
News 16 Maggio 2016 - Area Amministrativa
Patrocinio davanti alla Corte di cassazione e alle altre giurisdizioni superiori: l'esame per l'iscrizione all'Albo speciale. Scadenza 20 giugno

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 4a Serie Speciale - Concorsi ed Esami n.37 del 10.5.2016 il "Bando di esame per l'iscrizione nell'albo speciale per il patrocinio davanti alla Corte di cassazione e alle altre giurisdizioni superiori - sessione 2016". Le domande di ammissioni dovranno pervenire improrogabilmente al Ministero della giustizia - Dipartimento per gli affari di giustizia - Direzione generale della giustizia civile - reparto avvocati - via Arenula, 70, 00186 Roma entro il 20 giugno 2016. Scarica il bando.
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 4a Serie Speciale - Concorsi ed Esami n.37 del 10.5.2016 il "Bando di esame per l'iscrizione nell'albo speciale per il patrocinio davanti alla Corte di cassazione e alle altre giurisdizioni superiori - sessione 2016". Le domande di ammissioni dovranno p ... Continua a leggere
Condanna alla spese di giudizio: la limitata sindacabilità in appello

In materia di spese, vige la regola generale della condanna alle spese del giudizio della parte soccombente, ex art. 91 c.p.c., applicabile nel processo amministrativo per espresso rinvio dell’art. 26, comma 1, del c.p.a. Quanto alla misura della condanna alle spese della parte soccombente, la giurisprudenza consolidata ritiene che la sindacabilità in appello della condanna alle spese comminata in primo grado, in quanto espressiva della discrezionalità di cui dispone il giudice in ogni fase del processo, è limitata solo all’ipotesi in cui venga modificata la decisione principale, salvo la manifesta abnormità della condanna (fra le più recenti, Consiglio di Stato, sez. III, n. 1262 del 31 marzo 2016).
In materia di spese, vige la regola generale della condanna alle spese del giudizio della parte soccombente, ex art. 91 c.p.c., applicabile nel processo amministrativo per espresso rinvio dell’art. 26, comma 1, del c.p.a. Quanto alla misura della condanna alle spese della parte soccombente, la gi ... Continua a leggere
Processo amministrativo: l'impugnazioni del provvedimento plurimotivato

Per consolidato orientamento giurisprudenziale se il provvedimento gravato risulti sorretto da più ragioni giustificatrici ( c.d. "provvedimento plurimotivato" ) tra loro autonome, logicamente indipendenti e non contraddittorie , il giudice ove ritenga infondate le censure indirizzate nei confrontidi uno dei motivi assunti a base dell’atto controverso, idoneo di per sé a sostenerne e a comprovarne la legittimità , ha potestà di respingere il ricorso sulla sola scorta di tale rilievo , con assorbimento delle censure dedotte nei confronti degli altri capi del provvedimento, indipendentemente dall’ordine con cui i motivi sono stati articolati, in quanto la conservazione dell’atto implica la perdita di interesse del ricorrente all’esame delle altre doglianze ( cfr, ex multis, Cons Stato Sez. IV 5/7/2010 n. 4244; Cons Stato Sez. VI 17/10/2008 n. 3609; idem 18/5/2012 n. 2894; 27/4/2015 n.2123).
Per consolidato orientamento giurisprudenziale se il provvedimento gravato risulti sorretto da più ragioni giustificatrici ( c.d. "provvedimento plurimotivato" ) tra loro autonome, logicamente indipendenti e non contraddittorie , il giudice ove ritenga infondate le censure indirizzate nei confronti ... Continua a leggere
Militari: il trasferimento d'autorità per incompatibilità ambientale

La giurisprudenza amministrativa (ex aliis Consiglio di Stato, sez. IV, 17/09/2013, n. 4586 ) ha già da tempo raggiunto una sostanziale concordanza di opinioni nel ritenere che: a) i provvedimenti di trasferimento d'autorità di militari - ivi compresi quelli assunti per ragioni di incompatibilitàambientale - sono qualificabili come "ordini", rispetto ai quali l'interesse del militare a prestare servizio in una determinata sede assume, di norma, una rilevanza di mero fatto, che non abbisogna di particolari garanzie di partecipazione preventiva, quale è quella di cui all'art. 7, l. 7 agosto 1990, n. 241 (cfr. anche Consiglio di Stato sez. IV 04 febbraio 2013 n. 664); b)in conseguenza, i trasferimenti d’ autorità per ragioni di incompatibilità ambientale non abbisognano nemmeno di una particolare motivazione, atteso che l'interesse pubblico al rispetto della disciplina ed allo svolgimento del servizio è prevalente sugli altri eventuali interessi del subordinato (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 11 dicembre 2012 n. 6337); ciò anche al fine di evitare l'esternazione di situazioni di particolare delicatezza, sulle quali è comunque opportuno mantenere il massimo riserbo nell'interesse dell'Arma e dello stesso militare. Per altro verso, è ben noto che il trasferimento d'autorità non si connota per il carattere sanzionatorio, ma è preordinato ad ovviare alla situazione di incompatibilità ambientale venutasi a determinare e, conseguentemente, non rileva punto la scaturigine della situazione di incompatibilità ambientale venutasi a creare: essa potrebbe anche non dipendere da condotte "ascrivibili" al militare ovvero essere dovuta a condizioni in cui si sono venuti a trovare i familiari di quest’ultimo, etc: esula del tutto alcun giudizio di rimproverabilità della condotta di questi. In simili fattispecie, il compito del giudice è limitato al riscontro della effettiva sussistenza della situazione di incompatibilità venutasi a creare ad avviso dell’Amministrazione (e costituente presupposto del provvedimento), e della proporzionalità del "rimedio" adottato dall’Amministrazione per rimuoverla. Si è detto in proposito, ancora di recente, che " la valutazione della situazione soggettiva che, anche in difetto di comportamenti colpevoli del militare, costituisce la causa funzionale del trasferimento, deve poi fondarsi su una compiuta e complessiva considerazione dell'episodio di vita, della sua gravità, della sua idoneità concreta, anche in relazione ai compiti disimpegnati dal militare, a ledere il prestigio del reparto o comando di appartenenza, o quantomeno a menomarlo in modo significativo" (di recente: Consiglio di Stato, sez. IV, 15/01/2016, n. 103).
La giurisprudenza amministrativa (ex aliis Consiglio di Stato, sez. IV, 17/09/2013, n. 4586 ) ha già da tempo raggiunto una sostanziale concordanza di opinioni nel ritenere che: a) i provvedimenti di trasferimento d'autorità di militari - ivi compresi quelli assunti per ragioni di incompatibilità ... Continua a leggere
Processo amministrativo: non si possono impugnare con un unico atto più sentenze emesse in procedimenti formalmente e sostanzialmente distinti

La costante giurisprudenza amministrativa (ex aliis. Cons di Stato, sez. V, 18/10/2011, n. 5554; Cons di Stato, sez. VI, 01/12/2010, n. 8390 ) stabilisce che è esclusa l'ammissibilità dell'impugnativa con un unico atto di più sentenze emesse in procedimenti formalmente e sostanzialmente distinti, ancorché pronunciate tra le stesse parti. Ciò in quanto l'art. 70 c.p.a. conferisce al giudice amministrativo il generale potere discrezionale di disporre la riunione di ricorsi connessi con la conseguenza che, ove si tratti di cause connesse in senso oggettivo o soggettivo, è al giudice amministrativo di secondo grado che compete il potere di riunire appelli contro più sentenze in funzione dell'economicità e della speditezza dei giudizi, nonché al fine di prevenire la possibilità di contrasto tra giudicati; è quindi una riunione a posteriori adottata insieme con la decisione definitiva o in vista di un'uniforme decisione definitiva delle cause e quando le parti hanno ormai definito le loro posizioni; è invece inammissibile l'iniziativa posta in essere a priori dall'appellante, intesa a riunire cause diverse mediante unico appello contro più sentenze, in violazione dell'art. 101, c.p.a., che qualifica l'appello come ricorso proposto avverso la sola sentenza che definisce il giudizio, atteso che essa sottrarrebbe al giudice il governo dei giudizi e porrebbe le premesse per la creazione di situazioni processuali confuse o inestricabili.
La costante giurisprudenza amministrativa (ex aliis. Cons di Stato, sez. V, 18/10/2011, n. 5554; Cons di Stato, sez. VI, 01/12/2010, n. 8390 ) stabilisce che è esclusa l'ammissibilità dell'impugnativa con un unico atto di più sentenze emesse in procedimenti formalmente e sostanzialmente distinti, a ... Continua a leggere
Camere di Commercio: l'ineleggibilità a Presidente per il quarto mandato

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 12 maggio 2016 n. 1898 evidenzia come con ordinanza cautelare della Sezione del 30 luglio 2015, n. 3480 è stato ritenuto che la norma limitativa del numero di mandati per la carica di Presidente della Camera di Commercio, lungi dal ritenersi retroattiva, non solo ribadisce principi già stabiliti dalle disposizioni in materia di Camere di Commercio, non solo detta una regolamentazione valente per il futuro (poiché le elezioni contestate sono successive alla normativa contestata), ma stabilisce una condizione di eleggibilità (o ineleggibilità) che, come tale, si applica fisiologicamente ed immediatamente per le elezioni successive.Inoltre, la predetta ordinanza ha affermato che comunque la normativa contestata non regola affatto situazioni già concluse, ma si limita a prendere atto per il futuro di un requisito di eleggibilità (il limite del numero di mandati) da valutarsi al momento delle elezioni quale mero presupposto di fatto.La Sezione conferma, quindi, l’avviso espresso in sede cautelare, pienamente condivisibile, anche per la mancanza di nuovi e diversi elementi da valutare, potendosi dunque prescindere sia dalla preliminare eccezione di inammissibilità dell’appello per carenza d’interesse formulata dall’appellata Confindustria Reggio Calabria nella propria memoria conclusiva, asseritamente derivante dal fatto che non vi è stata l’impugnazione della sentenza di primo grado da parte dell’aspirante Presidente ; sia dall’eccezione di improcedibilità dell’appello per omessa notifica dell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado al Ministero delle Attività Produttive.Precisa il Collegio che i motivi di appello si basano sull’erroneo presupposto, già confutato in sede cautelare da questa Sezione, secondo cui sarebbe stata applicata, in modo inammissibilmente retroattiva, la disciplina che determina l’ineleggibilità di chi ha già assunto la carica di Presidente della Camera di Commercio per tre mandati. Nel caso in esame, la norma sopravvenuta (art. 16, comma 3, l. n. 580 del 1993, così come modificata dal d.lgs. n. 23 del 2010), non modifica in nessun modo retroattivamente le situazioni di diritto già determinatesi, ma indica per il futuro, e quindi, anche per l’elezione successiva alla sua entrata in vigore, contestata in questo giudizio, i requisiti necessari per essere eletti e, tra questi, la condizione soggettiva di non essere già stati rieletti per più di due volte. In questo caso non si pone pertanto un problema di retroattività, poiché la norma agisce sulla candidabilità per il futuro, imponendo che, al momento dell’elezione, il candidato debba avere tutti i requisiti previsti dalla legge vigente per essere eletto. Il dott. Dattola è stato eletto la prima volta nel 1998, rieletto nel 2004 e nel 2009; infine, rieletto, con gli atti impugnati, nel 2014; all’atto dell’elezione del 2014 non aveva dunque il requisito prescritto dalla norma succitata (non essere già stato rieletto per più di due volte), con la conseguenza che il medesimo non era all’evidenza candidabile a tale elezione.L’art. 10, comma 1, lett. f) della legge delega 7 agosto 2015, n. 124 non ha peraltro inciso sulla necessità normativa del limite dei mandati che possono essere svolti dai componenti gli organi elettivi, così come stabiliti dalla norma vigente.
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 12 maggio 2016 n. 1898 evidenzia come con ordinanza cautelare della Sezione del 30 luglio 2015, n. 3480 è stato ritenuto che la norma limitativa del numero di mandati per la carica di Presidente della Camera di Commercio, lungi dal ritener ... Continua a leggere
Errore di fatto revocatorio: la giurisprudenza consolidata sulla sua configurazione

In applicazione del consolidato orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione (cfr. ex plurimis Cons. St., Ad. plen., 24 gennaio 2014, n. 5; Ad. plen., 10 gennaio 2013, n. 1, Ad. plen., 17 maggio 2010, n. 2; Ad. plen., 11 giugno 2001, n. 3; Cons. St. sez. V, n. 4975/2015,; sez. III, 23 giugno 2014, n. 3183; 7 aprile 2014, n. 1635; 1° ottobre 2012, n. 5162; 8 giugno 2012, n. 3392; 24 maggio 2012, n. 3053; 27 gennaio 2012, n. 197; sez. IV, 24 settembre 2013, n. 4712; 24 gennaio 2011, n. 503, 23 settembre 2008, n. 4607; 16 settembre 2008, n. 4361; 20 luglio 2007, n. 4097; sez. V, 30 agosto 2013, n. 4319; sez. VI, 5 marzo 2013, n. 1316; 9 febbraio 2009, n, 708; 17 dicembre 2008, n. 6279; Cass. Civ., sez. I, 24 luglio 2012, n. 12962; 5 marzo 2012, n. 3379), cui si rinvia ai sensi del combinato disposto degli art. 74, co. 1, 88, co. 1, lett. d), e 99, co. 3, c.p.a.), l'errore di fatto revocatorio (ex artt. 106 c.p.a. e 395, co. 4, c.p.c.) è configurabile quando: a) cade su circostanze che non hanno costituito punti controversi fra le parti, in relazione alle quali il giudice si sia espressamente pronunciato; b) consiste in una errata percezione del fatto oggettivamente ed immediatamente rilevabile che non si esaurisce in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo ovvero in una erronea valutazione delle risultanze probatorie; c) deriva da una pura e semplice errata (o mancata) percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; d) verte su un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa; e) appare con immediatezza ed è di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche. Come precisato l'errore di fatto revocatorio si sostanzia pertanto in una svista che ha provocato l'errata percezione del contenuto degli atti del giudizio e non può confondersi con quello che coinvolge l'attività valutativa del giudice, ipotizzabile nel caso di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, in cui si è in presenza di un errore di giudizio, non censurabile mediante revocazione. Per approfondire scarica il testo integrale della sentenza.
In applicazione del consolidato orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione (cfr. ex plurimis Cons. St., Ad. plen., 24 gennaio 2014, n. 5; Ad. plen., 10 gennaio 2013, n. 1, Ad. plen., 17 maggio 2010, n. 2; Ad. plen., 11 giugno 2001, n. 3; Cons. St. sez. V, n. 4 ... Continua a leggere
Accesso ai documenti: il diverso interesse in caso di istanza ex lege n. 241/90 rispetto all'accesso civico di cui al D.lgs n. 33/2013

L’istanza di accesso da cui origina il giudizio giunto all'esame del Consiglio di Stato è stata testualmente formulata ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241 ("Nuove norme sul procedimento amministrativo") e non già richiamando l’istituto dell’accesso civico introdotto con il d.lgs. 4 marzo 2013, n. 33; - il diritto di accesso ai documenti dell’amministrazione sancito dalla prima delle leggi ora richiamate non si sostanzia in un’azione popolare e neppure può tradursi in un controllo generalizzato sulla legittimità dell’azione amministrativa, ma deve essere strumentale alla tutela di un interesse personale di chi lo richiede (ex multis: Cons. Stato, Sez. VI, 3 dicembre 2015, n. 5502). - infatti, l’art. 22 della l. n. 241 del 1990 prevede che l’interesse all’accesso debba essere «diretto, concreto ed attuale»; - in ragione di ciò, l’incontrastata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato afferma che «l’istanza di accesso sia sorretta da un interesse giuridicamente rilevante, così inteso come un qualsiasi interesse che sia serio, effettivo, autonomo, non emulativo, non riducibile a mera curiosità e ricollegabile all’istante da uno specifico nesso» (Sez. VI, 19 gennaio 2010 n. 189). Per approfondire scarica la sentenza.
L’istanza di accesso da cui origina il giudizio giunto all'esame del Consiglio di Stato è stata testualmente formulata ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241 ("Nuove norme sul procedimento amministrativo") e non già richiamando l’istituto dell’accesso civico introdotto con il d.lgs. 4 marzo 201 ... Continua a leggere
Procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni: decide il giudice ordinario sulle controversie per gli incarichi ex art. 110 TUEL se la scelta avviene sulla base della valutazione complessiva dei curricula

La controversia giunta all'attenzione del Consiglio di Stato concerne l'impugnativa davanti al Tribunale amministrativo per la Calabria – sede di Catanzaro gli atti della procedura selettiva per il conferimento dell’incarico temporaneo di responsabile del settore tecnico - ufficio lavori pubblici,pianificazione urbanistica, edilizia e urbanistica del Comune di Torano Castello, da quest’ultimo indetta ai sensi dell’art. 110 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, con avviso approvato dalla giunta municipale. Preliminare il Collegio ha affrontato l’esame della questione di giurisdizione (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. 3 giugno 2010, n. 11), riproposta dal Comune di Torano Castello nel primo motivo d’appello. La questione è stata risolta con l’affermazione della potestas iudicandi del giudice ordinario sulla presente controversia. Dopo la c.d. privatizzazione del pubblico impiego, la convergente giurisprudenza della Corte di Cassazione e di questo Consiglio di Stato interpretano la riserva di giurisdizione amministrativa sulle «procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni» prevista dall’art. 63 (Controversie relative ai rapporti di lavoro), comma 4, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nel senso che essa è applicabile alle procedure selettive, comunque denominate, aperte ai soggetti in possesso di predeterminati requisiti soggettivi e caratterizzate da concorrenzialità fra i partecipanti alla selezione, destinate poi a concludersi con la formazione di una graduatoria di merito (Cass., SS.UU., 3 febbraio 2014, n. 2290, 16 aprile 2007, n. 8950; ord. 27 febbraio 2008, n. 5078 e 28 novembre 2005, n. 25042, 8 novembre 2005, n. 21593, 27 gennaio 2004, n. 1478, 15 maggio 2003, n. 7621; Cons. Stato, III, 16 dicembre 2015, n. 5693; V, 1 ottobre 2015, n. 4599, 31 agosto 2015, n. 4039). Per contro, laddove la scelta rivesta carattere non meramente competitivo, ancorché all’esito di una valutazione comparativa di una rosa di candidati, anche esterni all’amministrazione, sulla base di curricula a tal fine esaminati, la selezione non acquista natura di procedura concorsuale ai sensi del citato art. 63, comma 4, d.lgs. n. 165 del 2001 e la giurisdizione sulle relative controversie rientra in quella residuale del giudice ordinario. Infatti, a parte il carattere temporaneo dell’incarico (che lo differenzia da uno stabile rapporto di lavoro dipendente, cui testualmente si riferisce il ricordato art. 63), va rilevato che in questo caso la valutazione svolta dall’amministrazione è di idoneità e di rispondenza del profilo professionale emergente dal singolo curriculum rispetto alle esigenze funzionali del posto da ricoprire. La comparazione non viene in altri termini svolta sulla base di prove episodiche di capacità o di titoli oggettivi e di tipo predeterminato, ma è relativa al profilo complessivo del singolo aspirante ed è di tipo globale: pertanto è estranea alla fattispecie, di stretta interpretazione, della procedura concorsuale, cui la norma suddetta riferisce l’eccezione alla giurisdizione ordinaria. Ciò premesso, il caso oggetto del presente giudizio rientra pacificamente in quest’ultima evenienza. Infatti, nell’avviso pubblico oggetto di controversia il Comune di Torano Castello ha manifestato la volontà di selezionare un soggetto cui affidare l’incarico temporaneo di preposto al proprio settore tecnico all’esito di una «valutazione complessiva del curriculum di ciascun candidato, eventualmente seguita dall’effettuazione di un colloquio», specificando che tale valutazione globale sarebbe consistita nell’apprezzare l’«idoneità» degli aspiranti, vale a dire il possesso «della professionalità necessaria a ricoprire l’incarico», sulla base dello «spessore culturale e formativo, nonché delle esperienze lavorative e/o professionali» (cfr. l’avviso pubblico, al § intitolato "valutazione"). Quindi, il medesimo avviso non prevede che tale valutazione debba essere svolta mediante prove del momento o titoli pregressi e che debba essere espressa attraverso una graduatoria finale. In contrario a quanto finora rilevato non possono essere condivise le argomentazioni svolte sul punto dall’originaria ricorrente e del Tribunale amministrativo. Innanzitutto, il già richiamato art. 110 (Incarichi a contratto) d.lgs. n. 267 del 2000, nella versione attualmente vigente (cioè dopo l’art. 11, comma 1, lett. a), d.-l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014, n. 114), ed in base alla quale è stata indetta la procedura selettiva in contestazione, non prevede che i posti di responsabili dei servizi o di qualifica dirigenziale degli enti locali "a contratto" debbano essere coperti mediante un concorso pubblico secondo i caratteri propri di questo modello procedimentale per la selezione di personale dipendente delle pubbliche amministrazioni, bensì mediante «selezione pubblica volta ad accertare, in capo ai soggetti interessati, il possesso di comprovata esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle materie oggetto dell’incarico», come avvenuto nel caso di specie. Con questa speciale previsione vengono bilanciate le esigenze di accertamento imparziale dei requisiti attitudinali e di capacità necessari a ricoprire l’incarico di vertice dell’amministrazione, con l’esigenza, consustanziale agli incarichi temporanei di carattere apicale di cui all’art. 110 stesso, di ricerca di professionalità specifiche per la posizione da ricoprire per un tempo limitato.
La controversia giunta all'attenzione del Consiglio di Stato concerne l'impugnativa davanti al Tribunale amministrativo per la Calabria – sede di Catanzaro gli atti della procedura selettiva per il conferimento dell’incarico temporaneo di responsabile del settore tecnico - ufficio lavori pubblici, ... Continua a leggere
Avviso orale del Questore: per l'applicazione della misura di prevenzione non è necessario l'accertamento di un reato

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il giudizio sulla pericolosità sociale del soggetto avvisato non richiede la sussistenza di prove compiute (poste a base di una sentenza penale) sulla commissione di reati, essendo sufficienti anche risultanze fattuali tali da indurre l’Autorità di polizia a ritenere sussistenti le condizioni di pericolosità sociale, che possono dar luogo all’applicazione delle misure di prevenzione, prima ancora che si verifichi se le condotte abbiano rilevanza penale e siano tuttora punibili. Ne consegue che è legittimo procedere all’avviso orale anche in assenza di contestazioni sottoposte all’esame della autorità giudiziaria, purché emerga una situazione nel suo complesso rivelatrice di personalità incline a comportamenti antisociali, che ne fanno ragionevolmente ascrivere l’appartenenza ad una delle categorie di cui all’art. 1 del d.lgs. 159/2011. In particolare, la misura di prevenzione dell’avviso può essere disposta anche qualora non sia possibile documentare che l’interessato vive dei proventi di attività delittuosa o è dedito a traffici illeciti o si associa con pregiudicati, qualora il modello comportamentale complessivo del soggetto presenti caratteristiche atte a fare non illogicamente presumere l'esistenza di una pericolosità sociale (ex multis, con riferimento alla previgente omologa previsione dell’art. 1 della legge 1423/1956, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 837/2012, n. 1530/2011 e n. 2468/2011; Sez. I, n. 1206/2011). Per l'applicazione delle misure di prevenzione, rileva la pericolosità sociale (desumibile dalla constatata assenza di fonti legittime di reddito e dal tenore di vita palesato) e non è necessario l’accertamento di un reato, tanto meno desumibile da una sentenza su cui si sia formato il giudicato.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il giudizio sulla pericolosità sociale del soggetto avvisato non richiede la sussistenza di prove compiute (poste a base di una sentenza penale) sulla commissione di reati, essendo sufficienti anche risultanze fattuali tali da indurre l’Autorit ... Continua a leggere