Per quanto riguarda la realizzazione effettiva di una sopraelevazione, rileva il Consiglio di Stato che il punto iniziale da cui misurare l’altezza di tale edificio è il piano di campagna e il punto finale (cd. sottogronda) è costituito dall’ultimo solaio di copertura. Aggiunge poi il Collegio che,nel caso di spezzettamento della falda originaria in due, come nella specie, esistano due sottogronde da prendere in considerazione, una più alta dell’altra: il punto finale da prendere in considerazione ai fini di stabilire l’altezza di un edificio è, ovviamente, la seconda e più alta sottogronda; altrimenti, nell’ipotesi di tetto a più falde, si potrebbero realizzare innalzamenti plurimi agevolmente eludendo i divieti relativi alle altezze indicati nelle disposizioni del regolamento edilizio. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.4.2013, n. 2085)

 
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La scelta del criterio più idoneo per l'aggiudicazione di un appalto per l'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, costituiscono espressione tipica della discrezionalità della stazione appaltante

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Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, sia la scelta del criterio più idoneo per l'aggiudicazione di un appalto (tra quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa e quello del prezzo più basso), sia la scelta dei criteri più adeguati (tra quelli esemplificativamente indicati dall'art. 83 del d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163) per l'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, costituiscono espressione tipica della discrezionalità della stazione appaltante e, impingendo nel merito dell'azione amministrativa, restano sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo (peraltro nel caso di specie nemmeno sollecitato col ricorso di primo grado in relazione alla congruità e logicità dei criteri stessi in rapporto alle previsioni di capitolato inerenti la struttura dell’offerta tecnica), con la conseguenza che il giudice amministrativo non può sostituire con proprie scelte quelle operate dall'Amministrazione ( cfr. Consiglio Stato, sez. V, 19 novembre 2009 , n. 7259 ). In ogni caso, come insegna la giurisprudenza comunitaria, gli offerenti devono essere posti su un piano di parità durante l’intera procedura di gara, il che comporta che i criteri e le condizioni che si applicano a ciascuna gara non possono in nessun caso predeterminare situazioni di vantaggio. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 15.4.2013, n. 2032)

 
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Gli atti a carattere generale non abbisognano di specifiche motivazioni e tale è indubbiamente il Piano regolatore generale

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Nel caso dello strumento urbanistico generale, le motivazioni relativamente alle modifiche alla zonizzazione sono ritenute necessarie solo quando in capo ad alcuni soggetti si siano consolidate situazioni obiettive, mentre in ogni altro caso in cui lo strumento urbanistico modifichi una precedentedestinazione urbanistica (come è nella specie), ciò non determina la necessità di alcuna specifica motivazione in ordine alle ragioni che hanno determinato tale modificazione, è giurisprudenza pacifica quella che, peraltro, risponde ad esigenze operative evidenti e si trova altresì inserita nella L. n. 241 del 1990, per cui gli atti a carattere generale non abbisognano di specifiche motivazioni e tale è indubbiamente il Piano regolatore generale. "-Cons. Stato Sez. IV, 21-02-2005, n. 558 -; "il principio generale di non necessità di motivazione analitica e specifica in materia di pianificazione urbanistica incontra una deroga nel caso in cui venga disposta una variante ad uno strumento urbanistico limitata ad un unico determinato terreno: soltanto in tal caso, come nel caso in cui la variante incida su aspettative assistite da speciale tutela, si rende necessaria una puntuale motivazione-T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Bolzano, 12-01-2012, n. 9. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.4.2013, n. 2030)

 
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Decadenza del permesso di costruire: affinché non operi la decadenza per mancato inizio dei lavori entro l'anno, non possono essere valutate come cause di forza maggiore le libere scelte imprenditoriali

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Per costante e condivisibile giurisprudenza l"'amministrazione non è tenuta a fornire specifiche motivazioni sulla adozione dell'atto di decadenza del permesso di costruire di cui all'art. 15, comma 4, d.p.r. n. 380/2001, in quanto qui non si è in presenza di un provvedimento negativo o di autotutela e la pronuncia di decadenza, per il suo carattere dovuto, è sufficientemente motivata con la sola evidenziazione dell'effettiva sussistenza dei presupposti di fatto. Né è richiesta alcuna ulteriore specificazione, stante la immediata e diretta prevalenza dell'interesse pubblico all'attuazione della regolamentazione sopravvenuta che è imposta dalla norma in questione(Cons. Stato Sez. IV, 07-09-2011, n. 5028), ritiene il Consiglio di Stato di dovere sinteticamente richiamare alcuni precedenti giurisprudenziali di merito, che hanno costantemente affermato il principio (riferibile sia all'art. 31, legge 17 agosto 1942, n. 1150 che all’art. 15 del TU edilizia) per cui ai fini dell'impedimento della decadenza della concessione ai sensi dell'art. 31, legge 17 agosto 1942, n. 1150, l'avvio dei lavori può senz'altro ritenersi sussistente quando le opere intraprese ed oggetto della concessione siano tali da manifestare l'univoca intenzione del concessionario di realizzare il manufatto assentito. La circostanza relativa alla ripulitura del sito e di aver approntato il cantiere ed i materiali necessari per l'esecuzione dei lavori sull'immobile non può certamente considerarsi come volontà diretta ed univoca volta al compimento delle opere assentite.(ex multis T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, 19-09-2005, n. 875). Del pari, è stato in passato rimarcato che al fine di impedire la decadenza comminata dall'art. 31 della L. 17 agosto 1942, n. 1150, come sostituito dall'art. 10 della L. 6 agosto 1967, n. 765 e dall'art. 4 della L. 28 gennaio 1977, n. 10 l'inizio dei lavori può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da manifestare una effettiva volontà da parte del concessionario di realizzare il manufatto assentito e tale non può considerarsi il semplice sbancamento del terreno (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. V, 22 novembre 1993, n. 1165, ma anche T.A.R. Marche Ancona Sez. I Sent., 13-03-2008, n. 195 ). Nel caso di specie, nei tre lotti attinti dal provvedimento dichiarativo decadenziale veniva notata la realizzazione (soltanto) di "movimenti terra e gittata di uno strato di battuto di calcestruzzo a circoscrivere le fondamenta della costruzione a farsi". Appare evidente pertanto che non sussistevano i requisiti minimali per ritenere che i lavori fossero stati iniziati e, stante la circostanza che erano state rilasciate a parte appellante autonome e separate concessioni edilizie non giova alla posizione di quest’ultima il richiamo all’avvenuto inizio dei lavori nell’altro lotto. La prescrizione relativa all’inizio "serio e comprovato" delle opere assentite entro l’anno risponde ad un evidente interesse pubblico, incidente sui poteri programmatori dell’amministrazione comunale: si è detto infatti, in passato, che affinchè non operi la decadenza della concessione edilizia per mancato inizio dei lavori entro l'anno, non possono essere valutate come cause di forza maggiore le libere scelte imprenditoriali, come tali implicanti un'alea, le cui conseguenze negative non possono che essere imputate al concessionario (tra le tante, T.A.R. Sicilia Catania Sez. I, 21-11-2006, n. 2316). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.4.2013, n. 2027)

 
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Appalti pubblici: l’apprezzamento equitativo del danno curricolare può trovare spazio anche nell’ambito di una riparazione a titolo di perdita di chances di aggiudicazione, quantificata con la tecnica della determinazione dell’utile conseguibile in caso di vittoria, scontato percentualmente in base al numero dei partecipanti alla gara

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La perdita della possibilità di ottenere la commessa, nello specifico ormai eseguita dall’avversaria, si riverbera anche nella direzione dello specifico pregiudizio del mancato sviluppo del curriculum professionale del concorrente leso, conseguenza negativa la cui risarcibilità non avrebbe ragionedi essere subordinata alla condizione di una dimostrata spettanza "certa" dell’aggiudicazione al danneggiato. Di conseguenza, l’apprezzamento equitativo del danno curricolare può trovare spazio –naturalmente, per quanto di ragione- anche nell’ambito di una riparazione a titolo di perdita di (semplici) chances di aggiudicazione, quantificata con la tecnica della determinazione dell’utile conseguibile in caso di vittoria, scontato percentualmente in base al numero dei partecipanti alla gara (in tal senso v. ad es. C.d.S., V, 19 novembre 2012, 5846; 12 giugno 2009, n. 3785; 18 gennaio 2006, n. 126; VI, 15 giugno 2009, n. 3829). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.4.2013, n. 2038)

 
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L’attività di distribuzione e vendita di giornali e riviste va annoverata tra le attività comuni aperte alla libera concorrenza: disapplicata dal Consiglio di Stato la legge regionale n. 49/1986 che in Sardegna impone il rispetto della distanza minima tra le rivendite di giornali

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Compete allo Stato la potestà legislativa in tema di tutela della concorrenza, materia ad esso riservata ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lett. e) della Costituzione, con conseguente obbligo di adeguarvisi sia da parte delle regioni a statuto ordinario che di quelle a statuto speciale (vedi Corte Cost., sentenza n. 411/2008). Nell’esercizio di tale potestà e in applicazione dei princìpi di diritto dell’Unione europea sulla libertà di concorrenza è stato recentemente emanato il decreto legge 4 luglio 2006 n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006 n. 248, che all’articolo 3 dispone che le attività commerciali di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 siano svolte liberamente, senza l’obbligo di rispettare distanze minime tra esercizi della stessa tipologia. Non è dubbio che l’attività di distribuzione e vendita di giornali e riviste sia da annoverare tra le attività comuni aperte alla libera concorrenza previste dal d.lgs. n. 114/1998 e che tale attività commerciale non ne sia esclusa è anche provato dal disposto dell’articolo 13 del decreto, che cita espressamente tra le attività commerciali gli esercizi di vendita di giornali ed esclude per essi solo l’applicazione delle disposizioni di cui al titolo IV, relative agli orari di apertura e chiusura al pubblico. Ciò posto nel giudizio in esame il Consiglio di Stao ha ritenuto fondata la censura dell'appellante che sempre sostenendo l’applicazione piena del d.lgs. n. 114/1998 al settore di interesse, contesta l’obbligo di rispettare distanze tra rivendite di giornali, previsto dalla normativa regionale. L’art. 4 della legge regionale n. 49/1986, che impone il rispetto della distanza minima di 700 metri tra le rivendite di giornali, si pone in contrasto con la normativa dell’Unione europea, essendo rivolta a garantire agli operatori commerciali del settore una ormai non più riconoscibile protezione dai rischi della libera concorrenza: in materia di imposizione di distanze tra esercizi commerciali, cfr. Corte giust. UE, 11 marzo 2010, C-384/08, Attanasio group; 16 febbraio 2012, C-107/11, Min. int. c. Rizzo. . La norma regionale, infatti, oltre ad essere in contrasto con la legge statale nei termini già enunciati, confligge con i principi di diritto europeo di libero stabilimento e di concorrenza tra imprese, ponendo restrizioni all’istituzione di nuove, ma anche alla loro mobilità sul territorio (articolo 49 TFUE). Né ricorre in materia, la possibilità per i singoli Stati di derogare a tali principi con l’apposizione di vincoli di varia natura, atteso che il Trattato ne prevede la possibilità, ma solo per comprovati motivi di natura sanitaria o di ordine e sicurezza pubblica. In relazione a tali insanabili contrasti con le norme di diritto europeo, l’articolo 4 della legge regionale n. 49/1986, va disapplicato. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 9.4.213, n. 1945)

 
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Compete allo Stato la potestà legislativa in tema di tutela della concorrenza, materia ad esso riservata ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lett. e) della Costituzione, con conseguente obbligo di adeguarvisi sia da parte delle regioni a statuto ordinario che di quelle a statuto speciale (ve ... Continua a leggere

 

E' necessario il permesso di costruire per la realizzazione di una recinzione che presenta un elevato impatto urbanistico

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La giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Suprema Corte di Cassazione ritiene che la realizzazione di una recinzione che presenti un elevato impatto urbanistico debba essere preceduta ex l. 10/1977 da provvedimento concessorio da parte dell’amministrazione comunale. Atto che non risulta necessario solo in presenza di una trasformazione che per l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell’interevento non comportino un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale. La distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello jus excludendi alios va rintracciata quindi nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto. Sotto questo profilo appare utile rammentare la decisione di questa Sezione (Cons. Stato Sez. V, 26-10-1998, n. 1537), secondo la quale: "La concessione edilizia non è necessaria per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo "jus excludendi alios"; occorre, invece, la concessione, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica". Nello stesso senso la più recente Cons. St., Sez. V, 23 febbraio 2012, n. 976: "Necessita di concessione edilizia la recinzione di un fondo rustico realizzata con installazioni permanenti, in quanto produce una significativa trasformazione urbanistica del territorio, a prescindere dalla realizzazione di volumetrie di qualunque natura" (cfr. in aggiunta, sez. VI, 23 maggio 2011, n. 3046; sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3555 secondo cui <>). Uniforme appare anche la giurisprudenza della Suprema Corte (a far data da Cass. pen., 30 settembre 1988), secondo la quale: "La recinzione di un fondo rustico non necessita di concessione edilizia solo nel caso in cui la stessa venga attuata con opere non permanenti; il provvedimento autorizzativo è, invece, richiesto quando venga realizzata con materiale tipicamente edilizio tra cui rientra la zoccolatura in calcestruzzo" (cfr. in aggiunta Cass. pen., sez. III, 2 ottobre 2010, n. 41518; sez. III, 13 dicembre 2007). Nella fattispecie l’imponenza della costruzione che si estende per una lunghezza di circa 346 metri di lunghezza con altezza di metri 2,50 non lascia dubbi al fatto che si sia in presenza di un manufatto che necessita di apposita provvedimento edilizio abilitativo. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 9.4.2013, n. 1922)

 
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Gli oneri di urbanizzazione per interventi su edifici preesistenti sono correlati al carico urbanistico derivante dalla trasformazione che interviene sulle preesistenze e, quindi non devono essere necessariamente inferiori a quelli previsti per le nuove costruzioni

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L’importo degli oneri di urbanizzazione per interventi su edifici preesistenti non deve essere necessariamente inferiore a quello previsto per le nuove costruzioni, poiché gli oneri sono correlati alla carico urbanistico derivante dalla trasformazione che interviene sulle preesistenze; tali conseguenze possono comportare anche variazione degli standard ed in determinati casi causano addirittura impatti superiori a quelli derivanti da nuove costruzioni, ciò soprattutto ove la nuova destinazione abbia un rilievo quantitativamente e qualitativamente del tutto differente, come nel caso di specie. Nel caso di specie, infatti, si è passati da un edificio destinato a scopi di istruzione per persone diversamente abili con una frequenza pari a poche decine di alunni, ad un immobile sede di uno dei tour operators tra i maggiori in Italia, con un numero di addetti che non può essere paragonato al numero di insegnanti e di scolari del passato - senza smentite si è insinuato un dato di alcune centinaia di unità - con la conseguente necessità della creazione di un parcheggio, elemento questo sufficientemente descrittivo delle modificazioni di carico urbanistico della zona adiacente. Ma deve essere ancora aggiunto che per la scuola si era fatta applicazione del disposto di cui all’art. 9 lett. f) L. 10/77, ossia dell’esenzione dai contributi concessori previsti per impianti, attrezzature ed opere pubbliche e di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti; la gratuità della concessione, ora contenuta negli artt. 6 e 17 d.P.R. n. 380/01, è connessa all’interesse generale perseguito ed è evidente che una scuola per disabili inserita in zona destinata ad attrezzature pubbliche e sociali doveva beneficiare di quella esenzione dal contributo costo di costruzione e dagli oneri di urbanizzazione, ove poi fosse la stessa mano pubblica chiamata a realizzare l’opera, ponendo così a carico della fiscalità generale le spese per l’effettuazione di quelle opere di urbanizzazione accessorie alla nuova costruzione (Cons. Stato, V, 29 settembre 1997 n. 1067; id., 20 novembre 1989 n. 752). L’attuale destinazione dell’edificio è invece volta a fini tipicamente imprenditoriali ed appare allora del tutto corretto che la parte non possa ora giovarsi della gratuità di una concessione edilizia al tempo rilasciata per fini essenzialmente pubblici; è evidente che un abbattimento, sia pure parziale, degli oneri di urbanizzazione verrebbe a costituire una sorta di socializzazione indiretta dei costi derivanti da investimenti privati, la quale non trova copertura alcuna nella normativa urbanistica, sia vigente, sia abrogata. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 9.4.2013, n. 1918)

 
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Aggiudicazione di appalti pubblici: l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti a pena di esclusione non può essere considerata alla stregua di un'irregolarità sanabile, e, quindi, non ne è permessa l'integrazione o la regolarizzazione postuma

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Nelle procedure per l'aggiudicazione di appalti pubblici l'allegazione della copia fotostatica del documento del sottoscrittore della dichiarazione sostitutiva, prescritta dall'art. 38, comma 3, t.u. 28 dicembre 2000, n. 445, è un adempimento inderogabile atto a conferire, in considerazione della sua introduzione come forma di semplificazione, legale autenticità alla sottoscrizione apposta in calce alla dichiarazione, e giuridica esistenza ed efficacia all'autocertificazione. Si tratta quindi di un elemento integrante della fattispecie normativa, teso a stabilire, data l'unità costituita dalla fotocopia del documento di identità e dalla dichiarazione sostitutiva, un collegamento tra la dichiarazione ed il documento, e a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l'imputabilità soggettiva della dichiarazione al soggetto che la presta (C.d.S., V, 26 marzo 2012, n. 1739; nello stesso senso cfr., ad es., IV, 2 settembre 2011, n. 4967). D’altra parte, è noto quanto consolidato l’insegnamento giurisprudenziale relativo all’istituto del c.d. dovere di soccorso codificato dall’art. 46 d.lgs. n. 163/2006, per cui l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti a pena di esclusione non può essere considerata alla stregua di un'irregolarità sanabile, e, quindi, non ne è permessa l'integrazione o la regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali. E ciò tanto più quando non sussistano equivoci o incertezze generati dall'ambiguità di clausole della legge di gara (cfr., tra le più recenti: C.d.S., V, 2 agosto 2010, n. 5084; 2 febbraio 2010, n. 428; 15 gennaio 2008, n. 36). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 9.4.2013, n. 1915)

 
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Abusi edilizi: l'eccessiva onerosità della demolizione non è motivo idoneo a consentire l'applicazione della sanzione pecuniaria che opera solo qualora sia "oggettivamente impossibile" procedere alla demolizione

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L’art. 34 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), prevede, al primo comma, che «gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell’abuso» entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell’ufficio, con l’aggiunta che «decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del Comune e a spese dei medesimi responsabili dell’abuso». Il secondo comma dispone che «quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, (…), della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale». La norma, da ultimo riportata, deve essere interpretata – in conformità alla natura di illecito posto in essere e alla sua valenza derogatoria rispetto alla regola generale posta dal primo comma – nel senso che si applica la sanzione pecuniaria soltanto nel caso in cui sia "oggettivamente impossibile" procedere alla demolizione. Deve, pertanto, risultare in maniera inequivoca che la demolizione, per le sue conseguenze materiali, inciderebbe sulla stabilità dell’edificio nel suo complesso (cfr., con riferimento a fattispecie analoghe, Cons. Stato, V, 29 novembre 2012, n. 6071; Cons. Stato, V, 5 settembre 2011, n. 4982). Non possono, pertanto, venire in rilievo aspetti relativi alla "eccessiva onerosità" dell’intervento. Se si potessero prendere in esame anche questi profili si rischierebbe di trasformare l’istituto in esame in una sorta di "condono mascherato" con incidenza negativa grave sul complessivo assetto del territorio e in contrasto con la chiara determinazione del legislatore, che ha imposto che abbia luogo la demolizione parziale, tranne il caso in cui la relativa attività materiale incida sulla stabilità dell’intero edificio, e dunque anche nell’ipotesi in cui nella parte da demolire siano stati realizzati strumenti o impianti più o meno costosi. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 9.4.2013, n. 1912)

 
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SuperDia: l'aumento di cubatura non consente l'applicabilità della particolare procedura di cui all’art. 1 della legge n. 443 del 2001

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Ad avviso del Consiglio di Stato la particolare procedura di cui al comma 6 dell’articolo 1 della l. 443 del 2001 nel caso di specie seguita dalla società appellante (c.d. ‘superDIA’) non avrebbe potuto comunque consentire di realizzare gli interventi all’origine dei fatti di causa (si tratta dellaristrutturazione di due pregresse tettoie agricole con parziale tamponatura dei lati dei manufatti ed oggettivo incremento di cubatura complessiva). Infatti, nessuna delle previsioni di cui al richiamato comma 6 dell’articolo 1 consentiva l’assentibilità attraverso la procedura in questione del tipo di intervento nella specie realizzato: non la previsione di cui alla lettera a) (non trattandosi di interventi edilizi minori), non la previsione di cui alla lettera b), in tema di ristrutturazioni edilizie (ostandovi l’oggettivo dato dell’incremento del volume complessivo dei manufatti interessati); non la lettera c) (non trattandosi di opere specificamente disciplinate da piani attuativi urbanistici) e neppure la lettera d) (non trattandosi, neppure in questo caso, di interventi posti in essere in diretta esecuzione di idonei strumenti urbanistici). Per le medesime ragioni, è irrilevante ai fini della decisione stabilire se, effettivamente, la previsione dell’articolo 11 delle N.T.A. del P.R.G. impedisse la realizzazione di opere tali da determinare un aumento della cubatura complessiva. Il punto è che, nel caso di specie, l’aumento di cubatura (in qualunque modo previsto e realizzato) comportava comunque la non applicabilità al caso di specie della particolare procedura di cui all’articolo 1 della l. 443 del 2001, in tal modo palesando la legittimità dell’atto del Comune, il quale aveva ravvisato l’inesistenza di un idoneo titolo edilizio. Aggiunge poi il Collegio che nel caso in esame era ormai decorso il termine di sessanta giorni previsto dal combinato disposto di cui all’articolo 1 della l. 443 del 2001, cit., e di cui all’articolo 4 del decreto-legge n. 398 del 1993 ai sensi della procedura c.d. di ‘superDIA’. Al riguardo, il Collegio condivide (non rinvenendosi nel caso di specie ragioni per discostarsene) l’orientamento secondo cui, in caso di presentazione di dichiarazione di inizio di attività, l'inutile decorso del termine previsto per legge ai fini dell’esercizio del potere inibitorio all’effettuazione delle opere (nel caso di specie, si tratta del termine di cui ai commi 11 e 15 dell’articolo 4 del decreto-legge 398 del 1993) non comporta che l’attività del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi legittimamente effettuata e, quindi possa andare esente dalle sanzioni previste dall'ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle previsioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi. Ed infatti, in tali ipotesi il titolo abilitativo comunque formatosi per effetto dell'inerzia dell'amministrazione può comunque formare oggetto, alle condizioni previste in via generale dall'ordinamento, di interventi di annullamento d’ufficio o di revoca. In siffatte ipotesi, infatti, l’amministrazione non perde i propri ordinari poteri di vigilanza e sanzionatori, il cui esercizio risponde a finalità di interesse generale e la cui connotazione presenta caratteri in parte diversi rispetto al potere esercitato al momento (per così dire ‘genetico’) della formazione del titolo per silentium (in tal senso: Cons. Stato, IV, 30 luglio 2012, n. 4318). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 9.4.2013, n. 1909)

 
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Imposizione del vincolo archeologico: l’amministrazione dei beni culturali ed ambientali può estendere il vincolo ad intere aree in cui siano disseminati ruderi archeologici particolarmente importanti

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Il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137), disciplina il procedimento amministrativo per la dichiarazione di interesse culturale di beni specificamente indicati, i poteri di vigilanza e controllo del Ministero competente, le modalità di protezione "diretta" dei beni stessi (si vedano, in particolare, gli articoli 10, 18, 19 e 20 e seguenti). La giurisprudenza di questo Consiglio, con orientamento formatosi nella vigenza della legge 1° giugno 1939, n. 1089, ma con affermazioni estensibili al nuovo sistema, ha già avuto modo di rilevare che, ai fini della tutela vincolistica su beni archeologici, «l’effettiva esistenza delle cose da tutelare può essere dimostrata anche per presunzione e che è ininfluente che i materiali oggetto di tutela siano stati portati alla luce o siano ancora interrati, essendo sufficiente che il complesso risulti «adeguatamente definito e che il vincolo archeologico appaia adeguato alla finalità di pubblico interesse al quale è preordinato» (Cons. Stato, VI, 1° marzo 2005, n. 805). La stessa giurisprudenza ha specificato che «l’amministrazione dei beni culturali ed ambientali può estendere il vincolo ad intere aree in cui siano disseminati ruderi archeologici particolarmente importanti: è necessario, però, in tal caso, che i ruderi stessi costituiscano un complesso unitario ed inscindibile, tale da rendere indispensabile il sacrificio totale degli interessi dei proprietari e senza possibilità di adottare soluzioni meno radicali, evitandosi, in ogni caso, che l’imposizione della limitazione sia sproporzionata rispetto alla finalità di pubblico interesse cui è preordinata» (Cons. Stato. VI, n. 5069 del 2005). Più recentemente la Sezione, in relazione ad una fattispecie analoga alla presente, ha affermato che «quando si tratta della imposizione del vincolo archeologico, è del tutto ovvio che l’autorità amministrativa ritenga di sottoporre a tutela una intera area complessivamente abitata nell’antichità e solo eventualmente cinta da mura, comprendendovi anche gli spazi verdi, dal momento che le esigenze di salvaguardia riguardano non i reperti in sé e solo in quanto addossati gli uni agli altri, ma complessivamente tutta la complessiva superficie destinata illo tempore all’insediamento umano» (Cons. Stato, VI, 29 gennaio 2013, n. 522). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 9.4.2013, n. 1906)

 
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Abusi edilizi: la sostituzione della sanzione demolitoria con la sanzione pecuniaria

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La possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria, nello specifico disciplinata dall’art. 34 del D.P.R. n. 380 del 2001, deve essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione (Cons. di Stato, Sez. VI, 28 febbraio 2000, n. 1055). Ne deriva, quindi, che nel caso di specie le questioni sollevate con l’atto d’appello non attengono alla legittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata dagli appellanti, riguardando esclusivamente quella della successiva fase di rilevazione della inottemperanza all’ordine di demolizione e di emanazione degli ulteriori atti di esecuzione. A quanto precede deve, infine, aggiungersi che anche a ritenere che l’emanazione della sanzione secondaria debba avvenire contestualmente all’emanazione del provvedimento amministrativo, quest’ultima sarebbe comminabile soltanto in caso di impossibilità della demolizione, secondo una valutazione tecnica rimessa in via esclusiva all’Autorità amministrativa: ipotesi questa in cui ricade la fattispecie di cui è causa in considerazione del fatto che l’Amministrazione ha ritenuto "tecnicamente possibile" la demolizione di parte del manufatto abusivo. (Cons. di Stato, Sez. V, 20 marzo 2007, n. 1325). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 12.4.2013, n. 2001)

 
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Illegittimità dell'aggiudicazione dell'appalto: modalità (per equivalente o in forma specifica) di rimborso delle spese sostenute per la partecipazione alla gara

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In caso di acclarata illegittimità dell'atto amministrativo, asseritamente foriero di danno, al privato non è richiesto un particolare sforzo probatorio per ciò che attiene al profilo dell'elemento soggettivo della colpa, potendo egli invocare l'illegittimità del provvedimento quale presunzione (semplice) della colpa, spettando poi all'Amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile nelle ipotesi (che qui non sussistono) di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una fonte normativa di formulazione incerta o di recente entrata in vigore ovvero di notevole complessità del fatto o di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti (sul punto –ex plurimis -: Cons. Stato, V, 19 novembre 2012, n. 5846; id., V, 3 luglio 2012, n. 3888; id., VI, 20 luglio 2010, n. 4660). Per quanto concerne, poi, i rapporti fra il lucro cessante (coincidente con l’utile economico che sarebbe derivato dall’esecuzione dell’appalto in caso di aggiudicazione non avvenuta per le illegittimità qui rilevate) e danno emergente (coincidente con la diminuzione patrimoniale dovuta per le spese e gli esborsi sostenuti per la partecipazione alla gara), si osserva quanto segue. Sul punto il Consiglio di Stato ha ritenuto che non sussistano ragioni per discostarsi dall’orientamento secondo cui il danno emergente, consistente nelle spese sostenute per la partecipazione ad una gara d'appalto, non è risarcibile, in favore dell'impresa che lamenti la mancata aggiudicazione dell'appalto (o anche la sola perdita della relativa chance) . Invero, la partecipazione alle gare pubbliche di appalto comporta per le imprese costi che, di norma, restano a carico delle imprese medesime sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione. Detti costi di partecipazione si colorano come danno emergente solo se l'impresa illegittimamente esclusa lamenti (e chieda di essere tenuta indenne in relazione a) questi profili dell'illegittimità procedimentale, perché in tal caso viene in considerazione soltanto la pretesa risarcitoria del contraente che si duole del fatto di essere stato coinvolto in trattative inutili. Tali danni, peraltro, vanno, in via prioritaria e preferenziale, ristorati in forma specifica, mediante rinnovo delle operazioni di gara e, solo ove tale rinnovo non sia possibile, vanno ristorati per equivalente. Per converso, nel caso in cui l'impresa ottenga il risarcimento del lucro cessante per mancata aggiudicazione (o per la perdita della possibilità di aggiudicazione) non vi sono i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all'impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall'aggiudicazione (Cons. Stato, VI, 16 settembre 2011, n. 5168).Impostati in tal modo i termini concettuali della questione, la sentenza in epigrafe risulta meritevole di conferma in quanto: - i primi Giudici hanno in via prioritaria ristorato il lucro cessante derivante dalla mancata stipula del contratto (stipula che, in assenza di dimostrate ragioni ostative, avrebbe rappresentato una certezza e non una mera possibilità); - in punto di quantificazione, i primi Giudici hanno condivisibilmente ridotto il quantum del ristoro al (solo) 5% dell’importo dell’offerta formulata, non avendo l’impresa appellata fornito la prova di non aver potuto altrimenti utilizzare le maestranze e i mezzi lasciati disponibili per l’espletamemto di altri servizi; - per quanto concerne i costi connessi alla partecipazione alla gara, i primi Giudici hanno correttamente richiamato l’orientamento di questo Consiglio di Stato secondo cui la somma risultante dall’applicazione dei criteri di quantificazione appena richiamati deve considerarsi compensativa anche del danno emergente (identificato nel costo affrontato dalla società per la presentazione dell'offerta). Ed infatti, non risultando che tale costo fosse rimborsabile alla società in questione, in caso di aggiudicazione dell'appalto, deve ritenersi che la predetta somma costituisse un investimento ma anche un rischio dell'impresa, funzionale alla previsione di guadagno già sopra quantificata e ritenuta liquidabile (in tal senso: Cons. Stato, VI, 2 marzo 2009, n. 1180). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 12.4.2013, n. 1999)

 
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E' legittima la sottoposizione di un intero territorio comunale a vincolo paesaggistico, quando il relativo provvedimento si basa su concreti e specifici indici "dell’interesse paesistico dominante", che riguardi la specificità dei luoghi

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Nel giudizio in esame il Ministero per i Beni e le attività culturali impugna la sentenza del giudice di primo grado che n accoglimento del ricorso proposto dal Comune di Irsia ha annullato il decreto n. 10 del 7 marzo 2011, del Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici che dichiarava l'intero territorio del Comune di notevole interesse pubblico, ai sensi dell'art. 136, lettera d), del d. Lgs. 42 del 2004, sottoponendolo ai vincoli ed alle previsioni contenute nella parte terza del predetto decreto. Il consiglio di Stato ha accolto l'appello rilevando che ai sensi del combinato disposto dell’art.117, secondo comma, lettera s), e dell’art. 9, secondo comma, della Costituzione, la tutela del paesaggio è affidata alla competenza esclusiva della Stato mentre è attribuita alla legislazione concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.) la valorizzazione dei beni ambientali (per tutte, vedi la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 2001, nonché Sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 535). La giurisprudenza costituzionale ha rilevato, altresì, che "il paesaggio non dev’essere limitato al significato di bellezza naturale, ma va inteso come complesso dei valori inerenti al territorio" (Corte Cost., 7 novembre 1994, n. 379) e conseguentemente come bene "primario" ed "assoluto" (Corte Cost., 5 maggio 2006, nn. 182 e 183) necessitante di una tutela unitaria e supportata pure da competenze regionali, sempre nell’ambito di standard stabiliti a livello statale (Corte Cost., 22 luglio 2004, n. 259). Nel contesto normativo così delineato si inserisce la disposizione di cui all’art. 138, comma 3, del d. Lgs. n. 42 del 2004 (nel testo introdotto dall'articolo 2, comma 1, lettera h) del d.Lgs. n. 63 del 2008), in applicazione del quale si è svolto il procedimento in esame, secondo cui "è fatto salvo il potere del Ministero, su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata, che deve essere motivatamente espresso entro e non oltre trenta giorni dalla richiesta, di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all'articolo 136". Le Amministrazioni appellanti rilevano, innanzitutto, che non è condivisibile la decisione del giudice di prime cure che, accogliendo il terzo motivo del ricorso di primo grado proposto dal Comune di Irsina, ha ritenuto che il decreto di apposizione del vincolo sull’intero territorio comunale non si baserebbe "argomenti e valutazioni" idonee a giustificare una scelta di tal fatta, ravvisando nello stesso una motivazione insufficiente ed illogica. Il motivo d’appello è fondato, sicché vanno respinte le corrispondenti censure di primo grado. Per la pacifica giurisprudenza, che il Collegio condivide e fa propria, è legittima la sottoposizione di un intero territorio comunale a vincolo paesaggistico, quando il relativo provvedimento si basa su concreti e specifici indici "dell’interesse paesistico dominante", che riguardi la specificità dei luoghi (cfr.Cons. Stato, Sez. VI, 21 luglio 2011, n. 4429). Nel caso in esame, il decreto di apposizione del vincolo n. 10 del 2011 ed i documenti ad esso allegati - con una motivazione ampia, puntuale ed articolata - hanno evidenziato l’esistenza di caratteri unitari e del tutto singolari sotto il profilo naturalistico-ambientale, tali da far ragionevolmente rientrare l’intero territorio comunale di Irsina in un ambito complessivamente meritevole della protezione di cui all’art. 136, lettera d), del d. Lgs. n. 42 del 2004. Infatti, con una motivazione approfondita, gli atti impugnati in primo grado hanno evidenziato le caratteristiche complessive della zona da sottoporre a vincolo, la natura omogenea ed inalterata del paesaggio agrario lucano ivi riscontrabile ed alla "scenografia paesisticamente unitaria" del territorio comunale irsinese, in tutte le sue parti, sia meridionali che settentrionali. I riferimenti all’abitato di Irsina, alle case coloniali della Riforma Fondiaria, al Borgo Taccone ed all’antico tracciato ferroviario e cioè a situazioni ricomprese nella parte settentrionale del territorio, contenute nei citati documenti, confermano le caratteristiche unitarie del territorio stesso. L’Amministrazione competente alla imposizione del vincolo paesaggistico - nell’esercizio della propria discrezionalità tecnica - ben può individuare l’intero territorio comunale come meritevole di protezione, sulla base di una adeguata motivazione, senza isolare singole aree: la relativa valutazione, in quanto tale, è insindacabile da parte del giudice amministrativo (Cons. Stato, Sez. VI, 21 luglio 2011, n. 4429 e Cons. Stato, Sez. IV, 20 marzo 2006, n. 1470). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 12.4.2013, n. 2000)

 
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Il potere di annullamento del nulla-osta paesaggistico da parte della Soprintendenza statale non comporta un riesame complessivo delle valutazioni discrezionali compiute dalla regione o da un ente sub-delegato, ma si estrinseca in un controllo di mera legittimità

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Secondo un consolidato orientamento del Consiglio di Stato, il potere di annullamento del nulla-osta paesaggistico da parte della Soprintendenza statale non comporta un riesame complessivo delle valutazioni discrezionali compiute dalla regione o da un ente sub-delegato, tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una propria valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell’autorizzazione, ma si estrinseca in un controllo di mera legittimità, che si estende a tutte le ipotesi riconducibili all’eccesso di potere per difetto d’istruttoria e carenza, illogicità o irrazionalità motivazionale (C.d.S., sez. VI, sent. 13 febbraio 2009 n. 772; sent. 25 novembre 2008 n. 5771). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 12.4.2013, n. 1991)

 
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Le dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), del D. Lgs. n. 163/2006 devono essere rese oltre che dagli amministratori della società cessionaria, partecipante alla gara, anche da quelli delle società cedenti l’azienda o il ramo di azienda in favore dell’impresa partecipante alla gara

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La questione sul se l’obbligo di rendere le dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, si riferisca, oltre che agli amministratori della società cessionaria, partecipante alla gara, a quelli delle società cedenti l’azienda o il ramo di azienda in favoredell’impresa partecipante alla gara, è stata risolta in senso positivo dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato con la sentenza n. 10 del 4 maggio 2012. E’ stato infatti sottolineato che nella causa di esclusione di cui all’art. 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006 non può "…non ricadere anche l’ipotesi in cui affiori l’intento di eludere la norma in relazione a vicende in atto o prevedibili", atteso che "…Diversamente opinando si finirebbe infatti col disattendere lo scopo stesso della preclusione di legge, da individuarsi sicuramente in quello di impedire anche la sola possibilità di inquinamento dei pubblici appalti di lavori, servizi e forniture derivante dalla partecipazione alle relative procedure di affidamento di soggetti di cui sia accertata la mancanza di rigore comportamentale con riguardo a circostanze gravemente incidenti sull’affidabilità morale e professionale", non potendo a tanto opporsi "…l’esigenza di certezza giuridica, intesa in termini impeditivi di ogni interpretazione non strettamente letterale, e la tutela della libertà d’impresa, laddove agiscano a scapito dello scopo stesso". Anche nell’ipotesi di cessione di azienda o di ramo di azienda, in cui si verifica una successione a titolo particolare del tutto peculiare, "consistente nel passaggio all’avente causa dell’intero complesso dei rapporti attivi e passivi nei quali l’azienda stessa o il ramo di sostanzia", si è in presenza di una "…vicenda ben suscettibile di comportare pur essa la continuità tra precedente e nuova gestione imprenditoriale". D’altra parte, quanto al delicato profilo della "responsabilità per fatto di soggetto giuridico terzo cui soggiace il cessionario", secondo l’Adunanza Plenaria essa trova giustificazione "…nel principio ubi commoda, ibi incommoda: il cessionario, come si avvale dei requisiti del cedente sul piano della partecipazione a gare pubbliche, così risente delle conseguenze, sullo stesso piano, delle eventuali responsabilità del cedente". Ad esimente della omessa dichiarazione, sempre secondo l’Adunanza Plenaria, l’impresa cessionaria non può invocare il fatto della (eventuale) mancata conoscenza dei nominativi degli amministratori della società cedente e dei loro precedenti penali, ove gli stessi non risultino dai certificati del casellario giudiziale, tale inconveniente potendo essere "…agevolmente superato dal cessionario attraverso l’adozione di opportune cautele, quali pretendere dall’impresa che si intende acquisire l’attestazione circa intervenute condanne o indagini penali già in corso sui rispettivi vertici amministrativi e tecnici per reati che incidono sull’affidabilità morale e professionale, nonché prevedendo penali o garanzie o risoluzione della cessione al verificarsi di tali fatti, suscettibili di risolversi negativamente per tali soggetti entro il successivo triennio (ora entro il successivo anno)".....Del resto proprio quanto alla pretesa impossibilità (giuridica) del legale rappresentante della impresa concorrente di dichiarare fatti, stati e qualità non personali, ma riguardanti terze persone (id est, gli amministratori e i direttori tecnici delle società cedenti), deve ricordarsi che la giurisprudenza, nel sottolineare che la dichiarazione sostitutiva (autocertificazione) richiesta dal citato art. 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006 al legale rappresentante delle imprese concorrenti deve indicare tutti i soggetti cessati dalle cariche sociali nel triennio precedente, ha anche precisato che per quanto concerne gli stati, i fatti e qualità di terzi non può che essere resa "per quanto a conoscenza" del dichiarante, senza neppure esternare le ragioni per le quali non è stato possibile produrre dichiarazione dei terzi interessati, fermo poi restando il potere dell’amministrazione, a fronte di una compiuta identificazione dei ricordati soggetti terzi, di procedere alle opportune verifiche (C.d.S., sez. IV, 22 marzo 2012, n. 1646; 16 novembre 2011, n. 6053; 27 giugno 2011, n. 3862; sez. V, 20 giugno 2011, n. 3686). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 9.4.2013, n. 1953)

 
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