News 26 Aprile 2017 - Area Contabile


NORMATIVA

Enti territoriali e zone colpite dal sisma: in Gazzetta Ufficiale il decreto legge con le misure urgenti in materia finanziaria

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È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 95 del 24.4.2017 - Suppl. Ordinario n. 20 il DECRETO-LEGGE 24 aprile 2017, n. 50  recante "Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure perlo sviluppo." note: Entrata in vigore del provvedimento: 24/04/2017 Vai al testo

 
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È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 95 del 24.4.2017 - Suppl. Ordinario n. 20 il DECRETO-LEGGE 24 aprile 2017, n. 50  recante "Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per ... Continua a leggere

 

Enti Locali: certificazione del rispetto degli obiettivi del pareggio di bilancio per l'anno 2016

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È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale N. 67 del 21.3.2017 il decreto del MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 6 marzo 2017 recante "Certificazione del rispetto degli obiettivi del pareggio di bilancio degli enti locali, per l'anno 2016. Scarica il provvedimento.

 
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È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale N. 67 del 21.3.2017 il decreto del MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 6 marzo 2017 recante "Certificazione del rispetto degli obiettivi del pareggio di bilancio degli enti locali, per l'anno 2016. Scarica il provvedimento. ... Continua a leggere

 
GIURISPRUDENZA

Il rimborso spese di viaggio sostenute dall’amministratore residente fuori del capoluogo comunale: il parere della Corte dei Conti

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della deliberazione del Corte dei Conti Sezione Controllo Regione Toscana del 19.4.2017

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Il Sindaco di Crespina Lorenzana (Pi) fa richiesta di un parere alla Corte dei Conti in ordine alla "corretta interpretazione dell’art.84 comma 3 del d.lgs. 267/2000". Nello specifico, l’ente chiede: 1. se sia possibile "effettuare una ricognizione caso per caso dei presupposti della «necessaria presenza» senza la quale in giorni diversi da quelli in cui sono programmate le riunioni di Consiglio o di Giunta non è legittimo procedere al rimborso delle spese sostenute". 2. in ipotesi, ove cioè detta ricognizione sia ammissibile, chiede conoscere "il soggetto competente ad effettuarla ed i criteri di valutazione", in particolare "a chi spetti e come individuare e qualificare un preesistente obbligo giuridico…" e se ciò possa essere oggetto di autodichiarazione dell’interessato ex art.51 dpr n.445/2000. 3. infine se, in base all’art.51 Cost., alcune ipotesi specificamente indicate nella richiesta possano essere, ai fini del rimborso delle spese di viaggio, considerate quale presenza obbligatoria degli amministratori presso la sede comunale ove ne sia data idonea preventiva pubblicità. Risposta: In ordine al quesito n.1, va premesso che l’art.84 comma 3 Tuel consente il rimborso spese di viaggio sostenute dall’amministratore residente fuori del capoluogo comunale unicamente se relative: (a) alla partecipazione delle sedute dei rispettivi organi assembleari ed esecutivi; (b) alla presenza necessaria presso la sede degli uffici per lo svolgimento delle funzioni proprie o delegate. Riguardo all’ipotesi sub (b), si è pronunciata - in sede nomofilattica e dunque con carattere vincolante (v. art.6, comma 4, d.l. n.174/2012) - la Sezione Autonomie di questa Corte, secondo la quale "è da ritenersi «necessaria» quella presenza qualificata da un preesistente obbligo giuridico dell’interessato che non gli consentirebbe una scelta diversa per l’esercizio della propria funzione, salvo il non esercizio della funzione stessa (cfr. Cass. Civ., Sez. I, n. 19637/2005). È da escludersi, pertanto, la rimborsabilità delle spese di viaggio sostenute per le presenze in ufficio discrezionalmente rimesse alla valutazione soggettiva dall’amministratore locale (ad esempio, in giorni diversi da quelli delle sedute degli organi di appartenenza), in quanto tali costi devono considerarsi coperti dall’indennità di funzione di cui all’art. 82 del d.lgs. n. 267/2000." (C.Conti, Sez. Autonomie, 29.12.2016 n.38/SEZAUT/2016/QMIG). Alla stregua di tale principio, che peraltro la Sezione condivide, il diritto al rimborso ricorre solo laddove la presenza in ufficio derivi da un obbligo giuridico mentre non possono essere rimborsate le spese di viaggio per le presenze decise discrezionalmente dagli amministratori nei casi in cui non sia ravvisabile l’esercizio necessario delle funzioni nel senso dianzi indicato (v. per le attività preparatorie di studio, disamina e consultazione: C.Conti, sez. contr. Puglia, 23.02.2017 n.28/2017). Né in contrario rileva, in caso di presenze non "necessarie" nei termini anzidetti, la mancata percezione dell’indennità di funzione ex art.82 Tuel, sia che derivi da volontaria rinunzia alla stessa (v. C.Conti. Piemonte, n.28/2017 cit.) sia che dipenda dalla mancata previsione per legge della stessa (C.Conti, sez. contr. Lombardia, n8.2.2017 n.18/2017). Ora, tale essendo il quadro normativo, è di tutta evidenza che non residuano utili spazi per l’esercizio di interventi in sede regolamentare (o, comunque, classificatoria) in capo all’ente locale. Infatti, nel vigente ordinamento, alla stregua del principio di gerarchia delle fonti e del carattere subordinato di quelle secondarie rispetto a quelle primarie, i "regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi" (art.4 Preleggi al c.c.), potendo solo rivestire carattere di esecuzione ed attuazione. Del resto, anche a prescindere da quanto testé detto, di nessun utile margine operativo potrebbero godere disposizioni regolamentari (o, comunque, classificatorie) che pretendessero di predeterminare i casi nei quali si deve ritenere sussistente il requisito della presenza "necessaria", dal momento che il giudice eventualmente chiamato a decidere della debenza o meno di un dato rimborso dovrebbe pur sempre far riferimento alla previsione di legge, valutando autonomamente se nel caso singolo ricorra o meno un’ipotesi di presenza "necessaria" (nei termini dianzi detti) nonostante qualunque diversa previsione regolamentare (che, se in contrasto con la norma di legge, andrebbe disapplicato ex art.5 l. 20.3.1865 n.2248 All. E: "In questo, come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi."); di talché, delle dune l’una: o il regolamento indica come rimborsabili spese per le quali non ricorre il requisito della presenza "necessaria" ed allora esso è illegittimo e non può trovare applicazione, o il regolamento indica come rimborsabili spese per le quali ricorre il requisito della presenza "necessaria" ed allora esso è superfluo e all’atto pratico irrilevante. Il quesito n.2, formulato sotto condizione di risposta positiva al quesito n.1, è assorbito data la risposta testé fornita a quest’ultimo. Venendo, infine, al quesito n.3 risulta agevole rilevare che non possono dar luogo a rimborso di spese di viaggio le fattispecie indicate in richiesta (presenza di sindaco o assessori: 1.in orario di ricevimento al pubblico affissi alla casa comunale e pubblicizzati sul sito istituzionale dell'ente; 2.ad incontri con professionisti e cittadini per discutere su temi di interesse della comunità;3.per incontri con i Responsabili dei Servizi per individuazione obiettivi di Piano Performance e monitoraggio della relativa attuazione subordinata a convocazione e verbalizzazione delle sedute; 4.a commissioni consiliari subordinata a convocazione e verbalizzazione delle sedute). Infatti, alla stregua dei principi supra richiamati, tali fattispecie riguardano presenze che non possono ritenersi "necessarie" ma che sono comunque conseguenti a valutazioni soggettive dall’amministratore e come tali hanno natura discrezionale. Tale natura che non subisce modifiche di sorta per effetto dell’eventuale "idonea pubblicità" delle attività cui si riferisce la presenza, i cui costi, pertanto, come già detto, debbono considerarsi coperti dall’indennità di funzione di cui all’art. 82 d.lgs. n.267/2000. Per approfondire scarica il parere integrale.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della deliberazione del Corte dei Conti Sezione Controllo Regione Toscana del 19.4.2017

 
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Il Sindaco di Crespina Lorenzana (Pi) fa richiesta di un parere alla Corte dei Conti in ordine alla "corretta interpretazione dell’art.84 comma 3 del d.lgs. 267/2000". Nello specifico, l’ente chiede: 1. se sia possibile "effettuare una ricognizione caso per caso dei presupposti della «necessaria p ... Continua a leggere

 

I rapporti a scavalco negli Enti Locali: il parere della Corte dei Conti sullo scavalco "condiviso" e "d'eccedenza"

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della deliberazione della Corte dei Conti Sezione regionale di controllo per il Molise depositata il 7.4.2017

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Sintesi parere: Nello "scavalco condiviso" il dipendente, pur rivolgendo parzialmente le proprie prestazioni lavorative a favore di due enti pubblici, resta legato ad un unico rapporto di lavoro alle dipendenze del soggetto pubblico principale. Pertanto, anche in presenza di una convenzione tra enti ai sensi dell’art.14 del CCNL del 22/01/2004, il Comune può assicurarsi, in riferimento allo stesso dipendente (che giuridicamente è considerato comunque "dipendente a tempo pieno di altro ente") le prestazioni lavorative oltre le 36 ore settimanali d’obbligo ed entro la durata massima consentita dal D.lgs. n.66/2003 di 48 ore settimanali, a condizione che le prestazioni lavorative aggiuntive non rechino pregiudizio al corretto svolgimento del rapporto di lavoro presso l’ente di appartenenza e siano rispettati i limiti di spesa per il personale previsti dall’art.1 commi 557 o 562 della L. n.296/2006 e dall’rt.9, comma 28, del D.L. n.78/2010 (cfr. anche Orientamento ARAN, RAL 1554) ********** La questione sottoposta all’esame della Corte dei Conti Sezione regionale di controllo per il Molise si incentra sull’analisi della normativa che disciplina, negli enti locali, una particolare ipotesi di rapporti "a scavalco" (cioè a favore di più enti contemporaneamente) che hanno la peculiarità di consentire – all’interno dell’orario di lavoro, ovvero, al di fuori dello stesso orario di lavoro – lo svolgimento di funzioni presso altri enti locali. Passando all’analisi dei singoli istituti, si osserva che, come già delineato da questa Sezione nella deliberazione n.105/2016/PAR, l’istituto dello "scavalco condiviso" è espressamente disciplinato dall’ordinamento generale del pubblico impiego che – nell’ottica dell’attenuazione del vincolo di esclusività della prestazione – riconosce ai lavoratori a tempo parziale la possibilità di svolgere attività lavorativa per altri enti (art.53, comma 1, D.lgs. n.165/2001; per gli enti locali, l’art.1, comma 58 bis della Legge n.662/1996). Per gli enti locali, esiste, tra l’altro, una precipua norma contrattuale che disciplina tale istituto, ovvero l’art.14 del CCNL enti locali del 22/01/2004, recante il titolo "Personale utilizzato a tempo parziale e servizi in convenzione" (su cui cfr. orientamento ARAN RAL670, Sezione controllo Lombardia SRCLOM/676/2010/PAR e SRCLOM/998/2010/PAR). In particolare, l’art.14, comma 1, del CCNL del 22/01/2004 dispone che "Al fine di soddisfare la migliore realizzazione dei servizi istituzionali e di conseguire una economica gestione delle risorse, gli enti locali possono utilizzare, con il consenso dei lavoratori interessati, personale assegnato da altri enti cui si applica il presente CCNL per periodi predeterminati e per una parte del tempo di lavoro d’obbligo mediante convenzione". Come di recente precisato dalla Sezione delle autonomie (deliberazione n.23/2016/QMIG), "trattasi di fattispecie concreta a sé stante che individua una modalità di utilizzo reciproco del dipendente pubblico da parte di più enti, mediante il quale, ‘rimanendo legato all’unico rapporto d’impiego con l’ente locale originario, il lavoratore rivolgerebbe parte delle proprie prestazioni lavorative anche di detto comune in forza dell’autorizzazione dell’ente di appartenenza, di cui la convenzione regolativa dei rapporti giuridici tra i due enti assumerebbe carattere accessivo". Ne consegue che, come già evidenziato da questa Sezione nelle precedenti deliberazioni n.35/2015/PAR e n.105/2016/PAR, nel caso di scavalco c.d. condiviso, a differenza della ipotesi dello scavalco d’eccedenza, "se, da un lato, permane la titolarità dell’originario rapporto lavorativo con l’ente di appartenenza, dall’altro non può essere rilevata – dal punto di vista dell’utilizzatore – la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro". Si osserva altresì che nell’ipotesi di scavalco condiviso le spese sostenute pro quota dall’ente di destinazione per la prestazione lavorativa condivisa con l’ente di appartenenza saranno da computarsi, in ogni caso, nella spesa per il personale ai sensi dell’art.1, commi 557 o 562, della legge n.296/2006 e, conseguentemente, saranno soggette alle relative limitazioni (cfr. Sezione delle Autonomie deliberazione n.23/2016; Sezione Regionale Molise deliberazione n. 105/2016/PAR; Linee guida per il rendiconto della gestione 2014, Sezione quinta, quesiti 6.6.3 - 6.2). La fattispecie denominata "scavalco d’eccedenza" trova disciplina, invece, nell’art.1, comma 577, della Legge n.311/2004 che stabilisce: "I comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, i consorzi tra enti locali gerenti servizi a rilevanza non industriale, le comunità montane e le unioni di comuni possono servirsi dell'attività lavorativa di dipendenti a tempo pieno di altre amministrazioni locali purché autorizzati dall'amministrazione di provenienza". Occorre evidenziare che, a proposito della fattispecie in parola, la Sezione di Controllo per il Piemonte chiamata a pronunciarsi in ordine ad un quesito propostole da un comune, rilevato che sulla stessa questione le Sezioni regionali di controllo avevano adottato degli orientamenti diversi e discordanti tra loro, con la deliberazione n.33/2016/SRCPIE/QMIG ha sospeso la pronuncia e ha sottoposto al Presidente della Corte dei conti la valutazione sull’opportunità di deferire alla Sezione delle autonomie o alle Sezioni riunite in sede di controllo la seguente questione di massima: "se i rapporti di lavoro instaurati da un comune con i dipendenti di altre amministrazioni locali ai sensi dell’art. 1, comma 557, della L. n.311/2004 possano ritenersi esclusi dall’ambito di applicazione dell’art.9, comma 28, del D.L. 78/2010". La Sezione delle autonomie con la citata deliberazione n.23/2016/QMIG ha conseguentemente chiarito che "se l’Ente decide di utilizzare autonomamente la prestazione di un dipendente a tempo pieno presso altro ente locale al di fuori del suo ordinario orario di lavoro, la prestazione aggiuntiva andrà ad inquadrarsi all’interno di un nuovo rapporto di lavoro autonomo o subordinato a tempo parziale, i cui oneri dovranno essere computati ai fini del rispetto dei limiti di spesa imposti dall’art. 9, comma 28, per la quota di costo aggiuntivo".   Invero, con tale normativa il legislatore ha compiuto una precisa scelta, prevedendo una specifica limitazione volta a ridurre il ricorso alternativo a forme di lavoro flessibili in senso ampio (cioè diverse dal tempo pieno e subordinato di cui all’art.36, comma 1, del D.lgs. n.165 del 2001), ricomprendendo tutte le prestazioni che vengono svolte al di fuori di un rapporto esclusivo, indeterminato e "burocratizzato" in senso tradizionale. Pertanto il comune dovrà ridurre la spesa complessiva per i contratti "a tempo determinato" o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa", in una misura pari al 50% di quella sostenuta nel 2009 (cfr. Sezione di controllo Lombardia, deliberazione n.303/2014/PAR). Tanto esposto, in riferimento alla specifica richiesta avanzata dal comune di Pescolanciano, si ritiene di poter affermare che la normativa vigente, anche alla luce dei recenti orientamenti espressi dalla giurisprudenza contabile, non escluda la possibilità che un ente locale possa fare ricorso contestualmente e, con riferimento al medesimo dipendente, ai due diversi istituti giuridici del cd. "scavalco condiviso" e del c.d. "scavalco d’eccedenza". L’operazione sopra descritta è ammissibile se si considera la configurazione giuridica che la giurisprudenza contabile ha attribuito all’istituto del c.d. "scavalco condiviso"; come visto, infatti, in tale fattispecie il dipendente, pur rivolgendo parzialmente le proprie prestazioni lavorative a favore di due enti pubblici, resta legato ad un unico rapporto di lavoro alle dipendenze del soggetto pubblico principale. Dunque il rapporto di lavoro del personale utilizzato a tempo parziale rimane giuridicamente unico tanto che, ad esempio, la disciplina sulle progressioni verticali e sulle progressioni economiche orizzontali è gestita dall’ente di provenienza titolare del rapporto stesso. Da quanto detto si deve ritenere che, anche in presenza di una convenzione tra enti ai sensi dell’art.14 del CCNL del 22/01/2004, il comune di Pescolanciano possa assicurarsi, in riferimento allo stesso dipendente (che giuridicamente è considerato comunque "dipendente a tempo pieno di altro ente") le prestazioni lavorative oltre le 36 ore settimanali d’obbligo ed entro la durata massima consentita dal D.lgs. n.66/2003 di 48 ore settimanali, a condizione che le prestazioni lavorative aggiuntive non rechino pregiudizio al corretto svolgimento del rapporto di lavoro presso l’ente di appartenenza. Ne consegue che, come sopra evidenziato, il comune istante dovrà verificare sul piano contabile che nella concreta fattispecie:   - in relazione alla spesa sostenuta pro quota dall’ente per le prestazioni del dipendente a "scavalco condiviso" siano rispettati gli obblighi di riduzione della spesa per il personale previsti dall’art.1 commi 557 o 562 della legge n.296/2006; - in relazione alla spesa sostenuta dall’ente per le prestazioni del dipendente a "scavalco d’eccedenza", la stessa sia correttamente computata, ai fini del rispetto del vincolo ex art.9, comma 28, del D.L. n.78/2010. Peraltro, nello stesso senso sembra essere anche l’orientamento dell’ARAN, il quale ha ritenuto che, in presenza di utilizzo di un dipendente a tempo parziale tra due enti in base all’art.14 del CCNL del 22/01/2004, la possibilità di ricorrere ad un autonomo contratto di lavoro a tempo determinato, al di là dell’orario di obbligo già ripartito in sede di convenzione, pone dubbi di legittimità a causa dei vincoli di incompatibilità di più rapporti di lavoro in capo al medesimo soggetto contemporaneamente, ai sensi dell’art.53 del D.Lgs. n.165/2001, facendo salva la sola particolare ipotesi di cui all’art. 1, comma 557, della legge n.311/2004 (RAL 1554 Orientamenti applicativi). Per approfondire scarica il testo integrale della deliberazione.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della deliberazione della Corte dei Conti Sezione regionale di controllo per il Molise depositata il 7.4.2017

 
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Sintesi parere: Nello "scavalco condiviso" il dipendente, pur rivolgendo parzialmente le proprie prestazioni lavorative a favore di due enti pubblici, resta legato ad un unico rapporto di lavoro alle dipendenze del soggetto pubblico principale. Pertanto, anche in presenza di una convenzione tra ent ... Continua a leggere

 

Immobili di interesse storico artistico: i trasferimenti sono soggetti alle imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale e non fissa

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L'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, nei confronti del Comune di Cittadella contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 1828/24/2014, depositata in data 12/11/2014, con la quale - in controversia concernente l'impugnazione del silenzio-rifiuto opposto dall'Amministrazione finanziaria ad un'istanza di rimborso delle imposte ipotecarie e catastali applicate, in misura proporzionale anziché fissa, in occasione di un atto di compravendita di un compendio immobiliare di rilevante interesse storico-artistico ai sensi della I. 1080 del 1939 - è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso del Comune. In particolare, i giudici d'appello hanno sostenuto, da un lato, che, sulla base di un'interpretazione letterale dell'art.10 comma 2° del d.lgs. 347/1990 (per le imposte ipocatastali) e della nota all'art.1 della tariffa allegata al d.lgs. suddetto (per le imposte ipotecarie), alle volture relative ad immobili storici si applica la misura fissa delle imposte ipocatastali e, dall'altro lato, che l'applicazione alle imposte ipotecarie catastali relative agli immobili storici ditale regime agevolato si giustifica anche per analogia con quanto previsto in materia di ICI e di Registro. La Corte di Cassazione nella sentenza del 11.4.2017 ha richiamato quanto già affermato (Cass.9733/2015; Cass. 2277/2014; Cass.624/2012; Cass. 3573/2009) secondo cui "i trasferimenti di immobili di interesse storico artistico sono tuttora soggetti alle imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale e non fissa, non essendo intervenuto alcun provvedimento legislativo inteso a modificare la relativa disciplina" e neppure "la diversa collocazione della previsione agevolativa dell'imposta di registro a favore degli immobili "vincolati", slittata dal terzo al quarto periodo dell'art. 1, primo comma, della tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, giusta l'art. 7 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, può ritenersi introduttiva di una nuova agevolazione ipotecaria catastale a vantaggio dei menzionati immobili di interesse storico artistico". La Corte ha altresì precisato che "l'agevolazione prevista per i trasferimenti di beni di interesse artistico, storico ed architettonico in materia di imposta di registro non può essere estesa alle imposte ipotecarie e catastali, non essendo sufficiente, per giustificare tale estensione, la previsione di una base imponibile comune" (Cass. 20096/2009). Né tali principi possono ritenersi scalfiti da quanto affermato da questa Corte a Sezioni Unite nella sentenza n. 5518/2011 (richiamata anche nella decisione della C.T.R.), relativamente al regime di natura speciale previsto, in terna tassazione ai fini ICI degli immobili di interesse storico o artistico, dall'art. 2, comma 5, del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito nella legge 24 marzo 1993, n. 75, come interpretato dall'art. 74, comma 6, della legge 21 novembre 2000, n. 342, attesa la non estensibilità delle agevolazioni fiscali, la cui disciplina è di stretta interpretazione (Cass. 11451/2005). Per approfondire scarica il testo intregrale della sentenza.

 
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L'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, nei confronti del Comune di Cittadella contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 1828/24/2014, depositata in data 12/11/2014, con la quale - in controversia concernente l'impugnazi ... Continua a leggere

 

Assegno di invalidità: la prova dei requisiti socio-economici

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"In tema di assegno di invalidità previsto a favore degli invalidi civili dalla L. n. 118 del 1971, i requisiti socio-economici (reddituale e dello stato di incollocazione al lavoro) rappresentano elementi costitutivi del diritto alla prestazione assistenziale, la cui prova è a carico del soggettorichiedente, non potendo qualificarsi gli stessi, quindi, come mere condizioni di erogazione del beneficio, accertabili in sede extragiudiziale (cfr. Cass. nn. 4067/2002; 13967/2002; 14035/2002; 13046/2003; 13279/2003; 13966/2003; 14696/2007; 22899/2011); - tale prova, in giudizio, può essere data con qualsiasi mezzo, anche mediante presunzioni: unico limite è costituito dal fatto che non può essere fornita con una mera dichiarazione dell'interessato, anche se rilasciata con formalità previste dalla legge per le autocertificazioni, che può assumere rilievo solo nei rapporti amministrativi ed è, invece, priva di efficacia probatoria in sede giurisdizionale (cfr. ex multis Cass. n. 703/2007; Cass. n. 15486/2007); - con le modifiche apportate all'art. 13 della l,. n. 118/1971 dall'art. 1, co. 35, della L. n. 247/2007, il requisito sociale è cambiato: non si richiede più la incollocazione al lavoro', ma semplicemente lo 'stato di inoccupazione'; la legge, infatti, individua il requisito) in questi termini: invalidi 'che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste'. Tra i due concetti vi è una differenza, perché il disabile incollocato al lavoro non semplicemente disoccupato: è il disabile che, essendo privo di lavoro, si è iscritto o ha chiesto di iscriversi negli elenchi speciali per l'avviamento al lavoro. Ha cioè attivato il meccanismo per l'assunzione obbligatoria (cfr. Cass. n. 19833/2013) - la nuova disciplina, pur non esigendo più l'attivazione del meccanismo per l'assunzione obbligatoria, ha invece lasciato immutato l'onere del disabile di fornire la prova di non aver lavorato nel periodo interessato dalla domanda proposta; la sopra evidenziata impostazione in materia di prova è stata, così, ritenuta valida anche ai fini dell'applicazione del nuovo testo della L. n. 118 del 1971, art. 13, e della previsione di cui al citato art. 1, co. 35, della L. n. 247/2007, secondo la quale "attraverso la dichiarazione sostitutiva, resa annualmente all'I.N.P.S. ai sensi del T.U. di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 46 e segg., il soggetto di cui al comma 1 autocertifica di non svolgere attività lavorativa...."; trattasi, infatti, di disposizione che vale a semplificare l'accertamento) amministrativo, ma non interferisce con i principi processuali che regolano l'onere della prova e non evidenzia una deroga circa la rilevanza di dichiarazioni di tale genere solo nell'ambito amministrativo (cfr. Cass. n. 25800/2010; Cass. n. 19833/2013). Per approfondire scarica il testo integrale della sentenza.

 
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"In tema di assegno di invalidità previsto a favore degli invalidi civili dalla L. n. 118 del 1971, i requisiti socio-economici (reddituale e dello stato di incollocazione al lavoro) rappresentano elementi costitutivi del diritto alla prestazione assistenziale, la cui prova è a carico del soggetto ... Continua a leggere

 
 
 
 
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