News 16 Ottobre 2014 - Area Amministrativa


NORMATIVA

Avvocati: in Gazzetta Ufficiale il nuovo Codice deontologico forense

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É stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 241 del 16.10.2014 il comunicato del Consiglio Nazionale Forense relativo al nuovo Codice deontologico che si composto di 73 articoli ed entrerà in vigore il 15 dicembre 2014. Per scaricare il Codice deontologico cliccare su "Accedi al Provvedimento

 
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É stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 241 del 16.10.2014 il comunicato del Consiglio Nazionale Forense relativo al nuovo Codice deontologico che si composto di 73 articoli ed entrerà in vigore il 15 dicembre 2014. Per scaricare il Codice deontologico cliccare su "Accedi al Provvedimento ... Continua a leggere

 

Legge di Stabilità 2015: approvato dal Consiglio dei Ministri il disegno di legge recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.

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Il Consiglio dei Ministri mercoledì 15 ottobre 2014 ha approvato il disegno di legge recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2015). Una manovra finanziaria di 36 miliardi di euro. Con apposito comunicato la Presidenza del Consigliodei ministri indica i seguenti punti principali della legge: Meno tasse per 18 miliardi; Gli 80 euro diventano una misura definitiva; Via gli alibi per chi deve assumere: zero contributi per i contratti a tempo indeterminato; Investimenti nei settori chiave del Paese: scuola, lavoro, giustizia; Riduzione del 70% del patto di stabilità per i Comuni; Più risorse per ricerca e innovazione; Stop alle spese non coperte; Spending review: taglio di 15 miliardi di euro; Recupero e contrasto dell’evasione per 3,8 miliardi e 1 miliardo dalle slot machines; Libertà per i lavoratori dipendenti di avere il TFR in busta paga con zero costi per le imprese. Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2015 e bilancio pluriennale per il triennio 2015-2017 (disegno di legge) Il Consiglio dei Ministri ha inoltre approvato il disegno di legge riguardante bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2015 e il bilancio per il triennio 2015-2017.

 
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Il Consiglio dei Ministri mercoledì 15 ottobre 2014 ha approvato il disegno di legge recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2015). Una manovra finanziaria di 36 miliardi di euro. Con apposito comunicato la Presidenza del Consiglio ... Continua a leggere

 

L’istituto dell’accesso civico: responsabilità delle pubbliche amministrazioni e opportunità per la società civile nel contributo dell'A.N.AC.

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L'Autorità Nazionale Anticorruzione ha diramato un comunicato di seguito riportato con il quale chiarisce ogni aspetto afferente il nuovo istituto dell'Acceso Civico introdotto nel codice del processo amministrativo dal D.lgs n. 33/2013. 1. Premessa L’istituto dell’accesso civico consente achiunque il diritto di richiedere, gratuitamente e senza necessità di motivazione, documenti, informazioni o dati di cui le pubbliche amministrazioni hanno omesso la pubblicazione prevista dalla normativa vigente. Per l’esercizio dell’accesso civico la richiesta deve essere presentata al Responsabile della trasparenza e, in caso di ritardo o di mancata risposta, al titolare del potere sostitutivo (cfr. art.5 del d.lgs. 33/2013). L’accesso civico va tenuto distinto dal diritto di accesso ai documenti amministrativi, la cui disciplina è contenuta nella l. 241/1990, ed è differente rispetto all’accesso civico (cfr. capo V della l. 241/1990 e FAQ n. 2.6 e n. 2.7 pubblicate sul sito dell’Autorità in materia di trasparenza). Eventuali segnalazioni in ordine a disfunzioni del procedimento di accesso agli atti, dunque, non devono essere trasmesse all’ANAC, che non ha competenze in materia, ma ai soggetti specificamente indicati nella legge n.241/1990, art. 25. La Delibera ANAC n. 50/2013 prevede che nel Programma triennale per la trasparenza e l’integrità siano indicate anche le "misure per assicurare l’efficacia dell’istituto dell’accesso civico". Il Piano Nazionale Anticorruzione considera l’accesso civico uno degli strumenti di perseguimento degli obiettivi di trasparenza amministrativa ai fini della prevenzione della corruzione e per l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa. 2. La responsabilità delle pubbliche amministrazioni Le pubbliche amministrazioni e, più in generale tutti i soggetti indicati nell’art. 11 del d.lgs.33/2013, hanno la responsabilità di organizzare, al proprio interno, sistemi che forniscano risposte tempestive alle richieste di accesso civico da parte dei cittadini e delle imprese, e di pubblicare, sul sito istituzionale, nella sezione "Amministrazione trasparente": 1) il nominativo del responsabile della trasparenza a cui presentare la richiesta di accesso civico, nonché il nominativo del titolare del potere sostitutivo con l’indicazione dei relativi recapiti telefonici e delle caselle di posta elettronica istituzionale; 2) le modalità per l’esercizio di tale diritto, avendo cura di assicurare un’adeguata evidenza alla comprensibilità delle informazioni fornite e mettendo eventualmente a disposizione modelli per le richieste di accesso civico. E’ compito del Responsabile della trasparenza, individuato all’interno di ciascuna pubblica amministrazione, controllare e assicurare la regolare attuazione dell’istituto dell’accesso civico (cfr. comma 4 dell’art. 43 del d.lgs. 33/2013). 3. L’accesso civico: opportunità per la vigilanza partecipativa della società civile Chiunque – cittadini, imprese, associazioni, etc. – rilevi, nei siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni e degli altri soggetti indicati nell’art. 11 del d.lgs. n. 33/2013, l’omessa pubblicazione di documenti, informazioni e dati previsti dalla normativa vigente in materia di trasparenza, utilizzando l’istituto dell’accesso civico può, dunque, segnalare l’inosservanza direttamente all’amministrazione inadempiente per ottenere rapidamente soddisfazione alla richiesta di dati e informazioni. 4. Segnalazioni all’ANAC solo dopo aver fatto richiesta di accesso civico alle amministrazioni Solo in caso di mancata presenza nei siti istituzionali delle amministrazioni delle necessarie indicazioni relative all’istituto dell’accesso civico ovvero in ipotesi di mancata risposta anche del titolare del potere sostitutivo, entro i termini previsti, da parte delle pubbliche amministrazioni cui è stata inoltrata la richiesta di accesso civico, sarà possibile inoltrare segnalazioni all’ANAC. sull’omessa pubblicazione di dati ai sensi della normativa vigente Per le segnalazioni all’ANAC, si ribadisce, dovrà essere utilizzata esclusivamente l’apposita procedura on line "Comunica con l’Autorità" (cfr. decisione dell’Autorità del 15 maggio 2014) disponibile sul sito www.anticorruzione.it, avendo cura di indicare gli estremi (data di invio) della richiesta di accesso civico inoltrata all’amministrazione, in assenza dei quali la segnalazione non verrà trattata. In caso di risposta ricevuta dall’amministrazione si richiede di chiarire, nel campo "note aggiuntive" del modulo, le ragioni per cui la stessa sia ritenuta incompleta o insoddisfacente. 5. La vigilanza dell’Autorità L’Autorità, nella sua attività istituzionale di vigilanza sul rispetto delle regole sulla trasparenza dell’attività amministrativa previste dalla normativa vigente, verifica sui siti delle pubbliche amministrazioni la effettiva messa a disposizione, per chiunque ne abbia interesse, delle informazioni necessarie per poter esercitare il diritto di accesso civico. Per scaricare il comunicato cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 
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L'Autorità Nazionale Anticorruzione ha diramato un comunicato di seguito riportato con il quale chiarisce ogni aspetto afferente il nuovo istituto dell'Acceso Civico introdotto nel codice del processo amministrativo dal D.lgs n. 33/2013. 1. Premessa L’istituto dell’accesso civico consente a ... Continua a leggere

 
GIURISPRUDENZA

Procedure concorsuali: la differenza tra atti di macro-organizzazione e di micro-organizzazione per l'individuazione del giudice competente

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 15.10.2014

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Secondo un primo consolidato indirizzo giurisprudenziale (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. V, 28 novembre 2013, n. 5684; Sez. V, 16 gennaio 2012, n. 138; Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6705), ai fini del riparto di giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego occorre distinguere tragli atti di macro – organizzazione (concernenti le linee fondamentali di organizzazione degli uffici ed i modi di conferimento degli incarichi dirigenziali, nonché le modalità di copertura del fabbisogno di personale), assoggettati a principi e regole pubblicistiche, e atti di micro – organizzazione, che si collocano al di sotto della soglia di configurazione degli uffici pubblici, con cui si dispone l’organizzazione dei singoli uffici, regolati dalla disciplina privatistica: appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie concernenti i primi (atti di macro – organizzazione), nei cui confronti, quali atti presupposti rispetto a quelli di organizzazione e gestione dei singoli rapporti di lavoro, sono astrattamente configurabili posizioni di interesse legittimo (potendo essi produrre effetti immediatamente pregiudizievoli per il dipendente ed essendo peraltro irrilevante – ai fini della giurisdizione – la loro incidenza riflessa sullo stesso rapporto di lavoro); mentre gli atti di micro – organizzazione, direttamente ed unicamente incidenti sulla concreta gestione del rapporto di lavoro, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario; e) in base ad un secondo, parimenti consolidato, indirizzo (cfr. fra le altre, Cass. civ., sez. un., 6 maggio 2013, n. 10404; 12 novembre 2012, n. 19595; 28 maggio 2012, n. 8410; 13 giugno 2011, n. 12895; 9 febbraio 2009, n. 3055), in materia di riparto di giurisdizione nelle controversie relative a procedure concorsuali nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, è necessario diversificare le varie fattispecie, invero: I) la cognizione della domanda, avanzata dal candidato utilmente collocato nella graduatoria finale, riguardante la pretesa al riconoscimento del diritto allo «scorrimento» della graduatoria del concorso espletato, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, facendosi valere, al di fuori dell’ambito della procedura concorsuale, il «diritto all’assunzione»; il fenomeno dello <> consente la stipulazione del contratto di lavoro con partecipanti risultati idonei e non vincitori, in forza di eventi successivi alla definizione del procedimento concorsuale con l'approvazione della graduatoria; ciò può avvenire o in applicazione di specifiche previsioni del bando, contemplanti l'ammissione alla stipulazione del contratto del lavoro degli idonei fino ad esaurimento dei posti messi a concorso; ovvero perché viene conservata (per disposizione di atti normativi o del bando) l'efficacia della graduatoria ai fini dell'assunzione degli idonei in relazione a posti resisi vacanti e disponibili entro un determinato periodo di tempo; l'operatività dell'istituto presuppone necessariamente una decisione dell'amministrazione di coprire il posto utilizzando la graduatoria rimasta efficace (si deve trattare di posti non solo vacanti, ma anche disponibili, e tali diventano sulla base di apposita determinazione), decisione che, una volta assunta, risulta equiparabile all'espletamento di tutte le fasi di una procedura concorsuale, con l'identificazione degli ulteriori vincitori; la pretesa allo "scorrimento", di conseguenza, si colloca di per sè fuori dell'ambito della procedura concorsuale (esclusa, nella seconda delle ipotesi indicate, proprio dall'ultrattività della graduatoria approvata) ed è conosciuta dal giudice ordinario quale controversia inerente al "diritto all'assunzione", salva la verifica del fondamento di merito della domanda, esulante dall'ambito delle questioni di giurisdizione; la riserva di giurisdizione amministrativa in materia di procedure concorsuali ex art. 63, 4 comma, d.leg. n. 165 del 2001 non estende la sua rilevanza alla fase successiva all’approvazione della graduatoria e, in particolare, alle controversie relative alle pretese di assunzione basate sull’esito del concorso; pertanto, è devoluta alla giurisdizione ordinaria la controversia instaurata nei confronti dell’ente pubblico dal soggetto che, senza contestare la procedura concorsuale e l’utilizzo della relativa graduatoria, ne denunci il criterio di scorrimento, finalizzato alla reiterata stipulazione di contratti a tempo determinato con lo stesso lavoratore fino al raggiungimento del limite legale di utilizzo del lavoro a termine; detto altrimenti, per configurarsi la giurisdizione ordinaria, la controversia deve concernere in via immediata il diritto all'assunzione scaturente dall'espletamento di un concorso e dalla relativa graduatoria, senza che in alcun modo la procedura concorsuale e la conseguente graduatoria siano contestate; in tal caso non si lamenta l’illegittima utilizzazione della graduatoria del concorso pregresso ai fini della individuazione di lavoratori con cui stipulare ulteriori contratti a termine, ma l’applicazione dei criteri di individuazione, nell'ambito della stessa graduatoria, dei lavoratori da assumere; II) ove, invece, la pretesa al riconoscimento del suddetto diritto sia consequenziale alla negazione degli effetti del provvedimento di indizione di diverse procedure (nella specie di conferimento di incarichi esterni e di mobilità esterna) per la copertura dei posti resisi vacanti, la contestazione investe l’esercizio del potere dell’amministrazione, cui corrisponde una situazione di interesse legittimo e la cui tutela spetta al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 63, 4º comma, d.p.r. n. 165 del 2001; opera quindi la giurisdizione amministrativa in materia di concorsi: quando un lavoratore, partecipante a un concorso e risultato idoneo ma non vincitore riguardo ai posti oggetti del bando, verificatasi in un secondo momento la necessità di coprire un posto relativo alla stessa qualifica, chieda che sia utilizzata la graduatoria di detto concorso, in contrapposizione all'operato della pubblica amministrazione che abbia deciso di bandire diversa selezione; quando il lavoratore contesti il ricorso al c.d. scorrimento di precedente graduatoria invece che all'indizione di un nuovo concorso; III) in definitiva, allorquando la controversia ha per oggetto il controllo giudiziale sulla legittimità della scelta discrezionale operata dell'amministrazione, la situazione giuridica dedotta in giudizio appartiene alla categoria degli interessi legittimi, la cui tutela è demandata al giudice cui spetta il controllo del potere amministrativo ai sensi dell'art. 103 Cost.; f) nella fattispecie per cui è causa, in sostanza, la ricorrente ha censurato la scelta del comune volta a coprire i posti ulteriori rispetto a quelli del concorso cui ha partecipato, non con lo "scorrimento" della relativa graduatoria, bensì con altre procedure (nella specie progressione verticale); in ogni caso, qualora pure si volesse ritenere la controversia sia annoverabile fra quelle in materia di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione (sebbene la ricorrente non sia dipendente del comune di Latina), pur tuttavia, essendo stato impugnato un provvedimento di macro organizzazione risulterebbe confermata la giurisdizione del giudice amministrativo. Per scaricare care il testo integrale della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento ".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 15.10.2014

 
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Secondo un primo consolidato indirizzo giurisprudenziale (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. V, 28 novembre 2013, n. 5684; Sez. V, 16 gennaio 2012, n. 138; Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6705), ai fini del riparto di giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego occorre distinguere tra ... Continua a leggere

 

Processo amministrativo: é nullo il ricorso sottoscritto dal "semplice" domiciliatario

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza breve del Consiglio di Stato Sez. V del 13.10.2014

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L’art. 44 comma 1, lett. a) del cpa, prevede espressamente la sanzione della nullità del ricorso nella ipotesi di mancanza di sottoscrizione. Il concetto di assenza di sottoscrizione (al di là della ipotesi di scuola della mancanza assoluta di qualsiasi sottoscrizione) è da riferirsi all’unica sottoscrizione del difensore abilitato. Ed è difensore abilitato colui il quale ha ricevuto un mandato in tal senso: la posizione di quest’ultimo, poi, è nettamente distinta da quella del (mero) domiciliata rio: soggetto non munito dello ius postulandi e, quindi, di un titolo idoneo nel rispetto del mandato conferito dalla società ricorrente. La giurisprudenza di legittimità (ex aliis Cass. civ. Sez. III, 06-03-2012, n. 3459) differenzia nettamente la posizione del domiciliatario da quella del difensore munito di mandato: trattasi di un orientamento predicato con continuità sin da tempo risalente, e dal quale il Collegio non ravvisa motivo per discostarsi (ex aliis Cass. civ. Sez. I, 07-05-1997, n. 3981, secondo cui "l'indicazione del domiciliatario non comporta il conferimento nemmeno implicito della rappresentanza processuale, e atteso altresì che, in tal caso, l'eventuale attività processuale compiuta deve considerarsi svolta senza il necessario potere di rappresentanza, anche sotto il profilo dell'imputazione sostanziale della provenienza dell'atto"). Della insanabilità del vizio in simili ipotesi non appare possibile controvertere (ex aliis Cass. civ. Sez. I, 25-09-1998, n. 9620). Addirittura la Suprema Corte di Cassazione, in una fattispecie che appare plasticamente traslabile alla odierna controversia ricorre al concetto di "inesistenza" per connotare il compimento di atti processuali da parte del procuratore "semplice" domiciliatario (Cass. civ. Sez. II, 10-01-2011, n. 357: "Il procuratore che sia semplice domiciliatario è abilitato alla sola ricezione, per conto del difensore, delle notificazioni e comunicazioni degli atti del processo e non anche al compimento di atti di impulso processuale (quale, nella specie, la notifica del controricorso); pertanto, poiché - a norma dell'art. 1 della legge 21 gennaio 1994, n. 53 - solo l'avvocato munito di procura alle liti può eseguire direttamente le notifiche, la notifica eseguita dal procuratore semplice domiciliatario è da ritenere inesistente anziché nulla, con conseguente impossibilità di applicare l'istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo, prevista per i soli casi di nullità dall'art. 156 cod. proc. civ."). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza breve del Consiglio di Stato Sez. V del 13.10.2014

 
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L’art. 44 comma 1, lett. a) del cpa, prevede espressamente la sanzione della nullità del ricorso nella ipotesi di mancanza di sottoscrizione. Il concetto di assenza di sottoscrizione (al di là della ipotesi di scuola della mancanza assoluta di qualsiasi sottoscrizione) è da riferirsi all’unica sot ... Continua a leggere

 

Scorrimento di graduatorie: in caso di prolungate proroghe delle validità della graduatorie risulta giustificabile la determinazione di procedere al reclutamento del personale con nuove procedure concorsuali

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 8.10.2014

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Nel giudizio in esame la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha evidenziato che, in presenza di una legislazione che ha prorogato più volte la validità delle graduatorie fino a superare - per i concorsi più risalenti - i dieci anni di proroga, assumono maggiore valenza (nel senso di estendere significativamente il loro ambito di applicazione) i criteri definiti in quella sentenza che richiedono la identità delle procedure concorsuali, delle prove di esame e dei requisiti professionali previsti come necessario presupposto per l’affermazione di un principio di preferenza a favore dello scorrimento di graduatorie di idonei ancora valide ed efficaci in luogo di un nuovo concorso, salva valida ed esplicita motivazione. Nel caso di proroghe prolungate assumono la massima importanza le parti della sentenza n.14/2011 della Adunanza plenaria che individuano "i casi in cui la determinazione di procedere al reclutamento del personale, mediante nuove procedure concorsuali, anziché attraverso lo scorrimento delle preesistenti graduatorie, risulta pienamente giustificabile". In particolare, nei casi in cui è decorso un notevole lasso di tempo, acquista una vasta valenza applicativa il criterio secondo il quale a questi fini: "in particolare può acquistare rilievo l’intervenuta modifica sostanziale della disciplina applicabile alla procedura concorsuale, rispetto a quella riferita alla graduatoria ancora efficace, con particolare riguardo al contenuto delle prove di esame e ai requisiti di partecipazione…. ". Va anche notato che questo ultimo criterio è già molto importante nella economia della sentenza n. 14, al punto che la stessa sentenza infine decide proprio sulla base di questo criterio il caso sottoposto al suo esame, nel quale la pretesa alla applicazione del principio della preferenza per lo scorrimento della graduatoria viene respinta proprio in ragione della differenza nelle prove di esame e in altri aspetti della procedura concorsuale. Aggiunge poi il Collegio nell'ultima parte della motivazione che va in aggiunta considerata rilevante anche la questione se i posti oggetto della indizione del concorso impugnato siano preesistenti o di nuova istituzione. Al riguardo deve farsi applicazione della disposizione di cui all’art. 91, comma 4, del T.U.E.L. (d.lgs. n. 267/2000), nella parte in cui esclude la validità delle graduatorie di idonei derivanti da precedenti concorsi nel caso in cui i posti di cui si tratta siano istituiti o trasformati successivamente alla indizione del concorso medesimo ("4. Per gli enti locali le graduatorie concorsuali rimangono efficaci per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione per l'eventuale copertura dei posti che si venissero a rendere successivamente vacanti e disponibili, fatta eccezione per i posti istituiti o trasformati successivamente all'indizione del concorso medesimo."). La giurisprudenza ha esteso l’applicazione di tale norma come principio generale valido per tutte le Amministrazioni (lo afferma in particolare proprio la sentenza n. 14/2011 dell’Adunanza plenaria sopra richiamata ad altri fini). Tale norma di fonte legislativa corrisponde e, in quanto difforme, prevale su quella di rango regolamentare di cui all'art. 18, comma 7, del già citato DPR n. 220/01, che prevede: "La graduatoria degli idonei rimane efficace per un termine di ventiquattro mesi dalla data di pubblicazione per eventuali coperture di posti per i quali il concorso è stato bandito ovvero di posti della stessa categoria e profilo professionale che successivamente ed entro tale termine dovessero rendersi disponibili". Il comma 7, testé riportato, parla non di posti di nuova istituzione ma di posti in organico resisi vacanti nel termine dei successivi 24 mesi all’approvazione delle graduatorie (termine che in ogni caso non può considerarsi automaticamente prorogato dalle proroghe delle medesime graduatorie). La dotazione organica aziendale a cui si riferisce la deliberazione di concorso impugnata è stata assunta dalla delibera dell'ASL appellata n. 541 del 28.02.08 (approvata con provvedimento di G.R. n. 1236 dell'8.07.08), come risulta dalla documentazione agli atti e dunque posteriore di almeno 8 anni alla approvazione della graduatoria in questione. 6.9. – Per le ragioni esposte, non vi è alcun dubbio sul fatto che, alla stregua dei criteri fissati dalla sentenza n.14/2011 dell’Adunanza plenaria, ed in particolare di quelli richiamati al punto 6.4., il ricorso ad un nuovo concorso nel caso di specie è oggettivamente giustificato dalla diversità del nuovo concorso rispetto al precedente, risalente ad un precedente, transitorio e peculiare contesto normativo e confermata dalla diversità delle prove di esame previste. Alle stesse conclusioni si giunge sulla base della disciplina vigente per i posti in organico di nuova istituzione, che non danno luogo allo scorrimento di graduatorie approvate prima della loro istituzione. Pertanto nel caso di specie la deliberazione di un nuovo concorso non richiede una specifica motivazione, pur essendo la graduatoria del precedente concorso ancora valida ed efficace. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 8.10.2014

 
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Nel giudizio in esame la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha evidenziato che, in presenza di una legislazione che ha prorogato più volte la validità delle graduatorie fino a superare - per i concorsi più risalenti - i dieci anni di proroga, assumono maggiore valenza (nel senso di estendere sign ... Continua a leggere

 

Elezioni: anche in seguito alla trasformazione delle province in enti di secondo grado, ma comunque a base elettiva, la rappresentatività delle liste concorrenti deve comunque essere dimostrata, pur nell’ambito del corpo elettorale formato dai sindaci e dai consiglieri dei comuni compresi nella provincia, attraverso la sottoscrizione delle liste medesime da soggetti non candidati

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 6.10.2014

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Il presente contenzioso scaturisce dalla prima applicazione della l. n. 56 del 2014, che ha "trasformato" le province in enti territoriali "di secondo grado", e cioè aventi organi ‘politici’ non più eletti direttamente dal popolo, ma, a loro volta, dagli organi elettivi dei comuni compresi nella circoscrizione provinciale. Più precisamente, in conseguenza di tale trasformazione l’elettorato attivo e passivo è attribuito ai sindaci ed ai consiglieri dei comuni della provincia (art. 1, comma 69), e l’elezione avviene sulla base di liste, composte da un numero di candidati non superiore al numero dei consiglieri eleggere e non inferiore alla metà degli stessi, sottoscritte da almeno il 5% degli aventi diritto al voto (comma 70 dell’art. 1 citato). Gli appellanti sostengono che la legge in esame non vieta ai candidati a consigliere provinciale di sottoscrivere le liste e che, anche a voler ammettere che nelle elezioni di primo grado la rappresentatività delle liste debba necessariamente essere accertata attraverso un numero di sottoscrizioni di elettori, esclusi i candidati, un simile meccanismo non si estende automaticamente alle elezioni di secondo grado; ed anzi – soggiungono - lo stesso meccanismo deve essere escluso, in considerazione del fatto che la rappresentatività <<è assicurata dai soggetti candidabili>>, già eletti a sindaco o consiglieri comunali. Pertanto, secondo gli appellanti il silenzio sul punto della citata legge non può essere inteso come una lacuna da colmare mediante il rinvio ai principi generali applicabili per i sistemi elettorali tradizionali, come ritenuto dal TAR, ma come espressivo di una precisa opzione del legislatore, la quale, inoltre, non può essere derogata da fonti normative di rango secondario, né tanto meno da circolari ministeriali. Sul punto, gli appellanti segnalano anche l’esigenza di tutelare i diritti dei partiti di minoranza all’interno dei consigli comunali, i quali potrebbero non avere la consistenza numerica minima per presentare una lista ai sensi del citato come 70 dell’articolo 1 l. n. 56/2014, sottoscritta da soggetti non candidati. Per il Consiglio di Stato "2. Tanto premesso l’appello è infondato. 3. Non è condivisibile la premessa su cui la presente impugnazione si impernia, e cioè che il silenzio della più volte citata l. n. 56/2014 sul procedimento elettorale di secondo grado per l’elezione dei presidenti e dei consiglieri provinciali costituisca una consapevole scelta legislativa ed impedisca conseguentemente il richiamo alle regole generali del procedimento elettorale preparatorio, ed in particolare alla verifica di rappresentatività delle liste partecipanti a competizioni elettorali. Se fosse vero quanto affermano gli appellanti, il legislatore non avrebbe preteso una simile verifica, come invece ha fatto con la previsione di cui al comma 70, che impone che le liste di candidati alla carica di consigliere provinciale siano <>. 4. Se ne deve quindi desumere che anche in seguito alla trasformazione delle province in enti di secondo grado, ma comunque a base elettiva, la rappresentatività delle liste concorrenti deve comunque essere dimostrata, pur nell’ambito del ristretto corpo elettorale formato dai sindaci e dai consiglieri dei comuni compresi nella provincia, attraverso la sottoscrizione delle liste medesime da soggetti non candidati. 5. Va rilevato che, in linea generale, il procedimento elettorale preparatorio si fonda proprio sulla verifica di rappresentatività delle liste di candidati, da effettuarsi attraverso la raccolta di un numero minimo di sottoscrizioni degli elettori a sostegno di queste ultime (cfr. gli artt. 18-bis e 20 d.p.r. n. 361/1957, sulle elezioni alla Camera dei deputati, 9 d.lgs. n. 533/1993, sulle elezioni del Senato della Repubblica, 9 l. n. 108/1968, per le elezioni regionali, 28 e 32 d.p.r. n. 570/1960 e 3 l. n. 83/1991 per le elezioni comunali). A questa verifica è dunque consustanziale l’alterità soggettiva tra elettori e candidati, e cioè tra il corpo elettorale e coloro che esercitano l’elettorato passivo (e si spiega il divieto di sottoscrizioni plurime). 6. Per contro, la tesi propugnata dagli appellanti renderebbe del tutto inutile questo fondamentale snodo del procedimento. E’ infatti solo il corpo elettorale che può attribuire la rappresentatività ai soggetti che, accettando la candidatura, aspirano a formare la rappresentanza politica del primo in seno alle istituzioni democratiche. Tuttavia, non vi sarebbe rappresentanza, ma cooptazione - quanto meno a livello di designazione preliminare - e pura autoreferenzialità, se le liste fossero sottoscritte dai soggetti che le compongono attraverso l’accettazione della candidatura: la rappresentanza è l’antitesi della cooptazione, e cioè di un sistema di designazione non democratica, in cui i cooptati non sono espressione di un gruppo sociale esterno all’istituzione ma rappresentativi dello stesso. 7. Naturalmente, un simile problema non si pone per le elezioni dirette o di primo grado, data l’estensione del corpo elettorale. Ma la ristrettezza di quest’ultimo non costituisce un argomento valido per introdurre una deroga ad un sistema di designazione della rappresentanza che comunque esige una doverosa verifica preliminare, a garanzia della genuinità della competizione elettorale e della rispondenza delle liste a forze politiche di cui sia riscontrato il seguito presso la base elettorale. Ne consegue che, contrariamente a quanto sostengono gli appellanti, l’eccezione alla regola generale valevole per le elezioni a base democratica richiede un’espressa previsione normativa (come nel caso della regione autonoma del Friuli-Venezia-Giulia: art. 16, comma 5 l. n. 2/2014 "Disciplina delle elezioni provinciali e modifica all'articolo 4 della legge regionale 3/2012 concernente le centrali di committenza"). Per contro, la legge n. 56/2014, con cui è stata disposta la trasformazione delle province in enti di secondo grado, si colloca nell’ambito della regola generale, perché ne richiama il sistema di verifica di rappresentatività e la contrapposizione tra candidati ed elettori. 8. Non è poi condivisibile la tesi degli appellanti secondo cui la verifica nei termini finora esposti non è necessaria, perché la rappresentatività è già stata accertata in capo agli elettori degli organi della provincia, in quanto a loro volta già eletti nei comuni in essa compresi. Anche questa deroga al principio generale avrebbe richiesto una previsione normativa espressa, nel caso di specie mancante, come invece avvenuto per i partiti costituiti in gruppo parlamentare per le elezioni del Senato (art. 9, comma 3, d.lgs. n. 533/1993, sopra citato) o per le liste che abbiano presentato una dichiarazione di collegamento a gruppi consiliari nel caso delle elezioni regionali in Piemonte [art. 1, comma 1, lett c), della legge regionale del Piemonte 29 luglio 2009, n. 21, recante "Disposizioni in materia di presentazione delle liste per le elezioni regionali"; esaminato da questa Sezione nella sentenza 6 maggio 2014, n. 2331]. 9. Inoltre, diversamente da quanto si paventa nell’appello, per effetto del sistema elettorale prefigurato dalla l. n. 56/2014 non risultano lesi i diritti delle minoranze, e precisamente dei partiti rappresentati nei consigli comunali in misura non sufficiente a presentare una lista di candidati ed al contempo di sottoscrittori minimi ai sensi del comma 7 dell’art. 1. L’assunto è inficiato da una petizione di principio, secondo cui l’elezione di secondo grado degli organi della provincia deve riprodurre l’organizzazione politica della società espressa dai partiti e dunque ricalcare rigidamente gli equilibri raggiunti da questi ultimi negli organi elettivi dei comuni. Nessuna norma prevede (né potrebbe farlo) che le liste concorrenti all’elezione di secondo grado degli organi della provincia debbano necessariamente essere espressione di un singolo partito e che le relative sottoscrizioni debbano essere conseguentemente state apposte da consiglieri comunali del partito medesimo. Del resto, nulla esclude che un candidato di una lista sottoscriva la presentazione di una lista concorrente, come avviene per le elezioni di primo grado. 10. Le doglianze degli appellanti richiamano inoltre un tertium comparationis che non può valere nel caso di specie e cioè la tesi che, anche in seguito alle profonde modifiche introdotte dalla l. n. 56/2014 alla struttura organizzativa delle province, il consiglio provinciale sia l’organo titolare esclusivo dell’indirizzo politico – amministrativo dell’ente e di competenza decisionale per gli atti fondamentali. In realtà, ai sensi dell’art. 1, comma 55, l. n. 56/2014, la potestà decisionale sugli atti fondamentali dell’ente non è attribuita in via esclusiva al consiglio provinciale, ma è ripartita tra questo e l’altro organo dell’ente, vale a dire l’assemblea dei sindaci. Infatti, è a quest’ultimo che spetta l’approvazione dello statuto, su proposta del consiglio, oltre che di condizionare l’approvazione dei bilanci, invece devoluta a quest’ultimo, attraverso l’espressione di un parere favorevole di tanti sindaci che rappresentino la maggioranza <> nella provincia. 11. Alla stregua di tutto quanto considerato, l’esclusione qui contestata si fonda legittimamente sull’articolo 13, comma 2, del regolamento organizzativo delle elezioni provinciali della provincia di Massa Carrara, richiamato nel provvedimento di esclusione impugnato. 12. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto. Sussistono nondimeno giusti motivi per compensare le spese di causa, stante la novità della questione (ipotesi che, unitamente alla soccombenza reciproca ed al mutamento di giurisprudenza costituirà, una volta divenuto applicabile l’art. 13 del d.l. n. 132/2014, di modifica dell’art. 92 cod. proc. civ., l’unica ragione per derogare al criterio della soccombenza).

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 6.10.2014

 
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Il presente contenzioso scaturisce dalla prima applicazione della l. n. 56 del 2014, che ha "trasformato" le province in enti territoriali "di secondo grado", e cioè aventi organi ‘politici’ non più eletti direttamente dal popolo, ma, a loro volta, dagli organi elettivi dei comuni compresi nella ci ... Continua a leggere

 

Elezioni Province: in Consiglio di Stato discusse le prime cause sull'attuazione della legge Del Rio

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 6.10.2014

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La Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha deciso la controversia in materia di mancata ammissione nelle liste per le elezioni del presidente della Provincia e del consiglio provinciale disposta ai sensi dell’art. 1, comma 60, della legge n. 56 del 2014. Il provvedimento impugnato in primo gradonon ha ammesso gli odierni appellanti all’elezione del presidente e del consiglio provinciale di Latina, in quanto sospesi dalla carica di sindaco e consigliere comunale di Sperlonga, a seguito della loro condanna in sede penale con pronuncia di primo grado gravata d’appello tuttora pendente. La denegata ammissione all’elezione è stata disposta ai sensi dell’art. 1, comma 60, della legge n. 56 del 2014. Il Collegio ha ritenuto infondato l'appello rilevando in primo luogo come non possa essere condivisa la censura di difetto di motivazione ascritta al provvedimento amministrativo originariamente impugnato, dal momento che questo (tra l’altro, un atto non discrezionale), dichiaratamente uniformatosi al parere espresso sulla vicenda dal Ministero dell’Interno, lo ha assunto a proprio fondamento. Aggiunge il Collegio "Premesso ai fini del merito di causa, che l’art. 1, comma 69, della L. n. 56/2014 stabilisce quanto segue: "Il consiglio provinciale e' eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali dei comuni della provincia. Sono eleggibili a consigliere provinciale i sindaci e i consiglieri comunali in carica", e, pertanto, configura l’elettorato di cui si tratta come elettorato di secondo grado; CONSIDERATO, quanto all’assunto di fondo della parte che la sospensione dalla carica di consigliere determina, sì, la sospensione dello svolgimento delle funzioni, ma non priverebbe il titolare della fruizione delle prerogative comunque connesse al suo status ; - sul piano testuale che, poiché la sospensione di diritto prevista dall’art. 11 del d.lgs. n. 235/2012 è riferita dal legislatore espressamente alle "cariche" indicate dall’articolo, l’applicazione concreta di tale misura agisce proprio facendo venir meno, nel soggetto colpito, l’attualità di quella "carica" dalla quale la legge n. 56/2014 fa dipendere, invece, l’eleggibilità; - su un piano più sostanziale, che la fruizione dell’elettorato per cui si controverte, in quanto espressione della carica dalla quale gli interessati sono stati sospesi, e come ogni altra concreta manifestazione della carica stessa, in difetto di una previsione normativa difforme deve reputarsi inibita dalla sospensione che ha investito la carica medesima; RITENUTO, quanto all’argomento che il d.lgs n. 235/2012 esclude la candidabilità dei condannati con sentenza definitiva, nel mentre tale preclusione non sarebbe estensibile al diverso caso di soggetti solo temporaneamente sospesi per effetto di sentenza non definitiva, che il caso in esame, in quanto attinente alla specifica procedura elettorale delineata dalla legge n. 56/2014, rinviene la propria disciplina nelle previsioni di tale diversa fonte; OSSERVATO, con riferimento al dubbio di costituzionalità prospettato in termini di eccesso di delega a carico della previsione normativa sulla sospensione in presenza di una condanna non definitiva, che il T.A.R. ha ineccepibilmente rilevato che tale questione difetta di rilevanza nell’odierno giudizio, poiché in questa sede non si controverte della legittimità del provvedimento, solo presupposto, della sospensione irrogata ex d.lgs. n. 235/12 (atto i cui effetti non possono essere incisi in questa sede), bensì solo, a valle, dell’applicazione, con un atto conclusivo di un distinto procedimento, dell’art. 1, comma 69, della L. n. 56/2014; RILEVATO che con il presente appello non sono stati forniti argomenti suscettibili di inficiare quest’ultima considerazione; CONSIDERATO che per ragioni simili risulta corretta anche la reiezione del rilievo di parte per cui la provvisoria sentenza penale di condanna (avverso la quale pende appello) accordava il beneficio della sospensione della pena, beneficio che in tesi dovrebbe estendersi a tutte le conseguenze derivanti dalla pronuncia emanata, atteso che ai limitati e specifici fini della corrente controversia è necessaria e sufficiente la presa d’atto che gli interessati sono stati attinti dalla misura della sospensione, tuttora in corso, a seguito di provvedimento prefettizio assunto ai sensi dell’art. 11, comma 5, del d.lgs n. 235/2012; RILEVATO, in conclusione, che per le ragioni esposte l’appello deve essere respinto e la mancata costituzione in giudizio delle parti intimate esime la Sezione dal dettare disposizioni sul carico delle spese processuali".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 6.10.2014

 
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Processo amministrativo: con la laurea magistrale in giurisprudenza si può stare in giudizio senza avvocato nelle cause in materia di accesso, elettorale e nei giudizi relativi al diritto dei cittadini dell’Unione Europea e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 9.10.2014

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Il mero possesso della laurea magistrale in giurisprudenza non consente di stare in giudizio senza l’assistenza di un difensore abilitato e iscritto al previsto albo professionale, fatta eccezione per i giudizi in materia di accesso, in materia elettorale e nei giudizi relativi al diritto dei cittadini dell’Unione Europea e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Neppure è accettabile sostenere che il diritto di stare in giudizio personalmente trovi fondamento nell’art. 24 della Costituzione o nell’articolo 6, n. 3, lett. c) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dal momento che, come è stato giustamente evidenziato dal giudice di primo grado nella sentenza impugnata, la Corte Costituzionale ha riconosciuto la discrezionalità del legislatore nel disciplinare i casi in cui è necessario il patrocinio di un avvocato e ha stabilito, riguardo alla citata norma della Convenzione europea, che ad essa non può attribuirsi il significato di riconoscimento di un diritto assoluto di difendersi in giudizio da sé, ma solo quello di un diritto limitato dal diritto dello Stato di emanare disposizioni relative alla necessità della presenza di un avvocato davanti ai tribunali (per tutte, ordinanza n. 460/2006 e sentenza n. 188/1980). Peraltro per quanto attiene al patrocinio innanzi al Consiglio di Stato il Collegio ha rilevato che "L’articolo 22, comma 2 del Codice del processo amministrativo dispone che per i giudizi davanti al Consiglio di Stato è obbligatorio il ministero di avvocato ammesso al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori. Conseguentemente, non discostandosi dalla giurisprudenza di questa Sezione (ex multis, sentenza del 23 aprile 2012, n. 2398), il Collegio, accertato che l’appello è stato sottoscritto da persona non fornita della qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore presso il giudice adito, deve constatare la mancanza di una valida instaurazione del rapporto processuale per nullità dell’atto difensivo." Per scaricare gratuitamente il testo integrale della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 9.10.2014

 
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Conferimento incarichi dirigenziali: é necessario che il soggetto esterno all'amministrazione possieda il titolo di laurea per il conferimento di qualsivoglia incarico di funzioni dirigenziali, anche a tempo determinato

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Il Comune di Pordenone ha formulato alla Sezione una richiesta di motivato avviso in materia di corretta interpretazione del dettato normativo del comma 6 dell’art. 19 del Testo unico sul rapporto di p.i. di cui al D.Lgs. n. 165/2001 e s m. e i. in vista del conferimento di un incarico dirigenzialea tempo determinato.Ha ritenuto la Corte dei Conti di dover preliminarmente procedere a un inquadramento sistematico della disciplina sul conferimento degli incarichi a contratto negli Enti locali, anche a fini di utilità generale per la platea degli Enti potenzialmente interessati a conoscere l’avviso interpretativo della Sezione sulle tematiche di che trattasi.Come noto, gli incarichi a contratto nelle Autonomie territoriali sono regolamentati dall’art. 110 del TUEL (D. Lgs. n.267/2000).I detti incarichi possono avere a oggetto anche il conferimento di funzioni dirigenziali a soggetti che non abbiano con l’ente un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in virtù di un criterio di attribuzione fondato sull’ "intuitus personae".Al di fuori della dotazione organica della dirigenza o dell’area direttiva, per gli enti in cui tale dotazione è comunque prevista, possono essere conferiti, con contratto a tempo determinato, incarichi per i soli dirigenti e le alte specializzazioni (art.110, comma 2, 1° periodo). In questi casi, gli incarichi così conferibili non possono superare il 5% del totale della dotazione organica "della dirigenza e dell’area direttiva" ( vd. art.110, comma 2, 2° periodo).Per gli Enti di piccole dimensioni possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica dell’ente, contratti a tempo determinato "di dirigenti, alte specializzazioni o funzionari dell’area direttiva, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire" (art.110, comma 2, 3° periodo). Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5% della dotazione organica dell’ente. Infine, per gli enti con dotazione inferiore alle 20 unità è consentito il conferimento di un solo incarico.Tutti gli Enti presi in considerazione dal secondo comma dell’art. 110 del TUEL devono procedere a stabilire limiti, criteri e modalità di stipula dei relativi contratti in sede di adozione del Regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi.Tale surrichiamata disciplina non trova più nel TUEL la propria fonte esclusiva, posto che puntuali norme sono state inserite nel già citato D.Lgs. n. 165/2001, nonché in disposizioni di carattere ordinamentale recate da varie leggi finanziarie.In particolare, talune disposizioni dell’art. 19 del D. Lgs. n. 165/2001 sono state espressamente estese alle Amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, e quindi anche ai Comuni e alle Province, già in forza dell’intervento interpretativo fornito dalla Corte costituzionale con la decisione n. 324/2010.Detta estensione è stata poi normativizzata a opera del comma 6-ter dell’art. 19, introdotto dall’art. 40, comma 1, lett. f) del D.Lgs. n. 150/2009.In particolare, per quel che qui interessa, il comma 6 dell’articolo 19 citato prevede che gli incarichi dirigenziali di cui ai precedenti commi da 1 a 5 " sono conferiti, fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.(…)".Ricordato che talune questioni riconducibili ai rapporti tra l’art. 110 TUEL e l’art. 19-commi 6 e 6 bis- del D.Lgs. n. 165/2001 sono state scrutinate dalle Sezioni riunite di questa Corte con le delibere nn. 12-13-14/CONTR/11, tutte dell’8 febbraio 2011, conviene affrontare nello specifico il quesito inerente al possesso del diploma di laurea quale requisito necessario ai fini del conferimento dell’incarico di che trattasi.Riferisce l’Ente istante che, a una lettura testuale, parrebbero distinguersi all’interno del comma 6, due ipotesi, delle quali la prima sembrerebbe ammettere il conferimento di incarichi a "persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali"; mentre la seconda lo prevederebbe per i soggetti "che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria".Nella prima, sostiene l’Ente, non verrebbe fatto alcun riferimento al possesso di una formazione universitaria (diploma di laurea), supponendosi che l’affidamento possa avvenire anche a favore di soggetti non laureati, purché sussistano gli altri requisiti.Accedendo a tale interpretazione, dovrebbe ritenersi operante una deroga rispetto alla disciplina generale sui requisiti necessari per l’accesso alle qualifiche dirigenziali, recata dall’art. 28, comma 2, del D.Lgs. 165/2001, non riguardando il citato comma 6 dell’art. 19 procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso al pubblico impiego.La riferita opzione ermeneutica si fonderebbe sull’assunto secondo cui la qualificazione professionale, particolare e comprovata, acquisibile "sul campo" per il fatto di aver svolto funzioni dirigenziali in organismi o enti o aziende pubblici o privati per almeno un quinquennio, costituirebbe requisito professionale alternativo rispetto alla particolare "specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria".Tale tesi, tuttavia, non è stata ritenuta condivisibile da pacifica e consolidata giurisprudenza di questa Magistratura contabile, formatasi sia in sede consultiva (vd. ex plurimis sez. reg.le Basilicata, delib. n. 29/2011/PAR) che in sede di controllo di legittimità (cfr. sez. controllo di legittimità su atti del Governo delib. n. 3/2003 e sez. del controllo di legittimità su atti del Governo e delle Amm.ni dello Stato n. 2/2005/P).A tale conclusione si è pervenuti in base a una lettura non solo "testuale", ma altresì sistematica del richiamato comma 6, secondo cui il requisito del possesso del diploma di laurea costituisce requisito essenziale per l’accesso alle qualifiche dirigenziali nel rapporto di lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, co. 2, del D.Lgs. n. 165/2001, trattandosi di un requisito di base e necessariamente propedeutico, come si evince dalla lettura del necessariamente correlato art. 28 successivo, che disciplina l’accesso alla qualifica dirigenziale.Né tale piana interpretazione può subire eccezioni allorché il conferimento dell’incarico provenga da un Ente Locale con contratto a termine (giusta il combinato disposto dell’art. 110 TUEL e del comma 6 dell’art. 19 D. Lgs. n. 165/2001), ipotesi nella quale, anzi, l’accesso alla dirigenza è consentito dal comma 6 a soggetti particolarmente qualificati che, oltre al requisito di base del titolo di studio, posseggano alternativamente uno o più degli ulteriori requisiti di specifica preparazione ed esperienza professionale.E’ stato infatti affermato che "le previsioni normative in esame non sono sostitutive del requisito di base del possesso della laurea, ma sono aggiuntive, nel senso che, purché in possesso del diploma di laurea, i soggetti che siano dotati di uno dei requisiti delineati nell’art. 19, comma 6, possono ottenere un incarico dirigenziale temporaneo" (vd. sez. reg.le Lombardia delib. n. 504/2011 e, già in precedenza alla novella normativa recata dall’art. 40 del D.Lgs. n. 150/2009, delib. n. 20/2006).Peraltro, come ricordato, a identiche conclusioni era pervenuta la giurisprudenza di legittimità di questa Magistratura contabile ancor prima dell’estensione della disposizione dell’originario comma 6 alle Autonomie locali, pervenendo alla ricusazione del visto a un provvedimento di nomina a dirigente di seconda fascia di un soggetto esterno al ruolo dirigenziale dell’Amministrazione per difetto del titolo adeguato di studio( vd. delib. n. 3/2003 della Sez. centrale di legittimità su atti del Governo).Osservava la Sezione che, "a tacere che il richiamo contenuto nell’art. 19, c. 6, alla equivale nella sostanza a quello fatto dall’art. 28 novellato dello stesso decreto legislativo n. 165/2001 al diploma di laurea, osserva la Sezione che il criterio secondo il quale il legislatore ha inteso disciplinare l’immissione nell’esercizio di funzioni dirigenziali di soggetti, quali essi siano, in precedenza già non investiti di tale qualifica, risulta evidentemente informato alla volontà di acquisire professionalità estranee, tali da presentare qualità aggiuntive e comunque non minori rispetto ai già elevati requisiti previsti per le nomine di funzionari appartenenti ai ruoli dirigenziali.Tanto premesso, consegue da ciò attraverso una lettura sistematica dell’art. 19,c. 6, che la facoltà da tale norma prevista richiede, nei suoi destinatari, il concorrente possesso di una particolare specializzazione, sia professionale, che culturale e scientifica; quando si passi all’accertamento di tali requisiti, in relazione alle funzioni da attribuire, l’interprete, dal canto suo, non può sottrarsi alla verifica, sotto ogni profilo, della presenza di tutti gli elementi che complessivamente rendono il soggetto idoneo all’incarico.Ne discende che, ferma rimanendo l’esigenza dell’accertamento di un livello di formazione culturale identificabile nel possesso della laurea, gli elementi che configurano e completano in estranei il profilo della professionalità debbano, insieme ad altri, ricavarsi dal già disimpegnato esercizio di funzioni almeno di pari rilevanza di quelle previste nel nuovo compito.Quindi, oltre all’accertato possesso di sufficiente formazione culturale, in un contesto normativo in cui è però prevista l’attribuzione di incarichi dirigenziali previa verifica della sussistenza di livelli di formazione particolarmente elevati, occorre che la valutazione venga estesa ad un puntuale esame dei curricula degli incaricandi".A conclusioni analoghe è poi giunto anche il Dipartimento per la funzione pubblica, con parere n. 35/2008, nel quale ha stabilito che per gli Enti locali il requisito del titolo di studio richiesto dalla legge per il conferimento di incarico dirigenziale è lo stesso disposto, in generale, dall’art. 28 del D.Lgs. 165/2001, e consiste nel titolo di laurea.A conferma delle argomentazioni, peraltro univocamente orientate, articolate a sostegno della tesi della necessarietà del possesso del titolo di laurea per il conferimento di qualsivoglia incarico di funzioni dirigenziali, anche a tempo determinato, per tutte le PPAA, compresi gli Enti locali, vale ricordare che la stessa Corte costituzionale, con la già richiamata decisione n. 324 del 2010, ha ritenuto che la disciplina dettata dall’art. 19, commi 6 e 6 bis del D.Lgs. n. 165/2001, riguardi tutte le amministrazioni pubbliche, anche quelle locali, e attiene ai requisiti soggettivi che devono essere posseduti dal privato contraente, requisiti che, dunque, non possono che essere identici per tutte le fattispecie in cui si dà luogo a un incarico dirigenziale.Gli indirizzi ermeneutici soprariportati, ai quali il Collegio aderisce, rimangono inalterati pur nell’intervenuta modifica normativamente introdotta alla disciplina del conseguimento del titolo di "formazione universitaria" e del relativo valore legale, che, ai fini del conferimenti degli incarichi de quibus, non può essere inferiore al possesso del titolo di laurea specialistica o magistrale ovvero al diploma di laurea conseguito secondo l’ ordinamento didattico previgente al regolamento di cui al decreto del Ministro dell’università, ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509 (vd. art. 6, ult. periodo, come introdotto dall’art. 2, comma 8 quater, del D.L. n. 101/2013, convertito in legge n. 125/2013, peraltro correttamente richiamato dall’Amministrazione istante).Su tale consolidato impianto interpretativo si innestano le recentissime novelle normative recate sul dettato dell’art. 110 dall’art. 11,comma 1, lett. a), del D.L. 24 giugno 2014, che, nel mantenere fermi i requisiti già normativamente fissati per la qualifica da ricoprire, espressamente introduce il necessario previo esperimento di apposita procedura selettiva pubblica, volta ad accertare, in capo ai soggetti interessati, "il possesso di comprovata esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle materie oggetto dell’incarico" .2. Ritiene il Collegio di dover ancora formulare indirizzi in merito all’ulteriore quesito posto nell’odierna richiesta, specificatamente volto a individuare la corretta interpretazione dell’inciso "non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione" che nel testo del più volte richiamato comma 6 dell’art. 19 segue il riferimento alle "persone di particolare e comprovata qualificazione professionale" le quali, in presenza di tutti i requisiti normativamente posti, possono essere destinatarie degli incarichi di funzioni dirigenziali di che si sta trattando.Ora, facendo applicazione dei consueti canoni ermeneutici, in primo luogo di quello letterale, può agevolmente inferirsi che l’inciso "non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione" deve coordinarsi con la "particolare e comprovata qualificazione professionale" che deve essere posseduta dai soggetti estranei incaricandi (le "persone" del dettato normativo considerato), la quale qualificazione, peraltro, deve essere in concreto valutata dall’Amministrazione conferente in stretta e inscindibile connessione con la particolarità dei compiti che la medesima intende affrontare e portare a compimento.In altri termini, ritiene il Collegio che il comma 6, avente valenza di norma di carattere complementare all’ordinario sistema di provvista delle professionalità dirigenziali, sia finalizzato ad accrescere le capacità operative delle Amministrazioni attingendo a un bacino più ampio di quello delle unità dirigenziali già presenti nei ruoli delle Amministrazioni medesime, all’uopo acquisendo professionalità esterne altamente specializzate e qualificate, con esperienze maturate in ruoli dirigenziali disimpegnati per almeno un quinquennio presso aziende od organismi pubblici o privati, ovvero in possesso di valori culturali e scientifici ricavati dalla formazione universitaria e post-universitaria, o da pubblicazioni scientifiche, ovvero, ulteriormente, in quanto provenienti dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e degli avvocati e procuratori dello Stato (soggetti, questi ultimi, già direttamente considerati idonei dalla norma, per la posizione rivestita, all’espletamento di un compito dirigenziale).Tale elencazione è stata ulteriormente ampliata ad opera dell’art. 40, comma 1, lett. e) del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150(c.d. riforma "Brunetta"),che, tra le altre modifiche, ha aggiunto anche la previsione delle "persone" che per almeno un quinquennio abbiano maturato esperienze professionali in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza, oltreché in possesso del necessario, relativo titolo di studio di "formazione universitaria, come sopra definito.L’impianto normativo così ricostruito è stato fatto oggetto di una ponderosa attività ermeneutica da parte di questa Corte, in particolare in sede di giurisprudenza di legittimità.Si è così chiarito che, rispetto all’originaria formulazione, le modifiche apportate dal ricordato art. 40, comma 1, lette. e) della "legge Brunetta" "tendono a limitare ulteriormente la facoltà di ricorrere a soggetti esterni, consentendone il conferimento a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale solo nell’ipotesi in cui (…)tale qualificazione non sia rinvenibile nell’ambito del personale dirigenziale dell’Amministrazione".In tal modo, si osserva, "la disposizione citata crea un onere di previa verifica della sussistenza di risorse interne all’Amministrazione in possesso dei requisiti professionali richiesti dall’incarico: soltanto ove tale indagine dia esito negativo sarà possibile attribuire il posto vacante a soggetto esterno, se dotato della particolare specializzazione richiesta"(cfr. delib. Corte dei conti n. SCCLEG/18/2010/PREV).In definitiva, coerentemente agli ordinari canoni secondo cui compete all’Amministrazione conferente dotare di adeguata motivazione la scelta amministrativo/gestionale in concreto operata, è rimesso all’operato dell’Ente procedere preliminarmente alla ricognizione delle professionalità interne, potendo, solo in caso di esito negativo di tale verifica, procedere alla provvista all’esterno della professionalità necessaria all’assolvimento dei compiti connessi all’incarico. Per scaricare il parere cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 
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Il Comune di Pordenone ha formulato alla Sezione una richiesta di motivato avviso in materia di corretta interpretazione del dettato normativo del comma 6 dell’art. 19 del Testo unico sul rapporto di p.i. di cui al D.Lgs. n. 165/2001 e s m. e i. in vista del conferimento di un incarico dirigenziale ... Continua a leggere

 
 
 
 
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