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lunedì 9 giugno 2014 17:20

Attività di insegnante nel doposcuola: il servizio di doposcuola svolto dall’insegnante a titolo precario non integra il requisito di insegnamento corrispondente a posto di ruolo, e pertanto non costituisce requisito per l’ammissione al concorso riservato di cui all’art. 12 l. n. 417/1989, per l’immissione nei ruoli magistrali degli insegnanti della scuola elementare

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 27.5.2014

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Secondo un consolidato orientamento del Consiglio di Stato (cfr. da ultimo C.d.S., sez. VI, 23 dicembre 2010, n. 9334, da cui è tratto il passaggio di seguito riportato), "non sono riconducibili nell'area prescrittiva del richiamato art. 2, comma quarto, della legge n. 124 del 1999 e dell'ordinanza ministeriale di essa attuativa, servizi resi presso le istituzione scolastiche, e però con compiti non riconducibili alle ore curriculari e agli ordinari programmi di insegnamento. Fra questi rientrano le c.d. attività parascolastiche, che hanno funzione di supporto, di assistenza, sorveglianza e ricreazione degli allievi. Quanto precede è del resto reso significativo dalla lettera dell'art. 2, comma quarto, della legge n. 124 del 1999, ove è precisato che "il servizio deve essere prestato per insegnamenti corrispondenti a posti di ruolo o relative classi di concorso con il possesso dello specifico titolo di studio richiesto". Si tratta di previsione che trova la sua ragione d'essere nella specifica funzione assegnata alle graduatorie permanenti di assicurare la provvista di personale da nominare in ruolo nella misura del 50% dei posti che si rendano annualmente disponibili. Il personale inserito nelle graduatorie permanenti deve aver quindi reso un adeguato periodo di "effettivo" insegnamento ai fini dell'acquisizione dell'affinamento e dell'esperienza professionale, che è elevato dalla norma a non eludibile presupposto per lo stabile conferimento dei compiti di docente di ruolo. Il carattere eccezionale della disciplina sull'indizione della speciale sessione di abilitazione preclude, inoltre, ogni applicazione estensiva oltre le ipotesi normativamente previste (cfr. in fattispecie analoghe Cons. Stato, VI, 21 marzo 2006, n. 1481; 10 marzo 2004, n. 1211; 7 agosto 2003, n. 4560)" (così la sentenza n. 9334/2010 cit.). Questo Consiglio, in altre parole, ha già chiarito, con giurisprudenza dalla quale non vi è motivo di discostarsi per il caso in esame, che dalla normativa citata risulta evidente la necessità di un servizio di "effettivo insegnamento", il quale si deve riferire ad insegnamenti corrispondenti a posti di ruolo o classi di concorso. E tale principio è stato affermato anche con specifico riferimento all'attività di insegnante nel doposcuola, statuendosi che in presenza di un servizio siffatto non può ritenersi integrato il requisito di cui si tratta, "non essendovi in tal caso un insegnamento corrispondente a posto di ruolo" (C.d.S., VI, 18 agosto 2010, n. 5877). Nel senso della non valutabilità ai fini predetti dell’insegnamento nel doposcuola, per la ragione indicata, è dunque "la giurisprudenza di questo Consesso, formatasi sia in relazione al concorso riservato di cui alla l. n. 124/1999 (di cui è processo) (cfr. Cons. St., sez. VI, 10 marzo 2004 n.1212: «In tema di concorso riservato di esami per il conseguimento dell’idoneità all’insegnamento nella scuola elementare, l’insegnamento nelle attività integrative parascolastiche, istituite dai comuni in virtù della l.reg. Campania n. 4 del 3 gennaio 1983, non è valutabile come servizio di insegnamento (c.d. periodo minimo), essendo utile, a tali fini, ai sensi dell’art. 2, 4º comma, l. n. 124/1999, il solo servizio di insegnamento corrispondente a posto di ruolo o relativo a classi di concorso»), sia in relazione all’analoga formulazione dell’art. 2, co. 10, lett. b), in combinato con l’art. 11, commi 1 e 3 bis, d.l. 6 novembre 1989, n. 357, conv. nella l. 27 dicembre 1989, n. 417 (cfr. Cons. St., sez. VI, 3 giugno 1998 n. 899: «Ai sensi della l. 27 dicembre 1989 n. 417 art. 11, 3º comma bis, il servizio di doposcuola svolto dall’insegnante a titolo precario non integra il requisito di insegnamento corrispondente a posto di ruolo, e pertanto non costituisce requisito per l’ammissione al concorso riservato di cui all’art. 12 l. n. 417 cit., per l’immissione nei ruoli magistrali degli insegnanti della scuola elementare»)" (così C.d.S., VI, 30 gennaio 2007, n. 344). Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 27.5.2014

 
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Secondo un consolidato orientamento del Consiglio di Stato (cfr. da ultimo C.d.S., sez. VI, 23 dicembre 2010, n. 9334, da cui è tratto il passaggio di seguito riportato), "non sono riconducibili nell'area prescrittiva del richiamato art. 2, comma quarto, della legge n. 124 del 1999 e dell'ordinanza ... Continua a leggere

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lunedì 9 giugno 2014 17:20

Giudizio elettorale: non è consentito al giudice amministrativo di procedere autonomamente, in mancanza di una puntuale censura, alla correzione di tutti gli errori, ancorché materiali, che possano emergere dal giudizio

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 28.5.2014

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Come anche recentemente ribadito dalla Quinta Sezione (17 febbraio 2014, n. 755), nel giudizio elettorale il giudice amministrativo non esercita una giurisdizione di diritto obiettivo e non può rieffettuare alcun calcolo, se non in sede di esame di censure ritualmente proposte. Per quanto i giudizi elettorali rientrino nella giurisdizione tradizionalmente definita "estesa al merito", nella quale cioè al giudice amministrativo sono attribuiti poteri di intervento aggiuntivi ed ulteriori rispetto a quello puramente demolitorio, che è connaturale alla giurisdizione amministrativa di legittimità (Cons. Stato, sez. V, 29 ottobre 2012, n. 5504), tuttavia essi, oltre a non presentarsi come espressione di una giurisdizione di diritto obiettivo, non concernono neppure la tutela di diritti soggettivi perfetti, basandosi piuttosto, anche al fine di contemperare tutti gli interessi in conflitto, sul principio di certezza dei rapporti di diritto pubblico, con la conseguenza che i poteri esercitabili dal giudice sono necessariamente circoscritti nell'ambito costituito dall'oggetto del giudizio, così come delimitato dal ricorrente attraverso la tempestiva indicazione degli specifici vizi da cui sono affette le operazioni elettorali e, in particolare, dell'atto di proclamazione degli eletti che le conclude (Cons. Stato, sez. V, 28 settembre 2005, n. 5201; 6 luglio 2002, n. 3735). Poiché pertanto non è consentito al giudice amministrativo di procedere autonomamente, in mancanza di una puntuale censura, alla correzione di tutti gli errori, ancorché materiali, che possano emergere dal giudizio (Cons. St., sez. V, 6 luglio 2002, n. 3735), non avendo l’originario ricorrente, all’esito della verificazione disposta, proposto motivi aggiunti (malgrado la espressa riserva formulata nel ricorso introduttivo del giudizio), onde estendere le censure di illegittimità del verbale di proclamazione degli eletti anche nella parte in cui i voti spettanti alla lista San Nicandro 2.0 nella sezione elettorale n. 9 erano in realtà 33 e non 32, il tribunale non avrebbe potuto autonomamente attribuire tale ulteriore voto, mancando al riguardo una specifica censura ed una corrispondente specifica domanda giudiziale (né potendo a tanto essere sufficiente quella contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio).

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 28.5.2014

 
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Come anche recentemente ribadito dalla Quinta Sezione (17 febbraio 2014, n. 755), nel giudizio elettorale il giudice amministrativo non esercita una giurisdizione di diritto obiettivo e non può rieffettuare alcun calcolo, se non in sede di esame di censure ritualmente proposte. Per quanto i giudiz ... Continua a leggere

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lunedì 9 giugno 2014 17:20

Le dichiarazioni sostitutive di notorietà, della parte interessata e di terzi, non hanno alcun "valore" certificativo o probatorio nei confronti della pubblica amministrazione e non possono avere alcuna rilevanza, neppure indiziaria, nel processo civile o amministrativo

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 29.5.2014

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Ai sensi dell’art. 63,I° co. e dell’art. 64,I co. del c.p.a. spetta al ricorrente, l'onere della prova che sono nella sua piena disponibilità (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 10/01/2014 n. 46. Consiglio di Stato sez. III 13/09/2013 n. 4546). Nello specifico poi, la prova circa il tempo di ultimazione delle opere edilizie è stato sempre posto sul privato, e non sull'Amministrazione, dato che solo l'interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione di un manufatto (cfr. infra multa Consiglio di Stato Sez. VI 20 dicembre 2013 n. 6159; Consiglio di Stato sez. V 20 agosto 2013 n. 4182; Consiglio di Stato sez. V 15 luglio 2013 n. 3834; Consiglio di Stato Sez. VI 01 febbraio 2013 n. 631). Per questo deve poi sottolinearsi l’assoluta inconferenza delle dichiarazioni difensive del Comune che in primo grado avrebbe dichiarato di non essere in grado di opporre prove contrarie alle autodichiarazioni dell’appellante. Ciò anche perché nessun rilievo probatorio possono peraltro avere le dichiarazioni sostitutive di notorietà, né della parte interessata e né di terzi , le quali non hanno alcun "valore" certificativo o probatorio nei confronti della pubblica amministrazione e non possono avere alcuna rilevanza, neppure indiziaria, nel processo civile o amministrativo (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 27/05/2010 n.3378; Consiglio di Stato sez. IV, 3 Agosto 2011 n. 4641; da Consiglio di Stato, Sez. IV 21 Ottobre 2013 n. 5109; Consiglio di Stato sez. IV 15 gennaio 2013 n. 211; Consiglio di Stato sez. IV 27/12/2011 n.6861; Cass. Civ., sez. III, 28 aprile 2010 n. 10191) In difetto di tali prove, resta infatti integro il potere dell'amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso ed il suo dovere di irrogare la sanzione prescritta (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 23/01/2013 n.414). Ne caso in esame poi la dichiarazione sostitutiva era assolutamente inidonea a dimostrare della risalenza dei manufatti ad un’epoca precedente il 1940, perché era in ogni caso relativa ad un predetto rustico in quanto essendo stato realizzato senza titolo prima dell'entrata in vigore della legge n. 10 del 1977, avrebbe comunque dovuto esser oggetto della legge 28 febbraio 1985 n. 47 ai sensi degli artt. 33 e 40, primo comma.

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Ai sensi dell’art. 63,I° co. e dell’art. 64,I co. del c.p.a. spetta al ricorrente, l'onere della prova che sono nella sua piena disponibilità (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 10/01/2014 n. 46. Consiglio di Stato sez. III 13/09/2013 n. 4546). Nello specifico poi, la prova circa il tempo di ultimazi ... Continua a leggere

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lunedì 9 giugno 2014 17:20

Risarcimento dei danni per i ritardi della P.A.: in caso di omessa tempestiva impugnazione del provvedimento, il pregiudizio subito per il sopravvenire di una nuova normativa non può essere imputato all'amministrazione

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 29.5.2014

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In base al vecchio brocardo "diligenti bus aura succurrunt" deve ricordarsi la regola della non rilevanza di un legittimo nocumento per il sopravvenire di una nuova normativa per la mancata impugnazione del provvedimento o comunque con la tempestiva utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall'ordinamento, per cui l'omessa attivazione degli strumenti di tutela giurisdizionale costituisce una condotta valutabile sia in sede di merito. Del resto analogamente la giurisprudenza ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza di un pregiudizio ha escluso la rilevanza risarcitoria dei danni evitabili ex art. 30, comma 3, c.p.a. e dei principi di cui all'art. 1227, comma 2, c.c. (cfr. da ultimo Consiglio di Stato sez. IV 26 marzo 2012 n. 1750; Consiglio di Stato sez. V 09 ottobre 2013 n. 4968). Si deve poi considerare che qui non vi è alcun reale elemento, neanche di carattere indiziario per poter ritenere che i ritardi siano il frutto di sviatori ed indebiti comportamenti degli uffici e non invece il frutto di imprecisioni ed approssimazioni nella redazione dei progetti e degli atti da parte della stessa appellante. Per continuare nella lettura della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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In base al vecchio brocardo "diligenti bus aura succurrunt" deve ricordarsi la regola della non rilevanza di un legittimo nocumento per il sopravvenire di una nuova normativa per la mancata impugnazione del provvedimento o comunque con la tempestiva utilizzazione degli altri strumenti di tutela pre ... Continua a leggere

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lunedì 9 giugno 2014 17:20

Indennità di buonuscita: in assenza di specifica attribuzione normativa, l’amministrazione pubblica non ha il potere di fissazione di un termine, decorso il quale i soggetti privati decadono dall’esercizio di poteri e facoltà loro riconosciuti dalla legge

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 30.5.2014

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Nella vicenda giunta innanzi alla Sesta Sezione del Consiglio di Stato si controverte della legittimità della delibera di liquidazione dell’indennità di buonuscita a carico dell’ENPAS, nella parte in cui questa ha determinato gli oneri di riscatto in riferimento allo stipendio in godimento al momento della cessazione dal servizio per quiescenza anziché da quello precedente, in godimento al momento di presentazione della domanda. La tesi dell’amministrazione si fonda per un verso, sulla prescrittività della circolare ministeriale del 1966 ed, in particolare, sulla perentorietà del termine del 28 febbraio 1967, indicato per il completamento della documentazione da allegare alla domanda di riscatto; per altro verso, sulla presunzione di conoscenza di circolari dell’amministrazione da parte dei suoi dipendenti, derivante dal mero invio della circolare alla sede di svolgimento della prestazione lavorativa. Quanto a tale ultimo aspetto, il Collegio deve immediatamente rilevare come la "presunzione di conoscenza", indicata dall’appellante amministrazione, risulta priva di base normativa e, ove anche esistesse una norma che ciò preveda (ma tale norma non è stata indicata dall’appellante), quest’ultima sarebbe di dubbia legittimità costituzionale, non essendo manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale della stessa per violazione, quantomeno, degli artt. 24, 113 e 97 Cost. Ne consegue che, in difetto di prova di conoscenza della circolare (e dunque del termine da essa indicato) da parte dell’appellata, l’amministrazione non è legittimata a contestare alla medesima il mancato completamento della documentazione nel termine prescritto e, dunque, l’impossibilità di esame della istanza di riscatto. Ferme le considerazioni ora svolte, il Collegio osserva che è pacifico che – posta la facoltà dei dipendenti pubblici di riscattare ai fini dell’ìndennità di buonuscita determinati periodi di servizio ovvero gli studi universitari – la misura del contributo dovuto è determinato con riferimento alla retribuzione erogata all’atto della domanda, non potendo gravare sul dipendente il tempo del procedimento e, a maggior ragione, gli eventuali ritardi dell’amministrazione (per il caso di specie, v. DM 4 luglio 1966, indicato anche dalla parte appellante). Se è vero che può ritenersi il dipendente tenuto ad allegare la documentazione relativa ai servizi per i quali si chiede il riscatto (ma questo solo ante l. n. 241/1990, posto che l’art. 18 della medesima impone al responsabile del procedimento di acquisire i dati rilevabili da archivi di pubbliche amministrazioni), è altrettanto vero che il difetto di allegazione deve intendersi come fatto impeditivo all’esame della domanda, ma non già della individuazione della data di riferimento per la parametrazione della misura del contributo dovuto. E ciò a prescindere dal dovere dell’amministrazione (ai sensi dell’art. 97 Cost. e della l. n. 241/1990), di indicare all’istante le eventuali integrazioni documentali necessarie ai fini dell’emanazione del provvedimento finale. Infine, occorre osservare che, in assenza di specifica attribuzione normativa, l’amministrazione pubblica non ha il potere di fissazione di un termine, decorso il quale i soggetti privati decadono dall’esercizio di poteri e facoltà loro riconosciuti dalla legge. D’altra parte, la circolare ministeriale n. 454/1966, non indica il termine del 28 febbraio 1967 come perentorio, ma avverte solo che "le domande che non perverranno debitamente documentate e completamente istruite" . . ."non potranno essere esaminate". La circolare, quindi, indica un impedimento alla conclusione procedimentale, ma non introduce alcuna decadenza dalla facoltà di richiedere il riscatto, né, tantomeno, individua al momento del completamento della documentazione il dies di riferimento per il computo del contributo dovuto, da parametrare alla misura della retribuzione a quella data erogata.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 30.5.2014

 
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Nella vicenda giunta innanzi alla Sesta Sezione del Consiglio di Stato si controverte della legittimità della delibera di liquidazione dell’indennità di buonuscita a carico dell’ENPAS, nella parte in cui questa ha determinato gli oneri di riscatto in riferimento allo stipendio in godimento al momen ... Continua a leggere

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lunedì 9 giugno 2014 17:20

Revoca della licenza di porto di pistola per uso personale: la presentazione di denunce-querele che evidenzino situazioni di rischio legittimano il provvedimento del prefetto di revoca senza necessità di verificare la veridicità dei fatti

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 30.5.2014

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Il Consiglio di Stato ha annullato la sentenza del TAR che aveva ritenuto illegittimo il provvedimento adottato dal Prefetto di Brindisi di revoca della licenza di porto di pistola per uso personale. L’atto della Prefettura si basa sulla nota della Questura di Brindisi che a sua volta riporta due denunce-querele sporte dal figlio nei confronti del suo genitore, per i reati di minacce ed atti persecutori. La sentenza appellata, tuttavia, ha giudicato illegittimo il provvedimento in quanto dalle allegazioni del ricorrente ha tratto il convincimento che le tali denunce-querele presentate dal figlio siano infondate e non veritiere. A questo scopo si è basato essenzialmente sulle dichiarazioni rese nelle forme di cui all’art. 391-bis c.p.p. (investigazioni difensive ad iniziativa di parte) dalla signora B.G. (la ex moglie dell’appellato) la quale ha smentito di essere stata vittima di maltrattamenti e minacce da parte dell’ex marito, prendendo posizione in favore di quest’ultimo nel contrasto con il comune figlio (l’autore delle querele). In buona sostanza, dalla motivazione della sentenza si evince che secondo il T.A.R. l’autorità di pubblica sicurezza, una volta avuta notizia delle denunce-querele presentate da M.G. contro il padre non avrebbe potuto adottare alcun provvedimento a carico di quest’ultimo, senza avere prima svolto adeguate indagini circa la fondatezza delle querele stesse e la verità dei fatti ivi rappresentati; mentre se lo avesse fatto avrebbe constatato che quelle denunce erano infondate. Il Consiglio di Stato osserva che la decisione del T.A.R. è frutto del fraintendimento della natura e dello scopo dei provvedimenti del genere di quello impugnato, e conseguentemente del tipo di istruttoria che l’autorità di pubblica sicurezza deve svolgere prima di adottarli. In materia vi è giurisprudenza ampiamente consolidata, con riferimento vuoi all’art. 39, t.u.l.p.s. (che concerne il divieto di detenzione di armi) vuoi all’art. 43 (diniego della licenza di porto d’armi) vuoi ancora all’art. 11 (revoca delle licenze di polizia in generale). Prescindendo dai casi nei quali i provvedimenti in questione sono vincolati (es.: condanne penali per determinati reati), il potere ampiamente discrezionale conferito dalla legge all’autorità di p.s. non ha la funzione di sanzionare delitti ovvero comportamenti comunque illeciti, bensì quella di prevenire i sinistri – non necessariamente intenzionali – conseguenti all’uso inappropriato delle armi. Comunemente si ritiene che a giustificare il provvedimento basti una situazione oggettiva di rischio ancorché, in ipotesi, incolpevole o addebitabile ad un soggetto diverso dal proprietario delle armi e titolare delle relative licenze. Nel caso in esame, le due denunce-querele presentate da M.G. contro il padre descrivono una situazione radicata e annosa di grave conflitto per ragioni tanto affettive quanto economiche, e vi si afferma in modo esplicito e circostanziato che il padre del querelante avrebbe espresso minacce di morte. Supposto che il contenuto delle due denunce sia veridico, vi sarebbe materia più che sufficiente per giustificare la revoca del porto d’armi. La casistica giurisprudenziale è univoca in tal senso. E le cronache confermano che in questa materia la prudenza non è mai troppa, tanto sono frequenti i fatti di sangue originati da analoghe situazioni conflittuali persino fra congiunti. La decisione del T.A.R., tuttavia, afferma che l’autorità di p.s., avuta notizia delle due denunce e del loro contenuto, non avrebbe dovuto limitarsi a prenderne atto e a provvedere di conseguenza, ma al contrario avrebbe dovuto aprire un’istruttoria (procedendo anche ad assumere testimonianze) al fine di appurare se quelle denunce fossero o meno veridiche. Questo assunto non può essere condiviso. Atti di denuncia-querela come quelli di cui si discute hanno come destinataria naturale l’autorità giudiziaria penale. E’ compito di quest’ultima valutarne la veridicità e la fondatezza, con gli opportuni strumenti d’indagine, fino a procedere per calunnia contro il denunciante, ove ne sia il caso. Non è invece compito dell’autorità di p.s. nell’esercizio dei poteri inerenti al controllo delle armi, non avendo in quella sede né i mezzi né la competenza per sceverare le ragioni e i torti del conflitto in corso fra i privati interessati. Tanto meno è compito del giudice amministrativo di legittimità. Sicché le ponderose argomentazioni difensive svolte anche in questo grado dall’appellato risultano non tanto infondate quanto non pertinenti nel presente giudizio, come rivolte a dimostrare che nel contenzioso fra l’appellato e il figlio le ragioni sono tutte dalla parte del primo e i torti tutti da quella del secondo (il quale ultimo peraltro non può replicare non essendo parte del giudizio).

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Il Consiglio di Stato ha annullato la sentenza del TAR che aveva ritenuto illegittimo il provvedimento adottato dal Prefetto di Brindisi di revoca della licenza di porto di pistola per uso personale. L’atto della Prefettura si basa sulla nota della Questura di Brindisi che a sua volta riporta due d ... Continua a leggere

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lunedì 9 giugno 2014 17:20

Mantenimento in servizio oltre il 65° anno di età: e' sufficientemente motivato un diniego di trattenimento in servizio che si fondi sulla sola valutazione della scarsità delle risorse finanziarie

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 30.5.2014

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L’art. 16, co. 1, del d. lgs. 30 dicembre 1992 n. 503 (nel testo modificato dall’art. 72, co. 7, d. l. 25 giugno 1998 n. 112, conv. in l. 6 agosto 2008 n. 133), recante "Prosecuzione del rapporto di lavoro", prevede "È in facoltà dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti. In tal caso è data facoltà all'amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di trattenere in servizio il dipendente in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal dipendente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell'efficiente andamento dei servizi. La disponibilità al trattenimento va presentata all'amministrazione di appartenenza dai ventiquattro ai dodici mesi precedenti il compimento del limite di età per il collocamento a riposo previsto dal proprio ordinamento. I dipendenti in aspettativa non retribuita che ricoprono cariche elettive esprimono la disponibilità almeno novanta giorni prima del compimento del limite di età per il collocamento a riposo. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (sez. VI, 24 ottobre 2013 n. 5148; 27 luglio 2011, n. 4501; 24 gennaio 2011, n. 479) ha già più volte affermato che la ratio dell’art. 16 citato è essenzialmente di contenimento finanziario. La disposizione non contempla più un diritto soggettivo alla permanenza in servizio del pubblico dipendente, ma prevede che l’istanza, che egli ha facoltà di presentare, sia valutata discrezionalmente dall’amministrazione (la quale ha facoltà, non obbligo) di accoglierla, e possa trovare accoglimento solo in concreta presenza degli specifici presupposti individuati dalla disposizione, i primi dei quali legati ai profili organizzativi generali dell’amministrazione medesima ("in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali") e i seguenti alla situazione specifica soggettiva e oggettiva del richiedente( " in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti"). E’, quindi, in relazione alle esigenze organizzative e funzionali dell’amministrazione che va incentrata la scelta, non richiedendosi, ove tali esigenze non vengano ravvedute, una speciale esternazione circa la particolare esperienza professionale dell’interessato. Da quanto esposto consegue che le valutazioni di ordine finanziario – ritenute dalla sentenza impugnata insufficienti a sorreggere il diniego di mantenimento in servizio – al contrario ben possono motivare il rigetto dell’istanza dell’interessato al trattenimento. E ciò sia in quanto tali esigenze si connettono pienamente a quelle organizzative e funzionali, che proprio sulla disponibilità finanziaria trovano la propria concreta conformazione; sia in quanto è la ratio stessa della norma (già evidenziata dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato) a richiedere alle singole amministrazioni una valutazione in ordine alle proprie disponibilità economiche, onde definire quelli che sono i migliori e più efficienti assetti organizzativi e far fronte ai compiti ad esse affidati dall’ordinamento. Ne consegue che ben può essere ritenuto sufficientemente motivato un diniego di trattenimento in servizio che si fondi (anche solo) sulla valutazione della scarsità delle risorse finanziarie, ovvero sulla migliore allocazione delle medesime, in luogo della prosecuzione del pagamento del trattamento retributivo, conseguente al trattenimento biennale in servizio. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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L’art. 16, co. 1, del d. lgs. 30 dicembre 1992 n. 503 (nel testo modificato dall’art. 72, co. 7, d. l. 25 giugno 1998 n. 112, conv. in l. 6 agosto 2008 n. 133), recante "Prosecuzione del rapporto di lavoro", prevede "È in facoltà dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economic ... Continua a leggere

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