News 11 Novembre 2013 - Area Amministrativa


NORMATIVA

Anticorruzione: entro il 31.12.2013 le Pubbliche Amministrazioni devono adottare i Codici di comportamento sulla base degli indirizzi stabiliti dall'A.N.A.C. nella delibera n. 75/2013

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L’Autorità Nazionale Anticorruzione ha pubblicato la Delibera n. 75/2013 in materia di "Codice di comportamento" dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni emanata a norma del Regolamento di cui D.P.R. n. 62/2013 in applicazione dell’art. 54 comma 5 del d.lgs. n.165/2001 e in ossequio, tra l'altro, ai principi fondamentali quali l’osservanza, da parte dei pubblici funzionari, della Carta Costituzionale, servendo la Nazione con disciplina ed onore e conformando la propria condotta ai principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa. Tale delibera si prefigge di indirizzare ciascun codice di comportamento adottato/da adottarsi alle varie Amministrazioni Pubbliche, entro il 31 dicembre 2013, verso "azioni e misure" sottese alle più generali strategie di "prevenzione della corruzione" nonché alla omogeneizzazione con coesistenti codici etici, manuali comportamentali, ecc. eventualmente già in uso. L’Autorità procederà alla consultazione delle Amministrazioni ed eventuale costituzione di tavoli tecnici per l’integrazione e l’aggiornamento dei Codici, in aderenza alle linee guida dettate dalla delibera in trattazione, quali parametri di riferimento, ovvero per l’elaborazione di nuovi "Codici". Il Codice di comportamento rappresenta altresì uno degli strumenti essenziali del Piano triennale di prevenzione della corruzione, previsto dal "Piano Nazionale Anticorruzione" e viene adottato dall’Organo di indirizzo politico-amministrativo, su proposta del Responsabile per la prevenzione della corruzione, che si avvale della collaborazione degli uffici per i procedimenti disciplinari (UPD) costituiti obbligatoriamente in ogni Amministrazione, sentito l’OIV – organo interno di valutazione, (previa emissione di parere obbligatorio), Ufficio, questo, che svolge contestualmente l’attività di supervisione sulla corretta applicazione del Codice. Per accedere alla lettura della delibera n. 75/2013 cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 
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L'utilizzazione dei contenuti di Gazzetta Amministrativa da parte di altre testate, siti internet, giornali, televisione, ecc., è consentita esclusivamente con indicazione della fonte "www.gazzettaamministrativa.it" e contestuale link o collegamento alla pagina di pubblicazione del contenuto di volta in volta attenzionato.

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Anticorruzione: l'A.N.A.C. ha adottato le Linee guida in materia di codici di comportamento

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Con Delibera n.75/2013 sono state adottate dall'Autorità Nazionale Anticorruzione le Linee guida in materia di codici di comportamento che devono essere adottati dalle pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 54, comma 5, d.lgs. n. 165/2001 e del codice generale di cui al D.P.R. del 16 aprile 2013, n. 62 Per accedere alla delibera cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 
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La Civit diventa ANAC e riacquista le competenze in materia di misurazione e valutazione della performance

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E' in atto un passaggio di fascicoli tra l'ARAN e l'ex CIVIT ora divenuta ex art. 5 L. n. 125/2013 Autorità Nazionale AntiCorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni (A.N.A.C.). Dal 31 ottobre u.s., infatti, a seguito dell’entrata in vigore della legge 30 ottobre 2013, n. 125 con cui è stato convertito in legge con modificazioni il d.l. n. 101/2013, recante "Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione delle pubbliche amministrazioni", le funzioni relative alla performance e alla valutazione di cui all’art. 13 del d.lgs.n. 150/2009, inizialmente trasferite all’ARAN, sono rientrate nell’ambito di sua competenza. L’ARAN ha trasmesso all’Autorità le pratiche che nel frattempo sono pervenute alla stessa. Il termine di 30 giorni, previsto nella delibera n. 12/2013, per rendere il parere ai fini della nomina dei componenti degli OIV, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs.n. 150/2009, decorrerà pertanto dal momento dell’acquisizione della documentazione trasmessa dall’ARAN.

 
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"Garanzia Giovani" primo documento predisposto dalla Struttura di Missione istituita presso il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali ai sensi del d.l. n.76/2013.

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È stato approvato, il primo documento dalla Struttura di Missione istituita presso il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali (prevista dall’art. 5 del d.l. n.76/2013), cui partecipano oltre il Dicastero competente: ISFOL, ITALIA LAVORO, INPS, MIUR, MISE, Dipartimento della Gioventù. Regioni, Province, Province autonome, Camere di Commercio. Il Piano, quale iniziale elaborato, definisce principi e criteri regolativi in attuazione del programma "Garanzia Giovani" (Youth Guarantee). In coerenza alla "raccomandazione europea" del 22 aprile 2013, con lo strumento del citato Piano per la Garanzia Giovani, l’Italia porrà in essere idonee misure ed iniziative sottese ad assicurare che i giovani, nella fascia di età compresa tra 15-24 anni, siano destinatari di una adeguata "formazione" orientata alle specifiche attitudini possedute e finalizzata al concreto inserimento nel mondo del lavoro. Verranno utilizzati, per tali scopi, i fondi europei della Youth Employmnet e del Fondo Sociale impiegati anche per i percorsi di alternanza studio-lavoro, promozione dell’apprendistato, tirocini, stages ed iniziative di auto-imprenditorialità, in un contesto di cooperazione tra istituzioni nazionali, regionali, territoriali. Verrà promosso, inoltre, un sistema di banche dati integrate e piattaforme telematiche, per favorire l’incontro domanda/offerta di lavoro, con conseguente monitoraggio e valutazione degli interventi attuati/realizzati.

 
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È stato approvato, il primo documento dalla Struttura di Missione istituita presso il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali (prevista dall’art. 5 del d.l. n.76/2013), cui partecipano oltre il Dicastero competente: ISFOL, ITALIA LAVORO, INPS, MIUR, MISE, Dipartimento della Gioventù. Regioni, Prov ... Continua a leggere

 

DL n. 101/2013: on line la Guida sulle novità in materia di Pubblica Amministrazione e pubblico impiego

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La Funzione Pubblica ha realizzato una Pubblica Guida al Decreto Legge n. 101/2013 che illustra le novità introdotte da. Decreto Legge in materia di Pubblica Amministrazione e pubblico impiego. In particolare, tra l'altro, si segnala: AUTO BLU e AUTO VERDI: prorogato fino al 2015 il divieto per leAmministrazioni di acquistare autovetture di seviziò. Dal 2014 le P.A. Che non adempiono all'oblio di comunicazione dei dati ai fini del censimento permanente non possono effettuare spese superiori al 50% rispetto al 2013 per l'acquisto, manutenzione, noleggio, esercizio di autovetture e buoni pasto. Sono previste sanzioni pecuniarie, disciplinari e nullità dei contratti in caso di violazione dei nuovi limiti. Laddove e' previsto l'acquisto di auto di servizio queste devono essere a basso impatto ambientale e a minor costo di esercizio. TAGLIO ALLE CONSULENZE ESTERNE: Tali spese non possono essere superiori per il 2014 all'80% di quanto speso nel 2013 e per il 2015 al 75% di quanto speso d nell'anno precedente CONTROLLI E DENUNCE ALLA CORTE DEI CONTI: Il Dipartimento della Funzione Pubblica e la Ragioneria Generale dello Stato provvedono al controllo, almeno una volta l'anno del rispetto delle regole sui tagli, denunciando le irregolarità al Corte dei Conti DIVIETO DI ASSUNZIONI: nessuna assunzione nelle aree dove vi sono sovrannumeri, ma solo in caso di disponibilità in organico. SPENDING REVIEW PER LE ASSUNZIONI: Dal 1.1.2014 alle P.A. che non si sono adeguate entro il 31.12.2013 alle regole della Spending review, e' fatto divieto di assunzioni di qualunque genere ed a qualunque titolo. PREPENSIONAMENTO: le P.A. possono procedere a prepensionamenti secondo i requisiti pre-legge Formerò per assorbire soprannumeri ed eccedenze. MONITORAGGIO SUI COSTI DELLE PARTECIPATE: acquisizione da parte del MEF e del DFP di tutti i dati sulla spesa per il personale delle P.A., delle società non quotate partecipate da P.A., della RAI MOBILITÀ: le P.A. con eccedente entro il 31.12.2015 possono cedere il personale in eccedenza al Ministero della Giustizia. NIENTE BUONUSCITE STRAORDINARIE PER I MANAGER PUBBLICI: le società controllate dalle P.A. non possono prevedere per i propri dirigenti benefici economici per la cessazione del rapporto superiori a quelli previsti dai contratti collettivi di lavori applicati. DIRIGENTI PENSIONATI: NO AL CUMULO. Introdotto il limite alla pratica per i dirigenti delle P.A. Di ricevere incarichi dalle società controllate dalle P.A. Di provenienza una volta andati in pensioni, con cumulo dei trattamenti economici. Per le società controllate in disavanzo i contratti per questo dirigenti cessano di diritto al 31.12.2013; se la società e' in buone condizioni i contratti durano fino alla scadenza, ma il dirigente riceve solo il trattamento economico della società, mentre è' sospeso quello pensionistico. La CIVIT cambia nome in ANAC "Autorità Nazionale Anticorruzione". I componenti sono scelti tra esperti di comprovata professionalità, notoria indipendenza ed esperienza anche all'estero nel contrasto alla corruzione, non devono aver rivestito incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti politici od organizzazioni sindacali. NUOVI CONCORSI SOLO DOPO I VINCITORI DI PRECEDENTI CONCORSI E GLI IDONEI. Fino al 31.12.2013 le P.A. Non possono bandire nuovi concorsi se: a) non hanno immesso in servizio tutti i vincitori di concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato collocati nelle proprie graduatorie vigenti; b) non hanno verificato l'assenza, nella stessa P.A., di idonei collocati nelle graduatorie vigenti e approvate dal 1.1.2007, relative alle professionalità necessarie; c) non hanno attivato la procedura di mobilità obbligatoria personale in disponibilità. Fino allo stesso termine sono prorogate le graduatorie concorsuali ancora vigenti. Per approfondire l'argomento mediante la lettura completa della Guida della Funzione Pubblica cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 
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Pianificazione e controllo strategico nei grandi comuni italiani: on line report di sintesi del Dipartimento della funzione pubblica

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Con il rapporto su "Pianificazione e controllo strategico" il Dipartimento della funzione pubblica rende noti i risultati di un’analisi approfondita dei processi di elaborazione della strategia, di definizione dei programmi e di valutazione dello stato di attuazione e dell’impatto prodotto, condotta su 12 città italiane. Il rapporto "Pianificazione e controllo strategico" è un prodotto dell’iniziativa "Grandi città" del Progetto Valutazione delle Performance, che si propone di individuare e definire strumenti utili al miglioramento dei sistemi di performance management nelle grandi città tenendo conto anche della prospettiva che porterà queste amministrazioni ad assumere il ruolo di città metropolitane. L’iniziativa "Grandi Città" propone ai comuni di Bari, Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia un momento strutturato di confronto orientato a valorizzare le migliori esperienze, nonché a condividere possibili linee di sviluppo dei sistemi di pianificazione, misurazione, controllo e valutazione. L’iniziativa oltre alla definizione, implementazione e valutazione della strategia, affronterà i temi della performance dei servizi gestiti dalle città e del governo della performance delle aziende partecipate. Il Progetto "Valutazione delle Performance" è finanziato dal Fondo Sociale Europeo PON "Governance e Azioni di Sistema", Programmazione 2007/2013, Asse E – Capacità istituzionale, Obiettivo specifico 5.3, ed è realizzato con la collaborazione di FormezPA. Per accedere al report cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 
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Inail: criteri per la trattazione dei casi di infortunio avvenuti in missione e in trasferta

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Con la Circolare n.52 del 23 ottobre 2013 l’INAIL ha inteso fornire chiarimenti circa i criteri da adottarsi per la trattazione e qualificazione dei casi di infortunio, in itinere, occorsi ai lavoratori in missione e/o trasferta. Le conclusioni della Circolare su citata conducono nel ritenere "meritevoli di tutela" ancorché con limitazioni ben definite, tutti gli eventi accidentali occorsi ad un lavoratore in missione e/o trasferta dall’inizio del particolare istituto lavorativo fino al definitivo rientro, del lavoratore interessato, presso la propria abitazione. Le disposizioni adottate, nella citata Circolare 52, si applicano per gli eventi futuri, nonché per fattispecie in istruttoria oltreché a casi oggetto di controversie amministrative o giudiziarie in essere e non ancora decise.

 
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AGCOM: software gratuito per valutare la qualità della connessione a Internet da postazione fissa e mobile

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Realizzato dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in collaborazione con la Fondazione Ugo Bordoni e l'Istituto superiore delle comunicazioni, il progetto consente agli utenti di valutare autonomamente, attraverso un software gratuito, la reale qualità dell'accesso ad Internet in banda larga da postazione fissa. Il software Ne.Me.Sys. (Network Measurement System) consente di verificare che i valori misurati sulla propria linea telefonica siano effettivamente rispondenti a quelli dichiarati e promessi dall'operatore nell'offerta contrattuale sottoscritta. Nel caso l'utente rilevi valori peggiori rispetto a quelli garantiti dall'operatore, il risultato di tale misura costituisce prova di inadempienza contrattuale e può, quindi, essere utilizzato per proporre un reclamo e richiedere il ripristino degli standard minimi garantiti ovvero per esigere il recesso senza costi dal contratto. Ne.Me.Sys. è scaricabile gratuitamente dalla pagina www.misurainternet.it. Installato il software, il sistema inizierà automaticamente le misurazioni. Si tratta in totale di 24 misure ricadenti in una specifica fascia oraria. Nel caso in cui nell'arco delle 24 ore seguenti all'avvio dei test, non fossero completate tutte le 24 misurazioni, il software provvederà ad effettuare quelle mancanti nei due giorni successivi. Al completamento del test, all'utente sarà rilasciato un pdf certificato con i risultati delle misurazioni effettuate. Per approfondire l'argomento cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 
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Gestione associata delle funzioni dei Comuni: in G.U. il decreto sulla determinazione dei contenuti e sulle modalità delle attestazioni

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E' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 251 del 25.10.2013 il decreto del Ministero dll'Interno recante "Determinazione dei contenuti e delle modalita' delle attestazioni dei Comuni comprovanti il conseguimento di significativi livelli di efficacia ed efficienza nella gestione associata delle funzioni". Il decreto prevede che le attestazioni prodotte dai comuni devono contenere i seguenti elementi: a) gli enti con i quali e' stata sottoscritta la convenzione con la specifica della relativa popolazione di ciascun comune; b) le funzioni che riguardano la popolazione ed il territorio comunale od i servizi affidati alla competenza del comune che vengono esercitate mediante convenzione; c) la data di sottoscrizione della convenzione, nonche' la decorrenza e la durata che non potra' essere comunque inferiore a tre anni; d) di aver conseguito, attraverso la convenzione, elementi di efficienza misurabili in termini di risparmio di spesa; e) di aver conseguito, tramite la forma associata della convenzione, un miglioramento nell'efficacia delle prestazioni rese. Per maggiori informazioni cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 
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E' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 251 del 25.10.2013 il decreto del Ministero dll'Interno recante "Determinazione dei contenuti e delle modalita' delle attestazioni dei Comuni comprovanti il conseguimento di significativi livelli di efficacia ed efficienza nella gestione associata del ... Continua a leggere

 

Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro: on line il testo coordinato ultima edizione ottobre 2013

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Sul sito istituzionale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nella sezione dedicata "Sicurezza nel Lavoro", è disponibile, on line, il testo coordinato (aggiornato periodicamente con tutte le modifiche ivi intervenute) del Decreto Legislativo n.81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Tra le novità di maggiore rilievo del "Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro", aggiornato, si segnalano: le modifiche introdotte dall’art. 11 comma 5 d.l. n.93/2013 convertito con modificazioni dalla L. n.119/2013; le modifiche di svariati articoli introdotte dal d.l. n.69/2013 convertito con modificazioni dalla L. n.98/2013; le modifiche introdotte dall’art. 306 comma 4bis del d.l. n.76/2013 convertito con modificazioni dalla L. 99/2013; le circolari ministeriali nn. 18-21-28-30-31-35 del Ministero del Lavoro nonché le circolari del 10/05/2013 e del 10/06/2013 del Ministero della Salute; il Decreto Direttoriale del 30/05/2013 emanato dai Dicasteri del Lavoro e delle Politiche Sociali e della Salute; Decreto Dirigenziale del 31/07/2013. Tale strumento di lavoro rappresenta un indispensabile compendio rivolto non solo agli addetti ai lavori, ma a tutta la platea di imprese, lavoratori, organismi sindacali, ecc. interessati alla diffusione della cultura della sicurezza e della prevenzione nei luoghi di lavoro, utile quindi, anche, all’efficace contrasto del grave fenomeno, per il nostro Paese, rappresentato dagli infortuni del lavoro. Per accedere al testo aggiornato cliccare su "accedi al Provvedimento".

 
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GIURISPRUDENZA

Sulle controversie concernenti il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali decide il giudice ordinario

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

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Alla luce della giurisprudenza in tema di riparto di giurisdizione nelle controversie relative a rapporti di lavoro pubblico privatizzato, "spettano alla residuale giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 63 D.lgs. n. 165 del 2001: - le controversie nelle quali la contestazione investe direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti di macro organizzazione (attraverso i quali le amministrazioni pubbliche definiscono le linee fondamentali degli uffici) e dei provvedimenti che determinano i modi di conferimento della titolarità degli uffici pubblici dirigenziali; - le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle p.a.. Sussiste, invece, la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie concernenti il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali in quanto determinazioni negoziali private assunte con i poteri e le capacità del comune datore di lavoro; tali atti, pur evidenziando nel loro insieme l’intenzione dell’amministrazione di adottare una decisione di ampio respiro, non esprimono la concreta scelta dell’amministrazione di esercizio del potere generale di indirizzo e organizzazione degli uffici." Dalla giurisprudenza citata si evince, altresì, che "alla luce del vigente assetto normativo lo spostamento di giurisdizione, anche se per ragioni di connessione, non può essere introdotto per via di esegesi giurisprudenziale, bensì mediante intervento legislativo diretto o intervento della Corte costituzionale". Conseguentemente, come già ritenuto dalla Sezione, con orientamento e determinazione cui in questa sede ci si intende attenere, deve essere declinata la giurisdizione del giudice amministrativo sulla impugnativa degli atti negoziali di conferimento degli incarichi dirigenziali e, conseguentemente, ai sensi dell’art. 11, co. 1, c.p.a. deve essere indicato il giudice ordinario come provvisto di giurisdizione.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

 
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Alla luce della giurisprudenza in tema di riparto di giurisdizione nelle controversie relative a rapporti di lavoro pubblico privatizzato, "spettano alla residuale giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 63 D.lgs. n. 165 del 2001: - le controversie nell ... Continua a leggere

 

Pubblico impiego: ai fini del computo del periodo di prova deve tenersi conto del servizio "effettivo", esclusi i periodi nei quali la prestazione lavorativa è venuta meno per cause non previste e non prevedibili come i periodi di assenza per malattia, gravidanza, sciopero

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

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L’originaria giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (cui in parte si era adeguata inizialmente anche quella dei giudici amministrativi – v. in particolare, Cass. Civ. sez. lav. 12 settembre 1991, n. 9536) secondo la quale nel computo di termini a mesi come quello relativo al periodo di prova si applicano le disposizioni generali sul calendario comune ed è, quindi, esclusa la possibilità di aggiungere ai mesi del calendario i giorni nei quali sia mancata la prestazione, appare allo stato superata dall’orientamento prevalente espresso dalla stessa Corte di Cassazione in tempi più recenti (v. ex multis Cass. Civ., sez. lav., 22 marzo 2012 n. 4573 ut supra). Rileva, pertanto, il Collegio come sia oggi del tutto pacifico l’assunto secondo il quale, ai fini del computo del periodo di prova (implicando tale istituto il concorso di due elementi fondamentali costituiti dal decorso di un certo termine prefissato e dalla valutazione dell’interesse a rendere stabile un rapporto di lavoro tuttora precario in ragione delle capacità e attitudini manifestate dal dipendente nell’espletamento della prova), non può che tenersi conto del servizio "effettivo". Devono considerarsi inclusi in tale nozione esclusivamente i periodi di lavoro concretamente effettuato nonché quelli che, nel volgere di un arco temporale complessivo predeterminato, sono coessenziali al normale rapporto contrattuale anche in mancanza della prestazione, quali per l’appunto il riposo settimanale e le festività. Al contrario non possono considerarsi computabili quei periodi nei quali la prestazione lavorativa è venuta meno per cause non previste e non prevedibili quali possono essere i periodi di assenza per malattia, gravidanza o puerperio, sciopero, etc.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

 
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L’esercizio della potestà regolamentare e normativa rientra tra le prerogative esclusive degli organi "politici" dell’ente comunale, quindi anche la scelta di stare o meno in giudizio a difesa degli atti espressione di tale potestà appartiene all’organo di vertice politico e non al Dirigente

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

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Nel giudizio in esame l’appellante Enel distribuzione s.p.a. ha chiesto l’annullamento del regolamento per la manomissione del suolo pubblico approvato dal Comune con deliberazione del C.C. ed ha riproposto innanzi al Consiglio di Stato l’eccezione di nullità della costituzione in giudizio del Comune. Ad avviso del Collegio correttamente il giudice di prima istanza ha ritenuto non applicabile al caso di specie (vertendosi in materia di legittimità di atto regolamentare) la legittimazione a stare in giudizio del dirigente competente ratione materiae, e ciò nel rispetto del principio di separazione delle funzioni dell’organo di vertice politico dall’attività di gestione affidata esclusivamente ai dirigenti, sancito dal decreto legislativo n. 29/1993 sulla cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego. L’esercizio della potestà regolamentare e normativa in genere rientra, infatti, tra le prerogative proprie ed esclusive degli organi "politici" dell’ente comunale, cosicché anche la scelta di stare o meno in giudizio a difesa degli atti espressione di tale potestà non può che appartenere all’organo di vertice politico, cui è affidata di regola la rappresentanza legale unitaria dell’ente locale.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

 
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Nel giudizio in esame l’appellante Enel distribuzione s.p.a. ha chiesto l’annullamento del regolamento per la manomissione del suolo pubblico approvato dal Comune con deliberazione del C.C. ed ha riproposto innanzi al Consiglio di Stato l’eccezione di nullità della costituzione in giudizio del Com ... Continua a leggere

 

La regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento si applica anche alle azioni risarcitorie proposte prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

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La Sesta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza in esame ha ribadito i principi sanciti dall’Adunanza plenaria con la sentenza 23 marzo 2011, n. 3. In tale occasione si è affermato che l’articolo 30, comma 3 del codice del processo amministrativo, nel prevedere che in sede di determinazione del risarcimento, "il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti", pur non evocando in modo esplicito il disposto dell’art. 1227, comma 2, del codice civile, afferma che l'omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza. Di qui la rilevanza sostanziale, sul versante prettamente causale, dell’omessa o tardiva impugnazione come fatto che preclude la risarcibilità di danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utilizzazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall’ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde evitare la consolidazione di effetti dannosi. Al riguardo, l’Adunanza plenaria ha chiarito che la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione e degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento (da ultimo sancita dall’articolo 30, comma 3, del codice del processo amministrativo), risulta ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di una interpretazione evolutiva del capoverso dell’articolo 1227 c.c. Pertanto, la regola in questione risulta applicabile anche alle azioni risarcitorie che (al pari di quella in oggetto) siano state proposte prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, essendo espressione, sul piano teleologico, del più generale principio di correttezza nei rapporti bilaterali, mirando a prevenire comportamenti opportunistici che intendano trarre occasione di lucro da situazioni che hanno leso in modo marginale gli interessi dei destinatari tanto da non averli indotti ad attivarsi in modo adeguato onde prevenire o controllare l’evolversi degli eventi.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

 
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La Sesta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza in esame ha ribadito i principi sanciti dall’Adunanza plenaria con la sentenza 23 marzo 2011, n. 3. In tale occasione si è affermato che l’articolo 30, comma 3 del codice del processo amministrativo, nel prevedere che in sede di determinazion ... Continua a leggere

 

Risarcimento del danno da illecita attività provvedimentale dell’amministrazione: il Consiglio di Stato sintetizza i principi giurisprudenziali consolidati

Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

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In virtù dei principi elaborati dalla giurisprudenza dal Consiglio di Stato e dalla Corte di cassazione in materia di risarcimento del danno da illecita attività provvedimentale dell’amministrazione (cfr. ex plurimis e da ultimo, Cass., sez. un., 23 marzo 2011, n. 6594; Cons. Stato, ad. plen., 19 aprile 2013, n. 7; sez. V, 21 giugno 2013, n. 3408; sez. V, 12 giugno 2012, n. 1441; sez. IV, 22 maggio 2012, n. 2974; sez. IV, 2 aprile 2012, n. 1957; sez. III, 30 maggio 2012, n. 3245; sez. V, 21 marzo 2011, n. 1739; sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1271; Cons. giust. amm., 24 ottobre 2011, n. 684; sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8291, cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.): a) la qualificazione del danno da illecito provvedimentale rientra nello schema della responsabilità extra contrattuale disciplinata dall’art. 2043 c.c.; conseguentemente, per accedere alla tutela è indispensabile, ancorché non sufficiente, che l’interesse legittimo o il diritto soggettivo sia stato leso da un provvedimento (o da comportamento) illegittimo dell’amministrazione reso nell’esplicazione (o nell’inerzia) di una funzione pubblica e la lesione deve incidere sul bene della vita finale, che funge da sostrato materiale della situazione soggettiva e che non consente di configurare la tutela degli interessi c.d. procedimentali puri, delle mere aspettative, dei ritardi procedimentali, o degli interessi contra ius; b) la prova dell’esistenza dell’antigiuridicità del danno deve intervenire all’esito di una verifica del caso concreto che faccia concludere per la sua certezza la quale, a sua volta, presuppone: l’esistenza di una posizione giuridica sostanziale; l’esistenza di una lesione che è configurabile (oltre ché nell’ovvia evidenza fattuale) anche allorquando vi sia una rilevante probabilità di risultato utile frustrata dall’agire (o dall’inerzia) illegittima della p.a.; c) i doveri di solidarietà sociale che traggono fondamento dall’art. 2 Cost., impongono di valutare complessivamente la condotta tenuta dalle parti private nei confronti della p.a. in funzione dell’obbligo di prevenire o attenuare quanto più possibile le conseguenze negative scaturenti dall’esercizio della funzione pubblica o da condotte ad essa ricollegabili in via immediata e diretta; questo vaglio ridonda anche in relazione all’individuazione, in concreto, dei presupposti per l’esercizio dell’azione risarcitoria, onde evitare che situazioni pregiudizievoli prevenibili o evitabili con l’esercizio della normale diligenza si scarichino in modo improprio sulla collettività in generale e sulla finanza pubblica in particolare; d) a risultati analoghi perviene la giurisprudenza, avuto riguardo al processo impugnatorio di legittimità, sia pure seguendo un percorso teorico in parte diverso; invero, non si ammette la configurabilità della condizione dell’azione di annullamento rappresentata dal c.d. titolo o legittimazione al ricorso, ove l’instaurazione o la prosecuzione di un giudizio sia finalizzata a tutela di interessi a contenuto impossibile, illegittimi o pretese emulative; in tali casi, nessuna posizione di interesse legittimo è astrattamente enucleabile dall’esame della causa petendi del ricorso giurisdizionale amministrativo perché esso si risolve, all’evidenza, nella richiesta di tutela di un interesse materiale contra ius se messo in relazione al micro ordinamento di settore (cfr. da ultimo, sul principio generale, Cons. St., sez. V, 23 maggio 2011, n. 3084; sez. V, 12 febbraio 2010, n. 746; sez. V, 7 settembre 2009, n. 5244); nel caso di specie il contrasto con l’ordinamento di settore è più marcato venendo in gioco valori costituzionali quali l’assetto del territorio, l’ambiente, la salute pubblica.

Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

 
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In virtù dei principi elaborati dalla giurisprudenza dal Consiglio di Stato e dalla Corte di cassazione in materia di risarcimento del danno da illecita attività provvedimentale dell’amministrazione (cfr. ex plurimis e da ultimo, Cass., sez. un., 23 marzo 2011, n. 6594; Cons. Stato, ad. plen., 19 a ... Continua a leggere

 

Riequilibrio di anzianità del personale dipendente degli enti locali e delle regioni: i principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

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La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame sintetizza i principi elaborati dalla giurisprudenza in relazione al tema del riequilibrio di anzianità del personale dipendente degli enti locali e delle regioni (con particolare riferimento alla regione Puglia), nonché delle conseguenze giuridiche e finanziare degli atti di inquadramento di personale pubblico, anche in relazione a disposizioni normative e ad atti di ricostruzione della carriera intervenuti con valenza retroattiva (cfr. Cons. Stato, sez. III, 15 dicembre 2011, n. 6576; sez. VI, 4 novembre 2011, n. 5860; sez. V, 14 aprile 2008, n. 1649; sez. VI, 11 maggio 2006, n. 2682; sez. IV, 30 dicembre 2003, n. 9153; Corte dei conti, sez. III giur. centrale di appello, 26 ottobre 1998, n. 267; Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 1998, n. 453; sez. V, 25 febbraio 1997, n. 193; sez. IV, 5 ottobre 1991, n. 779; Corte cot., 15 maggio 1990, n. 240, cui il collegio rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.). Invero: a) l’inquadramento dei dipendenti pubblici ha carattere autoritativo e natura vincolata esclusivamente nell’interesse pubblico, in quanto espressione della potestà organizzatoria dell’amministrazione; le norme che disciplinano inquadramenti sono soggette a stretta interpretazione per evidenti ragioni di contenimento della spesa pubblica in ossequio al principio – ora imposto dal diritto europeo – della sana finanza pubblica che postula la preventiva attività di individuazione e quantificazione delle maggiori spese e dei mezzi per farvi fronte; b) le competenze economiche spettanti ai pubblici dipendenti sono strettamente correlate all’effettivo espletamento delle mansioni corrispondenti alla qualifica rivestita con la conseguenza che la retroattività della nomina o della promozione non comporta la retroattività dell’aumento economico corrispondente alla nuova qualifica, salvo che una espressa disposizione di legge non disponga diversamente in modo esplicito (anche avuto riguardo alla corresponsione di eventuali arretrati), individuando le risorse finanziarie per farvi fronte; c) le norme che hanno previsto il riequilibrio di anzianità per i dipendenti degli enti locali e delle regioni in particolare, sono di stretta interpretazione non potendo operare oltre i rigorosi limiti previsti per disegnare il meccanismo di riequilibro medesimo e sono pertanto insensibili rispetto alle disposizioni, anche di rango legislativo, che, pur avendo ambito e finalità diverse, con esse possono in apparenza trovarsi ad interferire; d) allo stesso modo sono di stretta interpretazione le norme della regione Puglia, che si sono susseguite nel tempo, in materia di riequilibrio di anzianità e di inquadramenti retroattivi del personale dipendente, incluse quelle di natura transitoria relative al concorso riservato per l’inquadramento nei livelli superiori ai sensi della l.r. n. 18 del 1974; e) la regione Puglia ha posto in essere atti deliberativi con i quali sono stati irregolarmente liquidati oltre 38 miliardi di lire per il riequilibrio di anzianità di circa tremila dipendenti (Corte dei conti, cit). 5.2. Con il primo mezzo (pagine 3 – 11 del ricorso in appello) si contesta, sotto plurimi aspetti, che la regione, nel determinare le somme dovute a titolo di riequilibrio di anzianità ex art. 37, l.r. n. 26 del 1984 (in un primo tempo con determinazioni risalenti al 1985, successivamente con atti di liquidazione del 1997), abbia negato qualsiasi rilevanza alle deliberazioni che erano sopravvenute in costanza del rapporto di servizio le quali, in attuazione di specifiche leggi regionali, avevano inquadrato retroattivamente gli originari ricorrenti (provenienti dalla VII) nella VIII qualifica funzionale apicale dal 1 ottobre 1978 e nella I qualifica dirigenziale dal 1 gennaio 1983; in particolare si deduce che: a) gli originari ricorrenti di primo grado, dipendenti regionali dal 1974, erano giunti alla I qualifica dirigenziale dopo essere stati inquadrati in origine nella VI qualifica funzionale (sub apicale) in base alla l.r. n. 18 del 1974; ai sensi della l.r. n. 16 del 1980 (che aveva portato da VII a VIII i livelli retributivi), erano stati successivamente inquadrati d’ufficio nella VII q.f. con decorrenza giuridica ed economica dal 1 ottobre 1978; all’esito di concorso interno bandito per la progressione di carriera ai sensi dell’art. 95, l.r. n. 18 del 1974 (e successive modificazioni), avevano, infine, fruito di un ulteriore inquadramento retroattivo nell’VIII q.f. a decorrere dal 1 ottobre 1978 e nel I livello dirigenziale a decorrere dal 1 gennaio 1983; b) sarebbe errato interpretare l’art. 37 cit. nel senso che esso indichi come vincolante, ai fini del computo del riequilibrio di anzianità, il trattamento economico maturato al 31 dicembre 1982 e materialmente in godimento alla medesima data; c) a mente degli artt. 95, l.r. n. 18 del 1974 e 43 e 50, l.r. n. 16 del 1980, i vincitori del concorso interno per il passaggio dalla VII alla VIII qualifica funzionale (come gli originari ricorrenti), avevano titolo alla decorrenza retroattiva giuridica ed economica della promozione e comunque il ritardo nell’espletamento del concorso non poteva ritorcersi contro i vincitori.

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Procedimento amministrativo: l'omesso preavviso di rigetto ex art. 10 bis legge n. 241/90 non è invocabile per i provvedimenti di carattere vincolato o connotati ex lege da tratti di assoluta specialità

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

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In punto di omesso preavviso, per consolidato orientamento giurisprudenziale, la violazione dell' art. 10 bis della legge 7 agosto 1990 n. 241 non è invocabile in relazione a provvedimenti di carattere vincolato o connotati ex lege da tratti di assoluta specialità, al di là della mancanza di ogni asserzione circa l'apporto che avrebbe fornito una effettiva ulteriore partecipazione.

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Presenta ricorso al Consiglio di Stato senza avvocato e finisce davanti alla Procura delle Repubblica

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Ricorso dichiarato inammissibile, verbale dell'udienza, sentenza ed il ricorso stesso trasmesso d'ufficio alla Procura della Repubblica per le determinazioni di competenza, questo l'epilogo dell'attività giurisdizionale intrapresa nel lontano 2009 da un candidato all'elezione europee svoltesi appunto il 6 e 7 giugno 2009. Il TAR, con sentenza confermata dal Consiglio di Stato, aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal suddetto candidato individuale contro il provvedimento di esclusione dal procedimento elettorale per il rinnovo del parlamento europeo ed avverso tale decisione, dichiarando di difendersi in proprio, giungeva al Consiglio di Stato un ricorso per revocazione contenente frasi sconvenienti ed offensive. Il Collegio nella sentenza attenzionata in via preliminare, esercitando officiosamente il potere conferito dalle norme sancite dall’art. 89, co. 1 e 2, c.p.c. - pacificamente applicabili al processo amministrativo in virtù del richiamo operato dall’art. 39, co.1, c.p.a. - ha disposto la cancellazione delle frasi sconvenienti (perché prive di qualunque attinenza con l’oggetto della lite nonché eccedenti le esigenze difensive e dell’ambiente processuale), ed offensive (perché lesive del valore e del prestigio di personalità politiche estranee al presente giudizio e della Giustizia amministrativa), contenute a pagina 6, rigo da 11 a 23, del ricorso in esame (cfr. fra le tante Cons. St., sez. V, 8 agosto 2013, n. 4169; sez. V, 5 febbraio 1994, n. 119; Cass. civ., sez. III, 17 marzo 2009, n. 6439; sez. III, 4 giugno, 2007, n. 12952). Il ricorso è stato altresì dichiarato inammissibile per assenza del patrocinio di un avvocato. Come noto, ai sensi dell’art. 22, co. 1 e 2, c.p.a., davanti agli organi della giurisdizione amministrativa le parti devono valersi obbligatoriamente del ministero di avvocati e, davanti al Consiglio di Stato, di avvocati ammessi al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori; tale era la regola generale anche prima dell’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 25 marzo 1996, n. 382). Secondo il giudice delle leggi, l’assistenza tecnica obbligatoria è il riflesso dell’inviolabilità del diritto di difesa sancito dall’art. 24, co. 2, Cost., costituisce una regola generale cui la legge può derogare (salvo il limite dell’effettività della garanzia della difesa su un piano di uguaglianza), è irrinunciabile, e non contrasta con l’art. 6 della CEDU nella parte in cui sancisce il diritto all’autodifesa posto che esso non assume valenza assoluta (cfr. Corte cost., 22 dicembre 1980, n. 188; 3 ottobre 1979, n. 125; nello stesso senso Cass. civ. [ord.], sez. II, 9 giugno 2011, n. 12570). Nel nuovo processo amministrativo, non costituisce eccezione all’obbligo del patrocinio, la possibilità (riconosciuta dall’art. 22, co. 3, c.p.a.), di stare in giudizio senza il ministero del difensore, quando la parte o la persona che la rappresenta <<…ha la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice adito …>>; in questa ipotesi, infatti, non vi è esclusione di difesa tecnica venendo meno solo la necessità che la parte – che possiede la prescritta abilitazione e condizione professionale per difendere innanzi al giudice adito – debba necessariamente avvalersi di altro difensore. Costituiscono, invece, eccezioni in senso proprio alla regola sul patrocinio obbligatorio, i casi di difesa personale della parte previsti dall’art. 23, c.p.a. (in materia di accesso, in materia elettorale e nei giudizi relativi al diritto dei cittadini dell’Unione europea di circolare nel territorio degli Stati membri); tale eccezionale possibilità, però, è espressamente preclusa per i giudizi di impugnazione che si celebrano davanti al Consiglio di Stato dall’art. 95, co. 6, c.p.a. In coerenza con il sistema disegnato dal codice del processo amministrativo, sono state conseguentemente riformulate le norme delle leggi elettorali previgenti che prevedevano la possibilità della difesa personale nel contenzioso elettorale (in particolare ci si riferisce all’art. 3, l. n. 1147 del 1966 erroneamente richiamato dal ricorrente nell’atto introduttivo del presente giudizio). Assodato che il ricorrente non versa in alcuna delle tassative condizioni che consentono la difesa personale, il collegio si sofferma sugli effetti della violazione dell’obbligo del patrocinio e della conseguente carenza dello ius postulandi. Sul punto soccorre la disposizione sancita dall’art. 44, co. 1, lett.a), c.p.a. (estensibile al giudizio per revocazione ai sensi dell’art. 38 c.p.a.), che, nell’elencare le cause di nullità del ricorso, individua quella consistente nella mancanza della sottoscrizione, da intendersi riferita alla sottoscrizione del difensore ovvero di persona munita dello ius postulandi, posto che, a differenze del regime previgente, la sottoscrizione della parte ricorrente non è più ricompresa fra gli elementi essenziali del ricorso giurisdizionale amministrativo (cfr. art. 40, co. 1, lett. g), c.p.a., secondo cui <<1. Il ricorso deve contenere distintamente: ….g) la sottoscrizione del ricorrente, se esso sta in giudizio personalmente, oppure del difensore, con indicazione, in questo caso, della procura speciale>>). Del resto anche prima del nuovo codice del processo amministrativo, la giurisprudenza era orientata nel senso che la carenza dello ius postulandi comportasse la nullità assoluta ed insanabile del ricorso ma non la sua inesistenza (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 marzo 2009, n. 1361; sez. V, 2 maggio 2001, n. 2475; sez. IV, 15 aprile 1999, n. 636), involgendo questione di ordine pubblico processuale (cfr. Cass., sez. lav., 13 maggio 2005, n. 10049, che conclude però per l’inesistenza dell’atto). La nullità dell’atto introduttivo del giudizio costituisce causa ostativa originaria alla pronuncia sul merito e conduce ad una declaratoria di inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 35, co. 1, lett. b), c.p.a. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.Nella sostanziale assenza di attività defensionale svolta dalle amministrazioni costituite, il collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare le spese di giudizio a mente del combinato disposto degli artt. 26, co. 1, c.p.a. e 92, co. 2, c.p.c. In relazione poi alle frasi sconvenienti ed offensive, il collegio ha ravvisato ragioni di opportunità per disporre la trasmissione della presente decisione, unitamente al verbale della udienza pubblica di discussione del 22 ottobre 2013 ed il ricorso davanti al Consiglio di Stato, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, per le eventuali determinazioni di sua competenza. Per approfondire attraverso la lettura integrale del testo della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

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Ricorso dichiarato inammissibile, verbale dell'udienza, sentenza ed il ricorso stesso trasmesso d'ufficio alla Procura della Repubblica per le determinazioni di competenza, questo l'epilogo dell'attività giurisdizionale intrapresa nel lontano 2009 da un candidato all'elezione europee svoltesi appun ... Continua a leggere

 

Collaboratori di giustizia: i presupposti per la revoca delle misure di protezione e l'erogazione di una somma pari alla capitalizzazione delle misure di assistenza percepite

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

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In linea di diritto la revoca o la modifica dello speciale programma di protezione adottato dalla Commissione Centrale e sottoscritto dall'interessato (art. 12 legge n. 82/1991 e successive modifiche: "Le speciali misure di protezione sono sottoscritte dagli interessati, i quali si impegnano personalmente a: a) osservare le norme di sicurezza prescritte e collaborare attivamente all'esecuzione delle misure") - e dunque costituenti oggetti di un vero e proprio contratto di natura pubblica, fonte di reciproci diritti ed obblighi – possono essere disposte o per cessazione o modifica del presupposto essenziale delle misure, ossia del pericolo cui è esposto il collaboratore di giustizia in conseguenza dei suoi apporti alle indagini, oppure per i comportamenti inadempienti dello stesso collaboratore. L'articolo 13 quater, comma 1, prevede infatti che: "Le speciali misure di protezione sono a termine e, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma dell'art. 13, comma 1, possono essere revocate in relazione all'attualità del pericolo, alla sua gravità e alla idoneità delle misure adottate, nonché in relazione alla condotta delle persone interessate e alla osservanza degli impegni assunti a norma di legge". Il comma 2 aggiunge che costituiscono fatti che possono comportare la revoca e la modifica delle speciali misure di protezione l'inosservanza degli impegni assunti a norma dell'articolo 12, fra i quali la rinuncia espressa alle misure, nonché ogni azione che comporti la rivelazione o la divulgazione dell'identità e/o del luogo protetto. Tali previsioni sono state ribadite e dettagliate dal D.M. n. 161 del 23 aprile 2004, recante il regolamento di attuazione della legge n. 82/1991, applicabile ratione temporis alla fattispecie. Ciò stante il Collegio è ben a conoscenza che quanto alla revoca per condotte inadempienti degli interessati il legislatore disciplina diversamente la violazione dei diversi tipi di obblighi derivanti dalla sottoscrizione delle misure speciali (o dal programma speciale) di protezione, distinguendo l'ipotesi della violazione dell'obbligo primario di collaborare con gli organi di giustizia (sottoposizione ad interrogatori, esami, testimonianze) da quella della violazione degli altri obblighi di natura secondaria e, segnatamente, dei doveri di "osservare le norme di sicurezza prescritte e collaborare attivamente all'esecuzione delle misure" ed "adempiere agli obblighi previsti dalla legge e dalle obbligazioni contratte" (v. art. 12, comma 2, lett. a) e c) legge n. 82/1991 e successive modifiche). Senza dubbio la violazione degli obblighi secondari non sono di per sé sufficienti a giustificare la revoca delle misure imponendosi una valutazione comparativa di tutti gli interessi essenziali in gioco e quindi, nello specifico, dello spessore delle condotte di collaborazione. Applicando gli enunciati principi al caso di specie, il Collegio osserva che l'impugnato provvedimento di revoca imputa al ricorrente ed odierno appellato la violazione del cd. "codice comportamentale", e in particolare la violazione dell'obbligo, personalmente sottoscritto, di comunicare sia la separazione dalla moglie che il trasferimento in altra località presso l'abitazione del fratello, non sottoposto a misure protettive, ove risulta per di più esser stato assunto presso una P.A., rifiutandosi poi, nonostante più richiami, di trasferirsi in altro luogo protetto in Regione limitrofa. Ciò stante, è ben vero che nella fattispecie si tratta di inadempienze comportamentali, ma è altresì indubbio che l'appellato risulta, con la sua condotta, aver disatteso volontariamente gli obblighi contrattuali sottoscritti e le più elementari norme di sicurezza e riservatezza inerenti il programma di protezione vanificando di fatto la sua attuazione concreta. Infatti il soggetto in questione ha posto in essere una serie di personali determinazioni che, per facta concludentia, hanno integrato inequivocabilmente una vera e propria rinuncia alle misure di protezione e l'intendimento comunque di "disvelare" la propria identità e il luogo di residenza a prescindere dal programma di protezione. Per di più – a riprova – lo stesso ha, come gli altri familiari, avanzato richieste di carattere economico a titolo transattivo nel giudizio civile in corso, per cui il Ministero ha provveduto a erogargli la cd. "capitalizzazione" nella misura massima e la relativa deliberazione è stata impugnata presso il T.A.R. Lazio, come le altre riguardanti i familiari. Né d’altra parte emergono dagli atti né risultano prospettati motivi plausibili che avrebbero potuto giustificare il contestato comportamento, per cui il Ministero è stato indotto, anche a tutela dell'erario, a disporre la sospensione del trattamento economico e l'attivazione dell'azione di recupero delle somme già versate. In conclusione il provvedimento de quo contiene gli elementi, in fatto e in diritto, indispensabili per configurare la fattispecie all'esame e specificatamente la posizione del soggetto in questione rispetto a quelle dei familiari, pur ricomprese nello stesso, che, d'altra parte, ha previsto anche la segnalazione delle posizioni degli interessati alle competenti Autorità di P.S. per l'adozione delle misure ordinarie di protezione.

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In linea di diritto la revoca o la modifica dello speciale programma di protezione adottato dalla Commissione Centrale e sottoscritto dall'interessato (art. 12 legge n. 82/1991 e successive modifiche: "Le speciali misure di protezione sono sottoscritte dagli interessati, i quali si impegnano person ... Continua a leggere

 

Pubblico Impiego: l'omessa impugnazione dei singoli atti di conferimento dell'incarico preclude al giudice l'accertamento della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego

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La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha ribadito l'incontrastato principio di diritto secondo cui il soggetto che intenda chiedere l'accertamento della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego deve impugnare nel termine decadenziale di legge i singoli atti di conferimento dell'incarico a pena di irricevibilità di qualsiasi successiva richiesta di declaratoria giudiziale di un simile rapporto (cfr. Cons. Stato – V n. 3075/2012). Si tratta, aggiunge il Collegio, di un principio costantemente risalente all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la decisione 9 settembre 1992 n. 10, dal quale il Collegio non ravvisa elementi per discostarsi, in quanto fondato sull'incontrovertibile dato della natura autoritativa degli atti costitutivi di rapporti con la pubblica amministrazione o con cui questa abbia determinato lo status giuridico ed economico di un soggetto che svolga attività lavorativa in suo favore, donde il corollario della loro immediata lesività e la conseguenza pratica che essi devono essere impugnati nel termine decadenziale stabilito in via generale per la tutela degli interessi legittimi, anche per quanto concerne la domanda con cui si invocano emolumenti retributivi in contrasto con le determinazioni adottate dall'amministrazione.

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La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha ribadito l'incontrastato principio di diritto secondo cui il soggetto che intenda chiedere l'accertamento della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego deve impugnare nel termine decadenziale di legge i singoli atti di confer ... Continua a leggere

 

Elezioni: l'omesso deposito dei certificati elettorali dei sottoscrittori non comporta ex se l'esclusione della lista

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

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Il mancato deposito insieme con la lista dei candidati dei certificati elettorali dei sottoscrittori non comporta ex se l'esclusione della lista, potendo tali certificati essere acquisiti dal segretario comunale anche oltre le ore 12 del ventinovesimo giorno antecedente la data delle votazioni e fino al momento in cui egli abbia rimesso la documentazione alla Commissione elettorale, o esserne disposta l'acquisizione dalla Commissione stessa fissando a tal fine un termine per l'adempimento. gli artt. 9 e 10 della L. 17 febbraio 1968 n. 108 impongono ai presentatori delle liste per le elezioni regionali di presentare entro il termine perentorio delle ore 12 del ventinovesimo giorno antecedente la data delle votazioni i certificati elettorali attestanti l'iscrizione nelle liste elettorali dei sottoscrittori della dichiarazione di presentazione; pertanto, legittimamente è esclusa dal procedimento elettorale la lista i cui presentatori non abbiano adempiuto entro il detto termine all'onere di produzione (Cons. St., Sez. VI, 14 aprile 2000, n. 1895).

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

 
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Incandidabilita´: Il Consiglio di Stato risponde al quesito se d.l. n. 235/2012 non può applicarsi a condanne intervenute precedentemente alla sua entrata in vigore

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

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"Il d.l. n. 235/2012 non può applicarsi a condanne intervenute precedentemente alla sua entrata in vigore, sia perché, ex art. 11 delle disposizioni preliminari al c.c., la legge non ha effetto retroattivo e a nulla vale che detta norma sia entrata in vigore in epoca antecedente alle elezioni regionali perché nessuna legge sopravvenuta può far scaturire da pregresse sentenze di condanna conseguenze giuridiche pregiudizievoli; sia perché la incandidabilità riferita a dette sentenze è in contrasto con l’art. 25 della Costituzione, tenuto conto che, anche se la incandidabilità non potesse ritenersi strictu sensu una condanna comunque sarebbe incostituzionale la possibilità di prendere in considerazione sentenze precedenti alla entrata in vigore della legge che la prevede.Ai sensi degli artt. 7 e 17 del d.l. n. 235/2012 al fine di verificare ipotesi di incandidabilità doveva farsi riferimento alla normativa in vigore al momento ed abrogata da detto art. 17.L’unica condanna del ricorrente è divenuta irrevocabile oltre diciassette anni or sono e, a mente del dell’art. 13 del d. lgs. n. 235/2012 la durata della incandidabilità e riferita a periodi fissati solo con riferimento alle cariche di deputato, senatore o membro del Parlamento europeo, ma , per la collocazione della norma al capo V, riferito a disposizioni comuni, la esclusione della incandidabilità alle altre cariche è incostituzionale per violazione dell'art. 3 applicandosi a situazione analoghe discipline ingiustificatamente diverse.Peraltro, se non fosse applicabile alle candidature alle elezioni regionali la norma relativa alla durata della incandidabilità la riabilitazione non potrebbe essere l’unica causa anticipata dell’incandidabilità e non sarebbe chiaro rispetto a cosa è riferita la cessazione della incandidabilità per il periodo residuo, essendo insostenibile la tesi che residuo e anticipato si riferiscano alle cariche di senatore e membro del Parlamento europeo.Rileverebbe dalla combinazione di dette norme con l’art. 16 del d. lgs. n. 235/2012 e con l’art. 15, comma 1, del d. lgs. stesso lesione del principio di uguaglianza perché solo in tal caso sarebbe applicabile l’incandidabilità, per le sentenze ex art. 444 e ss. del c.p.p., alle sentenze successive alla entrata in vigore di detto d. lgs." Questo il motivo di doglianze del ricorrente che, peraltro, con il secondo ed il terzo motivo di gravame deduce la illegittimità del provvedimento impugnato per violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 12, 15 e 16 del d. lgs. n. 235/2012, sollevando questione di costituzionalità con riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione. Il Consiglio di Stato sul punto ha rilevato che "anche a voler prescindere dalla considerazione che, come recentemente affermato dall’A.P. con la sentenza n. 22 del 9 ottobre 2013, “la procedura disciplinata dall’art. 129 cod. proc. amm., in considerazione delle esigenze di certezza e di celerità immanenti all’assetto sostanziale connotante gli atti di esclusione dal procedimento per le elezioni comunali, provinciali e regionali, sia incompatibile con qualsiasi tipo di fase incidentale … che possa comportare il differimento dell'udienza o la sospensione del giudizio, poiché ogni esplicazione piena delle garanzie connesse ad eventuali fasi incidentali resta riservata alle impugnazioni degli atti successivi, secondo il rito disciplinato dagli artt. 130 ss. del cod. proc. amm.”, occorre rilevare che la Sezione ha già affrontato le questioni in esame con la sentenza n. 695 del 6 febbraio 2013, cui rinvia espressamente e dalle cui conclusioni non vi è motivo per discostarsi. E’ stato al riguardo rilevato, tra l’altro: a.- l’applicazione delle cause ostative di cui allo jus superveniens alle sentenze di condanna intervenute in un torno di tempo anteriore non si pone in contrasto con il dedotto principio della irretroattività della norma penale e, più in generale, delle disposizioni sanzionatorie ed afflittive, giacché la norma in esame non ha natura, neppure in senso ampio, sanzionatoria, penale o amministrativa. b.- il fine perseguito dal legislatore è quello di allontanare dallo svolgimento del munus publicum i soggetti la cui radicale inidoneità sia conclamata da irrevocabili pronunce di giustizia, così che la condanna penale irrevocabile viene in considerazione come mero presupposto oggettivo cui è collegato un giudizio di inidoneità morale a ricoprire la carica elettiva: la condanna stessa è dunque un requisito negativo ai fini della capacità di partecipazione alla competizione elettorale. - non è irragionevole il regime di favore previsto per le sole sentenze di patteggiamento. Ciò in definitiva esclude la pretesa violazione degli artt. 11 delle preleggi e 3 e 25 della Costituzione, rendendo comunque manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, tanto più che, come pure rilevato nella già ricordata sentenza della Sezione, non è apprezzabile un profilo di irragionevolezza collegato alla mancata previsione, per le elezioni regionali, di un limite temporale analogo a quello fissato dall’art. 13 con riferimento alla incandidabilità alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento, stante la diversità di elezioni e di cariche che escludono l’insindacabilità dell’apprezzamento discrezionale operato sul punto dal legislatore". L’appello quindi e'stato deve respinto.

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"Il d.l. n. 235/2012 non può applicarsi a condanne intervenute precedentemente alla sua entrata in vigore, sia perché, ex art. 11 delle disposizioni preliminari al c.c., la legge non ha effetto retroattivo e a nulla vale che detta norma sia entrata in vigore in epoca antecedente alle elezioni regio ... Continua a leggere

 

Ordinanze contingibili ed urgenti: il Consiglio di Stato boccia il Sindaco "creativo"

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

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Il potere sindacale deve limitarsi a prefigurare misure che assicurino il rispetto di norme dalla cui violazione possono derivare gravi pericoli per l’ordine pubblico e per la sicurezza pubblica. Questo il principio sancito dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato che nella sentenza attenzionataprecisa che L'ordinanza contingibile ed urgente prevista dagli artt. 50 e 54 del d.lvo 18 agosto 2000, n. 267 è espressione di un potere atipico e residuale, il cui presupposto per l'adozione "extra ordinem" è il pericolo per l'incolumità pubblica, dotato del carattere di eccezionalità tale da rendere indispensabile interventi immediati ed indilazionabili, consistenti nell'imposizione di obblighi di fare o di non fare a carico del privato. Inoltre, presupposto indefettibile per l'adozione di siffatte ordinanze sindacali è la necessità di intervenire urgentemente con misure eccezionali e imprevedibili di carattere "provvisorio", non fronteggiabili con gli "ordinari" mezzi previsti dall’ordinamento giuridico e a condizione della "temporaneità dei loro effetti" (Corte Cost., sentenze 7 aprile 2011 n.115 e 1 luglio 2009, n. 196). Laddove, nel caso in esame, la rimozione comandata si traduce in un definitivo ordine irreversibile di eliminazione del box, quando sicuramente non ricorre la fattispecie dell'emergenza sanitaria e/o di igiene pubblica di carattere locale, in quanto la vicenda controversa si riferisce esclusivamente soltanto all’area di detto manufatto metallico, non sembrano coinvolti eventi dannosi per la collettività e, come da documentazione fotografica, sono implicati unicamente fattori estetici, sui quali si tornerà in appresso. In punto di diritto giova prioritariamente notare come la Corte Costituzionale abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, solo nella parte in cui il disposto comprendeva la locuzione «anche» prima delle parole «contingibili e urgenti» e, quindi, perché non limitato unicamente a tali ultime circostanze, in violazione della riserva di legge relativa di cui all’art. 23 Costituzione (sentenza 7 aprile 2011 n. 115). Il citato art. 54 del D.Lvo 267/2000, che nella sua versione originaria abilitava il Sindaco nella sua qualità di Ufficiale di governo ad emanare ordinanze contingibili ed urgenti per eliminare gravi pericoli a livello locale che minaccino l'incolumità pubblica, è stata oggetto di una incisiva riforma ad opera del D.L. 92/08 convertito in legge 125/08 ed esteso anche alla "sicurezza urbana", meglio definita dal decreto del Ministero dell'interno in data 5 agosto 2008 (come bene pubblico da tutelare, in ambito locale, attraverso attività poste a difesa del rispetto delle norme che regolano la convivenza civile al fine di migliorare le condizioni di vivibilità dei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale) ed intesa dalla Consulta come da riferire esclusivamente alla tutela della sicurezza pubblica ed in funzione delle relative attività di prevenzione e repressione dei reati (Corte Costituzionale, 1° luglio 2009, n. 196). Infatti, la titolazione del decreto-legge n. 92 del 2008 richiama in modo esplicito la "sicurezza pubblica" e, nelle premesse del citato decreto ministeriale, oltre a venire chiaramente esclusa dall’ambito normativo di riferimento la polizia amministrativa locale, si cita anche in maniera espressa, a suo fondamento giuridico, il secondo comma, lettera h), dell'art. 117 Costituzione il quale, secondo la giurisprudenza della Consulta, attiene appunto alla prevenzione dei reati e alla tutela dei primari interessi pubblici sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale (sentenze n. 237 e n. 222 del 2006, n. 383 del 2005). In sintesi, il potere in questione può essere legittimamente esercitato, quale immanente prerogativa sindacale di provvedere in via d’urgenza e contingibile alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica, nonché quando la violazione delle norme che tutelano i beni previsti dal DM del 5 agosto 2008 (situazioni di degrado o isolamento, tutela del patrimonio pubblico e della sua fruibilità, incuria ed occupazione abusiva di immobili, intralcio alla viabilità o alterazione del decoro urbano) non assuma rilevanza solo in sé stessa (poiché in tal caso soccorrono gli strumenti ordinari) ma qualora possa costituire la premessa per l'insorgere di fenomeni di criminalità suscettibili di minare la sicurezza pubblica, dato che, in tal caso, vengono in rilievo interessi che vanno oltre le normali competenze di polizia amministrativa locale. Soltanto nelle illustrate ipotesi il Sindaco dunque, in qualità di ufficiale di governo, assume il ruolo di garante della sicurezza pubblica e può provvedere, sotto il controllo prefettizio ed in conformità delle direttive del Ministero dell'interno, alle misure necessarie a prevenire o eliminare i gravi pericoli che la possano minacciare. Da tanto consegue che il potere sindacale di ordinanza ex art. 54 D.Lvo 267/2000 non può avere una valenza "creativa" ma deve limitarsi a prefigurare misure che assicurino il rispetto di norme ordinarie volte a tutelare l'ordinata convivenza civile, tutte le volte in cui dalla loro violazione possano derivare gravi pericoli per l’ordine pubblico e per la sicurezza pubblica, quale però non è nel concreto la fattispecie in esame e nella quale non è ravvisabile una siffatta "urgenza qualificata".

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Fallimento e concordato preventivo, le diverse posizioni processuali dell'imprenditore tornato in bonis e del liquidatore

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

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La giurisprudenza di legittimità prevalente, muovendo dalla premessa che, diversamente dal fallimento, nel concordato preventivo con cessione dei beni l’imprenditore rimane in bonis e non perde la capacità processuale, ritiene che tale soggetto sia il solo legittimato rispetto alle controversie concernenti i crediti concorsuali; e che, di contro, la legittimazione del liquidatore sussista solo per le controversie che investono lo scopo liquidatorio della procedura in questione, essendo limitata quindi ai rapporti obbligatori sorti nel corso ed in funzione delle relative operazioni. Ne consegue, seguendo questa impostazione di massima, che nei giudizi del primo tipo, relativi alle pretese creditorie estranee e precedenti alle operazioni di liquidazione, il liquidatore non è un litisconsorte necessario quanto, semmai, un possibile interventore adesivo, il cui intervento facoltativo si può giustificare in ragione delle possibili conseguenze che indirettamente l’esito della lite può determinare sulle operazioni concordatarie (v. Cass., sez. III, n. 13340/2013 e 8102/2013; dove la seconda sentenza citata esclude persino che il liquidatore possa essere considerato un successore a titolo particolare del debitore). La sezione osserva come, facendo applicazione di questa impostazione, si è anche affermato, sul piano procedimentale, nei rapporti con i pubblici poteri, che l’atto amministrativo (di imposizione tributaria) emesso nei confronti di una società ammessa al concordato preventivo con cessione dei beni debba essere notificato nei soli confronti del rappresentante legale e non anche del liquidatore (v. Cass., sez. trib., n. 13340/2009).8.3. Se questo è, in tema di legittimazione del liquidatore giudiziale dei beni, l’orientamento giurisprudenziale prevalente (ancorché – il Collegio ne è consapevole - non unanime, v. Cass. I, n. 17748/2009) della Suprema Corte, al quale la Sezione intende uniformarsi, deve escludersi che la sua posizione possa essere ricostruita, nel caso di specie, nei termini di un litisconsorte necessario nei cui confronti fosse indispensabile integrare il contraddittorio a norma dell’art. 102 c.p.c., e che altrimenti sarebbe stato legittimato, almeno in astratto, a proporre opposizione di terzo ai sensi dell’art. 404 c.p.c. (da qui l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale prospettata con riferimento all’art. 15 del d.p.r. 1199/1971 che tale rimedio non contempla). Alla Liquidazione può essere al più riconosciuta, in conformità all’impostazione seguita dalla Suprema Corte e condivisa dal Collegio, la qualità di interventrice adesiva, che tuttavia non la legittima a proporre l’opposizione di terzo. Deve infatti ricordarsi che, in linea generale, l’interventore adesivo non può proporre opposizione di terzo, ai sensi dell’art. 404 c.p.c., tranne nell’ipotesi in cui egli, intervenuto nel primo grado di giudizio, non sia stato poi evocato in quello di appello, poiché il litisconsorzio necessario di ordine processuale tra le parti principali del giudizio e tale figura di interventore, che giustifica l’opposizione del terzo illegittimamente pretermesso, si determina solo in seguito al suo effettivo intervento in una precedente fase del giudizio, dal cui prosieguo venga poi escluso (v., sul punto e proprio con riferimento alla figura del liquidatore nel concordato preventivo con cessione dei beni, Cass., sez. III, n. 16534/2012, dalla quale si evince a contrario il principio appena affermato).

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Processo amministrativo: il giudice non deve disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei controinteressati quando il ricorso è palesemente infondato

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

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Nella sentenza in esame la Terza Sezione del Consiglio di Stato ribadisce l'orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui "ragioni di economia processuale e l’interesse ad una ragionevole durata del processo, infatti, possono far ritenere non necessario disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei controinteressati non evocati nel giudizio di primo grado, quando nel merito l’appello è infondato" (v., da ultimo, Cons. St., sez. III, 27.5.2013, n. 2893). Nel processo amministrativo di primo e di secondo grado, ai sensi degli artt. 49, comma 2, e 95, comma 5, c.p.a., non deve disporsi, infatti, l’integrazione del contraddittorio quando il ricorso è palesemente infondato (Cons. St., sez. IV, 14.1.2013, n. 160).

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Enti locali: obbligo di astensione per gli amministratori dalla discussione e votazione di delibere riguardanti interessi propri o di parenti o affini anche in caso di vantaggi indiretti

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

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L’art. 78 del d. lgs. n. 267/2000 prescrive per gli amministratori l’obbligo di astensione dalla discussione e votazione di delibere riguardanti interessi propri o di parenti o affini fino al quarto grado. Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha rilevato come la circostanza che nella vicenda concreta la delibera comunale non abbia impresso direttamente vantaggi al suolo oggetto di promessa di vendita in favore di un congiunto del sindaco, attiguo a quello oggetto di espropriazione e di approvazione del progetto di allargamento e sistemazione della strada, non esclude l’ipotizzabilità di vantaggi indiretti connessi alla realizzazione dell’opera idonei a fondare un potenziale conflitto di interessi. Affinchè si verifichi la fattispecie generatrice dell’obbligo di astensione, invero, occorre prescindere dalla produzione, in concreto, di un vantaggio alla posizione privata e di uno svantaggio a quella della p.a. (Cons. St. Sez. IV, n. 28.1.2011, n. 693), a maggior ragione quando l’oggetto sia circoscritto e, nel caso di provvedimenti di natura edilizia, la deliberazione non investa l’intero territorio comunale o ampie zone di esso.

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Pubblico Impiego: per la Cassazione è possibile il trasferimento di sede del disabile per incompatibilità ambientale

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La Suprema Corte, sez. lavoro nella sentenza n.24775.13 del 5 novembre 2013 si è espressa circa la "legittimità del trasferimento" di un lavoratore diversamente abile, dipendente da Ente Pubblico, presso altra sede ubicata nel medesimo Comune, a seguito ed in presenza di "sopravvenuta incompatibilità ambientale" anche se in assenza di esplicito consenso del lavoratore, come contemplato ai sensi dell’art. 33 comma 6 della L. n. 104/92. I giudici di legittimità, con tale sentenza, hanno sancito la non assolutezza ed illimitatezza del diritto, afferente al lavoratore portatore di handicap, di esprimere esplicito consenso prima di vedersi soggetto destinatario di procedure di trasferimento ad altra/diversa sede di lavoro. Entrando nello specifico, sono state considerate non prevalenti le tutele previste dalla L. 104/92 rispetto alle legittime esigenze, precipuamente economiche oltreché tecniche, organizzative e produttive, in questo caso dell’Ente Pubblico, quale datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2103 del codice civile, senza che ciò rappresenti o si configuri quale atto persecutorio ovvero assimilabile a fattispecie di Mobbing con intenti punitivi o discriminatori nei confronti del lavoratore stesso. Di converso, la decisione dei giudici, è stata sostanzialmente ispirata considerando l’oggettiva incompatibilità ambientale derivante da situazioni di acceso contrasto con altri colleghi di lavoro, motivo, questo, di grave nocumento all’organizzazione e funzionamento dell’attività dell’Ente.

 
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