News 27 Febbraio 2017 - Area Amministrativa


NORMATIVA

Persone con disabilita' grave prive del sostegno familiare: i requisiti per l'accesso alle misure di assistenza

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È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n- 45 del 23 febbraio 2017 il DECRETO 23 novembre 2016 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali recante "Requisiti per l'accesso alle misure di assistenza, cura e protezione a carico del Fondo per l'assistenza alle persone con disabilita' graveprive del sostegno familiare, nonche' ripartizione alle Regioni delle risorse per l'anno 2016". Per approfondire scarica il decreto.

 
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È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n- 45 del 23 febbraio 2017 il DECRETO 23 novembre 2016 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali recante "Requisiti per l'accesso alle misure di assistenza, cura e protezione a carico del Fondo per l'assistenza alle persone con disabilita' grave ... Continua a leggere

 

Sicurezza delle città: in Gazzetta Ufficiale il decreto legge con le disposizioni urgenti

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È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20.2.2017 il DECRETO-LEGGE 20 febbraio 2017, n. 14  recante "il Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle citta'". note: Entrata in vigore del provvedimento: 21/02/2017 Vai al testo del decreto legge.

 
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Fondo nazionale contro gli sprechi alimentari: in Gazzetta Ufficiale il decreto sulle modalità di utilizzo

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La legge 19 agosto 2016, n. 166 ha istituito un fondo presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali destinato al finanziamento di progetti innovativi finalizzati alla limitazione degli sprechi e all'impiego delle eccedenze con particolare riferimento ai beni alimentari e allaloro destinazione agli indigenti, nonche' alla promozione della produzione di imballaggi riutilizzabili o facilmente riciclabili e al finanziamento di progetti di servizio civile nazionale. La citata legge prevede per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018 una dotazione di un milione di euro per il fondo e stabilisce che le modalità di utilizzo del fondo contro gli sprechi alimentari sono definite con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. A tal fine sulla Gazzetta Ufficiale n. 40 del 17.2.2017 è stato pubblicato il DECRETO 3 gennaio 2017 del MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI recante "Disposizioni generali concernenti le modalita' di utilizzo del fondo nazionale contro gli sprechi, in attuazione della legge 19 agosto 2016, n. 166." Per maggiori informazione vai al decreto.

 
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La legge 19 agosto 2016, n. 166 ha istituito un fondo presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali destinato al finanziamento di progetti innovativi finalizzati alla limitazione degli sprechi e all'impiego delle eccedenze con particolare riferimento ai beni alimentari e alla ... Continua a leggere

 

Procreazione medicalmente assistita: Regolamento sulla manifestazione della volontà di accedere alle tecniche

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È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 40 del 17.2.2017 il DECRETO 28 dicembre 2016, n. 265 del MINISTERO DELLA GIUSTIZIA recante "Regolamento recante norme in materia di manifestazione della volonta' di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, in attuazione dell'articolo 6, comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40." Entrata in vigore del provvedimento: 04/03/2017. per approfondire vai al provvedimento.

 
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Vittime civili delle guerre e dei conflitti nel mondo: istituita il 1 febbraio di ciascun anno la giornata nazionale

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"La Repubblica riconosce il giorno 1° febbraio di ciascun anno quale «Giornata nazionale delle vittime civili delle guerre e dei conflitti nel mondo», al fine di conservare la memoria delle vittime civili di tutte le guerre e di tutti i conflitti nel mondo, nonche' di promuovere, secondo i principidell'articolo 11 della Costituzione, la cultura della pace e del ripudio della guerra". È quanto prevede la LEGGE 25 gennaio 2017, n. 9 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13.2.2017 recante "Istituzione della giornata nazionale delle vittime civili delle guerre e dei conflitti nel mondo". note: Entrata in vigore del provvedimento: 28/02/2017. Per saperne di più scarica la legge

 
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Attribuzione del cognome materno ai figli: la circolare per sollecitare gli uffici dello stato civile alla corretta applicazione dei principi della Consulta sul doppio cognome

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È stata diramata dal Ministero dell'Interno, Direzione Centrale per i Servizi Demografici del Dipartimento per gli Affari interni e Territoriali la circolare n.1/2017 avente ad oggetto "Sentenza Corte Costituzionale n. 286/2016 — Attribuzione cognome materno." con la quale si vuole portare a conoscenza dei Sindaci le novità conseguenti dalla pronuncia della Consulta, sollecitando le opportune direttive agli uffici di stato civile per la puntuale applicazione dei principi di diritto affermati nella richiamata sentenza della Corte Costituzionale. In particolare, la Corte Costituzionale con sentenza n. 286 in data 8 novembre - 21 dicembre 2016, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 1^ serie speciale-Corte Costituzionale n. 52 del 28 dicembre 2016, ha dichiarato la illegittimità costituzionale della norma desumibile da un'interpretazione sistematica delle disposizioni del codice civile (artt. 237, 262 e 299) e di quelle, anche di natura regolamentare, relative all'Ordinamento dello Stato civile, nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno. In via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 262, primo comma, cod. civ., (cognome del figlio nato fuori dal matrimonio) nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno e dell'art. 299, terzo comma, (cognome dell'adottato) cod. civ. nella parte in cui non consente ai coniugi in caso di adozione compiuta da entrambi, di attribuire, di comune accordo, anche il cognome materno al momento dell'adozione. Con la richiamata pronuncia e dal giorno successivo alla sua pubblicazione, viene definitivamente rimossa dall'ordinamento la preclusione, implicita nel sistema di norme delibate dalla Corte Costituzionale, della possibilità di attribuire, al momento della nascita, di comune accordo, anche il cognome materno. L'applicazione della sentenza della Corte Costituzionale è immediata per cui, in attuazione della pronuncia, sostanzialmente innovativa della disciplina della materia di che trattasi, l'ufficiale dello stato civile dovrà accogliere la richiesta dei genitori che, di comune accordo, intendano attribuire il doppio cognome, paterno e materno, al momento della nascita o al momento dell'adozione. Scarica il testo della circolare

 
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È stata diramata dal Ministero dell'Interno, Direzione Centrale per i Servizi Demografici del Dipartimento per gli Affari interni e Territoriali la circolare n.1/2017 avente ad oggetto "Sentenza Corte Costituzionale n. 286/2016 — Attribuzione cognome materno." con la quale si vuole portare a conosc ... Continua a leggere

 

COMPARTO REGIONI E AUTONOMIE LOCALI – Quesito su modalità di fruizione dei permessi di cui alla legge n. 104/1992

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Un dipendente fruisce delle due ore di permesso giornaliero per ciascun giorno lavorativo di cui all’art.33, comma 2, della legge n.104/1992. Nel corso del medesimo mese, il dipendente di cui si tratta non ha fruito delle due ore di permesso, effettuando anche prestazioni di lavoro straordinario.Questa fattispecie può rientrare nella tipologia di utilizzo misto dei citati permessi e, quindi, nel limite di 3 giorni fruibili ad ore nel limite massimo di 18 ore mensili?

 
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Un dipendente fruisce delle due ore di permesso giornaliero per ciascun giorno lavorativo di cui all’art.33, comma 2, della legge n.104/1992. Nel corso del medesimo mese, il dipendente di cui si tratta non ha fruito delle due ore di permesso, effettuando anche prestazioni di lavoro straordinario. ... Continua a leggere

 

COMPARTO REGIONI E AUTONOMIE LOCALI – Quesito su possibilità di riconoscere, ai messi comunali, gli incentivi di cui all’art.54 del CCNL del 14.9.2000 anche per la notifica di atti e avvisi di pagamento di amministrazioni diverse da quella finanziaria

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Gli incentivi di produttività, di cui all’art.54 del CCNL del 14.9.2000, previsti per i messi comunali per la notifica degli atti dell’amministrazione finanziaria, possono essere riconosciuti al suddetto personale anche nel caso della notifica di avvisi di addebito aventi ad oggetto il recupero disomme dovute all’INPS?

 
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Gli incentivi di produttività, di cui all’art.54 del CCNL del 14.9.2000, previsti per i messi comunali per la notifica degli atti dell’amministrazione finanziaria, possono essere riconosciuti al suddetto personale anche nel caso della notifica di avvisi di addebito aventi ad oggetto il recupero di ... Continua a leggere

 
GIURISPRUDENZA

Il titolo di "Professore emerito": il conferimento dell'onorificenza

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 24.2.2017

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La l. 30 dicembre 2010, n. 240, si propone espressamente di dare attuazione alle "disposizioni di cui all'articolo 33 e al titolo V della parte II della Costituzione" e all’art. 1 comma 2 dispone, con norma qualificata di principio, che "ciascuna università opera ispirandosi a principi di autonomiae di responsabilità". In tali termini, il Consiglio di Stato, Sesta Sezione nella sentenza del 24 febbraio 2017 ha ricordato che il titolo di "Professore Emerito" è in sintesi e prima di tutto un’onorificenza, che l’università conferisce alla chiusura della carriera ad uno studioso, perché ritiene che l’opera di questi sia particolarmente rappresentativa dei valori espressi dalla propria attività scientifica e civile. Tale potere di apprezzamento positivo fa parte del contenuto minimo di qualsiasi autonomia (cfr. Sez. VI, 16 febbraio 2017, n. 696). Essa infatti non si concepirebbe per soggetti nemmeno autorizzati ad esprimere in via ufficiale opinioni sulla propria sfera di competenza. Tale giudizio positivo esprime non solo il merito scientifico, ma anche l’adesione ad un più ampio complesso di valori civili, ed è quindi legittimamente espresso anche con una delibera del Senato accademico, del quale fanno parte non solo professori, come tali colleghi e pari del docente che si intende onorare, ma anche rappresentanti di diverse categorie. Così la recente sentenza C.G.A. 18 febbraio 2016, n. 42. Il Collegio, in conclusione, ha ritenuto la competenza del Senato accademico, che nella specie si è pronunciato a termini del regolamento. Nel merito poi, si segnala il passaggio motivazionale con il quale il Consiglio di Stato rileva che fra le ragioni di reiezione della proposta di conferimento del titolo vi è il rilievo di una circostanza che l’appellante incidentale come fatto storico non nega, ovvero la sua passata appartenenza alla nota "Loggia P2". Si tratta di un’associazione sciolta d’autorità con la l. 25 gennaio 1982, n. 17, come esempio concreto delle associazioni segrete proibite dalla stessa legge, anche a pena di responsabilità disciplinare per i dipendenti pubblici che ne facciano parte. Non risulta dunque anomalo o affetto da eccesso di potere il giudizio di non meritevolezza, basato sull’esser stato membro di tale associazione, perché conforme ad una valutazione negativa dello stesso legislatore". Per approfondire vai al testo integrale della sentenza.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 24.2.2017

 
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La l. 30 dicembre 2010, n. 240, si propone espressamente di dare attuazione alle "disposizioni di cui all'articolo 33 e al titolo V della parte II della Costituzione" e all’art. 1 comma 2 dispone, con norma qualificata di principio, che "ciascuna università opera ispirandosi a principi di autonomia ... Continua a leggere

 

Processo amministrativo: è inammissibile l'appello contro l'ordinanza collegiale che dispone incombenti istruttori lasciando impregiudicata la questione decisoria

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 22.2.2017

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La Quarta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza del 22 fenbbraio 2017 ha ribadito il consolidato principio secondo il quale (Consiglio di Stato, sez. IV, 31 agosto 2016, n. 3737) "è inammissibile l'appello proposto contro l'ordinanza collegiale con la quale il T.a.r. ha disposto incombentiistruttori, lasciando dichiaratamente e provvisoriamente impregiudicata ogni questione decisoria in rito e nel merito." Per approfondire scarica la sentenza.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 22.2.2017

 
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La Quarta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza del 22 fenbbraio 2017 ha ribadito il consolidato principio secondo il quale (Consiglio di Stato, sez. IV, 31 agosto 2016, n. 3737) "è inammissibile l'appello proposto contro l'ordinanza collegiale con la quale il T.a.r. ha disposto incombenti ... Continua a leggere

 

Annullamento d'ufficio: i presupposti di applicazione dell'art. 21 nonies della legge n. 241/90

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 20.2.2017

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Il Consiglio di Stato, sezione Quinta, nella sentenza del 20 febbraio 2017 ha, tra l'altro, affermato che il rispetto dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, è subordinato alla sussistenza dei presupposti consistenti: 1. nell’illegittimità originaria del provvedimento; 2. nell’interessepubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità; 3. nell’assenza di posizioni di affidamento consolidato in capo ai destinatari; 4. da esplicitare attraverso una puntuale e convincente motivazione (cfr., da ultimo, Cons. Stato, IV, 25 gennaio 2017, nn. 293 e 294; VI, 27 gennaio 2017, n. 341, 29 gennaio 2016, n. 351). Per maggiori informazioni scarica il testo integrale della sentenza.

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Il Consiglio di Stato, sezione Quinta, nella sentenza del 20 febbraio 2017 ha, tra l'altro, affermato che il rispetto dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, è subordinato alla sussistenza dei presupposti consistenti: 1. nell’illegittimità originaria del provvedimento; 2. nell’interesse ... Continua a leggere

 

Il principio di proporzionalità dell'agire amministrativo

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 20.2.2017

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Sul principio di proporzionalità dell'agire amministrativo la Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza depositata il 20 febbraio 2017 ha espressamente richiamato quanto già espresso dal Consiglio di Stato (Sez. IV, sentenza 22 maggio 2013 n.964): "Come è noto, il principio di proporzionalità, di derivazione europea, impone all’amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato. Alla luce di tale principio, nel caso in cui l’azione amministrativa coinvolga interessi diversi, è doverosa un’adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di trovare la soluzione che comporti il minor sacrificio possibile: in questo senso, il principio in esame rileva quale elemento sintomatico della correttezza dell’esercizio del potere discrezionale in relazione all’effettivo bilanciamento degli interessi. Date tali premesse, la proporzionalità non deve essere considerata come un canone rigido ed immodificabile, ma si configura quale regola che implica la flessibilità dell’azione amministrativa ed, in ultima analisi, la rispondenza della stessa alla razionalità ed alla legalità. In definitiva, il principio di proporzionalità va inteso "nella sua accezione etimologica e dunque da riferire al senso di equità e di giustizia, che deve sempre caratterizzare la soluzione del caso concreto, non solo in sede amministrativa, ma anche in sede giurisdizionale" (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. V, 21 gennaio 2015 n. 284). Parallelamente, la ragionevolezza costituisce un criterio al cui interno convergono altri principi generali dell’azione amministrativa (imparzialità, uguaglianza, buon andamento): l’amministrazione, in forza di tale principio, deve rispettare una direttiva di razionalità operativa al fine di evitare decisioni arbitrarie od irrazionali. In virtù di tale principio, l’azione dei pubblici poteri non deve essere censurabile sotto il profilo della logicità e dell’aderenza ai dati di fatto risultanti dal caso concreto: da ciò deriva che l’amministrazione, nell’esercizio del proprio potere, non può applicare meccanicamente le norme, ma deve necessariamente eseguirle in coerenza con i parametri della logicità, proporzionalità ed adeguatezza. Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che il criterio di ragionevolezza impone di far prevalere la sostanza sulla forma qualora si sia in presenza di vizi meramente formali o procedimentali, in relazione a posizioni che abbiano assunto una consistenza tale da ingenerare un legittimo affidamento circa la loro regolarità (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 2014 n. 5609; id. 18 agosto 2009 n. 4958; id. 2 ottobre 2007, n. 5074)." Per continuare nella lettura della sentenza scarica il testo integrale

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Sul principio di proporzionalità dell'agire amministrativo la Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza depositata il 20 febbraio 2017 ha espressamente richiamato quanto già espresso dal Consiglio di Stato (Sez. IV, sentenza 22 maggio 2013 n.964): "Come è noto, il principio di proporz ... Continua a leggere

 

Militari: la sospensione precauzionale facoltativa connessa a procedimento penale

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 8.2.2017

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L’art. 916 d. lgs. 15 marzo 2010 n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), all’art. 916, nell’ambito della Sezione IV (Capo II del Titolo V), dedicata ai casi di "sospensione dall’impiego", prevede, oltre alla "sospensione a seguito di condanna penale" (art. 914), ed alla "sospensione precauzionaleobbligatoria" (art. 915), anche la "sospensione precauzionale facoltativa connessa a procedimento penale" (art. 916), la quale "può essere applicata nei confronti di un militare se lo stesso è imputato per un reato da cui può derivare la perdita del grado" e non può avere comunque durata superiore a cinque anni (art. 919, co. 1). Sulla base di tale richiamo normativo la Quarta sezione del consiglio di stato con sentenza depositata in data 8 febbraio 2017 ha affermato che "Ciò, dunque, che funge da necessario presupposto perché l’amministrazione militare possa valutare se disporre (o meno) la sospensione precauzionale facoltativa – che ha natura di misura cautelare e non già di sanzione - è l’essere il militare imputato per un reato da cui può derivare la perdita del grado. Quest’ultima (che è "sanzione disciplinare di stato") può essere conseguenza: - o di procedimento disciplinare (art. 865); - ovvero (senza procedimento disciplinare), per i casi in cui vi sia "condanna definitiva, non condizionalmente sospesa, per reato militare o delitto non colposo che comporti la pena accessoria della rimozione o della interdizione temporanea dai pubblici uffici, oppure una delle pene accessorie di cui all’art. 19, comma 1, numeri 2) e 6) del codice penale" (art. 866). In particolare, per quel che interessa nella presente sede, giova ricordare che l’art. 29 cod. pen., prevede che la interdizione temporanea dai pubblici uffici consegua ad una condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni. In virtù dei rinvii effettuati dalle norme ora indicate, può dunque affermarsi che l’applicazione della sospensione precauzionale facoltativa può aversi allorchè il militare sia imputato (cioè vi sia stato esercizio nei suoi confronti dell’azione penale, in uno dei modi previsti dal c.p.p.) e che lo sia per un reato per il quale la eventuale futura condanna possa comportare l’applicazione della pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici, e cioè per un delitto la cui pena edittale massima sia pari o superiore a tre anni. In altre parole, l’art. 916 del Codice dell’ordinamento militare, nell’individuare il presupposto perché l’amministrazione possa valutare l’applicazione (o meno) della misura cautelare facoltativa fa riferimento a reati (e più precisamente, a delitti) che "possono" astrattamente comportare l’applicazione della pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici, e non già alla pena irrogata in concreto. Quanto ora affermato per un verso risponde alla normale tecnica di rinvio degli istituti di diritto penale sostanziale e processuale, in assenza di diverse e specifiche indicazioni, sia in quanto l’art. 916 si riferisce ad un militare "imputato" e, dunque, ad un soggetto non già condannato bensì nei confronti del quale si procede per uno dei reati per i quali potrebbe trovare (in astratto) applicazione la pena accessoria considerata. Ovviamente, ferma la necessità che si proceda nei confronti del militare per uno dei reati (delitti) ora indicati, stante la natura facoltativa della misura cautelare, compete all’amministrazione militare vagliare, in esercizio della propria potestà discrezionale, la opportunità dell’applicazione della misura, per il tramite di un giudizio congruamente motivato. Tale giudizio – ferma la verifica dell’esistenza dei presupposti di legge e della competenza dell’autorità che dispone la misura – è sottoposto al sindacato di legittimità del giudice amministrativo - onde non invadere il "merito" amministrativo – nei limiti del difetto di motivazione ovvero della irragionevolezza o illogicità di quanto disposto. Nella vicenda esaminata dal Collegio, un carabiniere è stato condannato, all’esito del giudizio di I grado, ad un anno e sei mesi di reclusione per i delitti di simulazione di reato e di falso materiale in atto pubblico; delitti per i quali il limite massimo edittale di pena è, rispettivamente, di tre anni (nel caso della simulazione: art. 367 c.p.) e di sei anni, nel caso di falso materiale (art. 476 c.p.), elevato a dieci anni, se si tratta di atto che faccia fede fino a querela di falso (art. 476, cpv.). Come è dato osservare, si tratta di delitti per i quali l’applicazione della pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici è astrattamente possibile, e, dunque, di reati per i quali, in base a quanto innanzi esposto, può trovare applicazione la misura cautelare della "sospensione precauzionale facoltativa". A fronte di tali considerazioni, non assume rilievo: - né che vi sia stata condanna in I grado, ben potendo la misura cautelare essere applicata (ovvero permanere) fintanto che è pendente il giudizio penale, nei limiti temporali previsti dall’art. 919 cod. mil.; - né che la pena irrogata in concreto sia stata inferiore a tre anni, e dunque non abbia comportato l’interdizione temporanea dai pubblici uffici, posto che – come si è detto – l’art. 916 fa riferimento alla pena editale massima per i delitti ivi indicati, e non già a quella irrogata in concreto. Né, a maggior ragione, possono essere condivise le argomentazioni dell’appellato, laddove fa riferimento: - ad una applicazione della misura precauzionale per i casi di condanna penale (pag. 15 memoria 31 ottobre 2016), poiché non è necessaria la intervenuta sentenza di condanna; - ovvero laddove afferma che "una volta pronunciata la decisione, anche di I grado, la concreta irrogazione della sospensione non può prescindere dall’esito del giudizio, poiché altrimenti si rischierebbe di consentire l’adozione di una sanzione in assenza dei presupposti essenziali" (pagg. 19-20), poiché, come s è detto, la sospensione precauzionale è misura cautelare e non ha natura di sanzione." Per continuare la lettura della sentenza accedi al data base

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 8.2.2017

 
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L’art. 916 d. lgs. 15 marzo 2010 n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), all’art. 916, nell’ambito della Sezione IV (Capo II del Titolo V), dedicata ai casi di "sospensione dall’impiego", prevede, oltre alla "sospensione a seguito di condanna penale" (art. 914), ed alla "sospensione precauzionale ... Continua a leggere

 

Esame di Avvocato: il punteggio numerico vale come sintetica motivazione ed i pareri pro veritate sono irrilevanti

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del consiglio di Stato Sez. IV del 8.2.2017

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La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza depositata in data 8.2.2017 ha ribadito, in ordine alla valutazione del candidato, i consolidati principi secondo cui: a) il sindacato di legittimità del giudice amministrativo è limitato al riscontro del vizio di eccesso di potere per manifesta illogicità, con riferimento ad ipotesi di erroneità o irragionevolezza riscontrabili ab externo e ictu oculi dalla sola lettura degli atti, che nella fattispecie non è dato riscontrare; b) il punteggio numerico vale come sintetica motivazione (cfr. riassuntivamente, per tutte, Cons. Stato, sez. V, 26 maggio 2015, n. 2629; sez. IV, 23 maggio 2016, n. 2110; sez. IV, ordinanza 29 luglio 2016, n. 3141; sez. IV, 27 settembre 2016, n. 3946; sez. IV, ordinanza 4 novembre 2016, n. 4952, sulla scia di Corte cost., 8 giugno 2011, n. 175 e anche 1° agosto 2008, n. 328), che peraltro nella specie è stata formulata dalla sottocommissione, anche se in termini necessariamente sintetici; c) a queste conclusioni non possono essere contrapposti i pareri pro veritate che l’appellato più volte richiama in quanto, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, pareri di tal genere sono sostanzialmente irrilevanti al fine di confutare il giudizio della sottocommissione; spetta in via esclusiva a quest'ultima la competenza a valutare gli elaborati degli esaminandi e, a meno che non ricorra l'ipotesi residuale del macroscopico errore logico (che nella fattispecie il Collegio non rileva), non è consentito al giudice della legittimità sovrapporre alle determinazioni da essa adottate il parere reso da un soggetto terzo, quale che sia la sua qualifica professionale ed il livello di conoscenze e di esperienze acquisite nella materia in discussione (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. IV, 17 febbraio 2009, n. 859; sez. IV, 17 aprile 2009, n. 1853; sez. IV, 23 maggio 2016, n. 2110). Nella sentenza, inoltre si rileva che anche sotto la vigenza dell'art. 47 della legge n. 247/2012, è rimasto immutato il principio della fungibilità fra membri effettivi e membri supplenti delle Commissioni dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, e cioè della possibilità di sostituzione, in caso di assenza o impedimento, indipendentemente dalla qualifica professionale posseduta dai singoli componenti, i quali non intervengono in rappresentanza di interessi settoriali, dovendosi ritenere tuttora vigente l'art. 22, comma 5, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (cfr. ordinanze 6 maggio 2016, n. 1693 e 14 ottobre 2016, n. 4556; sentenza 21 ottobre 2016, n. 4406). Per maggiori informazioni vai alla sentenza.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del consiglio di Stato Sez. IV del 8.2.2017

 
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La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza depositata in data 8.2.2017 ha ribadito, in ordine alla valutazione del candidato, i consolidati principi secondo cui: a) il sindacato di legittimità del giudice amministrativo è limitato al riscontro del vizio di eccesso di potere per manif ... Continua a leggere

 

Contributi pubblici: l'individuazione del giudice competente a decidere sulla revoca/annullamento del finanziamento

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato sez. VI del 7.2.2017

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La Sesta Sezione del Consiglio di stato nella sentenza depositata in data 7 febbraio 2017 ha dato continuità all’indirizzo giurisprudenziale, a mente del quale, qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull'inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo. Viceversa è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario (cfr., Cons. Stato, ad. plen. n. 6 del 2014; Cass. Sez. Un. 24 gennaio 2013, n. 1710). Quanto alla qualificazione del provvedimento impugnato come revoca, ritenuta dall’appellante ex se dirimente della giurisdizione del giudice amministrativo, la censura si fonda sulla sovrapposizione concettuale fra termini dotati di area semantica diversa: la revoca – o l'annullamento – del provvedimento fondato su meccanismi procedimentali di carattere amministrativo, da un lato; e la revoca dello stesso per inadempimento contrattuale, dall’altro. In questa seconda ipotesi, infatti, "non viene in rilievo il generale potere di autotutela pubblicistica (fondato sul riesame della legittimità o dell’opportunità dell’iniziale provvedimento di attribuzione del contributo e sulla valutazione dell’interesse pubblico), ma lo speciale potere di autotutela privatistica dell’Amministrazione (...) con il quale, nell’ambito di un rapporto ormai paritetico, l’Amministrazione fa valere le conseguenze derivanti dall’inadempimento del privato alle obbligazioni assunte per ottenere la sovvenzione." (cfr. Cons. Stato, ad. plen. n.6 del 2014). Per maggiori informazioni vai alla sentenza.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato sez. VI del 7.2.2017

 
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La Sesta Sezione del Consiglio di stato nella sentenza depositata in data 7 febbraio 2017 ha dato continuità all’indirizzo giurisprudenziale, a mente del quale, qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del be ... Continua a leggere

 

Impugnazione della sentenza: il termine lungo e la tardiva comunicazione da parte della cancelleria del deposito della sentenza

segnalazione del Prof. Avv. enrico michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 7.2.2017

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Nella controversia in esame l’appello è stato dichiarato irricevibile per tardività, essendo esso stato notificato in data 7 aprile 2016, mentre la sentenza impugnata è stata depositata il 25 luglio 2015, quindi è inutilmente spirato il termine "lungo" di sei mesi decorrenti dalla data del depositodella sentenza ( peraltro dimidiato nel caso di specie a tre mesi ai sensi del combinato disposto degli articoli 92 e 119, commi 1, lettera b) e 6, del c.p.a.). La Sesta Sezione del Consiglio di Stato nel dichiarare l'irrecivibilità dell'appello ha altresì affermato che "La tardiva comunicazione del deposito della sentenza da parte della cancelleria del TAR non è idonea a differire il decorso del termine lungo. Ai sensi dell’art. 92, comma 3, c.p.a., «[i]n difetto della notificazione della sentenza», l’appello e le altre impugnazioni «devono essere notificati entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza» (analogamente dispone l’art. 327, comma 1, c.p.c.). In base all’art. 89, comma 2, c.p.a., la sentenza, dopo la sua sottoscrizione, «è immediatamente resa pubblica mediante deposito nella segreteria del giudice che l’ha pronunciata» (così anche l’art. 133, comma 1, c.p.c.). Di tale deposito il segretario dà atto apponendo in calce alla sentenza data e firma (art. 89, comma 3, c.p.a.). La previsione di un termine decadenziale di impugnazione indipendente dalla notificazione della sentenza (e da ogni altra comunicazione) trova fondamento nella necessità di sottrarre la pronuncia del giudice ad ogni discussione sulla sua incontrovertibilità. L’ampiezza del termine semestrale consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda, facendo uso della diligenza dovuta "in rebus suis", a meno che la parte rimasta contumace non dimostri di non avere avuto alcuna conoscenza del processo. Del resto, quando ha voluto, il legislatore ha espressamente attribuito rilievo processuale alla comunicazione del provvedimento ad opera della cancelleria, quale adempimento da cui decorre il termine di decadenza per il gravame (cfr. l’art. 1, comma 62, della l. n. 92 del 2012; l’art. 348-ter, comma 3, c.p.c.; l’art. 18, comma 13, l. fall.). Il carattere derogatorio e speciale di tali disposizioni risulta anche dal nuovo testo dell’art. 133, comma 2, c.p.c., secondo cui: «la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c.» (quindi a maggior ragione non è idonea a far decorrere il termine "lungo"). Anche secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, il termine annuale di impugnazione previsto dall’art. 327 c.p.c. è stabilito a pena di decadenza e decorre in ogni caso dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, senza che rilevi l’omessa comunicazione da parte del cancelliere, a carico del quale può dar luogo solo ad una sanzione disciplinare (Cass., sentenze n. 17704 del 2010; n. 16004 del 2009; n. 11910 del 2003, n. 15778 del 2007, le quali hanno anche condivisibilmente ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 327 c.p.c. in riferimento all’art. 24 Cost.). Da ultimo, la decadenza da un termine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta (come nella specie) per errore di diritto.". Per approfondire scarica la sentenza

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Nella controversia in esame l’appello è stato dichiarato irricevibile per tardività, essendo esso stato notificato in data 7 aprile 2016, mentre la sentenza impugnata è stata depositata il 25 luglio 2015, quindi è inutilmente spirato il termine "lungo" di sei mesi decorrenti dalla data del deposito ... Continua a leggere

 

Mobilità, le controversie sono decide dal giudice ordinario

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio din Stato Sez. VI del 7.2.2017

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La Sesta sezione del consiglio di Stato nella sentenza del 7 febbraio 2017 ha richiamato il principio sancito dalle Sezioni Unite a tenore del quale "Le controversie in materia di mobilità sono devolute alla giurisdizione ordinaria, in quanto si tratta di una mera modificazione soggettiva del rapporto di lavoro con il consenso di tutte le parti (Cass., sezioni unite, n. 5077 del 2015)".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio din Stato Sez. VI del 7.2.2017

 
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La Sesta sezione del consiglio di Stato nella sentenza del 7 febbraio 2017 ha richiamato il principio sancito dalle Sezioni Unite a tenore del quale "Le controversie in materia di mobilità sono devolute alla giurisdizione ordinaria, in quanto si tratta di una mera modificazione soggettiva del rappo ... Continua a leggere

 
PROVVEDIMENTI REGIONALI

Turn over e capacità assunzionali: il parere della Corte dei Conti sui cd "resti"

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Quesito: Il Sindaco espone che il Comune "conta attualmente una popolazione pari a n. 1773 abitanti. A seguito delle dimissioni volontarie presentate in data 10.04.2014 dalla dipendente comunale, collaboratore amministrativo, area amministrativa, servizi demografici, il posto medesimo è rimasto vacante" e, quindi, "l'Amministrazione ha intenzione di procedere all'assunzione, attraverso concorso pubblico, di un nuovo dipendente a tempo pieno ed indeterminato, a decorrere dall'anno 2017". Sulla scorta di detta premessa, l’ente istante richiama la normativa susseguitasi in questi anni in tema di c.d. turn over e conclude affermando che «per le assunzioni da effettuarsi nel 2017, pertanto, è possibile utilizzare i "resti" delle facoltà assunzionali degli anni 2014-2015-2016 (calcolati sulle rispettive cessazioni degli anni 2013-2014-2015, applicando le percentuali vigenti nel tempo, meno la spesa per le assunzioni effettuate nel triennio 2014-2015-2016). I "resti" delle facoltà assunzionali, per l'anno 2017, sono quindi i seguenti: - capacità assunzionali 2014: 60% dei risparmi delle cessazioni del 2013; 80% per gli enti con rapporto tra spesa del personale e spesa corrente inferiore al 25%; - capacità assunzionali 2015: 60% dei risparmi delle cessazioni del 2014; 100% per gli enti con rapporto tra spesa del personale e spesa corrente inferiore al 25%; - capacità assunzionali 2016: 25% dei risparmi delle cessazioni del 2015; 100% per gli enti con rapporto tra spesa del personale e spesa corrente inferiore al 25% e 75% per i comuni con popolazione fino a 10.000 abitanti con rapporto tra dipendenti e popolazione inferiore a quello previsto per gli enti dissestati». In punto di fatto, inoltre, l’ente istante afferma di rispettare «i presupposti della citata normativa, che risultano essere seguenti: a) sussistenza di personale cessato nell'anno 2014; b) spesa complessiva del personale inferiore al 25 % delle spese correnti; c) rispetto del limite di spesa relativo al valore medio di spesa del triennio antecedente alla data di entrata in vigore dell'art. 3 comma 5 bis del D.L. n. 90/2014; d) rapporto tra dipendenti-popolazione dell'anno precedente inferiore al rapporto medio dipendenti-popolazione per classe demografica come definito triennalmente con il Decreto del Ministro dell'interno di cui all'art. 263, comma 2, del D.Lgs. 267/2000. Detto ciò, il Comune formula il seguente quesito in merito all’assunzione di un dipendente a tempo pieno e indeterminato, mediante concorso pubblico, a decorrere dall'anno 2017: è possibile utilizzare il 100% della «capacità assunzionale relativa alla cessazione intervenuta nell'anno 2014 ("resto" assunzionale anno 2015)» oppure l'utilizzo del resto della capacità assunzionale va conteggiato «nella percentuale del 75% della spesa del personale cessato»? ---ooo0ooo--- PARERE IN SINTESI: Nell’ambito della disciplina del c.d. turn over, al fine di calcolare la "capacità assunzionale" bisogna prendere come riferimento la percentuale indicata per l’anno in cui si intende avviare la procedura di assunzione, a prescindere da quale fosse la percentuale indicata nell’anno a cui si riferiscono le cessazioni intervenute (ossia i c.d. resti). Infatti, i "resti" devono essere presi in considerazione solo per determinare l’entità del budget di spesa su cui va parametrata la capacità assunzionale che deve necessariamente essere rispettosa della percentuale fissata dal legislatore per l’anno in cui si intende procedere con la nuova assunzione. ---ooo0ooo--- PARERE ESTESO: I) Il quadro normativo che ha regolato la c.d. disciplina del turn over negli enti locali dall’anno 2014 ad oggi. L’art. 3, comma 5, del decreto-legge del 24 giugno del 2014, convertito dalla legge n. 114 del 2014, come modificato dal decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito dalla legge n. 125 del 2015, aveva previsto che: «Negli anni 2014 e 2015 le regioni e gli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno procedono ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 60 per cento di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente. Resta fermo quanto disposto dall'articolo 16, comma 9, del decreto legge 6 luglio 2012, n.95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.135. La predetta facoltà ad assumere è fissata nella misura dell'80 per cento negli anni 2016 e 2017 e del 100 per cento a decorrere dall'anno 2018. Restano ferme le disposizioni previste dall'articolo 1, commi 557, 557-bis e 557-ter, della legge 27 dicembre 2006, n.296. A decorrere dall'anno 2014 è consentito il cumulo delle risorse destinate alle assunzioni per un arco temporale non superiore a tre anni, nel rispetto della programmazione del fabbisogno e di quella finanziaria e contabile; è altresì consentito l'utilizzo dei residui ancora disponibili delle quote percentuali delle facoltà assunzionali riferite al triennio precedente….». Il comma 5 quater, del medesimo articolo di legge, tuttavia, innalzava le predette percentuali affermando che «Fermi restando i vincoli generali sulla spesa di personale, gli enti indicati al comma 5, la cui incidenza delle spese di personale sulla spesa corrente è pari o inferiore al 25 per cento, possono procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, a decorrere dal 1º gennaio 2014, nel limite dell'80 per cento della spesa relativa al personale di ruolo cessato dal servizio nell'anno precedente e nel limite del 100 per cento a decorrere dall'anno 2015». La norma citata, quindi, oltre ad individuare determinate capacità assunzionali espresse in termini percentuali sulle cessazioni intervenute nell’anno precedente, ha introdotto la possibilità di cumulare le risorse destinate alle assunzioni per un arco temporale non superiore a tre anni. Per gli anni 2015 e 2016 il legislatore, tuttavia, ha introdotto, per le assunzioni a tempo indeterminato, una disciplina derogatoria al quadro normativo esistente. Infatti, ai sensi dell’art. 1, comma 424, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015), modificata dall'art. 4, comma 2-bis, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n.125, " Le regioni e gli enti locali, per gli anni 2015 e 2016, destinano le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato, nelle percentuali stabilite dalla normativa vigente, all'immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate alla data di entrata in vigore della presente legge e alla ricollocazione nei propri ruoli delle unità soprannumerarie destinatarie dei processi di mobilità. È fatta salva la possibilità di indire, nel rispetto delle limitazioni assunzionali e finanziarie vigenti, le procedure concorsuali per il reclutamento a tempo indeterminato di personale in possesso di titoli di studio specifici abilitanti o in possesso di abilitazioni professionali necessarie per lo svolgimento delle funzioni fondamentali relative all'organizzazione e gestione dei servizi educativi e scolastici, con esclusione del personale amministrativo, in caso di esaurimento delle graduatorie vigenti e di dimostrata assenza, tra le unità soprannumerarie di cui al precedente periodo, di figure professionali in grado di assolvere alle predette funzioni…". Il quadro normativo appena delineato è stato oggetto di numerosi interventi in sede consultiva della Giurisprudenza contabile e, tra questi, in questa sede ci si limita a segnalare le pronunce della Sezione delle Autonomie. Con una prima delibera (deliberazione n. 26/AUT/2015/QMIG) la Sezione ha affermato il principio in base al quale "gli enti locali possono effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato utilizzando la capacità assunzionale del 2014 derivante dalle cessazioni di personale nel triennio 2011-2013 nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica; mentre, il budget di spesa del biennio 2015-2016 (riferito alle cessazioni di personale intervenute nel 2014 e nel 2015), è soggetto ai vincoli posti dall’articolo 1, comma 424 della legge 190 del 2014 finalizzati a garantire il riassorbimento del personale provinciale". La medesima Sezione, con la successiva deliberazione n. 28/SEZAUT/2015/QMIG, ha inoltre precisato che il riferimento "al triennio precedente" inserito nell’art. 4, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 2015, che ha integrato l’art. 3, comma 5, del decreto-legge n. 90 del 2014, è da intendersi in senso dinamico, con scorrimento e calcolo dei resti, a ritroso, rispetto all’anno in cui si intende effettuare le assunzioni". Con la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità per il 2016), il legislatore ha nuovamente modificato il regime delle assunzioni stabilendo nuovi limiti alla capacità assunzionali degli enti locali. Difatti, il comma 228 dell’art. 1, dispone che: "Le amministrazioni di cui all'articolo 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, e successive modificazioni, possono procedere, per gli anni 2016, 2017 e 2018, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato di qualifica non dirigenziale nel limite di un contingente di personale corrispondente, per ciascuno dei predetti anni, ad una spesa pari al 25 per cento di quella relativa al medesimo personale cessato nell'anno precedente. In relazione a quanto previsto dal primo periodo del presente comma, al solo fine di definire il processo di mobilità del personale degli enti di area vasta destinato a funzioni non fondamentali, come individuato dall'articolo 1, comma 421, della citata legge n. 190 del 2014, restano ferme le percentuali stabilite dall'articolo 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014, n.90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114. Il comma 5- quater dell'articolo 3 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n.114, è disapplicato con riferimento agli anni 2017 e 2018." L’art. 16 del c.d. d.l. enti locali (D.L. n. 113/16 conv. con mod. nella l. 160/16), tuttavia, oltre ad aver abrogato la lettera a) dell’'articolo 1, comma 557, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, all'articolo 1, comma 228, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, dopo il primo periodo, aggiunge il seguente: «Ferme restando le facoltà assunzionali previste dall'articolo 1, comma 562, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, per gli enti che nell'anno 2015 non erano sottoposti alla disciplina del patto di stabilità interno, qualora il rapporto dipendenti-popolazione dell'anno precedente sia inferiore al rapporto medio dipendenti-popolazione per classe demografica, come definito triennalmente con il decreto del Ministro dell'interno di cui all'articolo 263, comma 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, la percentuale stabilita al periodo precedente è innalzata al 75 per cento nei comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti». Da ultimo, la legge di bilancio per il 2017 (l. n. 232/2016), alla lettera d) del comma 479 dell’art. 1 ha stabilito che "ai sensi dell'articolo 9, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, a decorrere dall'anno 2018, con riferimento ai risultati dell'anno precedente e a condizione del rispetto dei termini perentori di certificazione di cui ai commi 470 e 473", «per i comuni che rispettano il saldo di cui al comma 466, lasciando spazi finanziari inutilizzati inferiori all'1 per cento degli accertamenti delle entrate finali dell'esercizio nel quale è rispettato il medesimo saldo, nell'anno successivo la percentuale stabilita al primo periodo del comma 228 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, è innalzata al 75 per cento qualora il rapporto dipendenti-popolazione dell'anno precedente sia inferiore al rapporto medio dipendenti-popolazione per classe demografica, come definito triennalmente con il decreto del Ministro dell'interno di cui all'articolo 263, comma 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267». Dunque, nell’attuale quadro normativo, la capacità di turn over è stata sensibilmente ridotta rispetto alla previsione del decreto-legge n. 90 del 2014. Difatti, gli enti locali possono, ora, assumere per gli anni 2017 e 2018 nella misura del 25 per cento della spesa del personale cessato nell’anno precedente o del 75% quando ricorre la deroga prevista dal c.d. D.L. enti locali o dalla legge di bilancio per il 2017. II) Nozione di capacità assunzionale. Chiarito il quadro normativo, in merito al quesito formulato, il Comune riferisce che il rapporto dipendenti-popolazione dell'anno precedente è inferiore al rapporto medio dipendenti-popolazione per classe demografica (come definito triennalmente con il decreto del Ministro dell'interno di cui all'articolo 263, comma 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267); dunque, il medesimo ente istante, avendo una popolazione superiore ai 1000 e inferiore a 10.000 abitanti e non avendo ancora proceduto a nuove assunzioni, ha una capacità assunzionale pari al 75% del budget formatesi prendendo come riferimento le cessazioni avvenute nel triennio precedente (che, nel caso di specie, è rappresentato dalla cessazione intervenuta nell’anno 2014). In linea generale, questa Sezione rammenta all’ente che quando il legislatore interviene per modificare solo la percentuale del c.d. turn over, al fine di calcolare la "capacità assunzionale" bisogna prendere come riferimento la percentuale indicata per l’anno in cui si intende avviare la procedura di assunzione, a prescindere da quale fosse la percentuale indicata nell’anno a cui si riferiscono le cessazioni intervenute (ossia i c.d. resti). Infatti, i "resti" devono essere presi in considerazione solo per determinare l’entità del budget di spesa su cui va parametrata la capacità assunzionale che deve necessariamente essere rispettosa della percentuale fissata dal legislatore per l’anno in cui si intende a procedere con la nuova assunzione." Per approfondire scarica il testo integrale del parere.

 
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Quesito: Il Sindaco espone che il Comune "conta attualmente una popolazione pari a n. 1773 abitanti. A seguito delle dimissioni volontarie presentate in data 10.04.2014 dalla dipendente comunale, collaboratore amministrativo, area amministrativa, servizi demografici, il posto medesimo è rimasto vac ... Continua a leggere

 
 
 
 
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