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Strutture private che erogano prestazioni per il Servizio Sanitario: una volta raggiunto il tetto di spesa, non essendovi obbligo di erogare la prestazione, la struttura privata deve avvertire l’utente richiedente ulteriori prestazioni eccedenti il tetto, della non rimborsabilità a carico del SSR delle stesse, e, in caso di indisponibilità a sopportarne il relativo costo, rifiutare la prestazione o erogarla sopportandone i costi
Sulla questione riguardante la tardiva determinazione dei tetti di spesa, l’Adunanza Plenaria, con le decisioni nn. 3 e 4 del 12 aprile 2012, dopo aver ribadito che «i tetti di spesa sono in via di principio indispensabili, date le insopprimibili esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizzazione della spesa pubblica», ha affermato che «la fissazione dei tetti in corso di anno, pur se apparentemente in distonia con la finalità di programmazione che ne implicherebbe la caratterizzazione preventiva, risulta la conseguenza fisiologica dei tempi non comprimibili che permeano le varie fasi procedimentali previste dalla legge in relazione alla definizione dei fondi all’uopo utilizzabili». Infatti «la fissazione dei tetti di spesa non può prescindere dalla conoscenza del dato finanziario di riferimento e … tale dato risulta definito in modo concreto in corso d’anno», con la conseguenza che, vista detta tempistica, «si appalesa fisiologica la fissazione retroattiva del tetto regionale di spesa anche in una fase avanzata dell’anno». Con l’ulteriore conseguenza (già evidenziata nella precedente Adunanza Plenaria n. 8 del 2006) che «le strutture private, che erogano prestazioni per il Servizio sanitario nazionale nell’esercizio di una libera scelta, potranno aver riguardo - fino a quando non risulti adottato un provvedimento definitivo - all'entità delle somme contemplate per le prestazioni dei professionisti o delle strutture sanitarie dell'anno precedente, diminuite della riduzione della spesa sanitaria effettuata dalle norme finanziarie relative all’anno in corso». Di detti principi, la Sezione ha fatto costante applicazione (cfr. III, 5 febbraio 2013, n. 679; 14 dicembre 2012, n. 6432). Dunque, stante la intempestività della fissazione (in qualche misura difficilmente evitabile), l’operatore privato può fare affidamento sul mantenimento del tetto dell’anno precedente, fino a che non disponga di riferimenti più aggiornati - quali quelli derivanti dalle assegnazioni finanziarie intervenute in corso di esercizio e dalle conseguenti scelte di programmazione finanziaria - in grado di orientare le scelte imprenditoriali. La tutela dell’affidamento, si risolve nel fondare la pretesa ad ottenere comunque la remunerazione delle prestazioni extra tetto che, sulla base dei riferimenti disponibili, siano state erogate. A parte ciò, per evitare di dover sottostare ad un tetto che ritiene insufficiente, l’operatore accreditato deve contestare anzitutto i predetti elementi condizionanti, unitamente al tetto. Non va dimenticato che, una volta raggiunto il tetto, non essendovi obbligo di erogare la prestazione, la struttura privata deve avvertire l’utente richiedente ulteriori prestazioni eccedenti il tetto, della non rimborsabilità a carico del SSR delle stesse, e, in caso di indisponibilità a sopportarne il relativo costo, rifiutare la prestazione (o erogarla sopportandone i costi). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 9.5.2013, n. 2526)
Sulla questione riguardante la tardiva determinazione dei tetti di spesa, l’Adunanza Plenaria, con le decisioni nn. 3 e 4 del 12 aprile 2012, dopo aver ribadito che «i tetti di spesa sono in via di principio indispensabili, date le insopprimibili esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizza ... Continua a leggere
Equitalia: sospesi i pignoramenti dei conti correnti di lavoratori dipendenti e pensionati
Equitalia ha stabilito di non procedere al pignoramento sui conti correnti di banche e poste dove affluiscono i redditi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati di importo inferiore a 5 mila euro. Per maggiori informazioni cliccare sul titolo sopra linkato. (Equitalia, comunicato del 23.4.2013)
In arrivo aumenti su posta massiva, raccomandate e assicurate: l'Antitrust obbliga Poste ad applicare l'Iva su tali servizi
Centottanta giorni per applicare l’iva nei servizi postali liberalizzati e cessare l’abuso di posizione dominante con il quale sono stati discriminati i concorrenti. Questo quanto emerge dal comunicato dell'Antitrust che ha stabilito che Poste, non applicando l’imposta sul valore aggiunto su quei servizi quali la posta massiva, la posta raccomandata, la posta assicurata, la pubblicità diretta per corrispondenza (posta target) che, pur rientrando nel servizio universale, vengono negoziati individualmente, ha abusato della propria posizione dominate in violazione della normativa comunitaria. Tale condotta ha consentito a Poste di formulare offerte idonee a escludere i concorrenti dai mercati interessati che non hanno potuto replicare offerte competitive visto che l’aliquota applicabile è quella attualmente al 21 per cento. In linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea l’Autorità non ha tuttavia imposto sanzioni a Poste poiché l’esenzione iva è prevista da una normativa nazionale, contrastante con la normativa comunitaria. L’Antitrust ha quindi disapplicato la legge italiana per accertare l’abuso e imporre a Poste la sua cessazione. Per accedere al testo integrale del provvedimento cliccare sul titolo sopra linkato. (AGCM, comunicato del 23.4.2013)
Centottanta giorni per applicare l’iva nei servizi postali liberalizzati e cessare l’abuso di posizione dominante con il quale sono stati discriminati i concorrenti. Questo quanto emerge dal comunicato dell'Antitrust che ha stabilito che Poste, non applicando l’imposta sul valore aggiunto su quei s ... Continua a leggere
IMU: aggiornati i coefficienti per i fabbricati categoria catastale D
E' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del n. 97 del 27.4.2013 il decreto del MEF del 18.4.2013 contenente l'aggiornamento dei coefficienti per la determinazione del valore dei fabbricati di cui all'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, agli effetti dell'imposta municipale propria (IMU) dovuta per l'anno 2013. (MEF decreto 18.4.2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 97 del 26.4.2013)
E' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del n. 97 del 27.4.2013 il decreto del MEF del 18.4.2013 contenente l'aggiornamento dei coefficienti per la determinazione del valore dei fabbricati di cui all'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, agli effetti dell'impos ... Continua a leggere
ICI anno 1993: l’Amministrazione ha sempre il potere di emanare, ora per allora, un nuovo atto in sostituzione di un altro annullato in sede giurisdizionale
Il decreto legislativo n. 504 del 1992 ("Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 192, n. 421"), istituendo all’art. 1 l’imposta comunale sugli immobili (I.C.I.), dopo averne individuato il presupposto, ha previsto al successivo art. 6 (nel testo originario) che "l’aliquota, in misura unica, è stabilita con deliberazione della giunta comunale adottata entro il 31 ottobre di ogni anno con effetto per l’anno successivo" (comma 1), aggiungendo che "l’aliquota deve essere deliberata in misura non inferiore al 4 per mille né superiore al 6 per mille, ovvero al 7 per mille per straordinarie esigenze di bilancio. Se la delibera non è adottata nel termine di cui al comma 1, si applica l’aliquota del 4 per mille, ferma restando la disposizione di cui all’art. 25, del decreto legge 2 marzo 1989, n. 66, convertito on modificazioni dalla legge 24 aprile 1989, n. 144, e successive modificazioni" (comma 2). A seguito delle modifiche introdotte dall’art. 3, comma 53, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, modificato dall’art. 10, comma 12 del 23 dicembre 1996, n. 669, il ricordato art. 6 stabilisce che "L’aliquota è stabilita dal comune, con deliberazione da adottare entro il 31 ottobre di ogni anno, con effetto dall’anno successivo, Se la delibera non è adottata entro tale termine, si applica l’aliquota del 4 per mille, ferma restando la disposizione di cui all’art. 84 del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, come modificato dal decreto legislativo 11 giugno 1996, n. 336" (comma 1) e che "l’aliquota deve essere deliberata in misura non inferiore al 4 per mille né superiore al 7 per mille e può essere diversificata entro tale limite, con riferimento agli immobili diversi dalle abitazioni, o posseduti in aggiunta all’abitazione principale o di alloggi non locati; l’aliquota può essere agevolata in rapporto alle diverse tipologie degli enti senza scopo di lucro" (comma 2). Quanto all’articolo 18 del D. Lgs. n. 504 del 1992, rubricato "Norme transitorie", esso dispone testualmente (comma 1): "Per l’anno 1993 la delibera della Giunta comunale, con cui viene stabilita l’aliquota dell’imposta comunale sugli immobili ai sensi del comma 1 dell’articolo 6, deve essere adottata entro il 28 febbraio 1993, Il versamento a saldo dell’imposta dovuta per l’anno 1993 deve essere effettuato dal 1° al 15 dicembre di tale anno". Da tali disposizioni si evince che il legislatore non ha attribuito un vero e proprio potere impositivo all’ente locale in relazione alla nuova imposta comunale sugli immobili, avendo piuttosto riconosciuto all’ente la più limitata facoltà di determinare l’aliquota del tributo I.C.I. tra un minimo (4 per mille) ed un massimo (6 o 7 per mille): peraltro il mancato esercizio di tale facoltà, lungi dal costituire una atipica modalità di esonero dal tributo in parola per dei cittadini proprietari di immobili in quel determinato comune, assoggetta automaticamente gli stessi all’aliquota minima fissata ex lege, nella misura del 4 per mille. Proprio tale particolare meccanismo di determinazione dell’imposizione che, per un verso, esclude la natura strictu sensu impositiva della facoltà del comune di fissare le aliquote I.C.I., per altro verso ricollega il tributo alle stringenti ed indilazionabili esigenze della finanza pubblica, in relazione alle quali il legislatore ha ritenuto indispensabile fissare, in linea generale, un prelievo non inferiore nel minimo al 4 per mille, lasciando poi ad ogni singolo comune la scelta discrezionale, in ragione delle proprie singole e peculiari esigenze, di aumentare la misura di tale tributo (tra il 4 ed il 7 per mille), per garantirsi i mezzi finanziari necessari per l’approntamento ed il funzionamento dei propri servizi e comunque per l’effettivo conseguimento degli obiettivi, non solo economico - finanziari, indicati nel bilancio annuale di previsione. Tale ricostruzione trova conferma conforto, dal punto di vista sistematico, nel fatto che la scelta delle aliquote (tra il 4 ed il 7 per mille) doveva avvenire annualmente ed aveva effetto per l’anno successivo, costituendo una (rilevante) posta delle voci di entrata del bilancio annuale di previsione. In tale ottica la disposizione contenuta nel ricordato art. 18 del D. Lgs. n. 504 del 1992, piuttosto che individuare un limite temporale all’esercizio della facoltà in questione per l’anno 1993, rappresenta una misura di coordinamento per rendere applicabile il tributo anche per l’anno 1993, in tal modo derogando, solo per quell’anno, alla previsione generale secondo cui le deliberazioni concernenti la fissazione delle aliquote hanno effetto per l’anno successivo (in ciò consistendo la predicata natura transitoria della disposizione). Così sommariamente ricostruite la natura della potestà di individuazione dell’aliquota del tributo e le sue peculiari finalità di carattere finanziarie, deve escludersi che l’annullamento giurisdizionale della originaria delibera di fissazione dell’aliquota stessa potesse impedirne la riadozione in mancanza di un espresso divieto, tanto più che nel caso di specie l’annullamento era stato determinato soltanto da meri vizi formali e non dall’avvenuto superamento del termine stabilito dalla legge per l’esercizio di tale facoltà. Infatti proprio le particolari finalità del tributo e la necessità di salvaguardare l’equilibrio finanziario dell’ente (che sulla relativa entrata aveva fatto affidamento) sono elementi del tutto sufficienti ad ammettere il riesercizio del potere, essendo pacifico che esso era stato originariamente tempestivamente esercitato, secondo la previsione della disposizione transitoria di cui al ricordato art. 18. Tali conclusioni trovano conforto nello specifico precedente di questa stessa Sezione (16 ottobre 1997, n. 1145, relativo alla legittimità del provvedimento comunale di riadozione, ora per allora, della misura dell’ICIAP per l’anno 1989, a seguito dell’annullamento giurisdizionale della originaria deliberazione), nel quale è stato affermato che "…il potere del Comune di riadattare l’atto determinativo della misura dell’Iciap per l’anno 1989, pur nel caso di annullamento della sua delibera n. 1255 del 1989, discende dai principi generali che riguardano gli effetti (retroattivi) dell’annullamento in sede giurisdizionale di un atto amministrativo…) ed in particolare dalla "…portata generale dell’art. 26 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034 (riproduttivo dell’art. 45 del T.U. 26 giugno 1924 n. 1054, a sua volta formulato sulla base dell’art. 38 del T.U. 2 giugno 1889, n. 6166..", con la conseguenza che "salvo che la legge disponga altrimenti, l’Amministrazione può pertanto sempre riesercitare i propri poteri istituzionali, anche quando l’emanazione del provvedimento, poi annullato in sede giurisdizionale, poteva aver luogo entro un termine perentorio fissato dalla legge (salvo il caso in cui il giudice amministrativo abbia annullato il provvedimento proprio a causa del suo superamento)", così che "Se è adottato il tempestivo provvedimento, determinativo dell’imposta nella misura superiore a quella prevista in via sussidiaria dalla legge, i rapporti tributari vanno determinati sulla sola base dell’atto nonché delle vicende che lo riguardano in sede giurisdizionale: nel caso di annullamento da parte del giudice amministrativo dell’atto impositivo l’Ente locale (che aveva adeguato i propri bilanci e la propria attività alle somme di cui prevedeva la riscossione) può motivatamente rimuovere il vizio riscontrato in sede giurisdizionale e può riemanare, ora per allora, un ulteriore provvedimento, i cui destinatari sono i medesimi soggetti destinatari dell’atto già emanato". Non può peraltro sottacersi che la questione dell’ammissibilità della rinnovazione della determinazione dell’aliquota I.C.I. per l’anno 1993, proprio relativamente alla stessa deliberazione oggetto del presente gravame, è stata già affrontata anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 22569 del 1° dicembre 2004, ad avviso della quale "…l’Amministrazione ha sempre il potere di emanare, ora per allora, un nuovo atto in sostituzione di un altro annullato in sede giurisdizionale (Cons. Stato 27/3/2001, n. 1801, 30/3/1998, n. 502, 16/11/1997, n. 1145, in tema di aliquote ICIAP…)" e che "non sussistendo alcun valido motivo per dubitare dell’esattezza di tale interpretazione, deve ritenersi che una volta annullata la precedente delibera per difetto di motivazione e d’istruttoria, il ricorrente [id est, il Comune di Perugia] aveva la possibilità di rinnovare l’atto con effetto retroattivo, ribadendo l’applicabilità dell’aliquota del 6 per mille per l’anno 1993". (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.4.2013, n. 2278)
Il decreto legislativo n. 504 del 1992 ("Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 192, n. 421"), istituendo all’art. 1 l’imposta comunale sugli immobili (I.C.I.), dopo averne individuato il presupposto, ha previsto al successivo art. 6 (nel testo or ... Continua a leggere
La rivalutazione monetaria come tutti i crediti, è produttiva di interessi ma ciò solo dalla costituzione in mora
Come stabilito dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato n. 3 del 15 giugno 1998, la rivalutazione monetaria - pur sempre dovuta dall’Amministrazione competente sull’importo nominale del credito e solo su quest’ultimo, dalla data di maturazione fino all’avvenuto pagamento - sebbene non sia rivalutabile in ragione della sua natura accessoria, costituisce a sua volta un credito e, "come tutti i crediti, è produttiva di interessi ma ciò solo dalla costituzione in mora, cioè di regola dalla domanda" (Cons. di Stato, Ad. Plen., 15 giugno 1998, n. 3). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30.4.2013, n. 2352)
Come stabilito dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato n. 3 del 15 giugno 1998, la rivalutazione monetaria - pur sempre dovuta dall’Amministrazione competente sull’importo nominale del credito e solo su quest’ultimo, dalla data di maturazione fino all’avvenuto pagamento - sebbene non si ... Continua a leggere
Equitalia: nuove agevolazioni per i contribuenti che vogliono rateizzare le cartelle
Passa da 20 a 50 mila euro la soglia massima che permette di chiedere la rateizzazione con una semplice richiesta motivata. Sarà possibile ottenere fino a 72 rate (6 anni), fermo restando che l'importo di ciascuna rata dovrà essere pari almeno a 100 euro. Per gli importi superiori resta invece necessaria la presentazione di alcuni documenti aggiuntivi per dimostrare la situazione di temporanea difficoltà economica. (Equitalia, comunicato del 8.5.2013)
Passa da 20 a 50 mila euro la soglia massima che permette di chiedere la rateizzazione con una semplice richiesta motivata. Sarà possibile ottenere fino a 72 rate (6 anni), fermo restando che l'importo di ciascuna rata dovrà essere pari almeno a 100 euro. Per gli importi superiori resta invece nece ... Continua a leggere