
News 13 Settembre 2016 - Area Amministrativa
Piano Nazionale Anticorruzione: in Gazzetta Ufficiale il testo definitivo

È stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale, Serie Generale, n.197 del 24 agosto 2016 il testo definitivo del primo PNA adottato dall’Autorità a seguito della riforma del d.l. 90/2014. Il Piano costituisce un atto di indirizzo per le amministrazioni chiamate ad adottare o ad aggiornare concretee effettive misure di prevenzione di fenomeni corruttivi. Al documento è allegata la Relazione AIR e le osservazioni pervenute a seguito della consultazione pubblica. Accedo alla Delibera n. 831 del 3 agosto 2016
È stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale, Serie Generale, n.197 del 24 agosto 2016 il testo definitivo del primo PNA adottato dall’Autorità a seguito della riforma del d.l. 90/2014. Il Piano costituisce un atto di indirizzo per le amministrazioni chiamate ad adottare o ad aggiornare concrete ... Continua a leggere
Anticorruzione: il Regolamento per l'esercizio della funzione consultiva

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 192 del 18.8.2016 il provvedimento 20 luglio 2016 dell'Autorita Nazionale Anticorruzione recante "Regolamento per l'esercizio della funzione consultiva svolta dall'Autorita' nazionale anticorruzione ai sensi della legge 6 novembre 2012, n. 190 e dei relativi decreti attuativi e ai sensi del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, al di fuori dei casi di cui all'art. 211 del decreto stesso".
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 192 del 18.8.2016 il provvedimento 20 luglio 2016 dell'Autorita Nazionale Anticorruzione recante "Regolamento per l'esercizio della funzione consultiva svolta dall'Autorita' nazionale anticorruzione ai sensi della legge 6 novembre 2012, n. 190 e dei re ... Continua a leggere
Settore Agricolo, agroalimentare e sanzioni in materia di pesca illegale: la legge delega per la semplificazione, razionalizzazione e competitivita'

È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 186 del 10.8.2016 la LEGGE 28 luglio 2016, n. 154 recante "Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitivita' dei settori agricolo e agroalimentare, nonche' sanzioni in materia di pesca illegale". note: Entrata in vigore del provvedimento: 25/08/2016
È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 186 del 10.8.2016 la LEGGE 28 luglio 2016, n. 154 recante "Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitivita' dei settori agricolo e agroalimentare, nonche' sanzioni in materia di pesca illegal ... Continua a leggere
Piano Nazionale Anticorruzione: pubblicato il testo definitivo

È stato pubblicato il testo definitivo del primo PNA adottato dall’Autorità a seguito della riforma del d.l. 90/2014. Il Piano costituisce un atto di indirizzo per le amministrazioni chiamate ora ad adottare o ad aggiornare concrete e effettive misure di prevenzione di fenomeni corruttivi. Al documento è allegata la Relazione AIR e le osservazioni pervenute a seguito della consultazione pubblica. Accedi alla Delibera n. 831 del 3 agosto 2016 Determinazione di approvazione definitiva del Piano Nazionale Anticorruzione 2016
È stato pubblicato il testo definitivo del primo PNA adottato dall’Autorità a seguito della riforma del d.l. 90/2014. Il Piano costituisce un atto di indirizzo per le amministrazioni chiamate ora ad adottare o ad aggiornare concrete e effettive misure di prevenzione di fenomeni corruttivi. Al docu ... Continua a leggere
Abilitazione scientifica nazionale: on line i decreti per i candidati e i commissari

Sono disponibili i due decreti direttoriali che, in attuazione del D.P.R. 95/2016, del D.M. 120/2016 e del D.M. 602/2016 danno avvio alle procedure per l’abilitazione scientifica nazionale. Si tratta, rispettivamente, del D.D. 1531 (Bando Commissari) e del D.D. 1532 (Bando Candidati) del 29 luglio2016 reperibili ai seguenti link è sul sito dell’abilitazione scientifica nazionale (http://abilitazione.miur.it).Per approfondire accedi a:Decreto Direttoriale del 29 luglio 2016, n. 1532Procedura per il conseguimento dell’Abilitazione Scientifica Nazionale alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fasciaDecreto Direttoriale del 29 luglio 2016, n. 1531Procedura per la formazione delle commissioni nazionali per il conferimento dell’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia
Sono disponibili i due decreti direttoriali che, in attuazione del D.P.R. 95/2016, del D.M. 120/2016 e del D.M. 602/2016 danno avvio alle procedure per l’abilitazione scientifica nazionale. Si tratta, rispettivamente, del D.D. 1531 (Bando Commissari) e del D.D. 1532 (Bando Candidati) del 29 luglio ... Continua a leggere
Condanna dell'Amministrazione alla penalità di mora (astreinte): l'irrilevanza delle difficoltà del bilancio pubblico

Nella vicenda giunta all'attenzione della Quarta Sezione del Consiglio di Stato il Tribunale ha ordinato all’Amministrazione di eseguire i provvedimenti del giudice civile con i quali fu riconosciuto alle parti oggi appellate l’indennizzo previsto dalla legge n. 89 del 2001 ( c.d. legge Pinto) a causa della violazione dei termini di ragionevole durata del processo. Con le medesime sentenze il Tribunale ha condannato l’Amministrazione al pagamento di penalità di mora ( c.d. astreinte) commisurate all’interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della B.C.E. aumentato di tre punti percentuali. Le sentenze, nel capo appunto relativo a tali penalità, sono state impugnate con gli atti all’esame dall’Amministrazione la quale ha sostenuto l’inapplicabilità delle sanzioni e in via subordinata che il Tribunale ha errato nell’applicare le stesse in via sostanzialmente automatica. Con ord.za n. 14 del 2014 la Sezione Quarta del Consiglio di Stato, riuniti gli appelli, ha devoluto all’Adunanza Plenaria la questione relativa all’applicabilità delle penalità nel caso di condanna pecuniaria. Con sentenza n. 15 del 2014 la Adunanza Plenaria ha precisato che "Nell'ambito del giudizio di ottemperanza la comminatoria delle penalità di mora di cui all'art. 114, comma 4, lett. e), del c.p.a., è ammissibile per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente art. 113, ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria". La Plenaria ha quindi rimesso gli atti alla Sezione per il vaglio del secondo motivo di impugnazione, concernente - in concreto – la liquidazione della sanzione. La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza n. 3842 del 12 settembre 2016 ha ritenuto fondati gli appelli dell’Amministrazione, nei limiti di seguito trascritti: "Per quanto riguarda la asserita indisponibilità di somme sui relativi capitoli, a giudizio della Sezione - ferma restando l'assenza di preclusioni astratte sul piano dell'ammissibilità - in concreto le allegate difficoltà del bilancio pubblico non possono giustificare una totale esenzione dell’Amministrazione inadempiente dalle penalità di mora, vista anche l’attuale possibilità del ricorso al conto sospeso. Quanto esposto induce a disattendere i rilievi mossi al riguardo dall’appellante. E’ invece nel giusto l’ Amministrazione quando deduce, in sostanza e tenuto conto dell’insieme delle argomentazioni difensive, che le sentenze impugnate hanno comunque definito la misura delle penalità in modo non equo e cioè eccessivo. Per quanto riguarda la misura delle penalità, infatti, la Giurisprudenza della Sezione reputa conforme a equità il parametro dell’interesse legale peraltro ora esplicitamente indicato dall’art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a., come modificato dalla legge n. 208 del 2015. In tal senso è stato appunto chiarito che " poiché la penalità di mora non deve risolversi in una ragione di ingiustificato arricchimento per il creditore, è eccessivo e non conforme a equità il parametro dell'interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, aumentato di tre punti percentuali, dovendosi sostituirlo con quello dell’interesse legale, peraltro ora esplicitamente indicato dall’art. 114 comma 4 lett. e) Cod. proc. amm. secondo le modifiche appunto introdotte dalla predetta legge di stabilità per il 2016. ( cfr. IV Sez. n. 1444 del 2016)." Per approfondire scarica la sentenza.
Nella vicenda giunta all'attenzione della Quarta Sezione del Consiglio di Stato il Tribunale ha ordinato all’Amministrazione di eseguire i provvedimenti del giudice civile con i quali fu riconosciuto alle parti oggi appellate l’indennizzo previsto dalla legge n. 89 del 2001 ( c.d. legge Pinto) a ca ... Continua a leggere
Rinnovo del permesso di soggiorno: le condanne dell'extracomunitario in materia di stupefacenti e gli speciali presupposti che evitano il diniego automatico

La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 9.9.2016 n. 3841 ha richiamato il precedente della medesima Sezione (sentenza 30 maggio 2016, n. 2251) a tenore del quale le condanne dell’extracomunitario in materia di stupefacenti sono automaticamente ostative al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, qualunque sia la pena detentiva riportata dal condannato e non rilevando la concessione della sospensione condizionale, ai sensi del chiaro disposto dell’art. 4, comma 3, t.u. 25 luglio 1998, n. 286, e ciò per il grave disvalore che il legislatore attribuisce, ‘a monte’, ai reati in questione ai fini della tutela della sicurezza pubblica (Cons. St., sez. III, 26 febbraio 2016, n. 797; Sez. III, 10 aprile 2015, n. 1841; Sez. III, 24 febbraio 2015, n. 919). In presenza di tali condanne, non residua alcuna sfera di discrezionalità in capo all’Amministrazione, che è obbligata a dare immediata applicazione al disposto normativo (Cons. St., sez. III, 1° agosto 2014, n. 4087). Nella specie, l’appellante ha subito una condanna a due anni e otto mesi di reclusione e ad € 14.000 di multa per il reato di detenzione illecita ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Tale condanna è quindi da sola ostativa al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno. L'automatismo delle cause ostative viene peraltro meno ed occorre una valutazione discrezionale, quando sussistono gli speciali presupposti indicati dalla nuova formulazione dell'art. 5, comma 5, del citato testo unico, come modificato dal d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5 e ulteriormente inciso dalla sentenza costituzionale 18 luglio 2013, n. 202. Tale disposizione, all’ultimo alinea, prevede infatti che «nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'art. 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale». Nel caso all’esame del Collegio, l’Amministrazione non ha posto in essere alcun automatismo. Il TAR ha ritenuto corretto sia il bilanciamento tra l’interesse del ricorrente a restare in Italia con la moglie e i due figli e quello pubblico a negargli il rinnovo del permesso di soggiorno, in considerazione della gravità del reato dallo stesso commesso, per di più nascondendo - quando era beneficiario del permesso di soggiorno - la droga presso la propria abitazione, sia il giudizio di prevalenza del secondo sul primo. Tale valutazione risulta al Collegio motivata e ragionevole, anche in considerazione del principio secondo cui il giudizio di pericolosità sociale è rimesso alla prudente e discrezionale valutazione dell’Autorità di pubblica sicurezza e può trarre giustificazione da comportamenti o situazioni (che in taluni casi possono essere non ancora definitivamente sanzionati in sede penale), con una valutazione indiziaria della condotta dell’interessato, fondata su dati di esperienza generalizzati che corrispondono all’id quod plerumque accidit. Pertanto, in tale quadro, il Questore ha correttamente dato rilievo alla condanna inflitta nel dicembre 2013 all’interessato per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti previsto dall’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, ove si consideri che si tratta di un fatto commesso quando egli era già in Italia con un regolare permesso di soggiorno. Il Questore ha supportato il giudizio negativo, sottolineando come da un lato l’esigenza di salvaguardare l’unità familiare non può prevalere su quella di tutela della comunità, anche in ragione del fatto che tale unità familiare non ha agito da deterrente per impedire la commissione del reato; dall’altro, che il periodo di permanenza sul territorio dello stato dell’appellante non soddisfa la condizione di c.d. lungo soggiornante, avendo regolarizzato la sua posizione in Italia nel 2011, La determinazione del Questore, ad avviso del Collegio, risulta coerente con la ratio delle disposizioni sull’immigrazione che, accanto alla verifica dell’idoneità dello straniero ad inserirsi in un sano contesto socio economico, prendono anche in primaria considerazione le esigenze di tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica. Per approfondire scarica la sentenza.
La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 9.9.2016 n. 3841 ha richiamato il precedente della medesima Sezione (sentenza 30 maggio 2016, n. 2251) a tenore del quale le condanne dell’extracomunitario in materia di stupefacenti sono automaticamente ostative al rilascio o al rinnovo de ... Continua a leggere
Domanda di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato con enti ed amministrazioni pubbliche: la prova deve essere rigorosa

"La domanda di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato unitamente a quella di violazione della normativa in tema di interposizione fittizia di manodopera appare del tutto improponibile perché non supportata da elementi di fatto e di diritto idonei a permetterne il vaglio di merito; sul punto è sufficiente evidenziare che l’impugnata sentenza si è mossa coerentemente con le acquisizioni della giurisprudenza di questo Consiglio e della Cassazione, circa la necessità di assodare, con estremo rigore, la possibilità di instaurare un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con enti e amministrazioni pubbliche (ancorché esercenti attività di impresa), ai sensi della legge n. 1369 cit., ma al di fuori della regola fondamentale del pubblico concorso (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5261; Cass., sez. lav., n. 20314 del 2014; n. 11383 del 2015)." Sulla base di tale premessa la Quarta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza del 9.9.2016 ha rigettato l'appello proposto da alcuni soci di una cooperativa cui era affidato il servizio di facchinaggio in favore della Manifattura Tabacchi della città i quali avevano agito per ottenere il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato che sarebbe intercorso tra gli stessi e l’Amministrazione dei Monopoli di Stato, previo accertamento della simulazione di un contratto di appalto tra l’Amministrazione intimata e la Società Cooperativa. Il Consiglio di Stato, in particolare, ha respinto la richiesta rivolta in via subordinata di ammissione di mezzi istruttori sub specie della prova testimoniale. "Invero, fermo restando che nel giudizio amministrativo vige il principio dispositivo - acquisitivo dei mezzi istruttori e pur dandosi atto che la prova testimoniale introdotta dall’art. 63 c.p.a. è stata riconosciuta come strumento generalmente utilizzabile nel processo amministrativo (Cons. Stato Sez. III, 23 luglio 2012 n. 1069), il Collegio ritiene che nella specie non sussistano le condizioni per accogliere la richiesta di che trattasi, atteso che alcuna rilevanza, alla luce degli elementi che connotano la vicenda all’esame, può annettersi all’eventuale assunzione della prova testimoniale..." Per approfondire scarica la sentenza,
"La domanda di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato unitamente a quella di violazione della normativa in tema di interposizione fittizia di manodopera appare del tutto improponibile perché non supportata da elementi di fatto e di diritto idonei a permetterne il vaglio di merito; sul pu ... Continua a leggere
Notifica per pubblici proclami: le modalità concrete in caso di omessa indicazione da parte del giudice

Il codice del processo amministrativo ha previsto l’istituto della notifica per pubblici proclami, senza, tuttavia, specificarne le modalità, la cui definizione resta affidata volta per volta al presidente del Tribunale ovvero della Sezione investita della cognizione della causa. In mancanza di specifiche indicazioni da parte del giudice che ordina l’integrazione del contraddittorio, deve ritenersi senz’altro applicabile, in forza c.d. "rinvio esterno" di cui all’art. 39 comma 2, c.p.a., la disciplina contenuta nel codice di procedura civile. A tal riguardo va evidenziato che ai sensi dell’articolo 150 c.p.c. la notificazione per pubblici proclami si perfeziona mediante il deposito di copia dell'atto nella casa comunale del luogo in cui ha sede l'ufficio giudiziario davanti al quale si promuove o si svolge il processo, e con l’inserimento di un estratto di esso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. E’ altresì previsto che la notificazione si ha per avvenuta quando l'ufficiale giudiziario deposita una copia dell’atto, con la relazione e i documenti giustificativi dell'attività svolta, nella cancelleria del giudice davanti al quale si procede. Da quanto detto deriva che la notifica per pubblici proclami può ritenersi perfezionata soltanto mediante il rispetto del suddetto iter procedimentale e con la prova del deposito della documentazione ad essa relativa nella Segreteria del giudice che ha ordinato l’incombente, con la conseguenza che l’omissione di tale ultimo adempimento comporta l’improcedibilità del ricorso (in questi termini cdfr. Cons. St., Sez. IV, n. 3759 del 2008).
Il codice del processo amministrativo ha previsto l’istituto della notifica per pubblici proclami, senza, tuttavia, specificarne le modalità, la cui definizione resta affidata volta per volta al presidente del Tribunale ovvero della Sezione investita della cognizione della causa. In mancanza di sp ... Continua a leggere
Annullamento d'ufficio del provvedimento illegittimo: lo sbarramento temporale del termine ragionevole e degli attuali 18 mesi

L’art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990 prevede che il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che loha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Nella specie, manca sia l’esternazione delle ragioni di interesse pubblico (al di là del mero ripristino della legalità violata) sia la valutazione motivata della posizione dei soggetti destinatari del titolo edilizio. Nel caso in esame tale affidamento era, peraltro, particolarmente qualificato in ragione del lungo tempo trascorso dall'adozione della d.i.a. annullata, risultando trascorsi ben quattro anni dal suo consolidamento. Va aggiunto sotto tale profilo che il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, ha posto uno sbarramento temporale all'esercizio del potere di autotutela, rappresento da "diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici". Pur se tale norma non è applicabile ratione temporis, in ogni caso, come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di evidenziare, rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5625).
L’art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990 prevede che il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ... Continua a leggere
Giurisdizione: gli atti con cui la Regione opera la ‘graduazione’ degli Uffici regionali anche al fine dell’attribuzione delle fasce rilevanti per il trattamento economico

È Giunta alla decisione della Quinta Sezione del Consiglio di Stato il ricorso in appello proposto da un dirigente della Regione Veneto per la riforma della sentenza del T.A.R. del Veneto con cui è stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso da lui proposto avverso gli atti con cui la Regione ha operato la ‘graduazione’ degli Uffici regionali anche al fine dell’attribuzione delle fasce rilevanti ai fini del trattamento economico Con sentenza n. 3740 del 31 agosto 2016 il Consiglio di Stato ha ritenuto infondato l’appello in quantogli atti con cui la Regione ha proceduto alla graduazione degli uffici regionali ai fini della corretta attribuzione del trattamento economico non vengono qui riguardati quali atti di macrorganizzazione. Non si fa quindi questione di confermare o smentire l’orientamento (peraltro, più che consolidato) secondo cui ai fini del riparto di giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego occorre distinguere tra gli atti di macro - organizzazione (concernenti le linee fondamentali di organizzazione degli uffici ed i modi di conferimento degli incarichi dirigenziali), assoggettati a principi e regole pubblicistiche, e atti di micro - organizzazione, che si collocano al di sotto della soglia di configurazione degli uffici pubblici, regolati dalla disciplina privatistica (in tal senso- ex multis – Cons. Stato, V, 28 novembre 2013, n. 5684). Ed infatti, sotto il profilo sostanziale, la pretesa vantata dall’appellante (volta, in ultima analisi al riconoscimento di una fascia economica ritenuta più adeguata alle caratteristiche dell’incarico conferito) ha ad oggetto diritti soggettivi in una materia che non rientra nella giurisdizione esclusiva del G.A., bensì nell’ambito della generale giurisdizione del G.O. in tema di atti paritetici che incidono sul rapporto di impiego pubblico privatizzato quale è quello dei dirigenti di amministrazioni pubbliche (articoli 5 e 63 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165). Ne consegue che del tutto correttamente i primi Giudici hanno affermato che, nel caso in esame, la questione di giurisdizione debba essere risolta sulla base della consistenza della posizione giuridica azionata, da individuarsi in base al complesso delle richieste e dei fatti allegati (in tal senso –ex multis -: Cass. Civ., Sez. un., 31 marzo 2009, n. 7768) Ma, riguardando la questione sotto il versante sostanziale, emerge che il ricorrente mira ad ottenere in giudizio il riconoscimento del proprio diritto soggettivo a godere del trattamento economico di prima fascia da lui ritenuto più consono alla tipologie delle funzioni svolte. Egli non mira, quindi, ad ottenere una diversa configurazione dell’assetto macrorganizzativo dell’amministrazione di appartenenza, né a contestare l’individuazione degli uffici di maggiore rilevanza ovvero i modi di conferimento della titolarità dei medesimi (aspetti, questi ultimi, che in base al richiamato - e consolidato - orientamento sarebbero restati devoluti alla giurisdizione del Giudice amministrativo). 2.3. Né può ritenersi (contrariamente a quanto dedotto dal dottor Angelini alle pagine 7 e seguenti del ricorso in appello) che le conclusioni appena richiamate siano contrastanti con quanto statuito da questo Consiglio con la sentenza 20 dicembre 2011, n. 6705. Vero è che in entrambi i casi si fa(ceva) questione dell’impugnativa di atti di graduazione degli uffici regionali ai fini della loro articolazione in fasce (anche ai fini dell’attribuzione del trattamento economico). Tuttavia, nel richiamato precedente del 2011, questo Consiglio ha potuto affermare che la controversia avesse ad oggetto l’impugnativa dell’assetto di macrorganizzazione in base al rilievo che i ricorrenti mirassero "a sostenere il corretto inquadramento del proprio settore in una fascia di maggiore rilevanza [ragione per cui] l’effetto di tale domanda sul trattamento economico è solo indiretto". Al contrario – e per quanto riguarda la presente controversia – lo stesso appellante ha riconosciuto che la propria contestazione non ha ad oggetto i provvedimenti di conferimento dell’incarico dirigenziale (e i sottesi profili di macrorganizzazione – pagina 3 della memoria in data 12 maggio 2016). Ne resta confermato che il proprium della contestazione qui riproposta consiste nella censura avverso la graduazione ai fini economici dell’ufficio conferito (contestazione che, in base alle disposizioni e agli orientamenti dinanzi richiamati, deve essere correttamente rivolta al Giudice ordinario). Anche per tale ragioni l’appello in epigrafe deve essere respinto e deve essere confermata la carenza di giurisdizione dell’adito Giudice amministrativo. Per approfondire scarica la sentenza.
È Giunta alla decisione della Quinta Sezione del Consiglio di Stato il ricorso in appello proposto da un dirigente della Regione Veneto per la riforma della sentenza del T.A.R. del Veneto con cui è stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso da lui proposto avverso gli at ... Continua a leggere
Militari: il principio di proporzionalità nella irrogazione di una sanzione disciplinare

Era stato sorpreso da militari dell’Arma dei carabinieri, in compagnia di un pregiudicato nell’atto di acquistare sostanze stupefacenti pagandone il prezzo e, a quel punto, aveva cercato di indurre i militari dell’Arma a desistere dal controllo mostrando il tesserino del Corpo della Guardia di Finanza. Tali condotte, unitamente a quella di avere tardivamente informato dell’accaduto il proprio comandante di Reparto, sono costate care all'appuntato scelto di mare appartenente alla Guardia di finanza al quale veniva inflitta la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione con iscrizione senza alcun grado nel ruolo dei militari di truppa della Marina militare. Impugnato il provvedimento espulsivo, il TAR rigettava il ricorso ed analogo epilogo ha avuto il giudizio di appello innanzi al Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 3736 del 31 agosto 2016, ha infatti ritenuto infondato il ricorso con il quale si eccepiva la violazione del criterio di proporzionalità. La Quarta Sezione del Consiglio di Stato sul punto ha richiamato quella giurisprudenza - elaborata con riguardo a finanzieri (e più in generale militari) dediti all’uso anche occasionale di droghe, ma evidentemente espressiva di un principio generale - secondo cui: a) la potestà disciplinare, nelle sue forme proprie, opera in sfera diversa da quella che inerisce al magistero penale; b) la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati al pubblico dipendente, in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che per violazione delle norme procedurali o in alcune ipotesi-limite di eccesso di potere, sotto il profilo della abnormità e del travisamento dei fatti (fattispecie che qui non ricorrono); c) il principio di proporzionalità consiste in un canone legale di raffronto che, anche dopo la sua espressa codificazione a livello comunitario sulle suggestioni del diritto tedesco (art. 5, ultimo comma, del Trattato C.E., e ora art. 5, comma 4, del Trattato U.E.), non consente di controllare il merito dell’azione amministrativa; inizialmente delineato in sede di verifica degli atti adottati dagli organismi comunitari, il principio è stato successivamente utilizzato dalla Corte di giustizia anche per l’esame della legittimità della normativa di recepimento degli atti comunitari emanata dagli Stati membri (cfr. Corte giust. 18 maggio 1993, causa C-126/91); la rilevanza assunta dal controllo di proporzionalità nella giurisprudenza comunitaria ha posto il problema dei limiti entro i quali tale esame possa esercitarsi; a tale proposito, la Corte ha rilevato che il riscontro di proporzionalità riguardi «solo il carattere manifestamente inidoneo di un provvedimento adottato in tale ambito, in relazione allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di un siffatto provvedimento» (cfr. Corte giust. 16 dicembre 1999, causa C-101/98,); ciò significa che il sindacato giurisdizionale non può spingersi ad un punto tale da sostituire l’apprezzamento dell’organo competente con quello del giudice, valutando l’opportunità del provvedimento adottato ovvero individuando direttamente le misure (per queste considerazioni, si veda puntualmente Cons. Stato, sez. IV, 9 ottobre 2010, n. 7383); d) ciò premesso, non è né illogica, irragionevole o sproporzionata la scelta di irrogare una sanzione destitutoria al militare appartenente alla Guardia di Finanza il quale risulti colluso con ambienti dediti al commercio illegale di sostanze stupefacenti, tenuto conto in primo luogo che l’appartenenza a un Corpo che è istituzionalmente preposto – fra l’altro – al contrasto allo spaccio ed alla diffusione degli stupefacenti impone di valutare la condotta ascritta all’appellante con la dovuta severità (cfr. ex plurimis Cons. Stato, Sez. IV, 16 febbraio 2010, n. 2927; sez IV, 4 maggio 2010, n. 2548; sez. IV, 13 maggio 2010, n. 2927; sez. IV, 26 ottobre 2010, n. 8352; sez. IV, 30 novembre 2010, n. 8352; sez. IV 18 novembre 2011, n. 6096 e n. 6099; sez. IV, 19 dicembre 2012, n. 6540; sez. IV, 11 marzo 2013, n. 1474; sez. IV, ord. 16 giugno 2016, n. 2239); e) infatti la condotta rimproverata è del tutto inammissibile per un appartenente al Corpo della Guardia di Finanza perché, ponendosi in conflitto con uno specifico dovere istituzionale, costituisce una violazione degli obblighi assunti con il giuramento di appartenenza e rende del tutto irrilevante qualunque considerazione circa l’irrilevanza penale del fatto, l’asserita mancanza di ripercussione sociale, i positivi precedenti dell’incolpato, ma giustifica la sanzione espulsiva ai sensi dell’art. 40, n. 6, della legge 3 agosto 1961, n. 833, a detta del quale il militare di truppa incorre nella perdita del grado quando è stato rimosso "per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, ovvero per comportamento comunque contrario alle finalità del Corpo o alle esigenze di sicurezza dello Stato, previo giudizio di una Commissione di disciplina"; f) né può ritenersi che la gravità del comportamento del militare incolpato debba o possa influire sulla misura della sanzione in essa contemplata. Come ha più volte affermato il Consiglio di Stato, la perdita del grado è infatti "sanzione unica ed indivisibile", non essendo suscettibile di essere regolata tra un minimo e un massimo entro i quali all’Amministrazione spetti di esercitare il potere sanzionatorio. Dalle considerazioni che precedono, discende che l’appello è infondato e va perciò respinto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado e dei provvedimenti impugnati.
Era stato sorpreso da militari dell’Arma dei carabinieri, in compagnia di un pregiudicato nell’atto di acquistare sostanze stupefacenti pagandone il prezzo e, a quel punto, aveva cercato di indurre i militari dell’Arma a desistere dal controllo mostrando il tesserino del Corpo della Guardia di Fina ... Continua a leggere
Narcolessia: gli effetti, anche giuridici, sulla guida dei veicoli

Si segnala la sentenza della Quarta Sezione del Consiglio di Stato n. 3725 del 31 agosto 2016 in quanto affronta le problematiche connesse alla narcolessia, disturbo neurologico non psichiatrico probabilmente autoimmune, cronico ma non letale, le cui cause vanno ricercate in fattori degenerativi dei neuroni che regolano la sonnolenza e l’alternanza sonno / veglia. Nella sentenza i Giudici di Palazzo Spada evidenziano come "se è sufficientemente notoria l’assenza d’una terapia diretta contro le cause che producono la sintomatologia narcolettica, ai fini giuridici va rammentato che tal patologia è fonte di problemi gravi, soprattutto per gli incidenti stradali da essa provocati o indotti. Invero, fino al 2009, le CML, per valutare soggetti affetti da narcolessia, non avevano strumenti obbiettivi, né erano coadiuvati da linee-guida unitarie e precise per valutare l’idoneità dei titolari di patenti di guida che versassero in tal malattia o altri disturbi del sonno. Con la novella recata dagli artt. 23 e 33 della l. 29 luglio 2010 n. 120 agli artt. 119, 128 e 186/187 del Dl 30 aprile 1992 n. 285 (Cod. strada), sono state stabilite nuove e più rigorose norme in tema di accertamenti sull’idoneità al rilascio ed al rinnovo di patenti di guida dei veicoli e, inoltre, sono intervenute le linee-guida sulla valutazione di tal idoneità a cura delle CML. Sicché, per i pazienti di narcolessia e con la consapevolezza che costoro, ove avvertiti della malattia, tendono ad assumere comportamenti all’uopo attenti ed adeguati per evitare incidenti alla guida, la tendenza è di limitare l’idoneità ai guidatori professionisti che, tranne in casi eccezionali, dovranno esser reputati non idonei." Per approfondire scarica la sentenza.
Si segnala la sentenza della Quarta Sezione del Consiglio di Stato n. 3725 del 31 agosto 2016 in quanto affronta le problematiche connesse alla narcolessia, disturbo neurologico non psichiatrico probabilmente autoimmune, cronico ma non letale, le cui cause vanno ricercate in fattori degenerativi de ... Continua a leggere
Alunni disabili: la giurisdizione sulle controversie per l'insegnamento di sostegno, prima e dopo la formalizzazione del piano educativo personalizzato

È giunta all'attenzione del Consiglio di Stato la controversia con la quale i genitori di due alunni disabili frequentanti, rispettivamente, la classe IV primaria e la classe II prima di un Istituto comprensivo hanno impugnato il provvedimento dell’Istituto scolastico, che ha riconosciuto ad entrambi un sostegno per undici ore e non, invece, in ragione della gravità del quadro clinico, un insegnante con un rapporto uno ad uno. Il Tribunale amministrativo rigettava il ricorso rilevando che l’atto impugnato fosse relativo all’anno successivo e che ancora non era stato adottato il piano educativo individualizzato (PEI). I genitori proponevano, quindi, appello, mettendo in rilievo l’attualità della lesione, in quanto l’Istituto avrebbe predisposto l’organico di diritto 2015/2016 senza tenere in debito conto delle esigenze dei minori. La Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 30 agosto 2016 n. 3723 ha rilevato che "Sul piano delle fonti esterne «il diritto all’istruzione del minore portatore di handicap ha rango di diritto fondamentale, che va rispettato con rigore ed effettività sia in adempimento ad obblighi internazionali (artt. 7 e 24 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006, ratificata con l. 3 marzo 2009, n. 18), sia per il carattere assoluto proprio della tutela prevista dagli artt. 34 e 38, commi 3 e 4, Cost.». In particolare, «l’istruzione rappresenta uno dei fattori che maggiormente incidono sui rapporti sociali dell'individuo e sulle sue possibilità di affermazione professionale, ed il relativo diritto assume natura sia sociale sia individuale, con la conseguente necessità, con riferimento ai portatori di handicap, di assicurarne la piena attuazione attraverso la predisposizione di adeguate misure di integrazione e di sostegno» (Cons. Stato, sez. VI, 27 ottobre 2014, n. 5317). Sul piano delle fonti interne, l’art. 12 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) ha previsto che: - «è garantito il diritto all'educazione e all'istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie» (comma 2); - «l'integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione» (comma 3); - «l’esercizio del diritto all'educazione e all'istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all'handicap» (comma 4). -«all'individuazione dell'alunno come persona handicappata ed all'acquisizione della documentazione risultante dalla diagnosi funzionale, fa seguito un profilo dinamico-funzionale ai fini della formulazione di un piano educativo individualizzato (PEI), alla cui definizione provvedono congiuntamente, con la collaborazione dei genitori della persona handicappata, gli operatori delle unità sanitarie locali e, per ciascun grado di scuola, personale insegnante specializzato della scuola, con la partecipazione dell'insegnante operatore psico-pedagogico individuato secondo criteri stabiliti dal Ministro della pubblica istruzione» (comma 5, primo inciso); - «il profilo indica le caratteristiche fisiche, psichiche e sociali ed affettive dell'alunno e pone in rilievo sia le difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di handicap e le possibilità di recupero, sia le capacità possedute che devono essere sostenute, sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate nel rispetto delle scelte culturali della persona handicappata» (comma 5, secondo inciso). Chiarito ciò, deve essere esaminata l’eccezione del difetto di giurisdizione sollevata dall’amministrazione resistente. L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha affermato, in coerenza con l’orientamento espresso dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione (25 novembre 2014, n. 25011), che: i) le controversie aventi ad oggetto la declaratoria della consistenza dell'insegnamento di sostegno ed afferenti alla fase che precede la formalizzazione del PEI, restano affidate alla cognizione del giudice amministrativo; ii) le controversie afferenti alla fase di attuazione del PEI spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, sulla base del duplice rilievo che, dopo la definizione del piano, l'amministrazione scolastica resta priva di qualsivoglia potestà che la autorizzi a ridimensionare il numero di ore di sostegno ivi stabilito e che l'eventuale omessa, puntuale attuazione del piano integra gli estremi di una discriminazione indiretta, azionabile ai sensi della legge n. 67 del 2006 e del d.lgs. n. 150 del 2011 solo dinanzi al giudice ordinario (sentenza 12 aprile 2016, n. 7). Nella fattispecie in esame, la controversia attiene alla fase precedente l’adozione del PEI, con la conseguenza che la giurisdizione spetta al giudice amministrativo. L’eccezione è, pertanto, infondata. Nel merito, dalla documentazione in atti risulta che i minori sono affetti, rispettivamente, da «disturbo dello spettro autistico con alternazioni gravi dello sviluppo psichico» e da «sindrome da alterazione globale dello sviluppo psicologico». In presenza di tale complessivo quadro clinico, il dirigente scolastico avrebbe dovuto indicare in modo rigoroso le ragioni per le quali non fosse necessario assicurare al minore una tutela piena nella misura richiesta. L’atto impugnato in primo grado deve, pertanto, essere annullato per insufficienza della motivazione. E’ bene aggiungere che, successivamente all’adozione dell’atto impugnato, è stato predisposto il piano educativo individualizzato: l’amministrazione dovrà, pertanto, attenersi a quanto definito nel predetto piano. La giurisdizione in ordine ad eventuali contestazioni afferenti alla predetta fase spetta al giudice ordinario."
È giunta all'attenzione del Consiglio di Stato la controversia con la quale i genitori di due alunni disabili frequentanti, rispettivamente, la classe IV primaria e la classe II prima di un Istituto comprensivo hanno impugnato il provvedimento dell’Istituto scolastico, che ha riconosciuto ad entram ... Continua a leggere