News 29 Luglio 2016 - Area Amministrativa


NORMATIVA

Unioni civili: in Gazzetta Ufficiale il Regolamento con le disposizioni transitorie che disciplinano le modalità di costituzione e registrazione nell'archivio dello Stato civile

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È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 175 del 28.7.2016 il DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 23 luglio 2016, n. 144 recante "Regolamento recante disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile, ai sensi dell'articolo 1, comma34, della legge 20 maggio 2016, n. 76". Il Regolamento, entrato in vigore il 29/07/2016 che si compone di 11 articoli, prevede che presso ciascun comune è istituito il registro provvisorio delle unioni civili. Per quanto riguarda la costituzione di un'unione civile, il Regolamento prevede che due persone maggiorenni dello stesso sesso fanno congiuntamente richiesta all'ufficiale dello stato civile del comune di loro scelta. Nella richiesta ciascuna parte deve dichiarare: a) il nome e il cognome, la data e il luogo di nascita; la cittadinanza; il luogo di residenza; b) l'insussistenza delle cause impeditive alla costituzione dell'unione di cui all'articolo 1, comma 4, della legge. L'ufficiale dello stato civile, verificati i presupposti redige immediatamente processo verbale della richiesta e lo sottoscrive unitamente alle parti, che invita, dandone conto nel verbale, a comparire di fronte a se' in una data, indicata dalle parti, immediatamente successiva al termine di cui all'articolo 2, comma 1, per rendere congiuntamente la dichiarazione costitutiva dell'unione. Se una delle parti, per infermita' o altro comprovato impedimento, e' nell'impossibilita' di recarsi alla casa comunale, l'ufficiale si trasferisce nel luogo in cui si trova la parte impedita e riceve la richiesta di cui al presente articolo, ivi presentata congiuntamente da entrambe le parti. Seguono poi le verifiche da parte dell'Ufficiale dello Stato civile. L'art. 4 del Regolamento si occupa della "scelta del cognome comune" stabilendo che le parti possono indicare il cognome comune che hanno stabilito di assumere per l'intera durata dell'unione. La parte puo' dichiarare all'ufficiale di stato civile di voler anteporre o posporre il proprio cognome, se diverso, a quello comune. A seguito della dichiarazione i competenti uffici procedono alla annotazione nell'atto di nascita e all'aggiornamento della scheda anagrafica. Per saperne di più scarica il Regolamento.

 
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È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 175 del 28.7.2016 il DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 23 luglio 2016, n. 144 recante "Regolamento recante disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile, ai sensi dell'articolo 1, comma ... Continua a leggere

 

Start-up innovative: le modalità di redazione degli atti costitutivi di società a responsabilità limitata

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È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 172 del 25.7.2016 il DECRETO 7 luglio 2016 del MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO sulle "Modifiche al decreto 17 febbraio 2016, recante «Modalita' di redazione degli atti costitutivi di societa' a responsabilita' limitata start-up innovative»".

 
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ARAN: in Gazzetta Ufficiale il comunicato sulla sottoscrizione del Contratto collettivo nazionale quadro per la definizione dei comparti e delle aree di contrattazione collettiva nazionale 2016-2018

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È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 170 del 22.7.2016 il comunicato dell'AGENZIA PER LA RAPPRESENTANZA NEGOZIALE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI recante "Contratto collettivo nazionale quadro per la definizione dei comparti e delle aree di contrattazione collettiva nazionale (2016-2018)". (16A05297) (GU Serie Generale n.170 del 22-7-2016)

 
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GIURISPRUDENZA

Annullamento in autotutela: il "criterio dei 18 mesi" introdotto dalla legge n. 124/2015 e il principio del "tempus regit actum"

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Il "criterio dei 18 mesi", di cui all’art. 6 della l. n. 124 del 2015, sulla base del principio "tempus regit actum", non può trovare applicazione nella fattispecie in discussione, che riguarda un provvedimento adottato nel 2012. Semmai, come il Comune non manca di segnalare, può essere utile rammentare che in materia edilizia l'art. 39 del d.P.R. n. 380 del 2001 fissa in dieci anni il termine - ragionevole - entro il quale la |Regione può annullare provvedimenti comunali che autorizzano interventi edilizi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione. Potrebbe dunque trovare tuttora applicazione, se del caso, quale "parametro temporale" di legittimità e congruità dell’azione amministrativa di annullamento in via di autotutela in materia, il "criterio decennale", riferito all’esercizio del potere comunale di autoannullamento in relazione a un permesso assentito nell’ottobre del 2008 e annullato nel maggio del 2012. In ogni caso, anche a volere tenere conto del "criterio dei 18 mesi" introdotto nel 2015 quale elemento orientativo al fine di valutare, sotto il profilo della ragionevolezza del termine, la legittimità di un atto di annullamento in autotutela adottato sotto la disciplina previgente, resta il fatto che, avuto anche riguardo alla rappresentazione non veritiera dello stato dei luoghi da parte del privato richiedente, la circostanza che tra il rilascio del "permesso commissariale" e l’adozione del provvedimento comunale di annullamento in via di autotutela siano trascorsi tre anni e otto mesi non è in grado di inficiare il provvedimento impugnato in primo grado (cfr., sulla ragionevolezza del tempo, di circa quattro anni –gennaio 2009 / marzo 2005- entro il quale è stato disposto l’annullamento in autotutela di un permesso di costruire assentito in modo illegittimo, la già citata sentenza Cons. Stato, sez. IV, n. 3150 del 2012). Il profilo di censura attinente alla omessa analisi della possibilità di adottare atti diversi dall’annullamento in via di autotutela (ad esempio, la convalida), sembra poi travalicare i limiti del controllo giudiziale di legittimità demandato a questo giudice amministrativo sconfinando nel merito delle opzioni riservate all’autorità amministrativa

 
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Il "criterio dei 18 mesi", di cui all’art. 6 della l. n. 124 del 2015, sulla base del principio "tempus regit actum", non può trovare applicazione nella fattispecie in discussione, che riguarda un provvedimento adottato nel 2012. Semmai, come il Comune non manca di segnalare, può essere utile ramm ... Continua a leggere

 

Scuole: le controversie sugli atti regolamentati che stabiliscono le modalità generali di accesso alle graduatorie rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo

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Il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) ha sottoposto il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione al regime privatistico e pubblicistico.Le regole di diritto privato si applicano alle «determinazioni per l’organizzazione degli uffici» e alle «misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro», le quali «sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro» (artt. 2, comma 3, e 5, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001).Le regole di diritto pubblico attengono alla fase amministrativa che "precede" la stipula del contratto di lavoro, nonché alle regole di macro-organizzazione che stanno "al di sopra" del rapporto di lavoro, con le quali le amministrazione pubbliche «definiscono (…) le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive» (art. 2, comma 1, del citato decreto).La natura pubblica o privata delle regole di disciplina incide sulla definizione dei criteri di riparto di giurisdizione.L’art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 prevede che:- sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, «ancorché vengono in rilievo atti amministrativi presupposti» (comma 1, primo inciso);- «quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi» (comma 1, secondo inciso);- «rimangono attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, quelle relative ai rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico» (comma 4).Ne consegue che la giurisdizione spetta, in via generale al giudice ordinario, e, in presenza di controversie afferenti a procedure concorsuali ovvero ad atti di macro-organizzazione, al giudice amministrativo.L’art. 399 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado) dispone che l’accesso ai ruoli del personale docente della scuola materna, elementare e secondaria, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, ha luogo, per il 50 per cento dei posti annualmente assegnabili, mediante concorsi per titoli ed esami e, per il restante 50 per cento, attingendo alle graduatorie permanenti.Il suddetto doppio binario è regolato dagli artt. 400 e 401.L’art. 401 disciplina le graduatorie permanenti, prevedendo che «le graduatorie relative ai concorsi per soli titoli del personale docente della scuola materna, elementare e secondaria, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, sono trasformate in graduatorie permanenti da utilizzare per le suddette assunzioni in ruolo».L’art. 400 disciplina i «Concorsi per titoli ed esami».La disciplina delle graduatorie permanenti comprende regole di diritto privato e regole di diritto pubblico, con conseguente necessità di stabilire come si riparte la giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo.La giurisprudenza, amministrativa e ordinaria, è concorde nel ritenere che la fase relativa all’inserimento, formazione e aggiornamento delle graduatorie non integra una fase amministrativa assimilabile ad una procedura concorsuale, in quanto vengono in rilievo soggetti che «sono in possesso di determinati requisiti, anche sulla base della partecipazione a concorso» (Cons. Stato, ad. plen., 12 luglio 2011, n. 11 del 2011; Cass. civ., sez. un., 8 febbraio 2011, n. 3032). La giurisdizione, in relazione a tale tipologia di controversie, appartiene al giudice ordinario.La questione controversa attiene alla giurisdizione in ordine agli atti regolamentari che definiscono le modalità generali di accesso alle graduatorie.Un primo orientamento ritiene che, in relazione a tali atti, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, in quanto gli stessi vengono in rilievo in via incidentale e pertanto possono essere disapplicati dallo stesso giudice ordinario (da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 2015, n. 3413).Un secondo orientamento, cui la Sezione aderisce, ritiene, invece, che in questi casi la giurisdizione spetti al giudice amministrativo, venendo in rilievo «la stessa regola ordinatoria posta a presidio dell’ingresso in graduatoria» (Cons. Stato, sez. VI, 12 marzo 2012, n. 1406; id., 2 aprile 2012, n. 1953).La ragione della preferenza per questa seconda tesi risiede nel fatto che oggetto di contestazione sono atti di macro-organizzazione. La pubblica amministrazione, infatti, con l’adozione dei provvedimenti in esame, a prescindere dalla loro natura di atti normativi o amministrativi generali, definisce le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, determinando anche le dotazione organiche complessive. La giurisdizione compete, pertanto, al giudice amministrativo. Né, in senso contrario, potrebbe rilevare la questione relativa all’incidenza "diretta" o "indiretta" di tali provvedimenti sui singoli rapporti di lavoro, trattandosi di un profilo che non ne muta la intrinseca natura e dunque le regole di riparto della giurisdizione. Questo aspetto può, al più, assumere rilevanza ai fini della individuazione dell’ambito del potere disapplicativo del giudice ordinario e se cioè esso può essere esercitato soltanto quando il provvedimento amministrativo di macro-organizzazione rilevi in via "indiretta" ai fini della risoluzione della controversia in linea con la regola generale posta dall’art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, All. E, ovvero anche quando esso venga in rilievo quale fonte "diretta" della lesione della posizione soggettiva individuale fatta valere in giudizio, nel qual caso, peraltro, risolvendosi la disapplicazione in una cognizione diretta, e non incidentale, del provvedimento amministrativo (in questo senso, da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 365; id. 30 novembre 2015, n. 5418).

 
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Accesso ai documenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato: non è consentito un diniego generalizzato

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L’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990 dispone che deve essere garantito «ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici». La norma aggiunge che, nel caso di documenti contenenti dati sensibili egiudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e, in presenza di situazioni giuridiche di pari rango, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessualeL’art. 13 del d.p.r. n. 217 del 1998, in relazione ai procedimenti dell’Autorità, prevede che «il diritto di accesso ai documenti formati o stabilmente detenuti dall'Autorità nei procedimenti concernenti intese, abusi di posizione dominante ed operazioni di concentrazione è riconosciuto nel corso dell'istruttoria dei procedimenti stessi ai soggetti direttamente interessati».Nella fattispecie in esame la richiesta di accesso è finalizzata ad ottenere documenti che possono essere utili ai fini dell’esercizio del diritto di difesa nell’ambito di un procedimento applicativo di sanzioni amministrative. In questi casi, per la natura sostanzialmente penale delle sanzioni inflitte (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza Menarini, 27 settembre 2011, n. 43509/08), deve essere assicurata all’impresa la conoscenza di tutti quegli elementi che possono essere utili per difendersi nel procedimento e nel processo.Né potrebbe valere il rilievo, contenuto nella memoria difensiva dell’Autorità, secondo cui, da un lato, tutti i documenti richiesti sarebbero estranei al perimetro dell’indagine I-780 (che include i mercati di "Venezia mare" e "Belluno"), dall’altro, sarebbe mancata la richiesta relativa al procedimento I-772. Tali rilievi possono rilevare non ai fini dell’ammissibilità dell’istanza di accesso, che ricomprendeva la documentazione pretesa, quanto ai limiti che la richiesta stessa incontra quando essa attiene a documenti afferenti a procedimenti diversi che coinvolgono altre imprese. L’Autorità, dovrà consegnare esclusivamente i documenti richiesti con tutti gli accorgimenti finalizzati ad evitare che vengano svelate informazioni riservate di carattere personale, commerciale, industriale e finanziario. In altri termini, in fattispecie quale quella in esame, non è consentito un diniego generalizzato fondato su valutazioni rimesse alla stessa Autorità ma occorre fornire la documentazione richiesta nel rispetto delle modalità sopra indicate. Del resto, tale soluzione è l’unica in grado di bilanciare gli interessi in gioco contrapposti: quello dell’Autorità a non rilasciare documenti ritenuti non rilevanti che coinvolgono altri operatori economici; quello dell’impresa ad avere diretta contezza della documentazione che si trova nell’esclusiva disponibilità della parte pubblica. La soluzione prescelta dal Collegio è quella di rimettere alla prudente valutazione dell’Autorità di fornire esclusivamente quegli atti che non attengono a dati sensibili di altri imprese e che sono in grado di dimostrare l’assunto dell’estraneità dei dati stessi al procedimento sanzionatorio che riguarda l’appellante.

 
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L’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990 dispone che deve essere garantito «ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici». La norma aggiunge che, nel caso di documenti contenenti dati sensibili e ... Continua a leggere

 

Giudicato amministrativo: il principio dell'efficacia inter partes non trova applicazione per le pronunce di annullamento di particolari categorie di atti amministrativi

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"Il principio dell'efficacia inter partes del giudicato amministrativo non trova applicazione nei confronti delle pronunce di annullamento di particolari categorie di atti amministrativi, ossia in concreto, di quelli che hanno una pluralità di destinatari, un contenuto inscindibile e sono invalidiper un vizio che ne inficia il contenuto in modo indivisibile per i destinatari (Cons. Stato Sez. IV, 13-03-2014, n. 1222; Cons. Stato Sez. IV, 18-11-2013, n. 5459; Cons. Stato Sez. III, 20-04-2012, n. 2350) Il provvedimento impugnato in primo grado, deliberazione della G.R. n. 1773 del 2012 di approvazione dello schema - tipo accordo contrattuale allegato per l'erogazione e l'acquisto di prestazioni sanitarie in regime di ricovero che costituisce atto generale ad effetti inscindibili, come correttamente rilevato dalla difesa delle appellanti, sicchè la decisione di annullamento non si estrinseca nei confronti delle sole parti in causa, ma esplica i suoi effetti anche nei confronti di coloro che - pur essendo estranei al giudizio conclusosi con le decisioni che hanno acclarato l’illegittimità dell’atto - si trovano nelle medesime condizioni: detto atto, infatti, essendo unitario ed indivisibile non può produrre effetti nei confronti di taluni soggetti e non di altri. Pertanto, come ha correttamente rilevato la difesa delle appellanti, la Regione Puglia dovrà prendere atto dell’avvenuto annullamento con efficacia erga omnes della propria delibera, avente natura di atto generale ad effetto inscindibile."

 
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Processo amministrativo: il principio di segretezza della deliberazione

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Nella sentenza n. 3303 del 21 luglio 2016 la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha affermato che il principio di segretezza della deliberazione sancito dall’art. 276 C.p.c. ("La decisione è deliberata in segreto nella camera di consiglio"), che esclude ogni forma di pubblicità della fase decisoria che si svolge in camera di consiglio. La segretezza evidentemente vale non solo nei confronti del pubblico, ma soprattutto nei confronti delle parti, al fine di assicurare la libertà della decisione. Il principio di segretezza esclude che le parti abbiano il diritto di essere informate non solo del contenuto, ma anche delle modalità di svolgimento della decisione, sotto il profilo temporale o del numero delle camere di consiglio che si rendono necessarie per completare la deliberazione. Per quanto riguarda, inoltre, il tempo della deliberazione, va ricordato che, salvo le ipotesi espressamente disciplinate dalla legge, in cui vige il principio della decisione immediata (cfr., ad esempio, l’art. 129, comma 6, c.p.a., per i giudizi aventi a oggetto gli atti di esclusione dal procedimento elettorale), nessun termine è previsto in via generale per lo svolgimento della camera di consiglio; sicché, nel giudizio ordinario di cognizione, la sentenza può essere deliberata in data diversa da quella in cui si è celebrata l’udienza di discussione (cfr. Cass. Civ., sez. III, 4 novembre 2014, n. 23423). A maggior ragione, è consentito che alla decisione si arrivi attraverso una pluralità di camere di consiglio (che può rendersi necessaria per la particolare complessità delle questioni esaminate e per le esigenze di ulteriore approfondimento che esse sollevano). È ben possibile, quindi, che la fase decisoria, si apra, come accaduto nel caso di specie, immediatamente dopo la discussione del ricorso, ma che poi prosegua in una o più camere di consiglio fissate in date successive. Tale conclusione trova conforto, oltre che in un principio pacificamente accolto dalla giurisprudenza civile, nell’espressa previsione normativa contenuta nell’art. 75 C.p.a. che, dopo aver previsto, al comma 1, che "il collegio, dopo la discussione, decide la causa", dispone espressamente, al comma 2, che "la decisione può essere differita a una delle successive camere di consiglio". Il ricordato principio di segretezza della deliberazione esclude, come si è già evidenziato, che l’articolazione della decisione in una o più camere di consiglio sia oggetto di contradditorio con le parti o che queste abbiano diritto di essere informate di eventuali riconvocazioni o possano, in vista di esse, depositare ulteriori memorie o documenti. Al contrario, l’esigenza che le parti non debbano e non possano conoscere tali ulteriori fasi del processo decisionale (nel caso che esso si atteggi come complesso, ossia strutturato in più momenti diversi) è funzionale a garantire la serenità e l’indipendenza del giudizio del giudice.

 
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Nella sentenza n. 3303 del 21 luglio 2016 la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha affermato che il principio di segretezza della deliberazione sancito dall’art. 276 C.p.c. ("La decisione è deliberata in segreto nella camera di consiglio"), che esclude ogni forma di pubblicità della fase decisori ... Continua a leggere

 

Il preavviso di rigetto: l’Amministrazione non ha un onere particolarmente stringente di dare minuzioso riscontro alle osservazioni del privato

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La Quinta Sezione del Consiglio di Statl nella sentenza del 20 luglio 2016 n. 3293 ha affermato che "non è dato ravvisare a carico dell’Amministrazione un onere particolarmente stringente di dare minuzioso riscontro alle osservazioni rese ai sensi dell’art. 10 bis,atteggiandosi le medesime pur sempre a un contributo al procedimento da parte del privato di tipo squisitamente collaborativo. In ogni caso, ai sensi dell’art. 21 octies, della medesima l. n. 241 del 1990, la mancata o insufficiente motivazione dell’apporto collaborativo proposto con le osservazioni non può refluire sulla validità dell’atto di diniego che nel caso in esame esprime un potere privo di margini di discrezionalità in ragione della presupposta e vincolante regolamentazione comunale richiamata nell’adottata determinazione ( Cons. Stato sez. IV 9/12/2015 n. 5577; Cons Stato Sez. V 25/1/2016 n. 233)".

 
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La Quinta Sezione del Consiglio di Statl nella sentenza del 20 luglio 2016 n. 3293 ha affermato che "non è dato ravvisare a carico dell’Amministrazione un onere particolarmente stringente di dare minuzioso riscontro alle osservazioni rese ai sensi dell’art. 10 bis,atteggiandosi le medesime pur semp ... Continua a leggere

 

Dirigenza: la quantificazione del danno per omessa o ritardata assunzione

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È jus receptum (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 26 gennaio 2000 n. 653; id., III, 2 marzo 2015 n. 1029) che, nelle controversie sul lavoro subordinato pubblico e, in particolare, le assunzioni, la restitutio in integrum agli effetti economici (oltre che a quelli giuridici) spetta al pubblico dipendente solo nel caso di sentenza che riconosca l'illegittima interruzione di un rapporto già in corso e non anche nel caso di giudicato che riconosca illegittimo il diniego di costituzione del rapporto stesso. E, nel caso dell’accesso alla dirigenza —ove il superamento implica l’acquisizione d’un nuovo e diverso status di lavoro (vera e propria novazione oggettiva: cfr. Cass., sez. lav., 28 ottobre 2014 n. 22835)—, non v’è un parametro facilmente definibile per la liquidazione del risarcimento e, certo, non quello della retribuzione tabellare della dirigenza. Soccorre così il principio da tempo enunciato dalla Sezione (Cons. St., IV, 11 novembre 2010 n. 8020), in virtù del quale, la quantificazione per equivalente del danno a causa dell’omessa o della ritardata assunzione in posto di pubblico impiego, questo non s’identifica nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione, elementi, questi, che al più possono rilevare soltanto sotto il profilo della responsabilità contrattuale. Bisogna dunque riferirsi ad una liquidazione equitativa da valutare caso per caso e giammai all’importo meramente differenziale tra la retribuzione in atto e quella, futura, da dirigente (arg. ex Cons. St., V, 10 maggio 2010 n. 2750). Ciò vale a più forte ragione per la dirigenza nel rapporto di pubblico impiego privatizzato, per la quale, in caso di ritardata assunzione, spetta al vincitore del concorso di tipo dirigenziale non una restitutio in integrum (di cui ha titolo il lavoratore subordinato pubblico in tutti i casi d’indebita sospensione o risoluzione d’un rapporto in atto: cfr., p. es., Cass., sez. lav., 25 novembre 2013 n. 26287), bensì il risarcimento del danno, salvo che la P.A. non dimostri (ma non è questo il caso) che il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione, derivante da causa ad esso non imputabile (cfr. Cass., sez. lav., 20 gennaio 2009 n. 1399; id., VI, 14 giugno 2012 n. 9807).

 
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È jus receptum (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 26 gennaio 2000 n. 653; id., III, 2 marzo 2015 n. 1029) che, nelle controversie sul lavoro subordinato pubblico e, in particolare, le assunzioni, la restitutio in integrum agli effetti economici (oltre che a quelli giuridici) spetta al pubblico dipend ... Continua a leggere

 

Annullamento in autotutela: il decorso del tempo e l'affidamento ingenerato nel privato

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Nel giudizio in esame l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto illegittimo l’atto di auto-annullamento per mancanza del presupposto rappresentato dalla sussistenza di un interesse concreto e attuale, nonché per mancata valutazione dell’affidamento ingenerato nel privato dal comportamento tenuto dall’amministrazione. In particolare l’annullamento è stato disposto dopo cinquantadue mesi dal rilascio del titolo abilitativo n. 66 del 1998, dopo quarantaquattro mesi dall’ultimazione dei lavori e dopo trentanove mesi dalla deliberazione consiliare, che ha stabilito la capienza della superficie coperta ammissibile. Il Consiglio di Stato Sez. VI nella sentenza del 18.7.2016 n. 3174 ha ritenuto ilmotivo infondato affermando che "L’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, nella versione vigente all’epoca dei fatti, prevedeva che il «provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge». Nella fattispecie in esame sussistono tutti i presupposti contemplati dalla suddetta normativa per l’esercizio del potere di autotutela. Il requisito dell’illegittimità discende dalle statuizioni contenute nella deliberazione consiliare 16 dicembre 1999 n. 55, recante la revoca parziale della propria precedente deliberazione n. 31/98, che contemplava una possibilità edificatoria eccedente rispetto a quella consentita nel comparto. Il requisito dell’interesse pubblico concreto e attuale, in ragione della evidente violazione dei limiti dimensionali consentiti, è insisto nell’oggetto stesso delle statuizioni adottate (Cons. Stato, sez. IV, 23 febbraio 2012, n. 1041). Il requisito dell’affidamento non può venire in rilievo, in quanto il tempo trascorso è imputabile alle richieste di rilascio di concessioni in sanatoria avanzate da Finagen tra il 6 settembre 2001 (data della prima istanza) e l’1 aprile 2003 (data di abbandono della richiesta del 25 novembre 2002). Il tempo anteriore a quella data può ritenersi un tempo ragionevole di attesa prima dell’esercizio del potere di autotutela. Sotto altro aspetto, deve rilevarsi che dagli atti del processo risulta che l’appellante, anche in ragione della presentazione delle suddette richieste, fosse comunque a conoscenza dell’illegittimità dell’atto e dunque consapevole della possibilità che lo stesso potesse essere oggetto di annullamento da parte dell’amministrazione. Non può, pertanto, ritenersi che si sia formato un affidamento meritevole di protezione giuridica che l’amministrazione avrebbe dovuto valutare ai fini dell’adozione del provvedimento di secondo grado oggetto di impugnazione".

 
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