
News 27 Luglio 2014 - Area Amministrativa
Reato di depistaggio: concluso l'esame della Commissione Giustizia per l'introduzione nel codice penale della nuova fattispecie di reato

La Commissione Giustizia ha concluso l'esame di una proposta di legge (A.C. 559) diretta a introdurre nel nostro ordinamento il delitto di depistaggio e inquinamento processuale. L'Assemblea avvierà l'esame del provvedimento a partire dal 28 luglio 2014. L'articolo unico dell'A.C. 559-A introducenel codice penale la nuova fattispecie delittuosa di "depistaggio e inquinamento processuale", riscrivendo l'art. 375 del codice. Ad oggi, infatti, il nostro ordinamento penale non prevede questo reato specifico ma una serie di altre disposizioni che puniscono in vario modo la condotta di colui che intralcia la giustizia, indirizzando su una falsa pista le indagini penali svolte dall'autorità giudiziaria: si pensi alla falsa testimonianza, alla calunnia e all'autocalunnia, al favoreggiamento, al falso ideologico, alle false informazioni al pubblico ministero. Si tratta - come per il depistaggio - di comportamenti, anche omissivi, volti con diverse modalità ad ostacolare l'acquisizione della prova o l'accertamento dei fatti nel processo penale. Il nuovo delitto (art. 375 c.p.) Il nuovo delitto di depistaggio e inquinamento processuale è inserito all'art. 375 del codice penale. La fattispecie punisce con la reclusione da 2 a 8 anni chiunque compia una delle seguenti azioni, finalizzata ad impedire, ostacolare o sviare un'indagine o un processo penale: mutare artificiosamente il corpo del reato, lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone connessi al reato; distruggere, sopprimere, occultare o rendere inservibili, anche in parte, elementi di prova o elementi comunque utili alla scoperta di un reato o al suo accertamento; formare o alterare artificiosamente, anche in parte, elementi di prova o elementi comunque utili alla scoperta di un reato o al suo accertamento. Per questo delitto i termini di prescrizione del reato sono raddoppiati. Inoltre, la condanna per depistaggio alla reclusione superiore a 3 anni comporta l'applicazione della pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici. A seguito dell'introduzione del delitto di depistaggio il provvedimento approvato dalla Commissione abroga il reato di frode processuale penale (art. 374, secondo comma), ritenendo tale previsione in qualche modo assorbita dal nuovo art. 375 c.p. Le aggravanti (art. 387-ter c.p.) L'A.C. 559-A introduce nel codice penale l'art. 384-ter, dedicato alle circostanze che aggravano la pena non solo per il nuovo delitto di depistaggio ma anche per alcuni altri delitti contro l'amministrazione della giustizia. In particolare, il primo comma prevede un aggravio di pena quando la commissione dei delitti di false informazioni al PM (art. 371-bis), false dichiarazioni al difensore (art. 371-ter), falsa testimonianza (art. 372), falsa perizia o interpretazione (art. 373) e depistaggio (nuovo art. 375) comporta la pronuncia di una sentenza di condanna alla reclusione a danno di un terzo. La pena alla reclusione da applicare al colpevole di uno dei delitti contro l'amministrazione della giustizia è tanto più severa quanto più alta è stata la condanna inflitta al terzo "vittima" dell'inquinamento dell'indagine e del processo. Il secondo comma prevede un aumento della pena da un terzo alla metà quando alcuni delitti contro l'amministrazione della giustizia - segnatamente simulazione di reato (art. 367 c.p.), calunnia (art. 368 c.p.), autocalunnia (art. 369 c.p.), false informazioni al PM (art. 371-bis), false dichiarazioni al difensore (art. 371-ter), falsa testimonianza (art. 372), falsa perizia o interpretazione (art. 373), frode processuale (art. 374), depistaggio (nuovo art. 375), intralcio alla giustizia (art. 377 c.p.) e induzione a rendere dichiarazioni mendaci allautorità giudiziaria (art. 377-bis c.p.) - sono commessi: da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, nell'esercizio delle funzioni; in relazione a procedimenti penali relativi ad associazioni sovversive (art. 270 c.p.), associazioni terroristiche (art. 270-bis c.p.), attentato contro il Presidente della Repubblica (art. 276 c.p.), attentato per finalità terroristiche o di eversione (art. 280 c.p.), atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi (art. 280-bis c.p.), attentato contro la Costituzione (art. 283 c.p.), insurrezione armata (art. 284 c.p.), devastazione, saccheggio e strage (art. 285 c.p.), sequestro di persona a scopo di terrorismo o eversione (art. 289-bis c.p.), banda armata (art. 306 c.p.), mafia (artt. 416-bis e 416-ter c.p.), strage (art. 422 c.p.), associazioni segrete (art. 2 della legge n. 17 del 1982), traffico internazionale di armi e materiale nucleare, chimico o biologico. Se le circostanze concorrono, la pena è aumentata dalla metà fino al doppio. A mero titolo di esempio, il delitto di calunnia commesso da un pubblico ufficiale in relazione a un procedimento penale per associazione mafiosa, la cui pena base è la reclusione da 2 a 6 anni, con l'applicazione di quest'ultima aggravante potrebbe essere punito con la reclusione fino a 18 anni (pena massima base aumentata del doppio).
La Commissione Giustizia ha concluso l'esame di una proposta di legge (A.C. 559) diretta a introdurre nel nostro ordinamento il delitto di depistaggio e inquinamento processuale. L'Assemblea avvierà l'esame del provvedimento a partire dal 28 luglio 2014. L'articolo unico dell'A.C. 559-A introduce ... Continua a leggere
Limiti alle retribuzioni e ai trattamenti pensionistici: in G.U la circolare MIPA sui limiti introdotti dalla legge di stabilità 2014

E' stata pubblicata sulla G.U. n. 168 del 22.7.2014 la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Funzione Pubblica recante "Nuove disposizioni in materia di limiti alle retribuzioni e ai trattamenti pensionistici - Articolo 1, commi 471 ss., della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilita' per il 2014)." La circolare fornisce indicazioni e chiarimenti relativi all'applicazione delle disposizioni in materia di limiti alle retribuzioni e ai trattamenti pensionistici introdotte dalla legge di stabilita' per il 2014, ad integrazione di quanto gia' precisato, con riferimento alle precedenti disposizioni in materia, nella circolare n. 8 del 2012 del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. In particolare in materia di trattamenti economici, con riferimento al limite al trattamento economico annuo onnicomprensivo dichiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con le pubbliche amministrazioni, si stabilisce come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione. Per l'anno 2014, questo trattamento e' pari a € 311.658,53, come indicato dalla nota del Ministero della giustizia n. 6651 del 23 gennaio 2014. In attuazione di quanto previsto dal citato art. 23-ter, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 2012 ha definito il livello remunerativo massimo onnicomprensivo annuo degli emolumenti, prevedendo che, ai fini del raggiungimento del limite, rilevano gli emolumenti percepiti nell'ambito di rapporti di lavoro subordinato o autonomo e, quindi, gli stipendi e le altre voci di trattamento fondamentale, le indennita' e le voci accessorie, nonche' le eventuali remunerazioni per consulenze, collaborazioni o incarichi aggiuntivi conferiti da amministrazioni pubbliche, anche diverse da quelle di appartenenza. Se il trattamento retributivo onnicomprensivo percepito annualmente e' superiore al compenso spettante per la carica di primo presidente della Corte di cassazione, la retribuzione complessiva si riduce al limite indicato, secondo le modalita' applicative individuate dal paragrafo 1.3 della circolare n. 8 del 2012. L'art. 1, comma 471, della legge di stabilita' per il 2014 interviene sull'ambito di applicazione dell'art. 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, precisandolo. La disposizione chiarisce che il limite retributivo ivi previsto si applica, a decorrere dal 1° gennaio 2014, a chiunque riceva, a carico delle finanze pubbliche, retribuzioni o emolumenti «comunque denominati», in ragione di rapporti di lavoro subordinato o autonomo intercorrenti con le autorita' indipendenti e con le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Rispetto alla formulazione del citato art. 23-ter, dunque, viene chiarito che il limite riguarda anche il personale delle autorita' amministrative indipendenti, nonche' delle amministrazioni diverse da quelle statali. Il successivo comma 472 dello stesso art. 1 della legge di stabilita' per il 2014 chiarisce che sono soggetti al suddetto limite anche gli emolumenti dei componenti degli organi di amministrazione, direzione e controllo delle amministrazioni pubbliche di cui al citato art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001. Per quanto riguarda le amministrazioni regionali, l'art. 1, comma 475, della legge di stabilita' per il 2014 prevede che le regioni, nell'ambito della propria autonomia statutaria e legislativa, adeguino i propri ordinamenti alle nuove norme entro sei mesi dalla loro entrata in vigore, quindi entro il 1° luglio 2014. Nelle more del suddetto adeguamento, alle amministrazioni regionali continua ad applicarsi la disciplina generale dei limiti retributivi in virtu' della loro inclusione nell'elenco di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, al quale fa riferimento il suddetto art. 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011. L'estensione dell'ambito di applicazione riguarda l'intero art. 23-ter del citato decreto-legge e, quindi, anche la normativa limitativa dei trattamenti nel caso di incarichi per l'esercizio di funzioni direttive, dirigenziali o equiparate presso ministeri, enti pubblici nazionali e autorita' amministrative indipendenti, contenuta nel comma 2 dell'articolo in questione. Rimane fermo quanto specificamente previsto all'art. 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 2012 per i presidenti e i componenti delle autorita' amministrative indipendenti ivi menzionate, salva l'applicazione anche nei confronti di questi soggetti del tetto e del vincolo posto dal comma 2 del citato art. 23-ter. Alle amministrazioni incluse nell'elenco ISTAT, per le societa' controllate dalle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 si applicano le disposizioni di cui all'art. 23-bis del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011. Per tutte le altre societa' partecipate dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali, si segnala alle pubbliche amministrazioni l'opportunita' di esercitare i propri poteri di azionista in modo da estendere alle suddette societa' gli stessi principi. Per quanto attiene alle prestazioni occasionali l'art. 1, comma 473, della legge di stabilita' per il 2014 stabilisce che, ai fini dell'applicazione della disciplina di cui ai commi 471 e 472, sono computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all'interessato a carico di uno o piu' organismi o amministrazioni «fatti salvi i compensi percepiti per prestazioni occasionali». E' bene ricordare, al riguardo, che, ai sensi dell'art. 61, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, per prestazioni occasionali si intendono i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5.000 euro. Di conseguenza, ove lo stesso organismo o amministrazione eroghi allo stesso soggetto, nello stesso anno solare, compensi per rapporti di durata complessivamente superiore a trenta giorni, ovvero compensi superiori a 5.000 euro, i relativi importi sono computati ai fini dell'applicazione della suddetta disciplina. Quanto ai redditi pensionistici, per i soggetti gia' titolari di trattamenti pensionistici erogati da gestioni previdenziali pubbliche, l'art. 1, comma 489, della legge di stabilita' per il 2014 prevede, ai fini del raggiungimento del limite di cui al citato art. 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, la concorrenza di tali trattamenti con i trattamenti economici onnicomprensivi erogati dalle amministrazioni comprese nell'elenco ISTAT di cui all'art. 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Poiche' questo elenco e' piu' ampio di quello di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, l'ambito soggettivo di applicazione della disposizione e' piu' esteso di quello del primo comma del citato art. 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 e dei commi 471 e 472 precedentemente esaminati. Si segnala, in particolare, che vi rientrano anche soggetti ai quali, ad altri fini, l'ordinamento giuridico attribuisce natura privata, come alcuni di quelli che, nel suddetto elenco ISTAT, sono inclusi tra gli enti produttori di servizi economici, tra gli enti a struttura associativa e tra le altre amministrazioni locali. Per gli organi costituzionali, la legge prevede che essi applichino i principi di cui al citato comma 489 nel rispetto dei propri ordinamenti. Ai fini dell'applicazione della disposizione in esame, per trattamenti pensionistici erogati da gestioni previdenziali pubbliche devono intendersi tutte le pensioni erogate nell'ambito di gestioni previdenziali obbligatorie, rimanendo pertanto escluse solo le forme di previdenza complementare e integrativa; nella definizione di trattamento pensionistico sono compresi anche i vitalizi, quali quelli derivanti da funzioni pubbliche elettive. Per trattamento economico onnicomprensivo, che si cumula con il trattamento pensionistico, devono intendersi gli stipendi e le altre voci di trattamento fondamentale, le indennita' e le voci accessorie, nonche' le eventuali remunerazioni per consulenze, incarichi o collaborazioni a qualsiasi titolo conferiti a carico di uno o piu' organismi o amministrazioni comprese nel suddetto elenco ISTAT. Ai fini della verifica del raggiungimento del limite, le amministrazioni devono operare secondo il criterio di competenza per i trattamenti economici, verificando quanto dovuto al dipendente complessivamente in ragione d'anno, sia a titolo di trattamento per rapporto di lavoro subordinato, sia a titolo di corrispettivo per collaborazioni autonome e per incarichi (secondo quanto indicato nella circolare n. 8 del 2012), e secondo il criterio della cassa per i trattamenti pensionistici. Come gia' precisato nella circolare n. 8 del 2012, la retribuzione di risultato per il personale dirigenziale ed altri analoghi emolumenti, la cui corresponsione e' subordinata alla verifica successiva del raggiungimento degli obiettivi assegnati nell'anno precedente, seguono il criterio della cassa. Per esempio, sono assoggettati al regime limitativo dell'anno 2014 i trattamenti retributivi di risultato erogati nell'anno stesso pur se riferiti all' attività svolta nell'anno 2013. Per l'anno in corso, quindi, tali trattamenti si cumulano con i trattamenti di competenza del medesimo anno ai fini del raggiungimento del tetto. Qualora concorrano trattamenti pensionistici e altri trattamenti economici, nel caso di superamento del limite, la riduzione dovra' essere operata dall'amministrazione che eroga il trattamento economico e non da quella che gestisce il trattamento previdenziale. In presenza di una pluralita' di incarichi e connessi trattamenti economici, che si cumulano al trattamento pensionistico, l'amministrazione che assume o che conferisce l'incarico prevalente in termini economici dovra' agire come soggetto di coordinamento nei confronti delle altre amministrazioni coinvolte, operare la riduzione e curare le necessarie comunicazioni alle altre amministrazioni coinvolte, anche ai fini delle eventuali ulteriori riduzioni. A tal fine, all'atto dell'assunzione o del conferimento dell'incarico, ciascuna amministrazione avra' cura di far sottoscrivere all'interessato una dichiarazione che indichil'eventuale trattamento pensionistico in godimento, al netto dell'eventuale decurtazione per il contributo di solidarieta' di cui all'art. 1, comma 486, della legge di stabilita' per il 2014, specificandone l'importo annuo e il tipo, nonche' gli altri trattamenti economici in godimento, rientranti nell'ambito di applicazione della disciplina in esame. Sulla base della suddetta dichiarazione, ove riscontri il superamento del limite, l'amministrazione procedera' come sopra indicato o segnalera' il superamento all'amministrazione che assume o che conferisce l'incarico prevalente in termini economici. In assenza di tale dichiarazione, l'incarico non potra' essere perfezionato. Per gli incarichi eventualmente gia' conferiti o rinnovati a partire dal 1° gennaio 2014 (data di entrata in vigore della legge di stabilita'), la suddetta dichiarazione sara' raccolta dall'amministrazione con immediatezza. Se il trattamento pensionistico interviene in costanza di rapporto al quale si riferisce il trattamento economico, l'interessato dovra' comunicarlo tempestivamente all'amministrazione. A tale scopo, la suddetta dichiarazione, sottoscritta all'atto dell'assunzione o del conferimento dell'incarico, dovra' contenere un impegno in tal senso. Allo scopo di garantire il rispetto del limite previsto dalla normativa, l'amministrazione avra' cura di operare verifiche con gli enti previdenziali sulle dichiarazioni ricevute dagli interessati, in percentuale congrua rispetto al numero di soggetti ai quali eroga trattamenti economici. Le verifiche riguarderanno sia i soggetti che hanno dichiarato di avere trattamenti pensionistici, sia i soggetti che non lo hanno dichiarato. Allo stesso scopo, l'amministrazione potra' verificare la corrispondenza dei dati relativi agli eventuali ulteriori incarichi del soggetto beneficiario con quelli pubblicati sui siti istituzionali delle amministrazioni che li hanno conferiti, ai sensi dell'art. 15 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, e prendere contatto con il Dipartimento della funzione pubblica per eventuali riscontri con le informazioni contenute nella banca dati PERlaPA mediante i dati identificativi dei soggetti interessati. 3.4. Il versamento delle somme non corrisposte. Pare opportuno ricordare che, in base a quanto previsto dall'art. 1, comma 474, della legge di stabilita' per il 2014, le amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 dovranno versare annualmente le somme rivenienti dall'applicazione dell'art. 1, commi 472 e 473, al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. Le altre amministrazioni, non tenute al versamento obbligatorio al Fondo, potranno acquisire le somme per migliorare i saldi dei propri bilanci, secondo quanto stabilito dalla stessa legge di stabilita'. Ulteriori disposizioni rilevanti in materia di trattamenti economici: L'intervento normativo contenuto nella legge di stabilita' per il 2014 si pone in linea di continuita' con precedenti disposizioni in materia di contenimento dei trattamenti economici nel settore pubblico. Tra queste rientrano, in particolare, quelle prevista dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244 (art. 3, commi 44 e seguenti), dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 (art. 1) e dal gia' citato decreto-legge n. 201 del 2011 (articoli 23-bis e 23-ter). A tali interventi si aggiunge il decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, con il quale e' stata prorogata sino al 31 dicembre 2014 l'efficacia delle misure limitative di cui al decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 (art. 9). Tali norme riguardano, in particolare, la c.d. cristallizzazione dei trattamenti economici (art. 9, commi 1 e 2, nella parte vigente a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2012), nonche' i fondi per il trattamento accessorio (art. 9, comma 2-bis), il blocco dei rinnovi contrattuali per gli aspetti economici, il blocco degli automatismi retributivi e della progressione automatica degli stipendi, la valenza a fini esclusivamente giuridici delle progressioni di carriera (art. 9, comma 21). Con il medesimo decreto del Presidente della Repubblica, infine, sono state introdotte limitazioni, a valere anche per il 2014, agli incrementi dell'indennità di vacanza contrattuale (art. 1, comma 1, lettera d). Sulla disciplina dell'indennita' e' altresi' intervenuta la legge di stabilita' per il 2014 (art. 1, comma 452), ponendo ulteriori vincoli per il triennio 2015-2017. Per quanto riguarda i soggetti titolari di trattamento pensionistico, interessati dall'art. 1, comma 489, della legge di stabilita', e' utile ricordare le preclusioni al conferimento di incarichi nei confronti di soggetti collocati in quiescenza o dimissionari, derivanti dall'art. 25 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, dall'art. 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e dall'art. 53, comma 16-ter, del decreto legislativo n. 165 del 2001. Infine, come ricordato nel paragrafo 3.1, alle societa' controllate dalle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 si applicano le disposizioni di cui al citato art. 23-bis del citato decreto-legge n. 201 del 2011.
E' stata pubblicata sulla G.U. n. 168 del 22.7.2014 la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Funzione Pubblica recante "Nuove disposizioni in materia di limiti alle retribuzioni e ai trattamenti pensionistici - Articolo 1, commi 471 ss., della legge 27 dicembre 20 ... Continua a leggere
Abuso del processo amministrativo: sanzioni e limiti alla luce D.L. 90/2014

L'art. 41 (Misure per il contrasto all'abuso del processo) del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 (GU n.144 del 24-6-2014) entrato in vigore il 25.6.2014 dispone espressamente che: "1. All'articolo 26 dell'allegato 1 (Codice del processo amministrativo) del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, in fine, e' aggiunto il seguente periodo: "In ogni caso, il giudice, anche d'ufficio, puo' altresi' condannare la parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, quando la decisione e' fondata su ragioni manifeste.", b) al comma 2, dopo il primo periodo e' inserito il seguente: "Nelle controversie in materia di appalti di cui agli articoli 119, lettera a), e 120 l'importo della sanzione pecuniaria puo' essere elevato fino all'uno per cento del valore del contratto, ove superiore al suddetto limite." La norma introdotta esplicita, chiaramente, un mezzo a tutela della parte vittoriosa nel ricorso, ulteriore rispetto alla mera condanna alle spese. Dubbi possono sorgere circa la determinazione equitativa che spetta anche d’ufficio al giudice, ovvero sulla mancanza di una cosiddetta forchetta di un limite minimo e massimo. L’intento del legislatore è quello di affidarsi al buon senso del giudice nella determinazione della sanzione. Per converso nella delicata materia degli appalti è stato previsto il limite auspicato. Comune sono poi, le ragioni manifeste sulla quali è fondata la decisione che per la parte significa onerarla del preventivo vaglio di fondatezza del ricorso.
L'art. 41 (Misure per il contrasto all'abuso del processo) del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 (GU n.144 del 24-6-2014) entrato in vigore il 25.6.2014 dispone espressamente che: "1. All'articolo 26 dell'allegato 1 (Codice del processo amministrativo) del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 10 ... Continua a leggere
Anticorruzione: in arrivo agli Enti Locali il Questionario della Prefettura sull'attuazione della Trasparenza e la prevenzione dei fenomeni di corruzione

Il Ministro dell'Interno ed il Presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione hanno sottoscritto un protocollo d'Intesa con il quale hanno adottato le Linee guida ANAC - Prefetture - UTG ed Enti Locali per l'avvio di un circuito collaborativo per la prevenzione dei fenomeni della Corruzione e l'attuazione della Trasparenza.In particolare con le linee guida si forniscono i primi orientamenti interpretativi utili per l'attuazione delle previsioni sancite dall'art. 32 del D.L. 90/2014 che consente al Presidente dell'A.N.AC. di richiedere ai Prefetti di adottare straordinarie misure per la gestione ed il monitoraggio dell'impresa che risulti coinvolta nei procedimenti penali per i più gravi reati contro la pubblica amministrazione o di situazioni anomale o sintomatiche di condotte criminali. Le Linee si suddividono in Settore Enti Locali e Settore Appalti Pubblici. Relativamente al Settore Enti locali si è voluto fare il punto sull'adozione dei Piani Triennali di prevenzione della Corruzione e dei Programmi per la Trasparenza e l'Integrità con i quali le P.A. rispettivamente individuano da un lato i piani istituzionali più esposti a rischio corruzione con le conseguenti contromisure e dall'altro rendono accessibili informazioni essenziali sui servizi erogati, i rispettivi costi (effettivi e di personale) supportati nonchè l'andamento di quest'ultimi nel tempo. Sia per il Piano Triennale che per i Programmi per la Trasparenza l'ANAC con deliberazione n. 50/2013 ha fissato il termine del 31 gennaio di ogni anno per la loro adozione e pubblicazione di guisa che in virtù delle Linee Guida in argomento le Prefetture entro 15 giorni dalla pubblicazione delle Linee Guida invieranno in via telematica agli Enti Locali delle rispettive province (Comuni, Province, Comunità Montane) un apposito questionario che, debitamente compilato, dovrà essere restituito nei 45 giorni dalla pubblicazione delle Linee guida. Nei successivi trenta giorni i Prefetti inoltreranno all'ANAC i risultati dell'iniziativa.Le voci presenti nel questionario sono dirette a far emergere le criticità incontrate nella redazione del Piano anticorruzione e del Programma per la Trasparenza ed Integrità e, quindi, orientare le iniziative dei Prefetti in tutti gli ambiti di intervento a supporto degli Enti Locali e della collettività.Il Protocollo prevede poi ulteriori misure per quanto attiene al settore degli Appalti. Per scaricare le linee Guida cliccare su "Accedi al Provvedimento".
Il Ministro dell'Interno ed il Presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione hanno sottoscritto un protocollo d'Intesa con il quale hanno adottato le Linee guida ANAC - Prefetture - UTG ed Enti Locali per l'avvio di un circuito collaborativo per la prevenzione dei fenomeni della Corruzione e l' ... Continua a leggere
Elezioni di secondo grado dei consigli metropolitani, dei presidenti delle province e dei consigli provinciali: la circolare del Ministero dell'Interno sulle Linee guida per lo svolgimento del procedimento elettorale
segnalazione del dott. Gianmarco Sadutto della circolare del Ministero dell'Interno

La Circolare del Ministero dell’Interno n. 32/2014 fornisce le linee guida per lo svolgimento del procedimento elettorale stabilito con Legge 7 aprile 2014 n. 56. L’art. 1 della suddetta Legge, infatti, ha dettato, tra l’altro, una serie di norme per la costituzione, con procedimento elettorale di secondo grado, sia dei consigli delle città metropolitane, sia dei presidenti e dei consigli delle province non costituite in città metropolitane. Dal Tavolo di lavoro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri con le associazioni rappresentative delle Autonomie locali è emersa l’esigenza di fornire un contributo da parte del Ministero dell’Interno, almeno per la prima applicazione della legge, attesa l’opportunità di adottare criteri uniformi sul territorio nazionale di tutti i relativi procedimenti elettorali. Le linee guida fornite non superano l’organizzazione concreta delle consultazioni ed ogni onere finanziario correlato resta a far capo all’Ente territorialmente interessato. Il Ministero in primo luogo per le operazioni di voto consiglia, con riferimento ai consigli metropolitani ed ai presidenti e consigli delle province (non costituiti in città metropolitane) nelle quali gli organi elettivi sono scaduti, la giornata di Domenica 28 dalle ore 8 alle ore 20. Le procedure introduttive hanno il loro preludio con l’indizione dei comizi elettorali, il sindaco del comune capoluogo, è tenuto a provvedervi (in qualità di sindaco metropolitano). I comizi per l’elezione dei presidenti e dei consigli provinciali vengono convocati con provvedimento del presidente della provincia o del commissario straordinario. Il termine stabilito per l’adozione del suddetto provvedimento è il 40° giorno antecedente quello della votazione (ad esempio, entro il 19 agosto 2014 nel caso ipotizzato di svolgimento delle elezioni il 28 settembre c. a. ). E’ necessario, poi, sia per le elezioni dei consigli comunali, sia per le elezioni dei presidenti e consigli provinciali, costituire un ufficio elettorale apposito "presso l’amministrazione provinciale o presso la sede della provincia". Nell’ambito di questo ufficio dovrà costituirsi, in aggiunta, un seggio elettorale composto da un dirigente, o da un funzionario della provincia, che lo presiede e coordina. Fondamentale è poi l’individuazione del corpo elettorale. Questo è costituito dai sindaci e dai consiglieri comunali in carica. Non possono farvi parte gli ex amministratori elettivi dei comuni, nelle ipotesi in cui il comune risulti commissariato. I segretari comunali, per adempiere correttamente, dovranno far pervenire all’ufficio elettorale costituito presso la provincia, apposita attestazione con l’elenco e le generalità complete del sindaco e di ciascun consigliere comunale in carica alla data del 35° giorno antecedente al voto. Sulla base di quest’ultime si formerà la lista sezionale degli aventi diritti al voto. Terminata questa fase iniziale si passa alla "presentazione delle liste dei candidati ai consigli metropolitani o provinciali e delle candidature a presidente di provincia". Le modalità di presentazione di liste e candidati sono disciplinata dalla legge n. 56/2014. Tra le varie prescrizioni si rammenta che: " sono eleggibili a consigliere metropolitano o a consigliere provinciale i sindaci e i consiglieri in carica dei comuni della provincia. Limitatamente alle prime elezioni di ciascun presidente e consiglio provinciale sono eleggibili anche i consiglieri provinciali uscenti". Non godono dell’elettorato passivo né i presidenti né consiglieri provinciali che, per motivi diversi, si sono dimessi dalla carica prima della fine del mandato. Per eleggere il presidente della provincia sono eleggibili i sindaci della medesima e anche i consiglieri uscenti, solo per la prima applicazione della legge. Le liste dei candidati dovranno essere sottoscritte dagli aventi diritto al voto (5% metropolitane, 15% provinciali). I candidati non possono sottoscrivere le liste o le candidature a presidente, né della propria lista o candidatura, né di altre liste o candidature concorrenti per la medesima elezione. Tutte le liste dovranno avere un contrassegno elettore di forma circolare. L’Ufficio elettorale deve svolgere numerose verifiche sulle candidature. L’esame delle liste e candidature a presidente sarà terminato entro il 18° giorno antecedente quello della votazione, comunicandone l’esito ai delegati delle liste o dei candidati a presidente. Queste liste esaminate dovranno essere pubblicate nel sito internet della provincia entro l’8° giorno antecedente quello della votazione. Sulla propaganda e le affissioni si applica la legge n. 212 del 1956 e successive modificazioni. Nelle città metropolitane con maggior numero di elettori si possono creare delle "sottosezioni" per adempiere alle operazioni di voto e scrutinio. L’elettore riceverà una scheda di voto, a seconda della fascia demografica di appartenenza, ed esprimerà un voto avente per legge un diverso "indice di ponderazione" ( un diverso valore). Per un’opportuna differenziazione, le schede di voto avranno anche l’indicazione sulla parte esterna della fascia demografica cui appartiene il comune dell’amministratore. Per le modalità relative ai rappresentanti di lista, al materiale in dotazione ai seggi, autenticazione delle schede di votazione, alle modalità di votazione e alle operazioni di scrutinio si rimanda al testo della circolare scaricabile cliccando si "Accedi al Provvedimento". Infine, alla proclamazione dei risultati provvede per legge, l’ufficio elettorale in base ai verbali e alle tabelle di scrutinio redatti a conclusione delle operazioni del seggio centrale e dalle eventuali sottosezioni. L’Ufficio dovrà provvedere al calcolo dell’indice di ponderazione del voto degli elettori dei comuni di ciascuna fascia demografica, tenendo conto ovviamente dei dati del censimento ufficiale della popolazione e seguendo tutti i vari passaggi dell’iter di calcolo stabilito dall’Allegato A alla legge.
segnalazione del dott. Gianmarco Sadutto della circolare del Ministero dell'Interno
La Circolare del Ministero dell’Interno n. 32/2014 fornisce le linee guida per lo svolgimento del procedimento elettorale stabilito con Legge 7 aprile 2014 n. 56. L’art. 1 della suddetta Legge, infatti, ha dettato, tra l’altro, una serie di norme per la costituzione, con procedimento elettorale d ... Continua a leggere
Ministero del Lavoro: Avviso pubblico premi Prof. Massimo D’Antona

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato un Avviso pubblico, a seguito di un protocollo d’intesa stipulato con la Fondazione omonima, per l’attribuzione di Premi di studio alla memoria del prof. Massimo D’Antona. Detta iniziativa è stata intrapresa per l’attribuzione, agli studenti, di riconoscimenti economici per premiare le migliori tesi di laurea (con esclusione delle triennali) o di dottorato, in materia di "Diritto del Lavoro". Il valore dei due premi distinti, messi a bando, è di 4.000 € lordi, ciascuno da assegnarsi, a cura di una commissione appositamente nominata con decreto del Ministro del Lavoro, per le tesi di laurea e dottorato, svolte in materia gius-lavoristica, discusse nel periodo compreso tra il 1° aprile 2012 e il 31 maggio 2014. Le domande dovranno pervenire, materialmente ed improrogabilmente, entro le ore 24.oo del 31 luglio 2014 presso il: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale per le politiche attive e passive (ex Direzione Generale per le politiche per l’orientamento e la formazione – Divisione I°) Palazzina C 1° piano via Fornovo 8 – 00192 Roma. Per ulteriori informazioni e approfondimenti visionare il sito web della Fondazione Prof. Massimo D’Antona onlus.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato un Avviso pubblico, a seguito di un protocollo d’intesa stipulato con la Fondazione omonima, per l’attribuzione di Premi di studio alla memoria del prof. Massimo D’Antona. Detta iniziativa è stata intrapresa per l’attribuzione, agli stude ... Continua a leggere
COMPARTI MINISTERI, AGENZIE FISCALI E PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI - Quesito su possibilità di cumulo, nella medesima giornata, dei riposi per allattamento e dei riposi compensativi.

E’ possibile cumulare nella medesima giornata lavorativa, i riposi giornalieri per allattamento ed i riposi compensativi?
E’ possibile cumulare nella medesima giornata lavorativa, i riposi giornalieri per allattamento ed i riposi compensativi? ... Continua a leggere
COMPARTO REGIONI-AUTONOMIE LOCALI – Quesito su organizzazione del lavoro per turni e possibilità di erogazione della relativa indennità per i periodi di partecipazione a corsi di aggiornamento professionale.

Ad un dipendente inserito in organizzazione del lavoro per turni compete la relativa indennità, ai sensi dell’art. 22, comma 5, del CCNL del 14.9.2000 per un periodo in cui lo stesso è impegnato in un corso di aggiornamento professionale?
Ad un dipendente inserito in organizzazione del lavoro per turni compete la relativa indennità, ai sensi dell’art. 22, comma 5, del CCNL del 14.9.2000 per un periodo in cui lo stesso è impegnato in un corso di aggiornamento professionale? ... Continua a leggere
COMPARTO REGIONI-AUTONOMIE LOCALI – Quesito su possibilità di riconoscimento, per la durata del periodo di licenziamento a seguito di procedimento disciplinare, del trattamento economico spettante a titolare di posizione organizzativa, successivamente reintegrato in servizio.

Quale trattamento economico deve essere riconosciuto al dipendente, titolare di posizione organizzativa, che, licenziato a seguito di procedimento disciplinare, sia stato successivamente reintegrato in servizio a seguito di sentenza di secondo grado emessa dal giudice del lavoro, per tutta la durata del periodo di licenziamento?
Quale trattamento economico deve essere riconosciuto al dipendente, titolare di posizione organizzativa, che, licenziato a seguito di procedimento disciplinare, sia stato successivamente reintegrato in servizio a seguito di sentenza di secondo grado emessa dal giudice del lavoro, per tutta la dura ... Continua a leggere
Riforma della P.A.: le osservazioni del Presidente Cantone al decreto legge n. 90/2014

Il Presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone in data 3 luglio 2014 ha partecipato all’audizione della Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati in relazione all’iter di conversione del decreto-legge n. 90 del 2014 e ha depositato le osservazioni al testodel decreto-legge citato. Per scaricare le osservazioni cliccare su "Accedi al Provvedimento"
Il Presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone in data 3 luglio 2014 ha partecipato all’audizione della Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati in relazione all’iter di conversione del decreto-legge n. 90 del 2014 e ha depositato le osservazioni al testo ... Continua a leggere
Corresponsione dell’assegno per il nucleo familiare: la circolare Mef sulla rivalutazione dei livelli di reddito a decorrere dal 1° luglio 2014

Il Ministero dell'Economia e delle Finanze nella circolare n. 20/2014 ha precisato che "L’art.2 del D.L. 13.3.1988, n.69, convertito, con modificazioni, nella L. 13.5.1988, n.153, concernente la normativa in materia di assegno per il nucleo familiare, ha disposto, al comma 12, la rivalutazione annua dei livelli di reddito familiare e delle relative maggiorazioni in misura pari alla variazione percentuale dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati intervenuta tra l’anno di riferimento dei redditi per la corresponsione dell’assegno e l’anno immediatamente precedente. La suddetta variazione percentuale rilevata dall’ISTAT, da considerare ai fini della rivalutazione in oggetto dal 1° luglio 2014, è risultata pari all’1,1 per cento. In relazione alla suindicata rivalutazione si fa presente che l’INPS, ai sensi dell’art.1, comma 11, della legge 27.12.2006, n.296, con circolare n.76 dell’11.06.2014, ha diramato le tabelle aggiornate con i nuovi limiti di reddito familiare da considerare, sulla base del reddito conseguito nel 2013, ai fini della corresponsione dell’assegno per il nucleo familiare per il periodo 1° luglio 2014 – 30 giugno 2015." Tali tabelle, allegate alla circolare unitamente alla modulistica per la richiesta dell’assegno, sono rese disponibili esclusivamente con le seguenti modalità: invio della circolare per posta elettronica; consultazione della circolare nel sito Internet del Ministero dell’economia e delle finanze al seguente indirizzo: http://www.rgs.mef.gov.it/VERSIONE-I/CIRCOLARI/2014/. Il Mef. Nella circolare, ribadisce poi che, con l’istituzione dell’IMU nell’anno 2012, i redditi dominicali dei terreni non affittati e quelli dei fabbricati non locati non sono più ricompresi tra i redditi soggetti ad IRPEF ma, mantenendo la loro natura reddituale, vanno comunque considerati nel reddito familiare complessivo, desumendo il relativo importo dai righi 147 e 148 del mod.730-3 e dal rigo RN50, colonne 1 e 2, del mod. Unico. Per scaricare la circolare e gli allegati cliccare su "Accedi al Provvedimento".
Il Ministero dell'Economia e delle Finanze nella circolare n. 20/2014 ha precisato che "L’art.2 del D.L. 13.3.1988, n.69, convertito, con modificazioni, nella L. 13.5.1988, n.153, concernente la normativa in materia di assegno per il nucleo familiare, ha disposto, al comma 12, la rivalutazione annu ... Continua a leggere
COMPARTO SANITA’ – Quesito su frequenza di un master universitario di durata annuale e concessione, per due anni solari, delle 150 ore per diritto allo studio.

Possono essere concesse per due anni solari consecutivi le 150 ore previste per il diritto allo studio ex art. 22 del CCNL del 20 settembre 2001, al fine di permettere la frequenza di un master universitario di durata annuale ad un dipendente che ne ha fatto richiesta?
Possono essere concesse per due anni solari consecutivi le 150 ore previste per il diritto allo studio ex art. 22 del CCNL del 20 settembre 2001, al fine di permettere la frequenza di un master universitario di durata annuale ad un dipendente che ne ha fatto richiesta? ... Continua a leggere
DIRIGENZA MINISTERI – Quesito su riconoscimento di ferie non godute, maturate nel precedente rapporto di lavoro in diversa amministrazione del medesimo comparto.

E’ possibile riconoscere ad un dirigente, assunto quale vincitore di concorso, i periodi di ferie maturati e non goduti nel precedente rapporto di lavoro presso un’altra amministrazione del medesimo comparto di contrattazione?
E’ possibile riconoscere ad un dirigente, assunto quale vincitore di concorso, i periodi di ferie maturati e non goduti nel precedente rapporto di lavoro presso un’altra amministrazione del medesimo comparto di contrattazione? ... Continua a leggere
Anticorruzione: i chiarimenti dell'A.N.AC. sulle modalità di segnalazione da parte dei dipendenti pubblici di condotte illecite

L'Autorità Nazionale Anticorruzione ha adottato tre orientamenti in materia di segnalazione di condotte illecite. Nell'orientamento n. 40/2014 viene precisato che il dipendente che, in ragione del rapporto di lavoro, sia venuto a conoscenza di condotte illecite, può effettuare la segnalazione di cui all’art. 54 bis del d.lgs. n. 165/2001 anche al responsabile per la prevenzione della corruzione. Nell'orientamento n. 41/2014 si precisa che: "Il dipendente pubblico soddisfa l’obbligo di cui agli articoli 361 e 362 c.p., con la segnalazione al proprio superiore in quelle organizzazioni di tipo gerarchico che vincolano all’informativa interna e nelle quali sono riservate soltanto ai livelli superiori i rapporti esterni (Cass. Pen. sez. VI, 11.10.1995, n. 11597)." Da ultimo nell'orientamento n. 42/2014 sulla tutela dell'anonimato si precisa che: "L’anonimato del dipendente che ha segnalato condotte illecite, ai sensi dell’art. 54 bis del d.lgs. n. 165/2001, deve essere tutelato anche nei confronti dell’organo di vertice dell’amministrazione, salvo il caso in cui il segnalante presti il proprio consenso o nel caso in cui, nell’ambito del procedimento disciplinare avviato nei confronti del segnalato, la contestazione dell’addebito sia fondata in tutto o in parte sulla segnalazione medesima e la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato."
L'Autorità Nazionale Anticorruzione ha adottato tre orientamenti in materia di segnalazione di condotte illecite. Nell'orientamento n. 40/2014 viene precisato che il dipendente che, in ragione del rapporto di lavoro, sia venuto a conoscenza di condotte illecite, può effettuare la segnalazione di c ... Continua a leggere
INPS: autismo, linee guida medico-legali

L'Istituto Previdenziale ha inteso chiarire, con il messaggio 5544/2014, le linee guida circa la fattispecie comprendente i malati cronici affetti da "autismo". Con tale iniziativa di semplificazione l'Ente di previdenza ha inteso cessare una procedura che prevedeva l'effettuazione di visite mediche definibili "fotocopia" a distanza di pochi anni l'una dall'altra, per confermare lo stato di malattia cronica, non regredibile, per le patologie riconducibili appunto all'autismo, nella sua definizione di "grave disabilità sociale a carattere cronico evolutivo". Al fine di evitare ricorrenti disagi ai bambini e ragazzi, nonchè alle loro famiglie, i medici legali dell'Istituto dovranno attenersi nel non prevedere il requisito della rivedibilità fino al compiersi del diciottesimo anno, ai fini del riconoscimento della invalidità civile e dell'handicap. Per tale patologia, al contempo, è prevista, in alternativa, a valutazione discrezionale effettuata dai medici delle strutture specializzate del servizio sanitario nazionale ovvero accreditate, l'attestazione di un "disturbo dello spettro autistico di tipo lieve o border line con ritardo mentale lieve o assente". Da tale patologia medica purtroppo non si guarisce, per tale ragione il discrimine, sul quale l'Istituto previdenziale per mezzo dei propri medici tenta di cimentarsi, potrebbe rappresentare un terreno scivoloso e a rischio di errore, circa la scientificità ed inoppugnabilità di valutazioni di natura eminentemente discrezionale. Per scaricare il messaggio Inps cliccare su "Accedi al Provvedimento".
L'Istituto Previdenziale ha inteso chiarire, con il messaggio 5544/2014, le linee guida circa la fattispecie comprendente i malati cronici affetti da "autismo". Con tale iniziativa di semplificazione l'Ente di previdenza ha inteso cessare una procedura che prevedeva l'effettuazione di visite medich ... Continua a leggere
Uffici giudiziari: in G.U. il decreto sulle misure urgenti per la semplificazione, la trasparenza amministrativa e per l'efficienza

Entra in vigore oggi il decreto legge n. 90/2014 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 144 del 24.6.2014 recante "Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari." Per scaricare il decreto cliccare su "Accedi al Provvedimento".
Entra in vigore oggi il decreto legge n. 90/2014 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 144 del 24.6.2014 recante "Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari." Per scaricare il decreto cliccare su "Accedi al Prov ... Continua a leggere
Funzione Pubblica: adottato il Regolamento sugli incarichi vietati ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni

A chiusura del tavolo tecnico a cui hanno partecipato il Dipartimento della funzione pubblica, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l'ANCI e l'UPI, avviato ad ottobre 2013 in attuazione di quanto previsto dall'intesa sancita in Conferenza unificata il 24 luglio 2013, è stato formalmente approvato il documento contenente "Criteri generali in materia di incarichi vietati ai pubblici dipendenti". Obiettivo del documento è quello di supportare le amministrazioni nell'applicazione della normativa in materia di svolgimento di incarichi da parte dei dipendenti e di orientare le scelte in sede di elaborazione dei regolamenti e degli atti di indirizzo. Nel documento, si precisa che i criteri indicati nel presente esemplificano una serie di situazioni di incarichi vietati per i pubblici dipendenti tratti dalla normativa vigente, dagli indirizzi generali e dalla prassi applicativa. Le situazioni contemplate non esauriscono comunque i casi di preclusione; rimangono salve le eventuali disposizioni normative che stabiliscono ulteriori situazioni di preclusione o fattispecie di attività in deroga al regime di esclusività. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a tempo pieno e con percentuale di tempo parziale superiore al 50% (con prestazione lavorativa superiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche indicate nei paragrafi a) [abitualità e professionalità] e b) [conflitto di interessi]. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con percentuale di tempo parziale pari o inferiore al 50% (con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche di cui al paragrafo b) [conflitto di interessi]. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a prescindere dal regime dell'orario di lavoro gli incarichi che presentano le caratteristiche indicate nel paragrafo c) [preclusi a prescindere dalla consistenza dell'orario di lavoro], fermo restando quanto previsto dai paragrafi a) e b). Gli incarichi considerati nel documento sono sia quelli retribuiti sia quelli conferiti a titolo gratuito. a) ABITUALITÀ E PROFESSIONALITÀ. 1. Gli incarichi che presentano i caratteri della abitualità e professionalità ai sensi dell'art. 60 del d.P.R. n. 3/57, sicché il dipendente pubblico non potrà "esercitare attività commerciali, industriali, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro". L'incarico presenta i caratteri della professionalità laddove si svolga con i caratteri della abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo (art. 5, d.P.R. n. 633 del 1972; art. 53 del d.P.R. n. 917 del 1986; Cass. civ., sez. V, n. 27221 del 2006; Cass. civ., sez. I, n. 9102 del 2003). Sono escluse dal divieto di cui sopra, ferma restando la necessitàdell'autorizzazione e salvo quanto previsto dall'art. 53, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001: a) l'assunzione di cariche nelle società cooperative, in base a quanto previsto dall'art. 61 del d.P.R. n. 3/1957; b) i casi in cui sono le disposizioni di legge che espressamente consentono o prevedono per i dipendenti pubblici la partecipazione e/o l'assunzione di cariche in enti e società partecipate o controllate (si vedano a titolo esemplificativo e non esaustivo: l'art. 60 del d.P.R. n. 3/1957; l'art. 62 del d.P.R. n. 3/1957; l'art. 4 del d.l. n. 95/2012); c) l'assunzione di cariche nell'ambito di commissioni, comitati, organismi presso amministrazioni pubbliche, sempre che l'impegno richiesto non sia incompatibile con il debito orario e/o con l'assolvimento degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro; d) altri casi speciali oggetto di valutazione nell'ambito di atti interpretativi/di indirizzo generale (ad esempio, circolare n. 6 del 1997 del Dipartimento della funzione pubblica, in materia di attività di amministratore di condominio per la cura dei propri interessi; parere 11 gennaio 2002, n. 123/11 in materia di attività agricola). 2. Gli incarichi che, sebbene considerati singolarmente e isolatamente non diano luogo ad una situazione di incompatibilità, considerati complessivamente nell'ambito dell'anno solare, configurano invece un impegno continuativo con le caratteristiche della abitualità e professionalità, tenendo conto della natura degli incarichi e della remunerazione previsti. b) CONFLITTO DI INTERESSI. 1. Gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti nei confronti dei quali la struttura di assegnazione del dipendente ha funzioni relative al rilascio di concessioni o autorizzazioni o nulla-osta o atti di assenso comunque denominati, anche in forma tacita. 2. Gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti fornitori di beni o servizi per l'amministrazione, relativamente a quei dipendenti delle strutture che partecipano a qualunque titolo all'individuazione del fornitore. 3. Gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti privati che detengono rapporti di natura economica o contrattuale con l'amministrazione, in relazione alle competenze della struttura di assegnazione del dipendente, salve le ipotesi espressamente autorizzate dalla legge. 4. Gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti privati che abbiano o abbiano avuto nel biennio precedente un interesse economico significativo in decisioni o attività inerenti all'ufficio di appartenenza. 5. Gli incarichi che si svolgono nei confronti di soggetti verso cui la struttura di assegnazione del dipendente svolge funzioni di controllo, di vigilanza o sanzionatorie, salve le ipotesi espressamente autorizzate dalla legge. 6. Gli incarichi che per il tipo di attività o per l'oggetto possono creare nocumento all'immagine dell'amministrazione, anche in relazione al rischio di utilizzo o diffusione illeciti di informazioni di cui il dipendente è a conoscenza per ragioni di ufficio. 7. Gli incarichi e le attività per i quali l'incompatibilità è prevista dal d.lgs. n. 39/2013 o da altre disposizioni di legge vigenti. 8. Gli incarichi che, pur rientrando nelle ipotesi di deroga dall'autorizzazione di cui all'art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, presentano una situazione di conflitto di interesse. 9. In generale, tutti gli incarichi che presentano un conflitto di interesse per la natura o l'oggetto dell'incarico o che possono pregiudicare l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente. La valutazione operata dall'amministrazione circa la situazione di conflitto di interessi va svolta tenendo presente la qualifica, il ruolo professionale e/o la posizione professionale del dipendente, la sua posizione nell'ambito dell'amministrazione, la competenza della struttura di assegnazione e di quella gerarchicamente superiore, le funzioni attribuite o svolte in un tempo passato ragionevolmente congruo. La valutazione deve riguardare anche il conflitto di interesse potenziale, intendendosi per tale quello astrattamente configurato dall'art. 7 del d.P.R. n. 62/2013. c) PRECLUSI A TUTTI I DIPENDENTI, A PRESCINDERE DALLA CONSISTENZA DELL'ORARIO DI LAVORO. 1. Gli incarichi, ivi compresi quelli rientranti nelle ipotesi di deroga dall'autorizzazione di cui all'art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, che interferiscono con l'attività ordinaria svolta dal dipendente pubblico in relazione al tempo, alla durata, all'impegno richiestogli, tenendo presenti gli istituti del rapporto di impiego o di lavoro concretamente fruibili per lo svolgimento dell'attività; la valutazione va svolta considerando la qualifica, il ruolo professionale e/o la posizione professionale del dipendente, la posizione nell'ambito dell'amministrazione, le funzioni attribuite e l'orario di lavoro. 2. Gli incarichi che si svolgono durante l'orario di ufficio o che possono far presumere un impegno o una disponibilità in ragione dell'incarico assunto anche durante l'orario di servizio, salvo che il dipendente fruisca di permessi, ferie o altri istituti di astensione dal rapporto di lavoro o di impiego. 3. Gli incarichi che, aggiunti a quelli già conferiti o autorizzati, evidenziano il pericolo di compromissione dell'attività di servizio, anche in relazione ad un P/DB eventuale tetto massimo di incarichi conferibili o autorizzabili durante l'anno solare, se fissato dall'amministrazione. 4. Gli incarichi che si svolgono utilizzando mezzi, beni ed attrezzature di proprietà dell'amministrazione e di cui il dipendente dispone per ragioni di ufficio o che si svolgono nei locali dell'ufficio, salvo che l'utilizzo non sia espressamente autorizzato dalle norme o richiesto dalla natura dell'incarico conferito d'ufficio dall'amministrazione. 5. Gli incarichi a favore di dipendenti pubblici iscritti ad albi professionali e che esercitino attività professionale, salve le deroghe autorizzate dalla legge (art. 1, comma 56 bis della l. n. 662/1996). 6. Comunque, tutti gli incarichi per i quali, essendo necessaria l'autorizzazione, questa non è stata rilasciata, salva la ricorrenza delle deroghe previste dalla legge (art. 53, comma 6, lett. da a) a f-bis); comma 10; comma 12 secondo le indicazioni contenute nell'Allegato 1 del P.N.A. per gli incarichi a titolo gratuito, d.lgs. n. 165 del 2001). Nel caso di rapporto di lavoro in regime di tempo parziale con prestazione lavorativa uguale o inferiore al 50%, è precluso lo svolgimento di incarichi o attività che non siano stati oggetto di comunicazione al momento della trasformazione del rapporto o in un momento successivo. Per scaricare il Regolamento cliccare su "Accedi al Provvedimento".
A chiusura del tavolo tecnico a cui hanno partecipato il Dipartimento della funzione pubblica, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l'ANCI e l'UPI, avviato ad ottobre 2013 in attuazione di quanto previsto dall'intesa sancita in Conferenza unificata il 24 luglio 2013, è stato forma ... Continua a leggere
Anticorruzione: non è opportuno che il responsabile della prevenzione della corruzione rivesta anche il ruolo di responsabile dell’ufficio contratti o dell’ufficio preposto alla gestione del patrimonio

Con orientamento n. 38/2014 l'Autorità Nazionale Anticorruzione ha precisato che "Non è opportuno che il responsabile della prevenzione della corruzione rivesta anche il ruolo di responsabile dell’ufficio contratti o dell’ufficio preposto alla gestione del patrimonio, trattandosi di settori maggiormente esposti al rischio della corruzione (vedi circolare n. 1/2013 del Dipartimento della funzione pubblica).
Con orientamento n. 38/2014 l'Autorità Nazionale Anticorruzione ha precisato che "Non è opportuno che il responsabile della prevenzione della corruzione rivesta anche il ruolo di responsabile dell’ufficio contratti o dell’ufficio preposto alla gestione del patrimonio, trattandosi di settori maggior ... Continua a leggere
Incompatibilità/inconferibilita': Non sussiste alcuna causa di incompatibilità/inconferibilità tra la carica di componente della giunta o del consiglio di un comune e la qualifica di dipendente pubblico non titolare di un incarico o di funzioni dirigenziali.

Con orientamento n. 37/2014 l'Autorità Nazionale Anticorruzione ha precisato che "Non sussiste alcuna causa di incompatibilità/inconferibilità, ai sensi del d.lgs. n. 39/2013, tra la carica di componente della giunta o del consiglio di un comune e la qualifica di dipendente pubblico non titolare diun incarico o di funzioni dirigenziali"
Con orientamento n. 37/2014 l'Autorità Nazionale Anticorruzione ha precisato che "Non sussiste alcuna causa di incompatibilità/inconferibilità, ai sensi del d.lgs. n. 39/2013, tra la carica di componente della giunta o del consiglio di un comune e la qualifica di dipendente pubblico non titolare di ... Continua a leggere
Mansioni superiori: nessuna norma o principio generale desumibile dall'ordinamento consente la retribuibilità in via di principio delle mansioni superiori comunque svolte nel campo del pubblico impiego
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 11.7.2011

Per la pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato nell’ambito del pubblico impiego le mansioni superiori hanno rilevanza solo nei casi tassativamente previsti dalla legge. Inoltre, va condiviso l’orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale "lo svolgimento di fatto di mansioni più elevate rispetto a quelle della qualifica di appartenenza da parte dei dipendenti della Regione Calabria non ha effetto ai fini dell'inquadramento nella superiore qualifica, dovendosi ritenere abrogate le disposizioni legislative regionali (art. 72 della legge regionale n. 9 del 1975 e art. 1 della legge reg. n. 14 del 1991) che consentono il consolidamento delle mansioni più elevate, ai sensi degli artt. 9, primo comma, e 10, primo comma, della legge n. 62 del 1953, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 29 del 1993 (successivamente confluito nell'art. 1 del d.lgs. n. 165 del 2001) e dell'art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998 (poi confluito nell'art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001), che hanno elevato a principio fondamentale ai sensi dell'art. 117 Cost. il divieto di avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore in conseguenza dello svolgimento di mansioni superiori" (Cass., Sez. Lav., 5 maggio 2010, n. 10829). Pertanto, anche se si fosse riscontrato un obbligo dell’amministrazione di provvedere ex novo sulla richiesta dell’odierno appellante, la stessa non si sarebbe potuta accogliere in sede amministrativa, né pertanto può essere accolta in sede giurisdizionale. A tal fine non vale invocare l’applicazione degli artt. 2126 c.c., 36 Cost. o art. 29, secondo comma, del d.p.r. 761 del 1979. E’ già stato chiarito più volte dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (cfr. la pronuncia n. 22 del 1999), che "nessuna norma o principio generale desumibile dall'ordinamento consente la retribuibilità in via di principio delle mansioni superiori comunque svolte nel campo del pubblico impiego. L'art. 36 Cost., che sancisce il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato, non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall'art. 98 Cost. (che nel disporre che « i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione » vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e quali quelli previsti dall'art. 97 Cost., contrastando l'esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari." Né rilevano –ratione temporis - le disposizioni successivamente entrate in vigore che hanno previsto i casi in cui il giudice civile possa attribuire rilievo alle mansioni superiori, ove esse siano state formalmente conferite in presenza di tutti i relativi presupposti.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 11.7.2011
Per la pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato nell’ambito del pubblico impiego le mansioni superiori hanno rilevanza solo nei casi tassativamente previsti dalla legge. Inoltre, va condiviso l’orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale "lo svolgimento di fatto di mansioni più e ... Continua a leggere
Consiglieri comunali: l’omissione o il ritardo nel fornire ai consiglieri dell’ente locale la copia di atti presupposti ad una proposta di delibera non costituisce lesione delle prerogative inerenti l’ufficio
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

Nel giudizio in esame la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha ribadito quanto già evidenziato dal cons. Stato, sez. V, 19 aprile 2013, n. 2213): a) la legittimazione dei consiglieri dissenzienti ad impugnare le delibere dell’organo di cui fanno parte ha carattere eccezionale, dato che il giudizio amministrativo non è di regola aperto alle controversie tra organi o componenti di organi di uno stesso ente, ma è diretto a risolvere controversie intersoggettive, per cui essa rimane circoscritta alle sole ipotesi di lesione della loro sfera giuridica, come per esempio lo scioglimento dell’organo o la nomina di un commissario ad acta, in cui detto effetto lesivo discende ab externo rispetto all’organo di cui fa parte (Cons. Stato, sez. V, 31 gennaio 2001, n. 358 e più recentemente 19 febbraio 2007, n. 826; 9 ottobre 2007, n. 5280; 29 aprile 2010, n. 2457; 24 marzo 2011, n. 1771; 21 marzo 2012, n. 1610); b) la legittimazione ad agire del consigliere non risiede nella deviazione dell’atto impugnato rispetto allo schema normativamente previsto, quando da essa non derivi la compressione di una sua prerogativa inerente all’ufficio, occorrendo in ogni caso aver riguardo a questo fine, "alla natura e al contenuto della delibera impugnata" e non già delle norme interne relative al funzionamento dell’organo (Cons. St., sez. V, 15 dicembre 2005, n. 7122); c) la contestazione del componente di un organo collegiale non può limitarsi a censurare l’oggetto o le modalità di formazione della deliberazione del medesimo organo, senza dedurre che da esse ne sia derivata una lesione delle sue prerogative, giacché questa non discende automaticamente da violazioni di forma o di sostanza nell’adozione di un atto deliberativo (Cons. Stato, sez. V, 29 aprile 2010, n. 2457); d) l’omissione o il ritardo nel fornire ai consiglieri dell’ente locale la copia di atti presupposti ad una proposta di delibera non costituisce lesione delle prerogative inerenti l’ufficio di consigliere comunale, rimanendo la sua tutela circoscritta in un ambito esclusivamente politico, all’interno dell’organo di cui fa parte, affidata all’espressione a verbale del proprio dissenso in quanto corollario del più generale principio sopra affermato (Cons. Stato, 21 marzo 2012, n. 1610).
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014
Nel giudizio in esame la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha ribadito quanto già evidenziato dal cons. Stato, sez. V, 19 aprile 2013, n. 2213): a) la legittimazione dei consiglieri dissenzienti ad impugnare le delibere dell’organo di cui fanno parte ha carattere eccezionale, dato che il giud ... Continua a leggere
Processo amministrativo: la differenza tra la figura dell'improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse e la figura della cessazione della materia del contendere
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 7.7.2014

L'improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse e' una figura, di stretta elaborazione giurisprudenziale ed ora espressamente prevista all’art. 35 comma 1 lett. c) del codice del processo amministrativo, è accomunata a quella limitrofa della cessazione della materia del contendere per la disciplina, che determina in entrambi i casi l’improcedibilità del ricorso, e per la tipologia di fatto di origine, che è sempre un ulteriore provvedimento della pubblica amministrazione che interviene nel rapporto in contestazione. Tuttavia le due figure si differenziano tra loro nettamente per la diversa soddisfazione dell’interesse leso. La sopravvenuta carenza di interesse, infatti, opera solo quando il nuovo provvedimento non soddisfa integralmente il ricorrente, determinando una nuova valutazione dell’assetto del rapporto tra la pubblica amministrazione e l’amministrato; al contrario, la cessazione della materia del contendere si determina quando l’operato successivo della parte pubblica si rivela integralmente satisfattivo dell’interesse azionato. Inoltre, proprio perché la valutazione dell’interesse alla prosecuzione dell’azione spetta unicamente al ricorrente, la sua carenza può essere conseguenza anche di una valutazione esclusiva dello stesso soggetto, in relazione a sopravvenienze anche indipendenti dal comportamento della controparte. Tale ultima evenienza si realizza proprio nella fattispecie in esame, in quanto gli originari ricorrenti, con nota del 5 maggio 2014, hanno dichiarato di non aver più interesse alla prosecuzione dell’azione, imponendo conseguentemente la dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse. La ragione è data dall’intervenuta stipula di un accordo procedimentale tra le parti, cui sono seguite due diverse delibera comunali e, infine, in data 10 aprile 2014, l’atto di cessione delle aree da destinare a parco.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 7.7.2014
L'improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse e' una figura, di stretta elaborazione giurisprudenziale ed ora espressamente prevista all’art. 35 comma 1 lett. c) del codice del processo amministrativo, è accomunata a quella limitrofa della cessazione della materia del contendere per la disc ... Continua a leggere
Crediti retributivi dei pubblici dipendenti: l’onere di provare il fatto interruttivo della prescrizione ricade sull’attore
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

Con ricorso al Tribunale amministrativo della Campania, sede di Napoli, la ricorrente chiedeva il riconoscimento del suo diritto ad ottenere l’adeguamento economico dovuto per l’espletamento di mansioni lavorative di fatto svolte dal 1979 al 1987 e corrispondenti alla III qualifica funzionale – operatore – bidello; chiedeva inoltre la conseguente condanna dell’Amministrazione alla liquidazione in suo favore delle somme dovute a titolo di differenze retributive tra quanto dovuto e quanto effettivamente corrisposto, nonché la corresponsione sulle stesse degli interessi legali e della svalutazione monetaria dal momento della maturazione del credito al soddisfo; chiedeva infine l’ulteriore riconoscimento del suo diritto alla regolarizzazione della posizione previdenziale mediante il versamento dei contributi per l’intero periodo. Con la sentenza in epigrafe n. 704 in data 8 febbraio 2010 il Tribunale amministrativo della Campania, sede di Napoli, Sezione V, accoglieva l’eccezione di prescrizione formulata dal Comune resistente respingendo quindi il ricorso. Avverso la predetta sentenza la signora ha proposto il ricorso in appello contestando gli argomenti che ne costituiscono il presupposto e chiedendo la sua riforma e l’accoglimento del ricorso di primo grado. L’appellante chiede la riforma della sentenza di primo grado, con la quale il credito azionato è stato dichiarato prescritto, sostenendo che: a) al credito di cui si tratta si applica il termine decennale di prescrizione; b) comunque la prescrizione è stata interrotta da atti di esercizio del diritto; c) il termine decennale si applica quanto meno al credito previdenziale. Tutte le suddette argomentazioni sono infondate. Quanto alla tesi sintetizzata sub a), deve essere osservato come sia pacifico in giurisprudenza che il termine di prescrizione dei crediti retributivi è quello quinquennale di cui all’art. 2948 del codice civile (in termini C. di S., IV, 15 giugno 2004, n. 3930 e VI, 7 maggio 2004, n. 2801). E’ vero che il suddetto termine non decorre, per i pubblici dipendenti, fino a quando il rapporto non si sia concluso o non sia stato stabilizzato (C. di S., V, 2 agosto 2011, n. 4559), ma nel caso di specie la stessa appellante afferma che il rapporto di lavoro precario è cessato nel 1987, mentre il ricorso al giudice del lavoro per le pretese poi trasposte di fronte al giudice amministrativo, al quale deve essere riconosciuto effetto interruttivo, è stato proposto solo nel 1994, quindi dopo sette anni dalla conclusione del rapporto precario. L’appellante sostiene di avere posto in essere ulteriori atti interruttivi della prescrizione ma l’affermazione è rimasta priva di dimostrazione....L’affermazione dell’appellante circa la presenza di atti interruttivi della prescrizione non è quindi sostenuta da prova. Atteso che l’onere di provare il fatto interruttivo ricade sull’attore (Cass., Sezione Lavoro, 8 agosto 2006, n. 17948) l’argomentazione deve essere disattesa. Quanto all’applicazione del termine decennale alla prescrizione dei crediti retributivi, deve essere osservato come l’assunto sia esatto, ma non rilevi nella presente fattispecie. Nel caso di specie, infatti, l’appellante non sostiene che l’Amministrazione ha totalmente omesso di provvedere ai propri obblighi previdenziali; sostiene invece che la misura dei contributi versati deve essere adeguata alla misura delle retribuzioni pretese, non agli stipendi di fatto corrisposti. Atteso che l’appellante non ha dimostrato di avere diritto ad un differente trattamento retributivo, la pretesa deve essere respinta. 4. L’appello deve, in conclusione, essere respinto, sottolineando solo come nella fattispecie non possa essere applicato quanto affermato da C. di S., V, 15 settembre 2010, n. 6792, in quanto in quella controversia l’attore aveva potuto dimostrare in fatto di avere posto in essere atti interruttivi della prescrizione del credito vantato e riconosciuto in giudizio. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014
Con ricorso al Tribunale amministrativo della Campania, sede di Napoli, la ricorrente chiedeva il riconoscimento del suo diritto ad ottenere l’adeguamento economico dovuto per l’espletamento di mansioni lavorative di fatto svolte dal 1979 al 1987 e corrispondenti alla III qualifica funzionale – ope ... Continua a leggere
Processo amministrativo: le perizie di parte – quando sono poste a supporto dei motivi di primo grado - costituiscono mezzi di prova sottoposte alla valutazione del giudice
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

Come già affermato dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato (sentenza 5 marzo 2014, n. 1058), le perizie di parte – quando sono poste a supporto dei motivi di primo grado - costituiscono mezzi di prova sottoposte alla valutazione del giudice: in loro assenza, il giudice deve decidere in base alle acquisite risultanze probatorie, con statuizioni che sono sindacabili in sede di appello in ordine alla loro logicità e condii visibilità: per il complessivo quadro degli elementi probatori, in sede d’appello si applica il divieto di cui alla citata disposizione, che può essere superato in caso di indispensabilità della nuova prova, come prevede il medesimo comma 2 dell’art. 104, sempreché questa non venga offerta allo scopo di integrare le acquisizioni probatorie per le quali vi era il relativo onere nel giudizio di primo grado (cfr., tra le altre, Sez. III, 13 settembre 2013, n. 4546, 12 aprile 2013, n. 1987; Sez. IV, 13 dicembre 2013, n. 5995, 5 novembre 2012, n. 5622; Sez. V, 31 ottobre 2013, n. 5251, 26 settembre 2013, n. 4793, 21 giugno 2013, n. 3427; 14 giugno 2013, n. 3319, 14 maggio 2013 n. 2607).
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014
Come già affermato dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato (sentenza 5 marzo 2014, n. 1058), le perizie di parte – quando sono poste a supporto dei motivi di primo grado - costituiscono mezzi di prova sottoposte alla valutazione del giudice: in loro assenza, il giudice deve decidere in base all ... Continua a leggere
Licenziamento senza preavviso del personale delle aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo: l’art. 38, comma 7, del c.c.n.l. del 5 aprile 1996 che prevede che il "procedimento disciplinare … è sospeso fino alla sentenza definitiva" va inteso nel senso che è lo stesso inizio del procedimento disciplinare ad essere sospeso e l’Amministrazione ha poi 180 giorni "da quando … ha avuto notizia della sentenza definitiva" per iniziare il procedimento, oltre che per riattivare quello già iniziato e sospeso
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 7.7.2014

L’art. 38, commi 5 e 6, del c.c.n.l. del 5 aprile 1996 del comparto del personale delle aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo - che prevede che la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso si applica per "commissione in servizio di gravi fatti illeciti di rilevanza penale per i quali sia fatto obbligo di denuncia" e che l'Amministrazione inizia il procedimento disciplinare ed inoltra la denuncia penale, ma il procedimento disciplinare rimane sospeso fino alla sentenza definitiva - deve essere interpretato nel senso che, laddove l'Amministrazione sia venuta a conoscenza di gravi fatti illeciti penalmente rilevanti e sia tenuta per legge a denunciarli, e' anche facoltizzata ad attivare subito il procedimento disciplinare, che rimane sospeso fino alla sentenza definitiva. Ma ciò non si verifica allorché la denuncia dei "gravi fatti illeciti" sia stata fatta da un terzo ( nella fattispecie, sotto forma di un esposto alla competente Procura della Repubblica presso il Tribunale ) ed abbia comportato l’avvio del procedimento penale. Legittimamente, quindi, l’Amministrazione, in tale ipotesi, attende, come nel caso di specie ha fatto, l’ésito del giudizio penale prima di avviare il procedimento disciplinare ( Cassazione civile, sez. lav., 10/03/2010, numero 5806 ); ésito, peraltro, correttamente da essa poi individuato nella sentenza della Corte d’Appello di Cagliari che ha dichiarato il non luogo a procedere in ordine al reato ascritto ( art. 314 c.p. ). Pertanto, l’art. 38, comma 7, del citato c.c.n.l., cui è riconducibile la fattispecie all’esame, laddove prevede che, al di fuori dei casi previsti dal comma 6 ( che sono quelli in cui "l’amministrazione inizia il procedimento disciplinare ed inoltra la denuncia penale" ), "il procedimento disciplinare … è sospeso fino alla sentenza definitiva", va inteso nel senso che in tal caso è lo stesso inizio del procedimento disciplinare ad essere sospeso; sì che poi l’Amministrazione ha 180 giorni "da quando … ha avuto notizia della sentenza definitiva" ( comma 8 dello stesso art. 38 ) per iniziare il procedimento, oltre che, eventualmente, per riattivare quello già iniziato e sospeso. Del resto, anche la L. 27 marzo 2001, n. 97, mirata specificamente a dettare norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare e sugli effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, all'art. 5, comma 4 ( cui peraltro il T.A.R. ha fatto espresso riferimento nel ritenere il contestato avvio del procedimento amministrativo conforme alle disposizioni vigenti, con statuizione rimasta esente da critiche e dunque inoppugnata e quindi, in quanto passata in giudicato, idonea di per sé a rendere non più contestabile tale conformità, con ricadute sulla stessa ammissibilità della censura all’esame ), dispone che, nel caso sia pronunciata sentenza penale irrevocabile di condanna nei confronti dei dipendenti pubblici privatizzati, ancorche' a pena condizionalmente sospesa, l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego puo' essere pronunciata a seguito di procedimento disciplinare; e il procedimento disciplinare deve avere inizio, o, in caso di intervenuta sospensione, deve proseguire, entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione o all'ente competente per il procedimento disciplinare. In tal modo le due norme ( la previsione contenuta nel comma 4 dell'art. 5 della legge n. 97 del 2001 è espressamente riferita ai soli casi di sentenza irrevocabile di condanna intervenuta per reati contro la Pubblica Amministrazione da cui possa conseguire l'estinzione del rapporto di lavoro, mentre per tutte le altre ipotesi, ed in assenza di specifiche previsioni diverse, trova applicazione l'art. 38 cit. ) ben si raccordano, nel senso che in entrambe le ipotesi, laddove la pendenza di un procedimento penale abbia determinato il mancato inizio o la sospensione del procedimento disciplinare per gli stessi fatti oggetto del primo, entro un determinato termine decorrente dalla ricezione da parte dell’Amministrazione della comunicazione dell’intervenuta sentenza definitiva deve intervenire l’inizio ( od il riavvio ) del secondo. Nella specie – come correttamente ritenuto dal Giudice di primo grado – il suddetto termine di 180 gg. dalla ricezione della comunicazione della sentenza, intervenuta il 21 febbraio 2005, è stato ampiamente rispettato, essendo stata poi fatta la contestazione dell’addebito il successivo 5 marzo, notificata all’interessato il 15 dello stesso mese; donde l’irrilevanza delle deduzioni dell’interessato circa la natura recettizia dell’atto di contestazione, dal momento che anche la relativa notifica risulta ampiamente in termini rispetto al detto arco temporale. Né rilevano le osservazioni dell’appellante circa la non addebitabilità al suo comportamento del fatto che, nel caso di specie, l’Amministrazione abbia ricevuto la comunicazione della sentenza definitiva più di sei mesi dopo il suo passaggio in giudicato........Ed invero la veduta disposizione del contratto collettivo è inequivoca nel riferire il decorso del termine stabilito alla "notizia", che l’Amministrazione abbia avito della sentenza definitiva. La fissazione del predetto termine risponde poi con tutta evidenza, da un lato, all’esigenza di non procrastinare eccessivamente il potere disciplinare dell’Amministrazione, così tutelandosi il diritto del lavoratore all’affidamento sulla stabilità e continuità del rapporto; dall’altro, alla necessità di non far decorrere il termine stesso prima del passaggio in giudicato della sentenza penale e prima che l’Amministrazione datrice di lavoro abbia avuto conoscenza della sentenza stessa, così evitandosi che il termine decorra in un periodo nel quale la predetta Amministrazione sia oggettivamente impossibilitata ad esercitare ogni valutazione in ordine alla instaurazione, ovvero alla riattivazione, della procedura disciplinare ( Cassazione civile, sez. lav., 22/10/2009, numero 22418 ). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 7.7.2014
L’art. 38, commi 5 e 6, del c.c.n.l. del 5 aprile 1996 del comparto del personale delle aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo - che prevede che la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso si applica per "commissione in servizio di gravi fatti illeciti di rile ... Continua a leggere
Trattamento economico di maternità: la pretesa del dipendente di un ente pubblico alla corresponsione, da parte del datore di lavoro, dell'indennità giornaliera di maternità rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 7.7.2014

Per effetto dell'art. 8 del d.l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito in legge 1 giugno 1991, n. 166, il trattamento economico di maternità, previsto dagli artt. 15 e 17 della legge n. 1204 del 1971, spetta alle lavoratrici assunte a tempo determinato dalle amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dagli altri enti pubblici, salvo che i relativi ordinamenti prevedano condizioni di migliore favore. Il trattamento viene corrisposto direttamente dalle amministrazioni o enti di appartenenza.Trattasi di disposizione che interpreta autenticamente l'art. 13 della legge n. 1204 cit., che indicava nei soggetti pubblici suddetti i titolari passivi del debito previdenziale in questione.Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, già anteriormente ad essa, avevano affermato l'appartenenza delle controversie relative al giudice amministrativo, giacchè la pretesa dell'assicurata trovava titolo immediato e diretto nel rapporto di pubblico impiego anzichè in un distinto rapporto previdenziale ( Cass. 3 aprile 1989, n. 1597 ).Tale affermazione è stata poi ripetuta da Cass., 11 novembre 1992, n. 12149 e da Consiglio di Stato, sez. V, 27/02/1998, numero 205, che ha sottolineato che il trattamento economico di maternità per le dipendenti delle Amministrazioni dello Stato e degli altri Enti pubblici non grava sugli Enti che gestiscono l'assicurazione di malattia ( giusta quanto previsto dal successivo art. 15, comma 3, della stessa legge n. 1204/1971 ), bensì sullo stesso datore di lavoro, secondo le previsioni dei varii ordinamenti degli Enti medesimi, come, peraltro, previsto dal medesimo art. 13, che espressamente esclude dalla sua applicazione le dipendenti pubbliche, nonchè dall'art. 21 della legge 1204/1971, il quale, nell'elencare i vari settori lavorativi per cui è previsto l'obbligo contributivo per la copertura degli oneri derivanti dalla legge stessa, non contempla il settore pubblico ( cfr. anche Cass., SS.UU., 8 agosto 1995, n. 8674 ).Ne consegue che la pretesa della dipendente di un ente pubblico ( quale l'odierna appellante ), avente per oggetto la corresponsione, da parte del datore di lavoro, dell'indennità giornaliera di maternità, trovando titolo immediato e diretto nel rapporto di pubblico impiego, anzichè in un rapporto previdenziale autonomo e distinto da esso, introduce una controversia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.Nel merito, la cognizione della pretesa è preclusa a questo Giudice d'appello, atteso che la riforma della sentenza che ha declinato la giurisdizione comporta, ai sensi dell'art. 105 c.p.a., la rimessione della causa al Giudice di primo grado, dinanzi al quale le parti dovranno riassumere il processo ai sensi del comma 3 dell'art. 105 cit. e che pronuncerà anche sulle spese del presente grado di giudizio.Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 7.7.2014
Per effetto dell'art. 8 del d.l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito in legge 1 giugno 1991, n. 166, il trattamento economico di maternità, previsto dagli artt. 15 e 17 della legge n. 1204 del 1971, spetta alle lavoratrici assunte a tempo determinato dalle amministrazioni dello Stato anche ad ordinam ... Continua a leggere
Attribuzione di punteggi nei concorsi: il voto numerico esprime e sintetizza il giudizio tecnico e rispondere ad un evidente principio di economicità amministrativa di valutazione
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 26.6.2014

Nella controversia in esame il ricorrente con il secondo motivo del gravame principale eccepisce che l'attribuzione di un solo punto per il "curriculum" professionale sarebbe viziata da difetto di motivazione e di istruttoria, nonché da illogicità manifesta, perché, avendo il bando previsto solo punteggi per valutazioni da buono fino a ottimo varianti dallo 0 al 5, la commissione si sarebbe limitata, in sede di specificazione dei criteri, a stabilire che la valutazione sarebbe stata effettuata in base alla significatività degli elementi contenuti nei "curricula", mentre avrebbe dovuto prefissare criteri atti a specificare quali di essi elementi sarebbero stati ritenuti significativi ai fini della attribuzione del punteggio. Invece, in assenza di criteri specifici, la Commissione sarebbe stata tenuta a motivare puntualmente, in sede di valutazione dei "curricula", i singoli punteggi assegnati, dando conto delle preferenze accordate. Il Consiglio di Stato ha osservato in primo luogo che è pacifico in giurisprudenza il principio che l’obbligo di motivazione in sede di attribuzione dei punteggi nelle procedure selettive è validamente assolto mediante valutazione in forma numerica, in quanto il voto numerico esprime e sintetizza il giudizio tecnico - discrezionale della Commissione, contenendo in sé la sua stessa motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni e chiarimenti; inoltre la motivazione espressa numericamente, oltre a rispondere ad un evidente principio di economicità amministrativa di valutazione, assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla Commissione nell'ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa esercitato (Consiglio di Stato, sez. IV, 5 settembre 2013, n. 4457). Tale conclusione si impone, a maggior ragione, allorquando (come nella fattispecie) la Commissione abbia preventivamente enucleato, sulla base di quanto prescritto dal bando, in una griglia i criteri in base ai quali avrebbe proceduto alla all'attribuzione del voto. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 26.6.2014
Nella controversia in esame il ricorrente con il secondo motivo del gravame principale eccepisce che l'attribuzione di un solo punto per il "curriculum" professionale sarebbe viziata da difetto di motivazione e di istruttoria, nonché da illogicità manifesta, perché, avendo il bando previsto solo pu ... Continua a leggere
Concorsi pubblici: errori commessi dalla Commissione nella valutazione dei titoli dei candidati e nell'applicazione dei criteri di valutazione non costituisco per il concorrente non collocato in posizione utile in graduatoria titolo per ottenere un altrettanto erroneo calcolo dei punteggi spettanti
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 26.6.2014

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha precisato che eventuali errori commessi dalla Commissione giudicatrice nella valutazione dei titoli presentati da altri concorrenti ed anche eventuali illegittimità commesse per l'erronea applicazione dei criteri di valutazione, peraltro non percepibili immediatamente in questo ambito, essendo espressione di discrezionalità tecnica, non costituiscono comunque per il concorrente non collocato in posizione utile in graduatoria titolo per ottenere un altrettanto erroneo o illegittimo calcolo dei punteggi spettanti (Consiglio di Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3790). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 26.6.2014
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha precisato che eventuali errori commessi dalla Commissione giudicatrice nella valutazione dei titoli presentati da altri concorrenti ed anche eventuali illegittimità commesse per l'erronea applicazione dei criteri di valutazione, pe ... Continua a leggere
Corte dei Conti: quando il conferimento al Segretario comunale delle funzioni di Direttore Generale determina un danno erariale

Il contenzioso instauratosi innanzi alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia, è stato definito con sentenza n. 122/2014. La Procura regionale ha avanzato una pretesa risarcitoria riferita all’ingiustificato esercizio, da parte del Sindaco e del Segretario comunale, della facoltà prevista dall’art. 108, comma 4 del D.Lgs. n. 267 del 18 agosto 2000 nel testo all’epoca vigente, che consentiva, nei Comuni con numero di abitanti inferiore a 15.000, di attribuire al Segretario comunale la funzione di Direttore Generale, con riconoscimento della relativa indennità. Ad avviso della Procura erariale, l’attività istruttoria ha rilevato l’assoluta irragionevolezza e totale inutilità dell’attribuzione delle funzione di Direttore Generale del Comune al Segretario dell’Ente locale. Il comportamento dei convenuti è da ritenersi gravemente colposo: il Sindaco per aver adottato il provvedimento di conferimento dell’incarico contestato e il Segretario comunale per aver beneficiato del relativo compenso senza rilevarne l’irragionevolezza. I menzionati profili di illegittimità, oltre a costituire inescusabile violazione degli obblighi di servizio, sono indici estremamente significativi della illiceità della condotta e, di conseguenza, della sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa grave in capo ai convenuti. Sul punto la Procura precisa che l’art. 108 del D.Lgs. n. 267 del 2001 al comma IV consente il conferimento al Segretario comunale delle funzioni di Direttore Generale ma solo per far fronte a specifiche e peculiari circostanze ed esigenze di carattere locale, quindi, tale figura manageriale non è sempre necessaria nell’organizzazione di un Ente, in base ad un duplice dato normativo: - la soppressione di tale figura manageriale nell’organizzazione amministrativa comunale tranne che negli Enti con popolazione superiore ai 100.000 abitanti, così come previsto nel D.L. n. 2 del 25 gennaio 2010 convertito nella legge n. 42 del 26 marzo 2010; - l’espressa previsione normativa recata dall’art. 97, comma 4 del T.U.E.L. secondo cui, in mancanza di nomina del Direttore Generale "Il segretario sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l’attività". Pertanto, i richiamati presupposti normativi attribuiscono il potere di nomina del Direttore Generale ma non ne attestano certo il concreto corretto esercizio da parte del titolare e cioè la conformità della scelta operata dalla P.A. alle regole giuridiche di rispondenza all’interesse pubblico, di logicità, adeguatezza, proporzionalità, economicità, efficacia. L’istituto giuridico della direzione generale degli Enti locali – secondo i requirenti – non è uno strumento di mero automatismo, funzionale soltanto all’attribuzione di un incremento salariale al Segretario comunale, viceversa è finalizzato all’incremento dell’efficacia efficienza dell’azione amministrativa. E’ necessaria l’esistenza di una sostenibile ragione giustificativa della funzione, tanto più incisiva e puntuale quanto più ridotte risultino le dimensioni del Comune in termini di apparato burocratico, di numero di abitanti, di presenza in sede del direttore nominato, come nel caso di specie. Non risulta, nel periodo considerato, la predisposizione e la conseguente adozione da parte del Comune degli atti di gestione previsti dall’art 197, comma 2, lett. a), b) e c), né il Piano Esecutivo di Gestione (P.E.G.) di cui all’art. 169 T.U.E.L.. Per i requirenti sussisterebbe un’evidente correlazione logico-giuridica tra la normativa che statuisce la facoltatività del P.E.G. negli Enti locali di ridotte dimensioni (art. 169 del T.U.E.L.) e la facoltatività della nomina negli stessi della figura direttoriale (art. 108 del T.U.E.L.). Di conseguenza, se il Comune non intendeva dotarsi del P.E.G. neppure avrebbe dovuto dotarsi del Direttore Generale, che proprio alla predisposizione di tale strumento gestionale è essenzialmente preposto per legge. Scrutinate le eccezioni pregiudiziali e preliminari avanzate dalla difesa dei convenuti, il Collegio ha affermato, anche nel merito, la responsabilità erariale dei convenuti. Con riferimento al difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, il Collegio rileva il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui i giudici contabili possono e devono verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini dell’Ente pubblico sotto il profilo del corretto esercizio della discrezionalità. Pertanto è possibile il sindacato delle scelte discrezionali, in presenza di atti contra legem o palesemente irragionevoli ovvero ancora altamente diseconomici (cfr. ex multis Cass. Civ. SS.UU. n. 33 del 29 gennaio 2001; n. 6851 del 6 maggio 2003; n. 1979 del 13 febbraio 2012; n. 20 78 del 23 novembre 2012 e Corte dei conti, Sez. III° n. 281 del 23 settembre 2008; Sez. Abruzzo n. 1 del 7 gennaio 2004; Sez. I° n. 115 del 1° aprile 2003). In altri termini, il comportamento contra legem o irrazionale del pubblico agente non è mai al riparo dal sindacato, non potendo esso costituire esercizio di una scelta discrezionale insindacabile. L’art.1, comma 1 della Legge n. 20/94 non può rappresentare, infatti, uno schermo di protezione per le decisioni irragionevoli o assunte in violazione di norme di legge, che abbiano causato un danno erariale (Sez. Campania n. 377 del 26 marzo 2012; Sez. Lombardia n. 30 del 27 gennaio 2012; Sez. Sicilia n. 2152 del 15 ottobre 2010). Pertanto, il Collegio ritiene infondata l’eccezione di difetto di giurisdizione di questa Corte, rigettandola. Parimenti infondata risulta essere l’eccezione di inammissibilità dell’atto di citazione per carenza d’interesse ad agire. A tal proposito, infatti, il Collegio rileva, che nell’atto di citazione risultano chiaramente individuabili non solo il danno con i requisiti di certezza, attualità e concretezza, ma anche il fatto che vi ha dato origine e le posizioni soggettive alle quali sono addebitate le pretese risarcitorie. Passando ora al merito il Collegio deve rilevare, contrariamente a quanto affermato dalla difesa dei convenuti, che le norme interne non precludono al Segretario comunale l’esercizio di poteri gestionali. Pur considerando gli atti di nomina quale espressione del potere di organizzazione dell’Ente, la condotta dei convenuti appare non conforme a ragionevolezza in applicazione dei principi di buona gestione a cui deve ispirarsi l’azione amministrativa, che è attività non libera ma vincolata nel fine. Infatti, le finalità dell’agire amministrativo sono riconducibili ai concetti di buon andamento e di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., come appare evidente dall’art. 1, comma 1 della Legge n. 241 del 1990 (nel testo modificato dall’art. 1 della Legge n. 15 del 2005 e dall’art. 7, comma 1, lett. a) della Legge n. 69 del 2009), il quale stabilisce che: "l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano i singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario". Inoltre, risulta evidente che i convenuti hanno agito in dispregio delle più elementari regole di prudenza e di buona amministrazione, avendo concordato un compenso assolutamente spropositato in considerazione delle oggettive ridottissime dimensioni demografiche ed organizzative dell’Ente. Tanto premesso nel caso di specie deve rilevarsi che il conferimento al Segretario Comunale delle due aree gestionali "affari generali" e "servizi alla persona" non avrebbe comportato di per sé necessariamente alcun onere economico aggiuntivo per il Comune perché rientranti nelle funzioni attribuibili per legge e per previsione statutaria al Segretario comunale, e quindi non specificamente soggette a remunerazione aggiuntiva sullo stipendio base. Il comportamento ha cagionato un rilevante danno all’Ente locale, ascrivibile ai convenuti. In riferimento al quantum debeatur, il Collegio, ai fini dell’esercizio del potere riduttivo, ha dato rilevanza al parere favorevole della Giunta comunale. Pur se non è sufficiente per elidere l’elemento della colpa grave, ne viene in concreto ad attenuare la consistenza. Di conseguenza, a fronte dell’importo di danno azionato dalla Procura regionale, ai convenuti può essere imputata la minor somma di euro 10.000,00, ad oggi già rivalutata oltre gli interessi legali, calcolati a decorrere dalla data di deposito della sentenza e sino al saldo effettivo, somma che deve essere ripartita addebitandone il 40% al Sindaco (euro 4.000,00) ed il 60% al Segretario comunale (euro 6.000,00), in ragione della professionalità specifica di quest’ultimo che è organo di consulenza generale dell’Ente e disponeva di maggiori elementi per prevedere le ricadute negative della contestata condotta.
Il contenzioso instauratosi innanzi alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia, è stato definito con sentenza n. 122/2014. La Procura regionale ha avanzato una pretesa risarcitoria riferita all’ingiustificato esercizio, da parte del Sindaco e del Segretario comunale, de ... Continua a leggere
Test per l’ammissione ai corsi di laurea in medicina e Chirurgia e Odontoiatria e Protesi Dentaria: un codice a barre, accompagnato dal codice di lettura alfanumerico prestampato su tutti gli atti della prova non assicura l’anonimato degli elaborati e dei candidati
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del TAR Lazio Roma Sez. III del 18.7.2014

La vicenda giunta innanzi al giudice amministrativo investe i test per l’ammissione ai corsi di laurea in medicina e Chirurgia e Odontoiatria e Protesi Dentaria, a.a. 2012/2013, presso l’aggregazione degli Atenei di Catania, Palermo, Messina e Catanzaro. Non raggiunto nel test un punteggio sufficiente per l’accesso ai corsi, gli interessati impugnavano il diniego di ammissione ai suddetti corsi e, in via subordinata, gli atti presupposti, connessi e conseguenti.
Il TAR ha ritenuto fondata la censura d’illegittimità delle norme che regolano lo svolgimento della prova: D.M. 196/2012 e D.R. 3002/2012 nonché della stessa prova e della modalità di correzione degli elaborati perché in contrasto con i criteri di trasparenza e imparzialità previsti dall’art. 97 Cost. e dalla L. 241/1990.
In particolare, si può ritenere che la presenza di un codice a barre, accompagnato dal codice di lettura alfanumerico pure prestampato su tutti gli atti della prova (scheda anagrafica, modulo risposte, questionario, foglio delle "chiavi personali" per l’accesso al sito del MIUR), renda in astratto possibile l’identificabilità dell’autore della prova, anche dopo la conclusione della prova medesima, persino nel momento successivo delle operazioni di esame e valutazione dei questionari. Sotto il codice a barre della scheda anagrafica è presente e visibile il codice di lettura alfanumerico, che corrisponde con i codice a barre della prova. In tal modo il codice a barre di ciascuna prova è immediatamente conosciuto dal candidato e da chiunque altro mediante la lettura del codice alfanumerico pure presente sul foglio dei test.. Il codice corrisponde anche alla username indicata nel foglio che viene anch’esso consegnato all’inizio della prova a ciascun candidato e che, come previsto nell’allegato al D.M. 196/2012 e nel bando di concorso lo studente deve conservare per accedere al sito del MIUR al fine di verificare l’esito della propria prova. La presenza del codice a barre insieme al codice di lettura alfanumerico rende sostanzialmente la prova attribuibile al nominativo del candidato già prima della fine della correzione con grave vulnus del principio dell’anonimato quale effetto della conoscenza del codice identificativo della prova abbinato a ciascun candidato prima della compilazione dei questionari con la conseguenza, per lo meno potenziale, della alterazione dei risultati.
Aggiunge il Collegio che la regola dell’anonimato dei concorrenti e' espressione di un più generale principio di garanzia dell’imparzialità amministrativa (cfr.: Cons. Stato II, 6.10.2011 n. 3672; T.a.r. Sardegna Cagliari I, 14.3.2012 n. 229; T.a.r. Sicilia I, 28.2.2012 n. 457; T.a.r. Toscana I, 27.6.2011 n. 1105). Pertanto, si può ritenere che le particolari modalità con le quali si è svolta, nel caso di specie, la selezione per l’accesso al Corso di Laurea in Medicina 2012-2013, non abbiano fornito sufficienti garanzie per l’anonimato degli elaborati e dei candidati. Ciò costituisce, senza dubbio, vizio del procedimento e del provvedimento, che ne inficia la legittimità. E’ appena il caso di aggiungere che la regola dell’anonimato dei concorrenti sia espressione di un più generale principio di garanzia dell’imparzialità amministrativa (cfr.: Cons. Stato II, 6.10.2011 n. 3672; T.a.r. Sardegna Cagliari I, 14.3.2012 n. 229; T.a.r. Sicilia I, 28.2.2012 n. 457; T.a.r. Toscana I, 27.6.2011 n. 1105). Pertanto, si può ritenere che le particolari modalità con le quali si è svolta, nel caso di specie, la selezione per l’accesso ai Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia e Odontoiatria 2012-2013, non abbiano fornito sufficienti garanzie per l’anonimato degli elaborati e dei candidati. Ciò costituisce, senza dubbio, vizio del procedimento e del provvedimento, che ne inficia la legittimità.
Sono da riconoscere come presenti nel caso in esame i presupposti del danno risarcibile, precisamente il provvedimento illegittimo (l’atto di esclusione dal Corso universitario), l’evento dannoso (la perdita della possibilità di frequentare il Corso), nonché l’elemento soggettivo della colpa, consistente nella palese violazione dei principi di buon andamento, correttezza e imparzialità, conseguente al mancato rispetto della regola di anonimato, nonché dei principi generali in materia di verbalizzazione delle operazioni amministrative (cfr.: Cons. Stato V, 31.7.2012 n. 4338; T.A.R. Lazio Roma II, 18.2.2013 n. 1749).
Qualche dubbio residua per il nesso di causalità tra condotta ed evento, poiché l’esclusione dal Corso universitario non è la conseguenza diretta dell’illegittimità del procedimento, ma di una prestazione dei ricorrenti nella prova selettiva, ritenuta inadeguata dalla commissione. Tale dubbio può essere positivamente risolto, nella considerazione che un’organizzazione della prova culturale di accesso programmato al Corso di Medicina e Odontoiatria, se fosse stata più congrua, imparziale e rispettosa delle regole del buon andamento amministrativo, avrebbe favorito un clima di maggior garanzia e di serenità dei concorrenti, tale da rendere possibili – dal punto di vista soggettivo - prestazioni migliori di tutti, quindi anche dei ricorrenti (T.A.R. Molise, sentenza 11 aprile 2013 n. 396). In termini di valutazione probabilistica oggettiva, conformemente a un giudizio di comune esperienza, l’applicazione di un parametro di garanzia d’imparzialità più elevato all’attività amministrativa, in una procedura di tipo concorsuale, favorisce le possibilità di tutti i concorrenti e di ciascuno di migliorare le proprie prestazioni e conseguire risultati più apprezzabili. Ciò depone a favore della sussistenza di un nesso di causa tra atto illegittimo ed evento dannoso. Il nesso causale, invero, sussiste quando tra condotta ed evento vi sia un rapporto di consequenzialità anche eventuale, di guisa che si devono comprendere nel risarcimento da fatto illecito quei danni mediati e indiretti che siano effetto possibile del fatto stesso, rientrando nella serie delle conseguenze cui esso dà origine, in base al criterio della cosiddetta regolarità causale (cfr.: Cons. Stato V, 10.2.2004 n. 493; T.A.R. Calabria Catanzaro II, 19.7.2012 n. 771; T.A.R. Friuli Trieste I, 30.8.2006 n. 572, T.A.R. Molise, 11 aprile 2013 n. 396).
In materia di responsabilità civile dell’Amministrazione, il risarcimento del danno conseguente a una lesione di un interesse legittimo pretensivo è subordinato, pur in presenza di tutti i presupposti dell'illecito aquiliano (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso), all'effettiva dimostrazione che l'aspirazione al provvedimento fosse in concreto destinata ad avere esito favorevole, quindi all'avvenuta e concludente dimostrazione della spettanza ragionevolmente certa, mediante il corretto sviluppo dell'azione amministrativa, del bene sostanziale della vita collegato a tale interesse, fermo restando l'ambito proprio della discrezionalità amministrativa (cfr.: Cons. Stato VI, 30.6.2011 n. 3887). Ma è altresì indubbio che – mediante una valutazione probabilistica della perdita di "chance" – si possa parimenti giudicare della lesione riguardante la concreta possibilità di ottenere un risultato favorevole, nell’evenienza che non si fosse verificato l’evento perturbativo che lo indirettamente ha impedito, quale fattore concorrente di regolarità causale (cfr.: Cons. Stato V, 24.3.2011 n. 1796; T.A.R. Lazio Roma III, 5.1.2011 n. 41).
Considerato che i ricorrenti si sono collocati in posizioni non utili, ma tra loro diverse nella graduatoria della prova selettiva, si tratta di fissare un criterio plausibile per valutare, rispetto a ciascuno di essi, la "chance" di successo all’esito della prova, nell’ipotesi che si fosse svolta in modo più regolare. Tale valutazione – utile ai fini della determinazione del risarcimento - è demandata a un accordo delle parti, da stipularsi ai sensi dell’art. 34, comma quarto, del C.p.a., per cui devono essere stabilite, sin d’ora, da questa Sezione le linee direttrici in base alle quali l’Amministrazione debitrice dovrà proporre a favore dei ricorrenti creditori, la reintegrazione o il ristoro economico.
Se le parti non giungeranno a un accordo, ovvero non adempiranno agli obblighi derivanti dall’accordo concluso, la determinazione in questione potrà avvenire in un successivo giudizio di ottemperanza.
I criteri per la riparazione del danno ingiusto che il Collegio ritiene, nella specie, di dover fissare, sono sostanzialmente tre, come di seguito indicati.
A) Il Collegio, in applicazione dell’art. 34 comma primo lett. c) del C.p.a., considera la possibilità di "misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio", anche mediante "misure di risarcimento in forma specifica, ai sensi dell’art. 2058 del codice civile". L’Amministrazione dovrà riesaminare le posizioni dei ricorrenti, per valutare autonomamente la possibilità di una reintegrazione in forma specifica, mediante l’ammissione in soprannumero ai Corsi, in alternativa al risarcimento per equivalente, comminabile in caso di impossibilità giuridica o fattuale della reintegrazione in forma specifica. Si tratta, allora, di verificare – e questo potrà farlo soltanto l’Amministrazione, caso per caso, in via discrezionale, ancorché in esecuzione della pronuncia giurisdizionale, valutando la sufficienza degli elaborati, l’idoneità dei candidati ai fini dell’ammissione e la plausibilità giuridica e didattico-organizzativa di ampliare il numero dei frequentatori del Corso – se sia possibile ammettere le ricorrenti al Corso 2012-2013, ovvero se, in alternativa, si debba ripiegare sul risarcimento per equivalente del <
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del TAR Lazio Roma Sez. III del 18.7.2014
La vicenda giunta innanzi al giudice amministrativo investe i test per l’ammissione ai corsi di laurea in medicina e Chirurgia e Odontoiatria e Protesi Dentaria, a.a. 2012/2013, presso l’aggregazione degli Atenei di Catania, Palermo, Messina e Catanzaro. Non raggiunto nel test un punteggio sufficie ... Continua a leggere
Indennità di supercampagna: l'indennità non va riconosciuta a tutto il personale militare, ma soltanto a quello impiegato presso strutture aventi un particolare grado di preparazione e di addestramento operativo
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del TAR Lazio Sez. I bis del 26.6.2014

Nella controversia in esame i ricorrenti sottufficiali hanno chiesto la corresponsione della indennità di supercampagna che sarebbe stata riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa ai reparti, anche se distaccati, inquadrati nel medesimo modo e svolgenti le medesime funzioni di quelli che tale indennità percepiscono. Il tutto in analogia con quanto previsto dall’art. 5, co. 9, del D.P.R. 394/95. Il TAR ha rigettato il ricorso precisando che per costante giurisprudenza di questo Tribunale, anche molto recente, non e' possibile la corresponsione della indennità cd. di supercampagna prevista dal DPR n. 360/1996 (cfr. sentenza Tar Lazio, sez. I bis,15 maggio 2014 n. 5143; 16 aprile 2014 n. 4101; 17 febbraio 2014 n. 1903) al di fuori dai casi previsti. Tale indennità, ai sensi dell’art. 4, comma 2, del citato DPR n. 360/1996, spetta al personale applicato alle strutture individuate con decreto del Ministero della Difesa che devono mantenere un costante livello operativo ed addestrativo. Sostengono i ricorrenti che l’attività da loro svolta è omologa a quella di altri reparti cui è riconosciuta la predetta indennità impiegati nella stessa aera aeroportuale. In particolare, fanno riferimento al 155° Gruppo Volo Piacenza, in forza al 50° Stormo di Piacenza come pure la 115^ Squadriglia radar Remota di Capo Mele, cui essi appartengono. Nel ricorso prospettano pertanto essenzialmente tale circostanza e richiamano una norma contenuta nel provvedimento di concertazione delle Forze Armate del 20.7.1995, in particolare l’art. 5, comma 9, del DPR n. 394/95 "L'indennità di cui all’art. 3, comma 1, della legge n. 78 del 1983 compete anche al personale che, nella posizione di forza amministrata, è impiegato in maniera continuativa nelle stesse condizioni ambientali, addestrative ed operative dei soggetti che sono in forza effettiva organica presso gli Enti ed i Reparti elencati nel medesimo art. 3. Tale indennità non è corrisposta al personale beneficiario del trattamento economico di missione ovvero impiegato presso gli anzidetti Enti e Reparti per un periodo inferiore a trenta giorni" . In realtà, la giurisprudenza ha costantemente affermato che il successivo DPR n. 360/1996, che ha disciplinato concretamente l’indennità di supercampagna prevista dall’art. 3 della legge n. 78/83, attribuisce un ulteriore aumento percentuale all’indennità operativa di base (cosiddetta di campagna) solo al personale in servizio presso specifiche strutture di pronto intervento che comunque devono essere comprese in un contingente massimo di unità indicato con decreto del Ministero della Difesa su proposta del Capo di Stato Maggiore della difesa di concerto con il Ministero del Tesoro. L’Amministrazione, nell’individuazione di tale personale esercita un potere discrezionale sorretto da una specifica istruttoria che tende ad individuare le organizzazioni militari che hanno le caratteristiche e la priorità per lo stesso riconoscimento. Il personale che rientra nelle medesime strutture ha dunque diritto alla maggiorazione prevista, ferma restando la distinzione tra l’indennità di supercampagna e la più generale indennità di campagna (ciascuna di esse ha peraltro diversa fonte normativa e forme autonome di applicazione). Pertanto, l’indennità di supercampagna non può essere invocata dal personale come quello ricorrente in servizio in unità di supporto o in forza amministrata. A tale personale spetta invece l’indennità di campagna. In altre parole, l'indennità di supercampagna non va riconosciuta a tutto il personale militare, bensì soltanto a quello impiegato presso strutture aventi un particolare grado di preparazione e di addestramento operativo. L'individuazione concreta di detto personale è affidata a scelte di natura tecnico discrezionale che riguardano il merito delle scelte operative militari, come tali insindacabili dal giudice amministrativo se non nei casi di manifesta illogicità e abnormità. Nel caso di specie, d’altra parte, non risulta irragionevole, né fonte di disparità di trattamento, l'esclusione dalla percezione dell'indennità rivendicata. Non emerge infatti alcun supporto normativo per consentire l'estensione dell'indennità di supercampagna a personale come quello ricorrente in servizio in unità di supporto o in forza amministrata, atteso che tale evenienza viene a porsi in contrasto con la specifica norma di riferimento, che opera una netta selezione dei soggetti beneficiari (cfr. TAR Lazio, sez. I, n. 10828/2013). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del TAR Lazio Sez. I bis del 26.6.2014
Nella controversia in esame i ricorrenti sottufficiali hanno chiesto la corresponsione della indennità di supercampagna che sarebbe stata riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa ai reparti, anche se distaccati, inquadrati nel medesimo modo e svolgenti le medesime funzioni di quelli che tal ... Continua a leggere
Premio di concedamento: tale beneficio non spetta ai militari che cessano dalla ferma breve o prolungata per passare al servizio permanente effettivo o per entrare in maniera stabile nei ruoli di una delle Forze Armate, o delle Forze di Polizia militari o civili, fruendo di un congruo trattamento retributivo
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del TAR Lazio Roma Sez. I bis del 26.6.6.2014

La controversia risolta dal TAR Lazio con la sentenza in esame concerne il ricorso presentato da volontari in ferma breve collocati in congedo per fine ferma e poi avviati al corso per allievi Carabinieri presso le relative scuole dell’Arma che hanno chiesto l’accertamento, e quindi la consequenziale condanna della p.a., del loro diritto alla corresponsione del trattamento economico previsto dall’art. 40, comma 1, della legge n. 958 del 1986. Al riguardo, i medesimi hanno prospettato come motivi di impugnazione la violazione di legge ed in particolare l’errata valutazione della situazione in fatto connessa al transito nell’Arma dei Carabinieri: con il congedo di fine ferma, in sostanza, il rapporto di servizio si è interrotto per proseguire poi solo dopo la frequentazione di un Corso di formazione previsto per l’inquadramento nel ruolo degli allievi Carabinieri. Il giudice amministrativo ha rigetto il ricorso rilevando che la norma invocata così dispone: "Ai graduati e militari di truppa in ferma di leva prolungata all'atto del congedamento è corrisposto un premio pari a due volte l'ultima paga mensile percepita per ogni anno o frazione superiore a sei mesi di servizio prestato". L’articolo è stato di recente interpretato dalla giurisprudenza amministrativa, in particolare quella del Consiglio di Stato, nei sensi secondo cui: "Il diritto al premio di congedamento di cui alla legge 24 dicembre 1986, n. 958, art. 40, non sussiste per il militare che, già in ferma, non sia cessato completamente dal servizio, per essere, in particolare, transitato in s.p.e. o comunque in maniera stabile nei ruoli di una delle Forze Armate o delle altre Forze di Polizia ad ordinamento militare o civile"(Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2011 n. 1337). Anche una recente decisione di questa Sezione, la n. 2366 del 5 marzo 2013, condivide "…l'orientamento interpretativo in materia consolidatosi nel senso che il premio di congedamento, previsto dall'art. 40, l. 24 dicembre 1986 n. 958, ha il suo unico presupposto legittimante esclusivamente nella posizione del soggetto che è costretto ad abbandonare il servizio militare senza aver conseguito alcun titolo a pensione, per essere reinserito nella vita civile, sicchè non spetta ai militari che cessano dalla ferma breve o prolungata per passare al servizio permanente effettivo o, comunque, per entrare in maniera stabile nei ruoli di una delle Forze Armate o delle Forze di Polizia militari o civili, fruendo di un congruo trattamento retributivo; detto beneficio non ha natura retributiva, non integra un trattamento di fine rapporto e neppure costituisce un'elargizione a titolo grazioso di un generico sostegno, ma costituisce un beneficio una tantum di natura genericamente indennitaria per aiutare, chi cessa completamente dal servizio militare, a ricollocarsi sotto il profilo lavorativo nella società civile (Cons. Stato, sez. IV, 6.8.2012 n. 4452). L’interpretazione giurisprudenziale è stata condivisa dalla Sezione (Cfr. altresì, T.A.R. Lazio, sez. I/bis, 22.5.2012 n. 4630 e 1.9.2012 n. 7460, n. 9842 del 2007) che ha ripetutamente evidenziato la natura del premio di congedamento finalizzato a consentire di sopperire alle più immediate esigenze del militare che lasci il servizio senza avere diritto alla pensione, affermando che detto premio: - ha il suo presupposto legittimante esclusivamente nella posizione del soggetto che è costretto ad abbandonare il servizio militare, senza aver conseguito alcun titolo a pensione, per essere reinserito nella vita civile; - non spetta ai militari che cessano dalla ferma breve o prolungata per passare al servizio permanente effettivo o comunque per entrare in maniera stabile nei ruoli di una delle Forze Armate, o delle Forze di Polizia militari o civili, fruendo di un congruo trattamento retributivo; esclusione che trova peraltro giustificazione anche nel fatto che il transito agevolato in tali Corpi costituisce già di per sé un istituto di natura premiale per il servizio prestato in posizione di ferma. Siccome nel caso di specie i ricorrenti, sia pure dopo l’espletamento di un corso di formazione, sono stati immessi nella qualifica iniziale del ruolo permanente dell’Arma dei Carabinieri per effetto di un concorso loro riservato può ritenersi che l’interpretazione prevalente dettata dalla giurisprudenza amministrativa sopra richiamata possa ritenersi incompatibile con le pretese di parte ricorrente. Per scaricare la sentenza cliccare su " Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del TAR Lazio Roma Sez. I bis del 26.6.6.2014
La controversia risolta dal TAR Lazio con la sentenza in esame concerne il ricorso presentato da volontari in ferma breve collocati in congedo per fine ferma e poi avviati al corso per allievi Carabinieri presso le relative scuole dell’Arma che hanno chiesto l’accertamento, e quindi la consequenzia ... Continua a leggere