
News 2 Settembre 2015 - Area Amministrativa
Fondo mille giovani per la cultura: in G.U. i criteri e le modalità di accesso

Sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n.193 del 21.8.2015 è stato pubblicato il decreto 19.6.2015 del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo recante "Criteri e modalita' di accesso al «Fondo mille giovani per la cultura» per l'anno 2015".
Sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n.193 del 21.8.2015 è stato pubblicato il decreto 19.6.2015 del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo recante "Criteri e modalita' di accesso al «Fondo mille giovani per la cultura» per l'anno 2015". ... Continua a leggere
Corsi di laurea magistrale: in G.U. modalità e contenuti della prova di ammissione anno accademico 2015/2016

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 189 del 17.8.2015 il decreto del Ministero dell'Istruzione, Università e della ricerca recante "Modalita' e contenuti della prova di ammissione ai corsi di laurea magistrale programmati a livello nazionale anno accademico 2015/2016".
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 189 del 17.8.2015 il decreto del Ministero dell'Istruzione, Università e della ricerca recante "Modalita' e contenuti della prova di ammissione ai corsi di laurea magistrale programmati a livello nazionale anno accademico 2015/2016". ... Continua a leggere
Processo: sì del Consiglio di Stato alla sentenza in forma semplificata anche in mancanza della comparizione alla camera di consiglio delle parti costituite

La costante giurisprudenza del Consiglio di Stato ha sempre affermato, anche nel vigore della precedente legge processuale, che la mancata comparizione dei difensori all’udienza camerale non preclude al Collegio di trattenere la causa anche per la decisione in forma semplificata, e che l’obbligo disentire le parti circa la possibilità di decidere il merito della causa sussiste solo ove queste compaiano, mentre la loro scelta di non comparire nella camera di consiglio fissata per la discussione della domanda cautelare (o, addirittura, di non costituirsi) non può costituire ostacolo alla rapida definizione del giudizio, così frustrando, anche mediante eventuali strategie dilatorie, la ratio acceleratoria che presiede all’art. 60 c.p.a. – e, già prima del codice, quella dell’art. 26 della l. 1034/1971 – e il principio costituzionale, che ne sta a fondamento, della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.). È questo il principio ribadito dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 26.8.2015 n. 4017. Aggiunge il Collegio che la mancata comparizione alla camera di consiglio delle parti costituite, non può impedire la definizione del giudizio nel merito ai sensi e per gli effetti dell’art. 60 c.p.a., risultando la tutela dell’interesse, eventualmente contrario, delle parti costituite sufficientemente garantito una volta che risulti assodata la ritualità della trattazione dell’istanza cautelare, sicché l’assenza volontaria della parte alla detta camera di consiglio non può avere l’effetto di precludere in radice la conversione del rito, che è potere a chiara caratterizzazione ufficiosa (Cons. St., sez. III, 20.12.2011, n. 6759).
La costante giurisprudenza del Consiglio di Stato ha sempre affermato, anche nel vigore della precedente legge processuale, che la mancata comparizione dei difensori all’udienza camerale non preclude al Collegio di trattenere la causa anche per la decisione in forma semplificata, e che l’obbligo di ... Continua a leggere
Concorsi riservati al personale interno: la giurisdizione è del giudice amministrativo in caso di progressione verticale e cioè di novazione oggettiva del rapporto di lavoro

Il Consiglio di Stato Sez. V nella sentenza del 20.8.2015 n. 3959 ha affermato che: "La circostanza che trattasi di corso – concorso riservato al personale interno della regione e finalizzato alla riqualificazione del personale ai fini della progressione di carriera non è circostanza significativaai fini del riparto di giurisdizione in materia di pubblico impiego tra giudice ordinario e giudice amministrativo. In base a giurisprudenza consolidata, infatti, va riconosciuta la giurisdizione del giudice amministrativo anche nelle controversie relative a concorsi interni, quando il concorso, riservato al personale già dipendente dell’Amministrazione, comporti la progressione in senso verticale e cioè una novazione oggettiva del rapporto di lavoro (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 luglio 2007, n. 4030; Cass., SS.UU., 23 marzo 2005, n. 6217). Invero, il quarto comma dell’art. 63 del D.Lgs. n. 165 del 2001, laddove riserva alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle Pubbliche amministrazioni, fa riferimento non solo alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione, per la prima volta, del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia o area superiore o qualifica superiore, dovendo il termine "assunzione" essere correlato alla qualifica che il candidato tende a conseguire, e non solo all’ingresso iniziale nella pianta organica del solo personale (cfr. Cons. St., sez. IV, 22 ottobre 2004, n. 6942). I concorsi interni non si configurano, infatti, come ordinario sviluppo di carriera degli impiegati che vi partecipano, ma vanno intesi come procedimenti selettivi che, alla pari di quelli in cui sono ammessi candidati esterni, consentono l’accesso a posti alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni diversi da quelli già occupati. I concorsi interni, quindi, non presentano connotati differenti dai concorsi denominati pubblici, e questa identità, di natura e di risultato, consente di ricondurli sotto la previsione normativa (ora, dell’art. 63, comma 4, del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e, con riguardo all’epoca del provvedimento impugnato in prime cure, dell’art. 68 del d. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come modificato dai decreti legislativi n. 80 e n. 387 del 1998) che attribuisce al giudice amministrativo le controversie "sulle procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni" (cfr. Cons. St., sez. V, 12 ottobre 2004, n. 6560; Cass., SS. UU., 15 ottobre 2003, n. 15403, sulla scorta di C. cost. n. 41/99 e n. 2/2001; Cass., sez. un., 5 maggio 2011, n. 9844, 25 maggio 2010, n. 12764 e 89 aprile 2010, n. 8424). 1Ciò posto è indubbio che il concorso di cui trattasi, riservato ai dipendenti inquadrati nella quinta qualifica funzionale, per la copertura di 12 posti di "istruttore amministrativo", figura professionale 6.01, integri una progressione verticale. Nel sistema articolato in livelli e qualifiche funzionali disciplinato dal d.P.R. 25 giugno 1983, n. 347 e successive modifiche, al tempo vigente, il passaggio dal livello di inquadramento ad altro livello superiore costituisce progressione di carriera comportando l’attribuzione di mansioni superiori. Il sistema rimane sostanzialmente invariato anche con la introduzione della articolazione del sistema di classificazione in quattro categorie denominate, rispettivamente, A, B, C e D, previsto dal d.P.R. n. 333 del 1990 integrativo per gli enti locali del d. P.R. n. 347 del 1983. Le categorie sono individuate, infatti, mediante le declaratorie - riportate nell'allegato A - che descrivono l'insieme dei requisiti professionali necessari per lo svolgimento delle mansioni pertinenti a ciascuna di esse e il contenuto professionale delle attribuzioni proprie della categoria. Sta di fatto che, ai sensi dell’articolo 4 del d.P.R. n. 347 del 1983, come integrato dal d.P.R. n. 333 del 1990, è considerata progressione verticale il passaggio dei dipendenti alla categoria immediatamente superiore. Tale passaggio deve avvenire a mezzo procedure selettive nel limite dei posti vacanti della dotazione organica della categoria superiore. La citata disposizione consente anche che con le medesime procedure gli enti possano procedere alla copertura dei posti vacanti dei profili caratterizzati da una professionalità acquisibile esclusivamente dall'interno degli stessi enti, quindi con concorso riservato al personale interno, così come avvenuto nel caso in esame. In conclusione, trattandosi di procedura selettiva finalizzata alla progressione verticale, la controversia appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo.".
Il Consiglio di Stato Sez. V nella sentenza del 20.8.2015 n. 3959 ha affermato che: "La circostanza che trattasi di corso – concorso riservato al personale interno della regione e finalizzato alla riqualificazione del personale ai fini della progressione di carriera non è circostanza significativa ... Continua a leggere
Precari della scuola: la sentenza del TAR Lazio che salva i "congelati"

Davanti alla Sezione Terza bis del TAR Lazio è stata decisa la controversia che vede una pluralità di docenti precari che aspirano da svariati anni ad ottenere l’abilitazione all’insegnamento, ciascuno nella classe di concorso per cui ha il titolo di studio valido. Essi, per conseguire l’abilitazione si sono iscritti nell’a.a. 2007/08 al IX ciclo della SSIS, ma poi - per diversi motivi (dottorato di ricerca, motivi di lavoro, ecc.) non hanno potuto frequentarla, congelando dunque la loro iscrizione. Confidavano nel X ciclo che si sarebbe dovuto svolgere l’anno dopo, ma la riforma Gelmini ha bloccato le SSIS e quindi i ricorrenti non hanno potuto abilitarsi. Nelle more, però, di un complessivo processo di riforma della formazione e del reclutamento dei docenti, il MIUR ha emanato il decreto n. 249 del 10.09.2010, con cui ha previsto un regolamento concernente la "Definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, ai sensi dell’art. 2, comma 416, della legge 24.12.07 n. 244". Con il regolamento il MIUR ha disciplinato dei percorsi formativi – i c.d. Tirocini Formativi Attivi (TFA) – gestiti e organizzati dalle Università, finalizzati alla formazione degli insegnanti, al conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento e dunque all’immissione nei ruoli dei docenti in base al fabbisogno annuo stabilito dal MIUR. L’art. 15 comma 17 del decreto n. 249/2010 ha previsto che questi docenti avrebbero potuto conseguire l’abilitazione per le classi di concorso per le quali era stata effettuata l’iscrizione alla SSIS attraverso lo svolgimento del tirocinio formativo attivo, senza dover nemmeno sostenere l’esame di ammissione e con il riconoscimento degli eventuali crediti acquisiti, anche in soprannumero rispetto al numero massimo dei docenti previsti nei TFA. I ricorrenti, dunque, si sono tutti abilitati con i TFA. Il MIUR, come ogni anno, ha emanato il D.M. 27.06.2013 n. 572 per l’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo, prevedendo, all’art. 2 una disposizione che prevede lo scioglimento della riserva da parte dei docenti di cui all’art. 15 comma 17 del D.M. n. 249/2010, iscritti in soprannumero ai percorsi TFA al fine di completare il percorso intrapreso presso le soppresse SSIS e che avrebbero conseguito l’abilitazione anche successivamente al termine della presentazione della domanda (in ragione del ritardo con cui sono stati attivati alcuni corsi di TFA). Al riguardo, nello stesso art. 2, si precisa che potevano sciogliere la riserva solo i docenti iscritti nell’a.a. 2007/08 alle SSIS e che erano inseriti con riserva nelle graduatorie ad esaurimento alla data di pubblicazione definitiva delle medesime, in applicazione dell’art. 5 bis della legge 169/08 e del D.M. n.42/09 concernente l’integrazione e l’aggiornamento delle graduatorie per il biennio 2009/2011.. Le domande di alcuni ricorrenti, che hanno presentato istanza di inserimento nelle graduatorie ad esaurimento ai vari USR – Uffici provinciali, sono state rigettate. Il legislatore ha escluso dalla fattispecie coloro che, come i ricorrenti, si sono iscritti al IX corso della SSIS, ma non lo hanno frequentato (per i più svariati motivi, lo svolgimento di un dottorato di ricerca, motivi personali, ecc.), congelandolo. Stavano invece frequentando il TFA che li avrebbe portati, di lì a pochi giorni, ad ottenere l’abilitazione, come infatti poi è stato. Così ricostruito il quadro normativo, il TAR Lazio ha esaminato la posizione dei ricorrenti – che non sono stati presi in considerazione per l’iscrizione con riserva nelle GAE in quanto non frequentanti la SSIS nell’a.a. 2007/2008 e che non avevano potuto frequentare tale Scuola di specializzazione perché "congelati", in quanto contestualmente ammessi a dottorati di ricerca – non sono stati neppure considerati per l’iscrizione definitiva alla GAE in quanto non iscritti con riserva nelle medesime graduatorie. Nella sostanza, con il decreto ministeriale n. 572 del 2013 sono stati tenuti definitivamente fuori dal percorso formativo immaginato in continuità tra SSIS e GAE, pur essendo stati ammessi a suo tempo alla Scuola di specializzazione, ma non alla relativa frequenza in quanto "congelati" per la contestuale frequenza del dottorato di ricerca. Il TAR Lazio Roma Sez. III bis con sentenza del 18.8.2015 n. 10847 ha ritenuto fondato il ricorso presentato dai docenti precari nella parte in cui censura l’irragionevolezza e la disparità di trattamento. In particolare, ad avviso del giudice capitolino, tali aspetti emergono in modo evidente laddove si consideri che, nel definire la platea dei soggetti aventi pieno titolo all’iscrizione nella GAE, essa viene ristretta ai soli insegnati già iscritti con riserva nelle graduatorie ad esaurimento in attesa del conseguimento del titolo, senza invece considerare la categoria – assimilabile sotto il profilo della provenienza e dell’equivalenza (dove non della prevalenza) curricolare – di coloro che, come i ricorrenti, pur ammessi alla SSIS, non hanno potuto frequentarla per concomitante frequenza di un dottorato di ricerca e che sono rimasti in permanenza in tale condizione di "congelamento" per la successiva mancata attivazione delle stesse scuole (nella specie nell’a.a. 2008/2009). Il tutto in un contesto nel quale non era dato prevedere la data di attivazione dei tirocini formativi attivi, avvenuta nei fatti solo molti anni dopo e all’esito dei quali gli stessi ricorrenti hanno conseguito l’abilitazione per le medesime classi di concorso nell’a.a. 2012/2013. Aspetto quest’ultimo che accentua ancora di più la disparità di trattamento nel confronto tra ammessi alla odierna domanda di iscrizione, in quanto già iscritti con riserva anche ove, in ipotesi, ancora non abilitati, ed esclusi, come la ricorrente, ancorché ormai abilitati. Infine, per ciò che concerne l’irragionevolezza della disposizione, risalta la mancanza di una chiara logica idonea, nello stabilire un asse di continuità tra SSIS e GAE, a fondare in modo ragionevole l’esclusione in parola come predicato necessario di quella premessa. Il TAR ha, quindi, annullato il decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca n. 572 del 27 giugno 2013, nella parte in cui non consente anche l’iscrizione alle GAE dei ricorrenti, nonché i provvedimenti con i quali gli Uffici Scolastici abbiano rigettato le domande di iscrizione nelle G.A.E. dei ricorrenti.
Davanti alla Sezione Terza bis del TAR Lazio è stata decisa la controversia che vede una pluralità di docenti precari che aspirano da svariati anni ad ottenere l’abilitazione all’insegnamento, ciascuno nella classe di concorso per cui ha il titolo di studio valido. Essi, per conseguire l’abilitazi ... Continua a leggere
Pubblici dipendenti: per ottenere un diverso inquadramento è necessario impugnare tempestivamente il provvedimento di attribuzione della qualifica

La vicenda vede l'appellante, impugnare in primo grado avanti al T.A.R. Lazio il provvedimento del Servizio Personale – Settore Trattamento Giuridico ed Economico, a firma del Direttore amministrativo, con il quale è stata rigettata la sua richiesta di inquadramento nella posizione funzionale di "coadiutore amministrativo", livello VIII, dalla data di maturazione del triennio di anzianità nella qualifica di "collaboratore amministrativo". Il T.A.R. Lazio, con la sentenza n. 17369 del 20.4.2009, dichiarava inammissibile il ricorso. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’interessato, che è stato dichiarato infondato dal Consiglio di Stato, Sezione III che con la sentenza del 11.8.2015 n. 3912 ha respinto l'appello. Nella parte motiva della sentenza il Consiglio di Stato rileva come "Il T.A.R. ha dichiarato inammissibile il ricorso per il rilievo che non è ammessa, nel nostro ordinamento, una pretesa volta ad un miglior inquadramento senza che sia stato tempestivamente impugnato l’atto di inquadramento in una posizione inferiore, essendo quest’ultimo atto espressione di una potestà organizzatoria che può essere contestata solo mediante la proposizione di tempestivo ricorso avverso di esso. La tesi dell’appellante, sostenuta nel I motivo di gravame, riposa sull’affermazione che l’inquadramento, nel caso di specie, si riduca ad una mera attività vincolata, avente ad oggetto la ricognizione della qualifica posseduta e del mero decorso del tempo, sicché non sarebbe configurabile in capo all’Amministrazione alcun potere discrezionale e, quindi, la posizione del dipendente sarebbe di diritto soggettivo, non soggetto al termine di decadenza. Una simile tesi, pur suggestiva, non può tuttavia essere accolta perché la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio ha affermato che i provvedimenti di inquadramento dei pubblici dipendenti hanno natura di atti autoritativi e, come tali, sono soggetti al termine decadenziale di impugnazione, con la conseguenza che non è ammissibile un’azione volta ad ottenere un diverso inquadramento, se non tempestivamente proposta contro il provvedimento di attribuzione della qualifica, né è ammesso un autonomo giudizio di accertamento, nel quale si chieda la disapplicazione dei provvedimenti amministrativi, atteso che l’azione di accertamento è esperibile a tutela di un diritto soggettivo, mentre la posizione del pubblico dipendente, a fronte della potestà organizzatoria della pubblica amministrazione, è quella di titolare di un mero interesse legittimo (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 30.6.2014, n. 3277). 7.4. Né a rimettere in termini l’odierno appellante, che non ha tempestivamente impugnato l’inquadramento, può bastare la proposizione del ricorso avverso la citata nota n. 2198 del 4.10.1996, del Servizio Personale – Settore Trattamento Giuridico ed Economico, a firma del Direttore amministrativo, dott. Giuseppe Testa, contestata in primo grado, atteso che si tratta di provvedimento meramente confermativo del precedente inquadramento, che non contiene alcuna nuova determinazione autoritativa in ordine allo stesso, limitandosi a negare l’estensione del giudicato riguardante altri soggetti all’odierno appellante, e non è il frutto di una nuova e approfondita rivalutazione, da parte dell’Amministrazione, in ordine alla sua posizione funzionale. Il T.A.R. capitolino, conclude il Consiglio di Stato, sulla scorta di tale consolidato indirizzo ermeneutico, ha perciò correttamente dichiarato inammissibile il ricorso proposto in primo grado dall’odierno appellante, a nulla rilevando l’asserito formarsi di un giudicato favorevole ottenuto da altri colleghi del dott. Longo sulla medesima questione qui dibattuta".
La vicenda vede l'appellante, impugnare in primo grado avanti al T.A.R. Lazio il provvedimento del Servizio Personale – Settore Trattamento Giuridico ed Economico, a firma del Direttore amministrativo, con il quale è stata rigettata la sua richiesta di inquadramento nella posizione funzionale di "c ... Continua a leggere
Facoltà di Medicina e Chirurgia: non può essere negata l’iscrizione ai corsi di laurea in Italia a studenti che, in quanto iscritti al primo anno in un’Università di altro Paese membro, non si sono sottoposti ai test di accesso

La questione controversa attiene alla verifica della compatibilità comunitaria della scelta della Amministrazione universitaria di negare ( con revirement sollecitato da una nota ministeriale, pur essa oggetto di impugnazione di primo grado, rispetto alla prima determinazione di ammissione ai corsi) l’iscrizione ai corsi di laurea in Italia a studenti che, in quanto iscritti al primo anno in un’Università di altro Paese membro ( nella specie la Romania), non si sono sottoposti ai test di accesso previsti dalla legge 2 agosto 1999, n. 264, che ha introdotto per la Facoltà di Mecidina e Chirurgia il sistema del numero programmato. Sulla questione si è di recente pronunciata l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato ( Ad.plen. 28 gennaio 2015 n. 1). Il Consiglio di Stato Sez. VI nella sentenza del 7.8.2015 n. 3908 ha richiamato tale autorevole precedente, condividendone l’impianto motivazionale. Al termine di una completa ed esaustiva disamina di tutte le questioni implicate, nella richiamata sentenza si è tra l’altro precisato come questo Consiglio abbia più volte ribadito ( da ultimo, sez. VI, 22 aprile 2014, n. 2028 e 30 maggio 2014, n. 2829 ) che è legittima l'esclusione da un qualsiasi anno di corso degli studenti di università estere, che non superino la prova selettiva di primo accesso, eludendo con corsi di studio avviati all'estero la normativa nazionale ( v. anche Cons. Stato, sez.VI, 15 ottobre 2013, n. 5015; 24 maggio 2013, n. 2866 e 10 aprile 2012, n. 2063 ). Secondo tale orientamento la disciplina recante la programmazione a livello nazionale degli "accessi" non farebbe distinzioni fra il primo anno di corso e gli anni successivi ( art. 1, comma 1, e 4 della legge 2 agosto 1999, n. 264, in rapporto alle previsioni del d.m. 22 ottobre 2004, n. 270, recante il regolamento sull'autonomia didattica degli atenei ); di conseguenza, il rilascio di nulla osta al trasferimento da atenei stranieri e l’iscrizione agli anni di corso successivi al primo richiederebbero comunque il previo superamento della prova nazionale di ammissione prevista dall’art. 4 citato ( ai fini, appunto, della "ammissione" ), sia per l’immatricolazione al primo anno accademico, sia, come dedotto appunto dall’Università odierna appellante, per l’iscrizione ad anni successivi in conseguenza del trasferimento. Tale conclusione, che assume la legittimità dei dinieghi adottati nei casi in cui si tratti di trasferimento da ateneo straniero senza previo superamento dei test d’accesso in Italia è stata tuttavia sottoposta ad un’attenta rimeditazione, sulla base delle attente osservazioni attinenti all’interpretazione logico-letterale della normativa di riferimento. Sul piano puramente letterale e sistematico è stato in particolare rilevato che: - a livello di normazione primaria e secondaria, le uniche disposizioni in materia di trasferimenti si rinvengono ai commi 8 e 9 dell’art. 3 del D.M. 16 marzo 2007 in materia di "Determinazione delle classi di laurea magistrale", che, senz’alcun riferimento a requisiti per l’ammissione, disciplinano il riconoscimento dei crediti già maturati dallo studente; - mentre con specifico riguardo ai trasferimenti nessuno specifico requisito di ammissione è previsto, l’art. 4 della legge 2 agosto 1999, n. 264 subordina l’ammissione ai corsi i cui accessi sono programmati a livello nazionale ( art. 1 ) o dalle singole università ( art. 2 ) al "previo superamento di apposite prove di cultura generale, sulla base dei programmi della scuola secondaria superiore, e di accertamento della predisposizione per le discipline oggetto dei corsi medesimi"; - sebbene la norma non riferisca espressamente la locuzione "ammissione" al solo "primo accoglimento dell’aspirante nel sistema universitario", a rendere sicuramente preferibile e privilegiata tale interpretazione può valere, nell’àmbito del corpus complessivo delle norme concernenti l’accesso ai corsi di studio universitari, l’art. 6 del D.M. 22 ottobre 2004, n. 270, che, nell’indicare i "requisiti di ammissione ai corsi di studio", fa esclusivo riferimento, ai fini della ammissione ad un corso di laurea (di primo livello o magistrale: vedansi i commi dall’1 al 3), al "possesso del diploma di scuola secondaria superiore", ch’è appunto il titolo imprescindibile previsto per l’ingresso nel mondo universitario; il che rende palese che quando il legislatore fa riferimento alla ammissione ad un corso di laurea, intende riferirsi appunto allo studente ( e solo allo studente ) che chieda di entrare e sia accolto per la prima volta nel sistema; Inoltre, sul piano logico-sistematico la Adunanza plenaria ha rilevato che : - se i contenuti della prova di ammissione di cui all’art. 4 della legge 2 agosto 1999, n. 264 devono far riferimento ai "programmi della scuola secondaria superiore", è evidente che la prova è rivolta a coloro che, in possesso del diploma rilasciato da tale scuola ( v. il già citato art. 6 del D.M. n. 270/2004 ), intendono affrontare gli studi universitari, in un logico continuum temporale con la conclusione degli studi orientati da quei "programmi" e dunque ai soggetti che intendono iscriversi per la prima volta al corso di laurea, sulla base, appunto, del titolo di studio acquisito e delle conoscenze ad esso sottostanti; - non a caso, in tale direzione, una ulteriore specificazione si ritrova nell’allegato "A" al già citato D.M. 28 giugno 2012 ( "Modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato a livello nazionale a.a. 2012-2013" ), che, nel definire i programmi relativi ai requisiti delle prove di ammissione ai corsi di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia, prevede che "le conoscenze e le abilità richieste fanno comunque riferimento alla preparazione promossa dalle istituzioni scolastiche che organizzano attività educative e didattiche coerenti con i Programmi Ministeriali": ne risulta evidente, come correttamente sottolinea l’Ordinanza di rimessione, "il riferimento della norma ad un accertamento da eseguirsi al momento del passaggio dello studente dalla scuola superiore all’università e dunque la dichiarata funzione alla quale la prova risponde: verificare la sussistenza – nello studente che aspira ad essere ammesso al sistema universitario – di requisiti di cultura pre-universitaria" ( pagg. 25 – 26 ). - ancora, se la prova stessa è volta ad accertare la "predisposizione per le discipline oggetto dei corsi", è vieppiù chiaro che tale accertamento ha senso solo in relazione ai soggetti che si candidano ad entrare da discenti nel sistema universitario, mentre per quelli già inseriti nel sistema ( e cioè già iscritti ad università italiane o straniere ) non si tratta più di accertare, ad un livello di per sé presuntivo, l’esistenza di una "predisposizione" di tal fatta, quanto piuttosto, semmai, di valutarne l’impegno complessivo di apprendimento ( v. art. 5 del D.M. n. 270/2004 ) dimostrato dallo studente con l’acquisizione dei crediti corrispondenti alle attività formative compiute; - non a caso, allora, i già richiamati commi 8 e 9 dell’art. 3 del D.M. 16 marzo 2007 danno rilievo esclusivo, in sede ed ai fini del trasferimento degli studenti da un’università ad un’altra, al riconoscimento dei crediti già maturati dallo studente, "secondo criteri e modalità previsti dal regolamento didattico del corso di laurea magistrale di destinazione"; In assenza, in definitiva, di specifiche, contrarie disposizioni di legge ( atteso che, come risulta dall’excursus sopra compiuto, l’art. 4 della legge n. 264/1999 non è applicabile all’ipotesi del trasferimento di studenti universitarii da un Ateneo straniero ad uno nazionale ), potrà legittimamente dispiegarsi, nella materia de qua, la sola autonomia regolamentare di ciascun ateneo che, anche eventualmente condizionando l’iscrizione-trasferimento al superamento di una qualche prova di verifica del percorso formativo già compiuto: - stabilirà le modalità di valutazione dell’offerta potenziale dell’ateneo ai fini della determinazione, per ogni anno accademico ed in relazione ai singoli anni di corso, dei posti disponibili per trasferimenti, sulla base del rispetto imprescindibile della ripartizione di posti effettuata dal Ministero negli anni precedenti - nell’àmbito delle disponibilità per trasferimenti stabilirà le modalità di graduazione delle domande; - fisserà criteri e modalità per il riconoscimento dei crediti, anche prevedendo "colloqui per la verifica delle conoscenze effettivamente possedute" ( art. 3, comma 8, del D.M. 16 marzo 2007 ); - in tale àmbito determinerà i criteri, con i quali i crediti riconosciuti ( in termini di esami sostenuti ed eventualmente di frequenze acquisite ) si tradurranno nell’iscrizione ad un determinato anno di corso, sulla base del rispetto dei requisiti previsti dall’ordinamento didattico della singola università per la generalità degli studenti ai fini della iscrizione ad anni successivi al primo. Alla luce dei principi enunciati dalla Adunanza plenaria, il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello in esame in quanto il diniego di iscrizione è stato opposto dall’Università de L’Aquila sulla base della mera circostanza secondo cui gli studenti universitari qui appellati non si erano sottoposti ai test di ingresso previsti per il primo anno di iscrizione dalla legislazione nazionale suindicata. Senonchè - precisa il Collegio - una tale interpretazione è contrastante con la normativa nazionale come interpretata dalla sentenza della Adunanza plenaria, che peraltro si pone in perfetta linea di coerenza con le coordinate desumibili dall’ordinamento comunitario. Ed infatti se è pur vero che l'ordinamento comunitario garantisce, a talune condizioni, il riconoscimento dei soli titoli di studio e professionali e non anche delle procedure di ammissione, che non risultano armonizzate ciò, tuttavia, lungi dal confermare la veduta tesi restrittiva, significa soltanto che il possesso dei requisiti di ammissione ad un ateneo europeo non dà di per sé "diritto" al trasferimento dello studente in qualsiasi altro Ateneo di diverso Stato dell’Unione Europea. Ma negare tout court il diritto al trasferimento in Italia degli studenti provenienti da Università di altri Paesi UE sarebbe contrario al principio di libertà di circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati comunitari (art. 21 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), suscettibile di applicazione non irrilevante nel settore dell’istruzione tenuto conto delle competenze attribuite all’Unione per il sostegno e completamento dell’azione degli Stati membri in materia di istruzione e formazione professionale (art. 6, lettera e), del Trattato), nonché degli obiettivi dell’azione dell’Unione fissati dall’art. 165 n. 2 secondo trattino del Trattato stesso, teso proprio a "favorire la mobilità degli studenti …, promuovendo tra l’altro il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio". Ferma, dunque, la non equipollenza delle competenze e degli standard formativi richiesti per l’accesso all’istruzione universitaria nazionale ( sì che non sarebbe predicabile l’equivalenza del superamento della prova di ammissione ad un’università straniera con quella prevista dall’ordinamento nazionale ), una limitazione, da parte degli Stati membri, all’accesso degli studenti provenienti da università straniere per gli anni di corso successivi al primo della Facoltà di medicina e chirurgia ( qual è indubbiamente la necessità del superamento, ai fini dell’accesso stesso, di una prova selettiva nazionale predisposta, come s’è visto, ai soli fini della iscrizione al primo anno, in quanto volta ad accertare la "predisposizione" ad un corso di studi in realtà già in parte compiuto da chi intenda iscriversi ad uno degli anni successivi ), si pone in contrasto con il predetto principio di libertà di circolazione. La stessa Corte di Giustizia ha confortato tale tesi con la sentenza 13 aprile 2010, n. 73 resa nel procedimento C-73/08, affermando che, se è pur vero che il diritto comunitario non arreca pregiudizio alla competenza degli Stati membri per quanto riguarda l'organizzazione dei loro sistemi di istruzione e di formazione professionale - in virtù degli artt. 165, n. 1, TFUE, e 166, n. 1, TFUE -, resta il fatto, tuttavia, che, nell'esercizio di tale potere, gli Stati membri devono rispettare il diritto comunitario, in particolare le disposizioni relative alla libera circolazione e al libero soggiorno sul territorio degli Stati membri (v., in tal senso, sentenze 11 settembre 2007, causa C-76/05, Schwarz e Gootjes-Schwarz, Racc. pag. I-6849, punto 70, nonché 23 ottobre 2007, cause riunite C-11/06 e C-12/06, Morgan e Bucher, Racc. pag. I-9161, punto 24). In definitiva, ciò che soltanto appare compatibile con l’ordinamento comunitario è che sia lasciata all’autonomia dell’università il riconoscimento dei periodi di studio svolti all’estero ( e dunque anche quelli non sfociati in un "titolo" ivi conseguito ), tenendo conto del dato sostanziale costituito dalla completezza, esaustività, corrispondenza dei corsi da accreditare con gli omologhi corsi nazionali, prendendo in considerazione i contenuti formativi del corso di studi seguito all’estero con riferimento alle discipline oggetto d'esame; potere, questo, rispetto al quale completamente ultronea risulta la pretesa di effettuazione di una preliminare verifica della "predisposizione" a studi già in parte compiuti. Detta norma consente anche di superare qualsiasi dubbio di discriminazione fra studenti universitari provenienti da università italiane ( che comunque hanno a suo tempo superato, ai fini dell’accesso all’università di provenienza, una prova di ammissione ex art. 4 della legge n. 264/1999 ) e studenti universitari provenienti da università straniere ( che una prova di ammissione alla stessa non abbiano sostenuto o che comunque abbiano superato una prova di tal fatta del tutto irrilevante per l’ordinamento nazionale ), giacché il trasferimento interviene, sia per lo studente che eserciti la sua "mobilità" in àmbito nazionale che per lo studente proveniente da università straniere, non più sulla base di un requisito pregresso di ammissione agli studi universitari ormai del tutto irrilevante perché superato dal percorso formativo-didattico già seguito in àmbito universitario, ma esclusivamente sulla base della valutazione dei crediti formativi affidata alla autonomia universitaria, in conformità con i rispettivi ordinamenti, sulla base del principio di autonomia didattica di ciascun ateneo ( art. 11 della legge n. 341 del 1990, che affida l'ordinamento degli studi dei corsi e delle attività formative ad un regolamento degli ordinamenti didattici, denominato "regolamento didattico di ateneo"; v. anche l'art. 2, comma 2, del d.m. 22 ottobre 2004, n. 270, che dispone che - ai fini della realizzazione della autonomia didattica di cui all'art. 11 della legge n. 341 del 1990 - le università, con le procedure previste dalla legge e dagli statuti, disciplinano gli ordinamenti didattici dei propri corsi di studio in conformità con le disposizioni del medesimo regolamento, nonché l'art. 11, comma 9, dello stesso D.M., che, a proposito dei regolamenti didattici di ateneo, prevede che le università, con appositi regolamenti, riordinano e disciplinano le procedure amministrative relative alle carriere degli studenti in accordo con le disposizioni del regolamento statale).
La questione controversa attiene alla verifica della compatibilità comunitaria della scelta della Amministrazione universitaria di negare ( con revirement sollecitato da una nota ministeriale, pur essa oggetto di impugnazione di primo grado, rispetto alla prima determinazione di ammissione ai corsi ... Continua a leggere
Revocazione: i tre requisiti necessari per dimostrare "l'abbaglio dei sensi" del giudice

L’art. 106 cod. proc. amm. stabilisce che «le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile». La giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che l’istituto della revocazione è un rimedio eccezionale che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio (tra le altre, Cons. Stato, sez. VI, 18 marzo 2014, n. 1334). In particolare, avendo riguardo a quanto rileva in questa sede, l’art. 395, comma 1, numero 4, cod. proc. civ. prescrive che la revocazione è ammissibile «se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa», specificando che «vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare». La giurisprudenza amministrativa ritiene costantemente che per aversi errore di fatto revocatorio e conseguente «abbaglio dei sensi» del giudice devono sussistere, contestualmente, tre requisiti: a) attinenza dell’errore ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; b) «pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale» di atti ritualmente prodotti nel giudizio, «la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere esistente un fatto documentalmente escluso o inesistente un fatto documentalmente provato»; c) valenza decisiva dell’errore sulla decisione essendo necessario che vi sia «un rapporto di causalità tra l’erronea supposizione e la pronuncia stessa» (tra le altre, Consiglio di Stato, sez. IV, 24 gennaio 2011, n. 503). Devono, invece, ritenersi vizi logici e dunque errori di diritto quelli consistenti nell’erronea interpretazione e valutazione dei fatti» e, più in generale, delle risultanze processuali (Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 2010, n. 7599; id., sez. VI, 5 settembre 2011, n. 4987). In definitiva, «mentre l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al significato letterale» esso non ricorre, tra l’altro, «nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali», che può dare luogo «se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione» (Cons. Stato, Ad. plen., 10 gennaio 2013, n. 1).
L’art. 106 cod. proc. amm. stabilisce che «le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile». La giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere ch ... Continua a leggere