Gazzetta Informa News 10 Aprile 2013 - Area Contabile


NORMATIVA

Pagamento dei debiti degli Enti Locali: nuovi poteri alla Corte dei Conti, irrogherà una sanzione pecuniaria pari a due mensilita' del trattamento retributivo ai responsabili dei servizi che non hanno proceduto ai pagamenti o non abbiano richiesto gli spazi finanziari necessari

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È entrato in vigore il 9.4.2013 il decreto legge contenete le "Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonche' in materia di versamento di tributi degli enti locali" con il quale per quanto attiene ai DEBITI DEGLI ENTI LOCALI si prevede che sono esclusi dai vincoli del patto di stabilita' interno per un importo complessivo di 5.000 milioni di euro i "pagamenti di debiti di parte capitale certi liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti di parte capitale per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine, ivi inclusi i citati pagamenti delle province in favore dei comuni, sostenuti nel corso del 2013 dagli enti locali". A tal fine i Comuni e le Province entro il termine del 30.4.2013 devono comunicare attraverso il sistema web della RGS gli spazi finanziari necessari affinché vengano individuati con decreto del MEF, per ciascun ente locale. Il comma 4 dell'art. 1 del decreto prevede espressamente che "Qualora le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti accertino, su segnalazione del collegio dei revisori, che gli enti locali, senza giustificato motivo, non abbiano richiesto gli spazi finanziari nei termini e secondo le modalita' di cui al comma 2, ovvero non abbiano proceduto, entro l'esercizio finanziario 2013, ad effettuare pagamenti per almeno il 90 per cento degli spazi concessi, le stesse irrogano una sanzione pecuniaria pari a due mensilita' del trattamento retributivo, al netto degli oneri fiscali e previdenziali, per i responsabili dei servizi interessati." Tali importi sono acquisiti al bilancio dell'ente. (Decreto Legge 8 aprile 2013, n. 35, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 82 del 8.4.2013)

 
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È entrato in vigore il 9.4.2013 il decreto legge contenete le "Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonche' in materia di versamento di tributi degli enti locali" con il quale per quanto att ... Continua a leggere

 
GIURISPRUDENZA

Acqua Minerale Uliveto, il Consiglio di Stato conferma la legittimità dell'aumento del canone di imbottigliamento disposto dal Comune

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Per determinare il canone in base alla quantità, ai valori di mercato, alla qualità e tipologia d'uso dell'acqua imbottigliata e utilizzata, nonché in misura proporzionale all'impatto che il prelievo dell'acqua ha sugli interessi pubblici della comunità locale, il risultato cui addiviene il Comuneè del tutto legittimo, poiché è ovvio che tanto maggiore è l'impatto del prelievo dell'acqua sugli interessi pubblici della comunità locale, tanto più elevati sono sia gli oneri diretti e indiretti sia il canone di concessione, non sussistendo alcun obbligo di rispettare un rapporto di proporzionalità inversa tra oneri diretti e indiretti (da un lato) e canone (dall'altro). Questo e' quanto stabilito dal Consiglio di Stato. La vicenda prende le mosse dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, sez. I, con la sentenza n. 542 del 15 marzo 2012, che ha respinto il ricorso proposto dalla Societa, titolare della concessione per la coltivazione del giacimento di acqua termo minerale denominata Uliveto, per l’annullamento della delibera della Giunta Comunale di Vicopisano n. 71 del 17 giugno 2011, con la quale ha provveduto a determinare il canone di imbottigliamento relativo alla suddetta concessione mineraria ai sensi dell’art. 22, comma 2, della legge regionale Toscana n. 38 del 2004. Il Consiglio di Stato investito della vicenda ha rilevato preliminarmente che, con l’entrata in vigore (in data 31 marzo 2009, con la pubblicazione del relativo regolamento) della L.R. Toscana n. 38-2004 sono state attribuite ai Comuni le funzioni amministrative in materia di acque minerali, di sorgente e termali. L’art. 22 di detta legge ha previsto gli oneri economici a carico dei concessionari: - il canone annuo di concessione proporzionale alla quantità di acqua utilizzata per l'imbottigliamento da versare al Comune interessato, quale nuovo ente concedente, che deve essere determinato da ciascun Comune in misura compresa tra Euro 0,50 e Euro 2,00 per ogni metro cubo di acqua imbottigliata, tenuto conto delle quantità, dei valori di mercato, delle qualità e delle tipologie d'uso delle acque stesse; - la stipula di una convenzione tra il Comune e il concessionario con cui individuare gli oneri diretti e indiretti. In via transitoria, l’art. 48 della legge regionale citata ha stabilito che le concessioni in corso al 31 marzo 2009 sono suscettibili di conferma previa stipulazione, ai sensi dell'articolo 22, comma 5, della convenzione con il comune competente: tale obbligo deve essere assolto entro ventiquattro (oggi trentasei) mesi dall'entrata in vigore del regolamento regionale di cui all'articolo 49 pena la decadenza dalla concessione di cui si tratta; entro lo stesso termine si provvede all'adeguamento delle convenzioni eventualmente già in essere indicando l'importo dovuto dal concessionario ai sensi dell'articolo 22. Ritiene il Collegio che già dall’esame di tali norme si evidenzi in maniera lampante la correttezza della decisione del TAR impugnata, poiché gli atti convenzionali in essere tra il Comune e l’appellante non hanno specifico riguardo al profilo del canone di concessione, che invece è stato determinato con la delibera impugnata in modo conforme ai parametri indicati dal legislatore regionale e previa specifica ed approfondita istruttoria, ma stabiliscono corrispettivi che si collegano o al diverso istituto degli oneri diretti e indiretti derivanti dallo sfruttamento delle acque pubbliche o a più ampi rapporti tra le parti. In particolare il Collegio evidenzia che l’Amministrazione appellata ha accertato che l'acqua Uliveto, per quantità, valori di mercato, qualità e tipologie (cioè per le caratteristiche indicate dall'art. 22 della L.R. n. 38-2004), si colloca ai vertici delle acque minerali emunte in Toscana, cosicché in sede tecnica (in base alla relazione allegata alla deliberazione n. 71-2011) è stato ritenuto possibile determinare il canone di imbottigliamento di fascia medio-alta, anche fino al massimo consentito dalla normativa regionale. Peraltro rileva il Collegio che, con lettera del 21 marzo 2012 (doc. 1 appellato), la società appellante ha chiesto al Comune di Vicopisano di procedere comunque alla sottoscrizione della convenzione di adeguamento prevista dalla L.R. n. 38-2004, con le riserve del caso, e dichiarando la propria disponibilità a versare il saldo per il pregresso periodo: la convenzione, con le modifiche del caso a tutela della posizione di ciascuna parte è stata sottoscritta in data 30 marzo 2012, determinando in € 482.825,84 il canone dovuto dalla società per l'acqua imbottigliata nel corso del 2011. Con riferimento alle contestazioni circa il nuovo ammontare del canone, sostanzialmente riproposte con le censure formulate nell’atto di appello, il Collegio deve precisare che la previsione di un canone proporzionale all'acqua imbottigliata o emunta (invece che all'estensione della superficie della concessione) è stata introdotta per la prima volta dalla Regione Lombardia, con L.R. n. 1-1998 ed ha superato l’esame di costituzionalità (Corte Costituzionale, sentenza 16 marzo 2001, n. 65), avendo la Consulta dichiarato non fondate le questioni sollevate, riconoscendo alle Regioni la possibilità di prevedere un canone commisurato all'effettivo beneficio ricavabile dal concessionario e, quindi, proporzionale all'acqua imbottigliata. In tale sentenza la Corte Costituzionale ha confutato le tesi circa la violazione del principio di uguaglianza e dei principi di libera concorrenza, affermando espressamente che il principio del libero scambio è, infatti, mal invocato di fronte a linee di indirizzo, di cui anche le Regioni possono essere interpreti nelle materie di loro competenza, intese a non deprimere il valore delle risorse naturali che costituiscono patrimonio pubblico. Infatti, il canone per cui è causa afferisce ad un rapporto concessorio avente ad oggetto lo sfruttamento economico di un bene pubblico; un rapporto che assume caratteristiche ibride: autoritative e pubblicistiche, quanto alla previsione e fissazione di un adeguato canone; pattizie e privatistiche, quanto alla possibile esistenza di regole negoziali accessive al provvedimento concessorio. In relazione a tale duplice valenza del rapporto, il relativo canone è un corrispettivo che il concessionario ha l’obbligo di corrispondere secondo un tipico schema negoziale privatistico, ma è anche, quanto alla sua quantificazione, il risultato di una determinazione autoritativa dell’ente concedente (nella specie, addirittura, di un specifica disposizione di legge), connessa direttamente all’aspetto pubblicistico del sottostante rapporto, concernente il potere della stessa Amministrazione di esigere quel dato corrispettivo per l’uso speciale (o, come nella specie, per lo sfruttamento commerciale) del bene pubblico. Oltre a tale canone, avente la natura giuridica suindicata, le leggi regionali in materia (come l'art. 22, comma 5, in esame) stabiliscono che la concessione di coltivazione è subordinata alla stipula di apposita convenzione che deve prevedere, oltre al suddetto canone, anche l'individuazione degli oneri diretti ed indiretti, determinati dalle opere correlate alle attività di estrazione e di utilizzo delle acque minerali, di sorgente e termali, a conferma della precedente previsione contenuta nell'art. 24, comma 6, della L.R. n. 86-1994. Infatti il cit. art. 22 della L.R. n. 38-2004 già nella rubrica individua i due diversi obblighi a carico del concessionario: "Pagamento del canone per la concessione. Convenzione per gli oneri sostenuti dal Comune"; obblighi del tutto indipendenti tra di loro, perché la determinazione del canone è rimessa ad una decisione unilaterale ed autoritativa del Comune, entro i limiti fissati dal legislatore regionale e tenuto conto di alcuni elementi, mentre gli oneri a carico del concessionario, compensativi di quelli diretti e indiretti, devono essere individuati tramite un accordo tra comune e concessionario; pertanto, l'adeguamento della convenzione tra il Comune e la società appellante deve riguardare esclusivamente la determinazione del canone proporzionale alla quantità dell'acqua imbottigliata e non gli altri aspetti (oneri diretti ed indiretti) già definiti in precedenza con le convenzioni. Infatti, nel caso di specie, le pattuizioni contenute nella convenzione del 1989 sono del tutto indipendenti dal rinnovo della concessione mineraria (la concessione sarebbe scaduta infatti nel 2005), ma sono connesse esclusivamente a quella variante urbanistica ed agli interventi resi possibili da tale variante che hanno giustificato la corresponsione degli oneri indicati nella convenzione medesima. Pertanto le obbligazioni previste nella convenzione del 1997, poi modificate nel 2000, riguardavano interventi edilizi ancora da realizzare, poiché a quel momento la società non aveva dato attuazione alle previsioni della variante urbanistica del 1989. Successivamente, nella convenzione del 5 agosto 2000, al punto 11, la società appellante ha confermato l'impegno ad erogare annualmente al Comune la somma di lire 300.000.000 in relazione al contributo previsto a carico del concessionario nei confronti del Comune dalla norma dell'art. 24, comma 6, della Legge Regionale n. 86/94, e quindi a tale esclusivo titolo (e non "anche" a tale titolo), come invece previsto nella convenzione del 1997. La tesi della società appellante (e a prescindere dagli aspetti relativi all’ammissibilità per la prima volta in appello di tale censura), secondo cui il Comune, nella determinazione del canone avrebbe dovuto considerare anche gli oneri già da essa sostenuti, non trova alcun riscontro nel testo legislativo poiché i criteri individuati per la determinazione del canone sono totalmente indipendenti dagli oneri diretti e indiretti sostenuti dai Comuni per l'attività svolta dal concessionario. Come indicato al punto 4.8 della relazione allegata alla deliberazione n. 60-2010 per determinare il canone (tra 0,50 e 2,00 € al mc) in base alla quantità, ai valori di mercato, alla qualità e tipologia d'uso dell'acqua imbottigliata e utilizzata, nonché in misura proporzionale all'impatto che il prelievo dell'acqua ha sugli interessi pubblici della comunità locale, il risultato cui addiviene il Comune è del tutto legittimo, poiché è ovvio che tanto maggiore è l'impatto del prelievo dell'acqua sugli interessi pubblici della comunità locale, tanto più elevati sono sia gli oneri diretti e indiretti sia il canone di concessione, non sussistendo alcun obbligo di rispettare un rapporto di proporzionalità inversa tra oneri diretti e indiretti (da un lato) e canone (dall'altro). Né può contestarsi la mancata valutazione della comparazione tra varie acque minerali, atteso che gli atti istruttori espletati dal Comune evidenziano la serietà e l’approfondimento dell’accertamento in ordine ai tre parametri previsti dalla legge regionale per determinare il canone, all'interno dell'intervallo fissato ("quantità", "valori di mercato" e "qualità e tipo-logie d’uso"), come risulta dai cit. allegati alle deliberazione di Giunta n. 71 del 2011. Infine, l'eccezione di illegittimità costituzionale della L.R. Toscana n. 38-2004 deve ritenersi infondata, atteso che pacificamente il legislatore può incidere sui rapporti concessori in corso relativamente alle parti ella concessione che sfuggono da una regolamentazione pattizia, atteso che la determinazione del canone di concessione si pone su un piano diverso dagli obblighi pattizi esistenti tra le parti, poiché attiene al profilo pubblicistico del rapporto, come già puntualizzato. Quanto ai criteri per la determinazione del canone di concessione, la stessa Corte Costituzionale, con la cit. sentenza n. 65-2001, ha già avvalorato il principio dell'onerosità della concessione e quello della proporzionalità del canone all'effettiva entità dello sfruttamento delle risorse pubbliche. Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello e' stato respinto, in quanto infondato. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.3.2013, n. 1823)

 
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Per determinare il canone in base alla quantità, ai valori di mercato, alla qualità e tipologia d'uso dell'acqua imbottigliata e utilizzata, nonché in misura proporzionale all'impatto che il prelievo dell'acqua ha sugli interessi pubblici della comunità locale, il risultato cui addiviene il Comune ... Continua a leggere

 

Canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche: la determinazione forfettaria del canone dovuto per le occupazioni permanenti, realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto è subordinata alla ricorrenza di puntuali presupposti, di carattere soggettivo ed oggettivo

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L’articolo 63 del citato D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, disciplinando il "Canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche", dopo aver stabilito al comma 1, secondo periodo, che "I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’articolo 52, prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinati a mercati anche attrezzati, sia assoggettata, in sostituzione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione…", ha indicato, al successivo comma 2, i criteri cui deve essere informato il regolamento, specificando, per quanto qui interessa, al punto f) la "previsione per le occupazioni permanenti, realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e da quelle esercenti attività strumentali ai servizi medesimi di un canone determinato forfettariamente come segue: 1) per le occupazioni del territorio comunale il canone è commisurato al numero complessivo delle relative utenze per la misura unitaria di tariffa riferita alle sotto indicate classi di comuni: I) fino a 20.000 abitanti, euro 0,77 per utenza; II) oltre 20.000 abutanti, euro 0,65 per utenza; 2) per le occupazioni del territorio provinciale, il canone è determinato nella misura del 20 per cento dell’importo risultante dall’applicazione della misura unitaria di tariffa di cui al precedente numero 1, per il numero complessivo delle utenze presenti nei comuni compresi nel medesimo ambito territoriale; 3) in ogni caso l’ammontare complessivo dei canoni dovuti a ciascun comune o provincia non può essere inferiore a euro 516,46. La medesima misura di canone annuo è dovuta complessivamente per le occupazioni permanente di cui alla presente lettera effettuate dalle aziende esercenti attività strumentali ai pubblici servizi….". Dal tenore letterale della norma emerge che la determinazione forfettaria del canone dovuto per le occupazioni permanenti, realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto è subordinata alla ricorrenza di puntuali presupposti, di carattere soggettivo ed oggettivo: in particolare l’agevolazione presuppone, dal punto di vista soggettivo, che il soggetto occupante le aree pubbliche svolga attività di erogazione dei pubblici servizi ovvero attività strumentali ai servizi medesimi; dal punto di vista oggettivo, poi l’attività di erogazione ovvero quella strumentale deve essere in atto, atteso che il canone deve essere commisurato al numero delle utenze (ciò anche con riferimento alle occupazioni del territorio provinciale). Ad avviso della Sezione, la ratio dell’agevolazione in parola si ricollega alla peculiarità dell’attività che viene svolta attraverso l’occupazione di aree pubbliche (erogazione di servizi pubblici o attività strumentale a questi ultimi) ed alla utilità che così è assicurata direttamente ai cittadini (utenti), solo in tal modo trovando ragionevole giustificazione il sacrificio imposto al potere impositivo dell’amministrazione locale (ed alle sue entrate finanziarie). Il legislatore ha così effettuato, direttamente a livello normativo, una comparazione e una non irragionevole composizione degli interessi pubblici in gioco (quello dell’ente locale, comune o provinciale, di ricavare un’entrata dall’utilizzazione dei suoi beni pubblici e quello dei cittadini all’utilità derivante dall’erogazione di servizi pubblici), sottraendo la relativa valutazione all’ente impositore, considerandola una questione di interesse generale e non meramente localizzabile. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.3.2013, n. 1786)

 
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L’articolo 63 del citato D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, disciplinando il "Canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche", dopo aver stabilito al comma 1, secondo periodo, che "I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’articolo 52, prevedere che l’occupazione, si ... Continua a leggere

 
 
 
 
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