
News 10 Marzo 2015 - Area Amministrativa
Lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti: in Gazzetta Ufficiale il Decreto legislativo n. 23/2015

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6.3.2014 il Decreto legislativo n. 23/2015 recante "Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183". Entrata in vigore del provvedimento: 7.3.2015. Perscaricare il D.lgs n. 23/2015 cliccare su "Accedi al Provvedimento".
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6.3.2014 il Decreto legislativo n. 23/2015 recante "Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183". Entrata in vigore del provvedimento: 7.3.2015. Per ... Continua a leggere
Ammortizzatori sociali: in Gazzetta Ufficiale il Decreto legislativo n. 22/2015

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6.3.2015 il D.lgs n. 22/2015 recante "Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre2014, n. 183.". Entrata in vigore del provvedimento: 07/03/2015. Per scaricare il D.lgs n. 22/2015 cliccare su "Accedi al Provvedimento".
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6.3.2015 il D.lgs n. 22/2015 recante "Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre ... Continua a leggere
Giudizio di ottemperanza: il ricorso proposto per ottenere chiarimenti sulle modalità di ottemperenza
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.3.2015

Giudizio di ottemperanza: il ricorso proposto per ottenere chiarimenti sulle modalità di ottemperanzaIn linea principale e di principio il ricorso di cui al comma 5 dell’art.112 c.p.a. proposto al fine di "ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza", pur inserito nell’ambito del giudizio di ottemperanza ha sue precise caratteristiche e peculiarità (Cons. Stato Sez. IV 17/12/2012 n.6468).Siamo più propriamente di fronte all’ipotesi in cui non si insorge contro la volontà di non ottemperare né contro una intervenuta violazione o elusione del giudicato, ma in cui si chiede al giudice che ha pronunciato una precedente sentenza i chiarimenti di punti del decisum che presentano elementi di dubbio o di non immediata chiarezza e quello testé indicato è il perimetro di giudizio entro il quale va definita l’azione giurisdizionale qui proposta dagli interessati senza che possano introdursi ragioni di doglianze volte a modificare e/o solo integrare il proprium delle statuizioni rese con la decisione di merito.Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.3.2015
Giudizio di ottemperanza: il ricorso proposto per ottenere chiarimenti sulle modalità di ottemperanzaIn linea principale e di principio il ricorso di cui al comma 5 dell’art.112 c.p.a. proposto al fine di "ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza", pur inserito nell’ambito del g ... Continua a leggere
Silenzio-inadempimento dell'Amministrazione: l'inerzia deve essere contestata entro il termine massimo di un anno (dal termine assegnato all’Amministrazione per la conclusione del procedimento)
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 3.3.2015

L’azione promossa contro il silenzio "inadempimento" dell’Amministrazione tende all’accertamento dell’illegittimità del comportamento omissivo della stessa, quale violazione dell’obbligo di pronunciarsi in modo espresso sull’accoglibilità o meno di una domanda che ad essa è stata avanzata.L’Amministrazione è, infatti, tenuta ad adottare un provvedimento motivato sulle istanze volte ad ottenere l’esercizio di un potere che l’ordinamento le ha attribuito (quando al silenzio non è attribuito dalla legge un significato di assenso o di diniego sulla richiesta presentata), e ciò anche quando eventualmente ritenga di dover respingere le domande presentate (fatto salvo il caso di domande manifestamente prive di fondamento o sulle quali ha già provveduto), anche al fine di consentire agli interessati di poter utilizzare tutti gli strumenti che l’ordinamento ha previsto per la tutela delle loro ragioni.Il giudizio sul silenzio inadempimento (o rifiuto), ora disciplinato dagli artt. 117 e 31 del Codice del processo amministrativo (e prima dall’art. 21 bis della legge T.A.R.), ha pertanto per oggetto l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza che le è stata presentata e sulla quale doveva provvedere.Il primo comma dell’art. 31 prevede quindi che «decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere». Il secondo comma della citata norma prevede poi che «l’azione può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. È fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti».La suddetta disposizione stabilisce che l’azione contro il silenzio dell’Amministrazione può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e cioè fino a quando l’Amministrazione non ha (anche se tardivamente) provveduto, non avendo la legge assegnato al silenzio il significato di accoglimento o di rigetto della domanda.Ciò conferma la natura non perentoria del termine di conclusione del procedimento, fatte salve le possibili conseguenze per il ritardo a provvedere, non essendo stata prevista la consumazione del potere amministrativo allo scadere del termine assegnato per la conclusione del procedimento. Tuttavia, per evitare una indefinita protrazione della possibilità di proporre la relativa azione davanti al giudice amministrativo, è stato previsto il termine massimo di un anno entro il quale deve essere contestata l’inerzia illegittima dell’amministrazione.Il legislatore, infatti, al fine di attenuare il rischio che, eliminato l’onere della diffida, il silenzio inadempimento potesse divenire inoppugnabile dopo il decorso del termine (normalmente) più breve previsto per proposizione dei ricorsi davanti al giudice amministrativo, ha ritenuto congruo assegnare alla parte istante il termine di un anno (dal termine assegnato all’Amministrazione per la conclusione del procedimento) per esercitare l’azione tendente ad accertare l’illegittimità dell’inerzia.Decorso tale termine la parte, se ha ancora interesse ad ottenere una pronuncia dall’Amministrazione, può rivolgere alla stessa una nuova istanza ed eventualmente, se l’Amministrazione non provvede nel termine procedimentale assegnato, può impugnare tempestivamente il nuovo silenzio inadempimento formatosi.Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 3.3.2015
L’azione promossa contro il silenzio "inadempimento" dell’Amministrazione tende all’accertamento dell’illegittimità del comportamento omissivo della stessa, quale violazione dell’obbligo di pronunciarsi in modo espresso sull’accoglibilità o meno di una domanda che ad essa è stata avanzata.L’Amminis ... Continua a leggere
Il potere di ordinanza del Sindaco: i presupposti per l'adozione dell'ordinanza extra ordinem
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 2.3.2015

Nel giudizio in esame si controverte della legittimità dell'ordinanza contingibili ed urgente adottata dal Sindaco ex art. 50 D.lgs n. 267/2000 di sospensione di deposito e di sgombero di terra depositata, in ordine alla quale il Consiglio di Stato nella sentenza del 2 marzo 2015 ha ritenuto che non siano ravvisabili i presupposti per l'adozione di un'ordinanza extra ordinem.Per un verso, infatti, precisa il Collegio, l’Amministrazione non ha effettuato una specifica istruttoria sulla asserita pericolosità del materiale inerte depositato rispetto alle falde acquifere, né la sua specifica interferenza con la linea elettrica,limitandosi ad enunciare tali evenienze in modo generico ed apodittico.Per altro verso, poi, il riferimento alla quantità del materiale depositato ha genericamente riguardato un "rilevante accumulo", senza alcuna ulteriore specificazione, tale da evidenziare una effettiva pericolosità dello stato dei luoghi.Secondo il costante insegnamento della giurisprudenza "il potere di ordinanza presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e congrua motivazione, ed in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale" (Cons. Stato, Sez. V, 25 maggio 2012, n. 3077, che richiama Cons. Stato, Sez. V, 20 febbraio 2012, n. 904 e Cons. Stato, Sez. VI, 5 settembre 2005, n. 4525).Per acquisire gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 2.3.2015
Nel giudizio in esame si controverte della legittimità dell'ordinanza contingibili ed urgente adottata dal Sindaco ex art. 50 D.lgs n. 267/2000 di sospensione di deposito e di sgombero di terra depositata, in ordine alla quale il Consiglio di Stato nella sentenza del 2 marzo 2015 ha ritenuto che no ... Continua a leggere
Concorso per la nomina di ricercatori universitari: la procedura di valutazione comparativa
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 2.3.2015

In materia di procedura di valutazione comparativa per ricercatori universitari, i parametri per la valutazione dei titoli e delle pubblicazioni, delineati dagli artt. 1, comma 7, d.-l. 10 novembre 2008, n. 180, e 2 e 3 del d.m. 28 luglio 2009, n. 89, cui si è uniformato il bando in oggetto (v. art. 5 del bando), sono rimasti pressoché identici rispetto a quelli già individuati dal previgente d.P.R. 23 marzo 2000, n. 117 – peraltro, espressamente richiamato nella premesse del decreto ministeriale –, con l’aggiunta di alcuni titoli relativi ad attività all’epoca non considerate dall’art. 4, comma 4, d.P.R. n. 117 del 2000, e con la specificazione di qualche criterio di valutazione delle pubblicazioni già sostanzialmente previsto dai commi 2 e 3 del citato art. 4. Quanto alla metodologia di valutazione, la sua natura «analitica» imposta per il giudizio sui titoli dall’art. 3, comma 1, d.m. n. 89 del 2009 – mentre, per le pubblicazioni, l’aggettivazione in esame è impiegata in relazione alla sola determinazione del contributo individuale in caso di opere collettanee –, non ha apportato una sostanziale innovazione alla disciplina precedente, la quale già aveva imposto una valutazione «specifica» dei titoli, in sede di giudizio comparativo (v. art. 4, comma 4, d.P.R. n. 117 del 2000), dovendosi attribuire alle due locuzioni lessicali un significato sostanzialmente identico nel contesto normativo di riferimento, nel senso della natura puntuale ed individuale della valutazione da compiere sulle singole categorie di titoli individuate dal richiamato decreto ministeriale, nelle quali siano sussumibili i singoli dati curriculari. Per quanto attiene all’oggetto della valutazione comparativa «analitica» dei titoli, esso deve essere riferito alla singole tipologie o categorie di titoli ed attività individuate dall’art. 2, nelle quali siano sussumibili le singole, concrete attività indicate dai concorrenti nei rispettivi curricula, e non già a queste ultime in sé e per sé considerate, che possono anche sottrarsi ad una valutazione comparativa per il difetto di un omogeneo tertium comparationis, sicché il criterio metodologico da seguire dalla commissione riguarda la analiticità tipologica, e non già la analiticità oggettuale, in funzione di un giudizio comparativo sulla significatività scientifica dei curricula presentati dai candidati. Identico approccio metodologico deve essere applicato alla valutazione delle pubblicazioni, in cui non occorre la valutazione di ogni singola pubblicazione, ma solo delle pubblicazioni costituenti espressione di una significatività scientifica rilevante ai fini del giudizio di idoneità all’attività di ricerca e meritevoli di essere sottoposti ad una valutazione comparativa alla stregua dei criteri dettati dall’art. 3 del citato decreto ministeriale. Diversamente opinando – ossia ritenendo, come assunto nell’impugnata sentenza, che sia necessaria una valutazione comparativa analitica di ogni singolo titolo/attività e di ogni singola pubblicazione, di cui ciascuna da valutare comparativamente alla stregua di ciascuno dei criteri di «originalità», «innovatività», «importanza», «congruenza con il settore scientifico-disciplinare», «rilevanza editoriale» e «diffusione nella comunità scientifica» (nella impugnata sentenza, con richiamo ad alcuni precedenti di T.a.r., si assume la «necessità di redigere una tabella per ogni singolo candidato, elencando a sinistra tutti i titoli e le pubblicazioni valutabili, e a destra la valutazione specifica ed analitica per ognuno di essi»), si perverrebbe ad un irragionevole esito di pratica ingestibilità delle procedure valutative in questione (così, ad esempio, ipotizzando la partecipazione di soli dieci candidati, ciascuno dei quali presenti dieci titoli e dieci pubblicazioni da valutare comparativamente a coppie, la commissione giudicatrice sarebbe tenuta a compilare migliaia di griglie comparative, tenuto conto di tutte possibili combinazioni di raffronto ‘a coppia’ tra tutti i candidati). Il senso della prescrizione del carattere analitico della valutazione da compiere dalla commissione non può, dunque, che essere quello di imporre alla stessa di tenere, bensì, conto di tutti i dati curriculari indicati dai candidati (titoli e pubblicazioni), ma di sceverare – ovviamente, secondo percorsi logici coerenti e di congruo apprezzamento scientifico – i dati rilevanti al fine della compiuta valutazione della maturità scientifica dei candidati e della correlativa valutazione comparativa, da quelli non significativi, sulla base di un’altrettanto congrua ed adeguata motivazione, e di esprimere il giudizio comparativo sui dati così (motivatamente) enucleati. Ne deriva che continua a restare valido l’orientamento consolidato di questa Sezione, formatosi sul preesistente quadro normativo (v. sul punto, per tutte, Cons. Stato, VI, 27 novembre 2012, n. 5983, con ampi richiami giurisprudenziali), secondo cui la prescrizione della valutazione specifica dei titoli, di cui all’art. 4, comma 4, d.P.R. n. 117 del 2000, deve essere rapportata alla finalità assegnata dalla normativa alla valutazione comparativa, consistente in un raffronto, attraverso la valutazione dei titoli e delle pubblicazioni, della personalità scientifica dei vari candidati, dei quali va ricostruito il profilo complessivo risultante dalla confluenza degli elementi che lo compongono, da apprezzare in tale quadro non isolatamente, ma in quanto correlati nell’insieme secondo il peso che assumono in una interazione di sintesi oggetto di un motivato giudizio unitario; la suddetta valutazione specifica dei titoli deve, dunque, essere svolta, ma non con dettaglio tale da instaurare una valutazione comparativa puntuale di ciascun candidato rispetto agli altri per ciascuno dei titoli, poiché, diversamente, si perderebbe la contestualità sintetica della valutazione globale, risultando perciò necessario e sufficiente che i detti titoli siano stati acquisiti al procedimento e vi risultino considerati nel quadro della detta valutazione. Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provveddimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 2.3.2015
In materia di procedura di valutazione comparativa per ricercatori universitari, i parametri per la valutazione dei titoli e delle pubblicazioni, delineati dagli artt. 1, comma 7, d.-l. 10 novembre 2008, n. 180, e 2 e 3 del d.m. 28 luglio 2009, n. 89, cui si è uniformato il bando in oggetto (v. ar ... Continua a leggere
Scuola: legittima la revoca della parità scolastica se non sono più garantiti i principi di trasparenza, correttezza e legalità
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 2.3.2015

Il Consiglio di Stato nella sentenza del 2 marzo 2015 ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso proposto da un'istituto scolastico contro il provvedimento di revoca della parità scolastica dei corsi tenuti dall'Istituto.In primo luogo il Collegio ha confermato la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto i motivi relativi alla pretesa violazione degli obblighi partecipativi: per costante e condiviso principio, l'obbligo di avviso dell’avvio del procedimento amministrativo previsto dall'art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 non sussiste quando manchi l'utilità della comunicazione, perché il provvedimento adottato non poteva avere altro contenuto, trattandosi di atto completamente vincolato, e quando l’urgenza di provvedere sia tale da imporre un’azione immediata. Entrambi tali presupposti ricorrono nella fattispecie in esame, nella quale un’indagine penale aveva evidenziato profili di reato tali da imporre addirittura il sequestro preventivo della struttura scolastica, allo scopo di impedire la protrazione dell’azione criminosa: è evidente che, in relazione alle esigenze così rappresentate, l’azione amministrativa legittimamente si è espressa con rapidità e conformemente alle esigenze emerse in sede penale.Per ragioni analoghe, precisa il Collegio, non sussiste la violazione del d.m. n. 267 del 2007 e delle linee guida sopra richiamate, dal momento che in nessun modo la società ricorrente avrebbe potuto rimediare alla mancanza del requisito evidenziato nel provvedimento impugnato.A questo proposito, il Consiglio di Stato sottolinea (ed è circostanza decisiva) che il decreto di revoca della parità scolastica non è motivato solo sul venir meno dei locali e delle attrezzature per effetto dell’esecuzione del sequestro, ma anche, e soprattutto, sulla considerazione che non sono più garantiti i principi di trasparenza, correttezza e legalità indispensabili per l’erogazione del servizio pubblico scuola, evidentemente in relazione ai medesimi fatti che hanno determinato l’indagine penale.Peraltro, il provvedimento di revoca è intervenuto quando effettivamente l’Istituto aveva perso la disponibilità dei locali per effetto del sequestro disposto dal giudice penale, locali poi dissequestrati: la sentenza merita conferma, perciò, laddove rileva che il provvedimento impugnato in principalità ha tratto le doverose conseguenza dalla mancanza dei requisiti postulati dall’art. 1, comma 4, lett. b) della legge 10 marzo 2000, n. 62, secondo cui presupposto per la concessione della parità scolastica è "la disponibilità di locali, arredi e attrezzature didattiche propri del tipo di scuola e conformi alle norme vigenti", disponibilità al momento non esistente.Tale disponibilità, è vero, è tornata in essere alla data del 14 maggio 2013: ma da questa considerazione non possono derivare le conseguenze che l’appellante pretende di trarre nel senso della illegittimità della revoca. Tanto quest’ultimo provvedimento, quanto quello che ha disposto il dissequestro, si fondano, infatti, sulle medesime valutazioni in ordine alle numerose irregolarità/illegittimità riscontrate nella gestione della scuola: la revoca, nel citare espressamente i principi di trasparenza, correttezza e legalità che sono venuti a mancare, il dissequestro, nell’assumere a proprio fondamento la revoca della quale, quindi, sussume i presupposti.Aggiunge il Collegio che la sentenza in esame deve, perciò, essere integrata nella motivazione, poiché l’impugnata revoca è motivata (non solo e non tanto sull’indisponibilità dei locali, ma) sulla considerazione, derivante dalle medesime circostanze che hanno determinato il provvedimento di sequestro, della mancanza di trasparenza, correttezza e legalità necessarie per il riconoscimento della parità scolastica.E’allora dirimente la considerazione delle numerose irregolarità, anche aventi, appunto, rilevanza penale, riscontrate a carico dell’istituto e documentate in causa, a partire dalla mancanza degli atti d’ufficio relativi alle prove d’esame, allo svolgimento delle lezioni e alla partecipazione degli studenti alla vita scolastica (mancanza attestata nella nota ministeriale), per giungere ai rilievi che hanno condotto all’imputazione degli amministratori della società Centro scolastico in ordine ai reati, tra gli altri, di falso in atto pubblico e di soppressione di atti pubblici. E, se la rilevanza penale dei fatti addebitati è strettamente personale e, quindi, attiene alla responsabilità delle persone che rivestivano ruoli e cariche nella società Centro Scolastico, nondimeno dalla vicenda emerge chiaramente l’effettiva e complessiva mancanza di trasparenza, correttezza e legalità riguardante la gestione dell’istituto scolastico, che il provvedimento di revoca assume a presupposto.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 2.3.2015
Il Consiglio di Stato nella sentenza del 2 marzo 2015 ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso proposto da un'istituto scolastico contro il provvedimento di revoca della parità scolastica dei corsi tenuti dall'Istituto.In primo luogo il Collegio ha confermato la sente ... Continua a leggere
Illegittima la costituzione di parte civile a mezzo del sostituto processuale: nuovo revirement della Cassazione
Nota dell'Avv. Luca Petrucci e Avv. Giulio Vasaturo alla sentenza della Corte di Cassazione

"Non è possibile per il sostituto del difensore, procuratore speciale del danneggiato dal reato, operare in udienza la costituzione di parte civile in assenza della procura speciale o della parte delegante". La terza sezione penale della Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 6184 dell’11febbraio 2015, avalla l’interpretazione più restrittiva del combinato disposto degli artt. 76, 78, 100 e 122 c.p.p., escludendo con tono perentorio che il difensore munito di procura speciale, da lui stesso autenticata, possa delegare al proprio sostituto processuale il potere di costituirsi nel giudizio penale in rappresentanza della parte civile. Tale orientamento si pone in netto contrasto con altre pronunce della Suprema Corte che hanno invero sancito il principio opposto, consentendo la sostituzione processuale, anche ai fini del deposito dell’atto di costituzione di parte civile, allorché la procura speciale conferita al difensore riconosca espressamente la facoltà di subdelega (fra tutte, Cass. pen., sez. V, 27 maggio 2014-dep. 11 luglio 2014, n. 30793). Nel vivace contrasto giurisprudenziale, la sentenza n. 6184/2015 spicca dunque per l’estremo rigore che ha indotto il giudice delle leggi a stabilire che, in ambito penale, «l’azione civile può essere esercitata soltanto da un procuratore speciale abilitato a costituirsi in nome e per conto del rappresentato, secondo le prescrizioni modali degli artt. 76, 78 e 122 cod.proc.pen., e non anche dal sostituto processuale (privo di procura speciale), il quale opera in maniera vicaria rispetto al difensore e non al procuratore speciale» e ciò in quanto "sono delegabili le attività defensionali e non i poteri di natura sostanziale". Cosa fare allora in caso di insuperabile impedimento del difensore-procuratore speciale a partecipare all’udienza di costituzione delle parti? Al riguardo, la sentenza in esame fornisce una sorta di vademecum: a) la costituzione di parte civile può essere presentata dal difensore-procuratore speciale prima dell’udienza, ai sensi dell’art. 78, comma 2, c.p.p., ma in tal caso l’atto deve essere notificato alle altre parti processuali; b) sembra rimanere valida la costituzione di parte civile anche a mezzo di sostituto processuale, se avvenuta in presenza della persona offesa, nel qual caso deve ritenersi effettuata direttamente dal titolare del relativo diritto (in tal senso la sentenza de qua fa richiamo a Cass.pen., sez. III, 27.1.2006, n. 13699 e Cass.pen., sez. V, 3.2.2010, n. 19548. Contra Cass.pen., sez. V, 23.10.2009, n. 6680); c) il mandatario può procedere alla nomina di piùprocuratori speciali (dato che l’unicità del mandato al difensore è imposta, ex art. 100 c.p.p., ai soli fini processuali, e non limita, a fini sostanziali, la nomina di più procuratori speciali). La procura speciale rilasciata a più persone va però redatta, inderogabilmente, con atto di notaio o di altro pubblico ufficiale autorizzato ai sensi dell’art. 2703 c.c., dato che il difensore non può autenticare la procura speciale rilasciata ad altri oltre che a se stesso (art. 122, comma 1, c.p.p.). Ad ogni buon conto, ci sentiamo di consigliare sempre, ai fini della costituzione di parte civile, la presenza in aula del difensore-procuratore speciale della persona offesa, la cui legittimazione formale e sostanziale per gli adempimenti di cui agli artt. 76, 78 e 100 c.p.p. rimane l’unica certezza che l’altalenante giurisprudenza della Suprema Corte non ha mai osato mettere in discussione. Avv. Luca PetrucciAvv. Giulio Vasaturo
Nota dell'Avv. Luca Petrucci e Avv. Giulio Vasaturo alla sentenza della Corte di Cassazione
"Non è possibile per il sostituto del difensore, procuratore speciale del danneggiato dal reato, operare in udienza la costituzione di parte civile in assenza della procura speciale o della parte delegante". La terza sezione penale della Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 6184 dell’11 ... Continua a leggere
Svolgimento di mansioni superiori: le tre condizioni per ottenere le differenze retributive nel comparto sanità
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 2.3.2015

La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 2 marzo 2015 ha affrontato la problematica relativa al riconoscimento delle maggiore retribuzione per lo svolgimento di mansioni superiori affrontando la problematica generale dell'irrilevanza ai fini giuridici ed economici dello svolgimento delle mansioni superiori nel settore del pubblico impiego.In particolare, il Consiglio di Stato per quanto attiene al comparto sanitario ha evidenziato che ai sensi dell'art. 29, d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, nella lettura che di esso hanno dato la Corte costituzionale e il Consiglio di Stato, la maggiore retribuzione per lo svolgimento di mansioni superiori spetta al dipendente a condizione che vi sia stato un atto formale di incarico relativo alla copertura temporanea di un posto vacante in organico, e sempreché tale atto provenga dall'organo competente ad emanare i provvedimenti in materia di stato giuridico e trattamento economico del personale, non essendo sufficienti a questo riguardo eventuali ordini di servizio di un superiore gerarchico (Consiglio di Stato, sez. III, 24/09/2013, n. 4688; 8 ottobre 2012, n. 5221)In generale poi il Collegio ha ribadito i principi sanciti dalla giurisprudenza consolidata (sentenze 31 maggio 2013, n. 2979; 23 maggio 2013, n. 2794) a tenere dei quali ai sensi dell'art. 29, comma 2, del d.P.R. 761/1979- in deroga al generale principio dell'irrilevanza ai fini giuridici ed economici dello svolgimento delle mansioni superiori nel settore del pubblico impiego - è ammessa la retribuibilità delle stesse solo in presenza di tre contestuali condizioni: I) esistenza in organico di un posto vacante cui ricondurre le mansioni di più elevato livello; II) previa adozione di un atto deliberativo di assegnazione delle mansioni superiori da parte dell'organo a ciò competente (potendosene prescindere solo nel caso di sostituzione nell'esercizio delle funzioni medico- primariali); III) espletamento delle suddette mansioni per un periodo eccedente i sessanta giorni nell'anno solare.Nel caso dell'appellante, prescindendo da ogni valutazione in ordine al contenuto ed alla corrispondenza funzionale delle mansioni svolte, pur supponendo che si sia trattato effettivamente di mansioni superiori alla qualifica formalmente rivestita, manca, quanto meno, il previo conferimento formale da parte dell'organo competente in materia di gestione del personale.Per acquisire gratuitamenete la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 2.3.2015
La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 2 marzo 2015 ha affrontato la problematica relativa al riconoscimento delle maggiore retribuzione per lo svolgimento di mansioni superiori affrontando la problematica generale dell'irrilevanza ai fini giuridici ed economici dello svolgiment ... Continua a leggere
Motivazione del provvedimento amministrativo: nell'attuale assetto normativo devono ritenersi attenuate le conseguenze del principio del divieto di integrazione postuma

La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha condiviso l’opinione della dottrina maggioritaria secondo cui, alla luce dell'attuale assetto normativo, devono ritenersi attenuate le conseguenze del principio del divieto di integrazione postuma della motivazione del provvedimemto amministrativo. E’ ben noto peraltro che la affermazione prima riportata sia stata circondata da rilevanti cautele, essendosi a più riprese precisato che il relativo vizio risulta dequotato solo nelle ipotesi in cui l'omissione di motivazione successivamente esternata non abbia leso il diritto di difesa dell'interessato, nei casi in cui, in fase infraprocedimentale, risultino percepibili le ragioni sottese all'emissione del provvedimento gravato, nonché, infine, nei casi di atti vincolati (ex aliis, ancora di recente Cons. Stato Sez. IV, Sent., 04-03-2014, n. 1018).Per acquisire gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha condiviso l’opinione della dottrina maggioritaria secondo cui, alla luce dell'attuale assetto normativo, devono ritenersi attenuate le conseguenze del principio del divieto di integrazione postuma della motivazione del provvedimemt ... Continua a leggere