ULTIME NEWS
Notificazioni alle persone giuridiche: nessuna nullità in caso di errata indicazione del nome o della qualifica del legale rappresentante
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 7.3.2016 n. 906
"Quando la notificazione di un atto è effettuata nei confronti del legale rappresentante pro tempore di un soggetto giuridico, presso la sua sede, non può determinare la nullità dell’atto l’errata indicazione nominativa (o l’errata qualifica) di tale rappresentante. Infatti la notificazione è indirizzata al soggetto giuridico e non alla persona fisica che temporaneamente ricopre l’ufficio". È questo il principio sancito dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 7 marzo 2016 n. 906.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 7.3.2016 n. 906
"Quando la notificazione di un atto è effettuata nei confronti del legale rappresentante pro tempore di un soggetto giuridico, presso la sua sede, non può determinare la nullità dell’atto l’errata indicazione nominativa (o l’errata qualifica) di tale rappresentante. Infatti la notificazione è indir ... Continua a leggere
Graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo: la giurisdizione
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 9.3.2016 n. 953
Si segnala la sentenza della Sesta Sezione del Consiglio di stato del 9.3.2016 n. 953 che ha accolto l'appello proposto contro la sentenza il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla impugnazione delle Graduatorie ad esaurimento. A tal fine, il Collegio ha preliminarmente richiamato i principi affermati dalla giurisprudenza ( cfr. , ex multis, Cass.civ. , sez. un., 16-12-2013, n. 27991; Cons. Stato, A.P., 12-7-2011, n. 11) in materia di giurisdizione, relativamente a controversie concernenti le graduatorie permanenti e ad esaurimento. Tali principi possono così riassumersi: - le procedure relative alla formazione e all’aggiornamento delle graduatorie non sono procedure concorsuali, onde non può ritenersi la giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’articolo 63 del d.lgs. n. 165/2001; - trattasi di atti che non possono che restare ricompresi tra le determinazioni assunte con la capacità ed i poteri del datore di lavoro privato ex art. 5, comma 2, del richiamato decreto legislativo, a fronte dei quali sussistono solo posizioni di diritto soggettivo, poiché le pretesa consiste solo nella conformità o difformità a legge degli atti inerenti al rapporto già instaurato e, dunque, di gestione della graduatoria; - diversa è la fattispecie quando oggetto del giudizio sia la regolamentazione stessa della graduatoria, in quanto in tal caso è contestata la legittimità della regolamentazione con disposizioni generali al fine di ottenere l’annullamento di tale regolamentazione; - pertanto, la giurisdizione del giudice ordinario è recessiva nel caso di impugnazione di atti organizzativi a contenuto generale con cui le pubbliche amministrazioni definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; - di conseguenza, appartiene alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo la controversia nella quale la contestazione investa direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti normativi in senso lato, attraverso cui le p.a. definiscono le linee fondamentali della organizzazione; appartiene, invece, alla giurisdizione del giudice ordinario la contestazione che investa esclusivamente i singoli atti di conferimento degli incarichi. Richiamati i principi enunciati dalla giurisprudenza per il riparto della giurisdizione in materia, ritiene la Sezione che la corretta applicazione di essi alla vicenda in esame non possa prescindere da una considerazione unitaria dell’oggetto del giudizio di primo grado. Va, invero, considerato che i signori in epigrafe indicati, attraverso il ricorso principale, hanno in primis impugnato il decreto ministeriale n. 235/2014, cioè l’atto generale di organizzazione, contestando i criteri generali ed astratti predisposti dall’amministrazione per la formazione e l’aggiornamento delle graduatorie; materia in relazione alla quale è pacifica la giurisdizione del giudice amministrativo. E’ vero, poi, che sono state impugnate anche le graduatorie definitive, nella parte in cui i ricorrenti non sono stati in esse inseriti. Va, peraltro, evidenziato che le stesse sono state gravate nel medesimo giudizio con atto di motivi aggiunti e che, in disparte il dato della collocazione dell’impugnativa nel medesimo ambito processuale, la loro contestazione viene effettuata con esclusivo riferimento al fatto che esse costituiscono conseguenza della illegittima regolazione generale operata dall’amministrazione, già prospettata in sede di ricorso originario attraverso l’impugnativa, in via principale, del citato decreto ministeriale. Di tanto dà atto la stessa sentenza appellata, laddove evidenzia che avverso le graduatorie definitive, oggetto di motivi aggiunti, sono stati dedotti vizi di illegittimità derivata. Osserva, pertanto, la Sezione che le suddette graduatorie non vengono in rilievo, nell’instaurato giudizio in sede giurisdizionale amministrativa, quali atti di gestione in sé, ma sono contestate con riferimento alla illegittima regolamentazione dei criteri generali di formazione delle stesse e per le medesime ragioni per le quali si è impugnato il decreto ministeriale, oggetto del ricorso originario e della impugnativa principale. Dunque, la posizione giuridico-soggettiva fatta valere è sempre quella di interesse legittimo e non anche di diritto soggettivo, atteso che la contestazione è sempre diretta alla legittima determinazione dei criteri generali. Vuole in buona sostanza affermarsi che – a prescindere dalla natura dell’atto – anche in sede di impugnativa delle graduatorie definitive i ricorrenti non fanno questione della singola collocazione del docente in una determinata graduatoria, ma pur sempre del legittimo esercizio del potere generale di regolamentazione, che, all’interno dello stesso giudizio, è il medesimo oggetto della contestazione sia con riferimento all’atto generale che ha esercitato tale potere (impugnato in via principale con il ricorso originario) sia con riferimento all’atto successivo che del primo ha fatto applicazione (gravato mediante motivi aggiunti). Dunque, anche attraverso la domanda di annullamento delle graduatorie, la controversia verte sempre e comunque sul corretto esercizio del potere generale di regolamentazione delle stesse e finisce per coinvolgere posizioni di interesse legittimo. In tale situazione, pertanto, al fine della individuazione della giurisdizione, la graduatoria non rileva come atto di gestione in sé, ma come proiezione applicativa di un non corretto esercizio del potere di organizzazione, il quale rimane pur sempre l’oggetto del giudizio e della contestazione del privato. Quest’ultimo, infatti, pur quando aggredisce le graduatorie definitive, non contesta la ( e, dunque, non fa questione della) propria specifica collocazione nelle stesse, ma pur sempre il (del) corretto esercizio del potere generale di regolamentazione. Sicché l’oggetto del giudizio, unitariamente considerato, e, dunque, la natura delle posizioni giuridico-soggettive coinvolte non mutano per effetto della mera qualificazione e denominazione dell’atto oggetto di impugnativa (graduatoria). L’oggetto della controversia ( involgente posizioni giuridico-soggettive di interesse legittimo, a fronte dell’impugnazione del decreto ministeriale che detta le regole generali di formazione delle stesse) non viene modificato dalla sopravvenuta impugnazione delle graduatorie che di esso hanno fatto applicazione, in quanto l’intermediazione di tali atti – che sono ordinariamente atti di gestione- non vale di per sé a mutare la natura delle situazioni giuridico-soggettive coinvolte e che sono fatte oggetto di tutela giurisdizionale, in quanto nello stesso giudizio la contestazione è svolta in via principale sull’atto espressione del potere regolamentare e ciò che si contesta anche nei motivi aggiunti è pur sempre il corretto esercizio di quest’ultimo. Le considerazioni tutte sopra svolte consentono di affermare – contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado – la giurisdizione in materia del giudice amministrativo, confermandosi, peraltro, l’orientamento già espresso dalla Sezione in materia, laddove si è ritenuto che "la stretta correlazione tra le domande azionate non consente una ripartizione della potestas iudicandi tra giudice ordinario e giudice amministrativo, essendo concentrata dinanzi a quest’ultimo la tutela invocata da parte ricorrente" ( sent. n. 4485/2015 del 24-9-2015) ed affermandosi, altresì, che nella specie sono comunque rilevabili "contestazioni che investano direttamente il potere governativo o ministeriale, ovvero la potestà di emanare atti amministrativi generali di natura non regolamentare", atteso che "nella situazione in esame si censurano infatti non le modalità di valutazione delle singole posizioni soggettive, ma in via principale le determinazioni espresse dal MIUR nel decreto n. 235 in data 1 aprile 2014 (aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento per il triennio 2014-2017), per profili organizzativi di carattere generale, inerenti a titoli che, ad avviso degli appellanti, consentirebbero una parziale riapertura delle graduatorie stesse" (ordinanza n. 364/2016 del 29-1-2016). In conclusione, dunque, l’appello deve essere accolto e dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, con conseguente annullamento della sentenza gravata nella parte in cui ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e rimessione al primo giudice ex art. 105 c.p.a.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 9.3.2016 n. 953
Si segnala la sentenza della Sesta Sezione del Consiglio di stato del 9.3.2016 n. 953 che ha accolto l'appello proposto contro la sentenza il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla impugnazione delle Gr ... Continua a leggere
Processo amministrativo: il corretto utilizzo da parte del giudice dell'istituto della verificazione
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 25.2.2016 n. 785
"Secondo la disciplina del Codice del processo amministrativo, infatti, la verificazione è uno strumento istruttorio che può essere utilizzato al fine di acquisire fatti non desumibili direttamente dai documenti acquisiti al fascicolo di causa ovvero per coadiuvare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze. In nessun caso la verificazione può essere adoperata quale strumento di valutazione diretta delle doglianze oggetto di ricorso". È questo il principio sancito dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 25.2.2016 n. 785 sulla cui base ha riformato la sentenza del giudice di prime cure avendo quest'ultimo adoperato in modo scorretto le conclusioni raggiunte dal verificatore, che ha utilizzato quale delegato per l’accertamento delle censure di legittimità sottoposte al suo vaglio. Ad avviso del Collegio la sentenza di prime cure è erronea nella misura in cui ha utilizzato quale strumento di accertamento della consistenza dei vizi di legittimità le risultanze della verificazione, invece, di utilizzare l’accertamento dei fatti rilevati dal verificatore quale argomento di propria decisione. In questo modo - precisano i giudici di Palazzo Spada - risulta oscuro l’iter argomentativo che ha condotto il Tribunale amministrativo a ritenere sussistenti i vizi di difetto di istruttoria e di motivazione.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 25.2.2016 n. 785
"Secondo la disciplina del Codice del processo amministrativo, infatti, la verificazione è uno strumento istruttorio che può essere utilizzato al fine di acquisire fatti non desumibili direttamente dai documenti acquisiti al fascicolo di causa ovvero per coadiuvare il giudice nella valutazione degl ... Continua a leggere
Incarichi dirigenziali: la giurisdizione sugli atti di conferimento
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 25.2.2016 n. 784
La vicenda giunta all'attenzione del Consiglio di Stato riguarda il conferimento dell'incarico di direttore generale dell'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale (ARPA) del Lazio. Con la sentenza del 25.2.2016 n. 784 il Collegio ha rigettato l'appello avverso la nomina confermando la statuizione del Giudice di prime cure in ordine al difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Nella motivazione della sentenza si precisa che "La giurisprudenza della Corte di Cassazione e quella del Consiglio di Stato, infatti, convergono nel ritenere che gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali (cfr. Cass., 24 settembre 2015, n. 18972) e non quella di atti di alta amministrazione. Mentre i primi evidenziano l’esercizio di poteri analoghi a quelli del datore di lavoro privato, in settori nei quali il rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione è stato equiparato dalla legge al lavoro privato; i secondi, invece, possono essere adottati anche sotto forma di nomina dei vertici delle amministrazioni, in settori nei quali l’ordinamento stima opportuno mantenere una disciplina giuridica sottratta al fenomeno della privatizzazione. Quest’ultimi sono, quindi, espressione di un’ampia discrezionalità amministrativa (Cons. Stato, IV, 21 settembre 2015, n. 4375; 17 marzo 2014, n. 1321), il che ne impone la sottoposizione al sindacato del giudice amministrativo secondo l’ordinario criterio di riparto. Da ciò deriva che in omaggio alla disciplina dell’art. 63 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, la giurisdizione amministrativa sussiste solo in relazione all’impugnazione degli atti di macroorganizzazione presupposti a quelli di conferimento degli incarichi dirigenziali, secondo un meccanismo di riparto che non può essere alterato neanche per ragioni di connessione (Cass., SS.UU., 7 giugno 2012, n. 9185). Non è utile dunque alle ragioni dell’appellante il precedente di questa Sezione di cui a Cons. Stato, V, 3 febbraio 2015, n. 508. . Infatti, in quella sentenza, la giurisdizione amministrativa viene ribadita in ragione dell’impugnazione dell’atto di macroorganizzazione presupposto all’atto di conferimento dell’incarico dirigenziale. Ipotesi quest’ultima che nella fattispecie non ricorre, poiché il ricorso di primo grado contesta i soli decreti di nomina. Né ad una diversa conclusione può giungersi in ragione della peculiare legittimazione degli originari ricorrenti o delle censure proposte, dal momento che la natura giuridica degli atti di conferimento di incarichi dirigenziali non muta in ragione della veste giuridica del soggetto che ne contesta la legittimità o della tipologia delle censure sollevate. Si tratta infatti di elementi che non contribuiscono a qualificare la natura giuridica del potere esercitato dall’amministrazione".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 25.2.2016 n. 784
La vicenda giunta all'attenzione del Consiglio di Stato riguarda il conferimento dell'incarico di direttore generale dell'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale (ARPA) del Lazio. Con la sentenza del 25.2.2016 n. 784 il Collegio ha rigettato l'appello avverso la nomina confermando la statui ... Continua a leggere
Consigli regionali: in Gazzetta Ufficiale la legge n. 20/2016 sulll'equilibrio nella rappresentanza tra donne e uomini
segnalazione della legge 15.2.2016 n. 20 in G.U. n. 46 del 25.2.2016
Oggi entra in vigore la legge 15.2.2016 n. 20 - pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 46 del 25.2.2016 - sulla "Modifica all'articolo 4 della legge 2 luglio 2004, n. 165, recante disposizioni volte a garantire l'equilibrio nella rappresentanza tra donne e uomini nei consigli regionali". Per approfondire scarica gratuitamente la legge.
segnalazione della legge 15.2.2016 n. 20 in G.U. n. 46 del 25.2.2016
Oggi entra in vigore la legge 15.2.2016 n. 20 - pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 46 del 25.2.2016 - sulla "Modifica all'articolo 4 della legge 2 luglio 2004, n. 165, recante disposizioni volte a garantire l'equilibrio nella rappresentanza tra donne e uomini nei consigli regionali". Per appr ... Continua a leggere
Scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazione mafiosa: nessuna realtà locale deve scontare la mera appartenenza a un più vasto territorio ritenuto interessato dalla presenza di fenomeni criminali radicati e organizzati nel territorio
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.3.2016 n. 876
L’art. 143 del d. lgs 18 agosto 2000 n. 267 (Testo unico degli Enti locali), disciplina lo "scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare. Responsabilità dei dirigenti e dipendenti". In particolare, per quel che interessa nella presente sede, esso dispone: "1. Fuori dai casi previsti dall'articolo 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell'articolo 59, comma 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l'imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica. 2. Al fine di verificare la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti ed ai dipendenti dell'ente locale, il prefetto competente per territorio dispone ogni opportuno accertamento, di norma promuovendo l'accesso presso l'ente interessato. In tal caso, il prefetto nomina una commissione d'indagine (. . .) 3. Entro il termine di quarantacinque giorni dal deposito delle conclusioni della commissione d'indagine, ovvero quando abbia comunque diversamente acquisito gli elementi di cui al comma 1 ovvero in ordine alla sussistenza di forme di condizionamento degli organi amministrativi ed elettivi, il prefetto, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica integrato con la partecipazione del procuratore della Repubblica competente per territorio, invia al Ministro dell'interno una relazione nella quale si dà conto della eventuale sussistenza degli elementi di cui al comma 1 anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti e ai dipendenti dell'ente locale. Nella relazione sono, altresì, indicati gli appalti, i contratti e i servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata o comunque connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuridica. Nei casi in cui per i fatti oggetto degli accertamenti di cui al presente articolo o per eventi connessi sia pendente procedimento penale, il prefetto può richiedere preventivamente informazioni al procuratore della Repubblica competente, il quale, in deroga all'articolo 329 del codice di procedura penale, comunica tutte le informazioni che non ritiene debbano rimanere segrete per le esigenze del procedimento. 4. Lo scioglimento di cui al comma 1 è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri entro tre mesi dalla trasmissione della relazione di cui al comma 3, ed è immediatamente trasmesso alle Camere. Nella proposta di scioglimento sono indicati in modo analitico le anomalie riscontrate ed i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l'interesse pubblico; la proposta indica, altresì, gli amministratori ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento. Lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale comporta la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia, di componente delle rispettive giunte e di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte, anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti. 5. Anche nei casi in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell'ente locale, con decreto del Ministro dell'interno, su proposta del prefetto, è adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell'ente, ivi inclusa la sospensione dall'impiego del dipendente, ovvero la sua destinazione ad altro ufficio o altra mansione con obbligo di avvio del procedimento disciplinare da parte dell'autorità competente . . ." . La giurisprudenza del giudice amministrativo (ampiamente richiamata dalla sentenza impugnata, nonchè dalle parti nel presente giudizio di appello) ha avuto modo di indicare sia la natura giuridica della misura dello scioglimento ed i presupposti che la legittimano, sia i termini del sindacato giurisdizionale di legittimità sul provvedimento adottato. In tal senso si è ribadito (anche di recente, v. Cons. Stato, sez. III, 25 gennaio 2016 n. 256), con considerazioni che il Collegio fa proprie nella presente sede, che: - l' istituto dello scioglimento, nel vigente sistema normativo, si configura quale "misura di carattere straordinario" per fronteggiare "una emergenza straordinaria" (in termini, Corte cost., 19 marzo 1993 n. 103); - la ratio sottesa alla disposizione è quella di offrire uno strumento di tutela avanzata in particolari situazioni ambientali nei confronti del controllo ed ingerenza delle organizzazioni criminali sull'azione amministrativa degli enti locali, in presenza anche di situazioni estranee all'area propria dell'intervento penalistico o preventivo. Ciò nell'evidente consapevolezza della scarsa percepibilità, in tempi brevi, delle varie concrete forme di connessione o di contiguità - e dunque di condizionamento - fra organizzazioni criminali e sfera pubblica, e della necessità di evitare con immediatezza che l'amministrazione dell'ente locale rimanga permeabile all'influenza della criminalità organizzata (Cons. St., Sez. III, 9 luglio 2012 n. 3998); - la disposizione di legge riconosce alla P.A. ampi margini sulla valutazione degli elementi che possano costituire indice di collegamenti diretti o indiretti fra i vertici dell'Ente e la criminalità organizzata, o forme di condizionamento (Cons. Stato, sez. III, 3 novembre 2015 n. 5023); - gli elementi sintomatici del condizionamento criminale devono caratterizzarsi per concretezza (essere cioè assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica), per univocità, che sta a significare la loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire e per rilevanza, che si caratterizza per l'idoneità all'effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell'ente locale (Cons. Stato, sez. III, 19 ottobre 2015 n. 4792); - in particolare, la qualificazione della concretezza, univocità e rilevanza dei fatti accertati, va riferita non atomisticamente e partitamente ad ogni singolo elemento, accadimento, circostanza cui l'istruttoria compiuta abbia ricondotto la sussistenza dei presupposti di cui dall' art. 143 del D.Lgs. n. 267 del 2000 , ma ad una valutazione complessiva del coacervo di elementi acquisiti, che nel loro complesso siano riferibili a fatti di cui è stato accertato l'accadimento storico (requisito di concretezza); che in base al prudente apprezzamento dell' Amministrazione esprimano, con adeguato grado di certezza, le situazioni di condizionamento e di ingerenza nella gestione dell'ente che la norma ha inteso prevenire (requisito dell' univocità) e siano pertanto "rilevanti" agli effetti predetti; - quanto al sindacato giurisdizionale, stante l' ampia sfera di discrezionalità di cui l'Amministrazione dispone in sede di valutazione dei fenomeni connessi all'ordine pubblico ed in particolare alla minaccia rappresentata dal radicamento sul territorio delle organizzazioni mafiose, con ogni effetto sulla graduazione delle misure repressive e di prevenzione, il controllo sulla legittimità dei provvedimenti adottati si caratterizza come estrinseco, e cioè nei limiti del vizio di eccesso di potere quanto all'adeguatezza dell'istruttoria, della ragionevolezza del momento valutativo, della congruità e proporzionalità al fine perseguito. Giova precisare, a completamento dei principi interpretativi ora esposti, che gli elementi sintomatici del condizionamento criminale devono caratterizzarsi non già come meri sospetti ovvero costituire solo "voci correnti", ma devono consistere in fatti concreti e, sul piano soggettivo, ricollegarsi direttamente ai soggetti operanti nell’ente locale (in cariche elettive o aventi incarichi gestionali), come individuati dall’art. 143. Gli elementi sintomatici devono essere tali da sorreggere una valutazione che, pur frutto di un apprezzamento latamente discrezionale, risulti non illogica, tale cioè da dimostrare con ragionevolezza: - il collegamento degli amministratori con la criminalità organizzata; - ovvero "forme di condizionamento degli stessi"; - laddove, sia i collegamenti – in disparte la loro eventuale rilevanza penale – sia le forme di condizionamento devono essere tali (di rilievo/idoneità tale) da "determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi", nonché da "compromettere il buon andamento e l’imparzialità" delle amministrazioni ed il regolare funzionamento dei servizi; - ovvero "tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica". Il complesso degli elementi evidenziati, consistenti – in aderenza al principio di concretezza – in fatti, e non già in sospetti o voci correnti, deve presentarsi tale da essere diretto in modo non equivoco a dimostrare il collegamento o il condizionamento – in ossequio al principio di univocità – degli amministratori, ed essere altresì tale – nella propria rilevanza – da giungere alle forme di malfunzionamento dell’ente descritto dalla norma e quindi non tollerabile dall’ordinamento giuridico. Ne consegue che, il pur ampio potere discrezionale, del quale è titolare l’amministrazione, deve essere esercitato con estremi rigore ed attenzione, non solo per adempiere alle indicazioni offerte dalla norma (che costituiscono anche i "confini" entro i quali detto potere discrezionale può e deve esercitarsi), ma in quanto l’esercizio del potere di scioglimento incide non solo – come pure è stato affermato in giurisprudenza – sui rapporti tra Stato ed Enti territoriali, quanto e soprattutto sul diritto di elettorato attivo (art. 48 Cost.), rendendo temporaneamente inefficace l’indirizzo politico espresso dal suo primo depositario, e cioè il corpo elettorale. In sostanza, l’esercizio del potere discrezionale di scioglimento, conferito alla amministrazione al suo più alto livello (e non a caso coinvolgente a vario titolo organi costituzionali), si colloca tra più valori costituzionalmente espressi e garantiti: - quelli dell’ordine e sicurezza pubblica e della libera esplicazione del diritto di voto (e dei suoi effetti), senza pressioni e condizionamenti da parte delle comunità locali, principi alla cui tutela l’esercizio del potere, sussistendone i presupposti di legge, è teleologicamente diretto; - quelli della piena ed effettiva esplicazione del diritto di voto, con conseguente tutela della rappresentanza democraticamente eletta da ingerenze esterne, nonché della autonomia degli enti territoriali; valori che, invece, risulterebbero compromessi da un esercizio illegittimo del suddetto potere di scioglimento. Né, infine, può costituire parametro utile, in difetto di ulteriori elementi, la collocazione territoriale dell’ente locale. Come condivisibilmente affermato in sentenza (pag. 20), nessuna realtà locale deve "scontare in linea di principio ovvero pregiudizialmente la mera appartenenza a un più vasto territorio ritenuto, sotto il profilo giuridico, ma anche sotto quello storico, pervasivamente interessato dalla presenza di fenomeni criminali radicati e organizzati nel territorio".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.3.2016 n. 876
L’art. 143 del d. lgs 18 agosto 2000 n. 267 (Testo unico degli Enti locali), disciplina lo "scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare. Responsabilità dei dirigenti e dipendenti". In particolare, per quel ... Continua a leggere
Notificazioni degli atti del processo amministrativo: è nulla la notificazione alla persona giuridica se effettuata presso un ufficio che non è sede legale
segnalazione della sentenza del TAR Basilicata sentenza del 3.3.2016 n. 169
Il TAR Basilicata con sentenza del 3.3.2016 n. 169 ha affermato che "ai sensi dell’art. 39, n. 2, cod. proc. amm., le notificazioni degli atti del processo amministrativo sono disciplinate dal codice di procedura civile e dalle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in materia civile." Sulla base di tale premessa il Collegio ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso gli atti afferenti l'aggiudicazione di una gara comunale per nullità della notificazione in quanto non effettuata presso la sede legale della controinteressata aggiudicataria. Più precisamente, trattandosi di notificazione a persone giuridiche, - precisa il TAR - trova applicazione l’art. 145 cod. proc. civ., secondo cui essa va eseguita presso la "loro sede" mentre nel caso di specie, alla data di spedizione per la rinotificazione del ricorso in questione, la sede legale della società controinteressata era già stata trasferita, per atto pubblico rogato presso la nuova sede legale. Tale variazione di sede è stata iscritta al registro delle imprese. A fronte di ciò, il Collegio ha rilevato come il ricorso risulta essere stato notificato presso una "unità locale" della società ove risulta essere presente un ufficio. Inoltre, dalla relata risulta che l’atto non è stato notificato a persona addetta all’ufficio, bensì "al portiere dello stabile, in assenza del destinatario e delle persone abilitate". Corollario conseguente è, per il giudicante, la nullità della notificazione, posto che la sede legale della controinteressata è ubicata in luogo differente. Sul punto, il Collegio ha richiamato il costante orientamento secondo il quale le notificazioni alle persone giuridiche, ai sensi dell’art. 145 c.p.c. deve avvenire nel luogo in cui hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’Ente ed ove operano i suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti, ossia il luogo deputato o stabilmente utilizzato per l'accertamento dei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici in vista del compimento degli affari e della propulsione dell’attività dell’ente, non essendo sufficiente il luogo in cui essa abbia un proprio stabilimento e vengano svolte altre attività inerenti all’oggetto sociale (cfr. C.d.S., sez. II, par. 16 novembre 2005 n. 1777; id., sez. V, 20 dicembre 2001, n. 6319; Cass. civ. 28 luglio 2000, n. 9978; id. 18 gennaio 1997 n. 497). Inoltre, in giurisprudenza si è altresì affermato che, ove la notifica venga eseguita in un luogo diverso da quello in cui la società destinataria dell’atto ha la sede legale, quale risultante dalla visura della locale Camera di commercio, e non risultando dalla relata in alcun modo che in tale luogo la società abbia la sua sede effettiva e che colui che ha ricevuto l’atto sia stato incaricato dalla società di riceverlo, è onere della parte attrice, quale soggetto interessato, dimostrare che tale luogo costituisce la sede effettiva della società (cfr. Cass., sez. II civ., 17 dicembre 2012, n. 23200).
segnalazione della sentenza del TAR Basilicata sentenza del 3.3.2016 n. 169
Il TAR Basilicata con sentenza del 3.3.2016 n. 169 ha affermato che "ai sensi dell’art. 39, n. 2, cod. proc. amm., le notificazioni degli atti del processo amministrativo sono disciplinate dal codice di procedura civile e dalle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in ma ... Continua a leggere