Gazzetta Informa News 18 Marzo 2013 - Area Amministrativa


GIURISPRUDENZA

Le controversie tra p.a. e sindacato devono essere decise dal giudice ordinario. Riformata dal Consiglio di Stato la sentenza che accoglieva il ricorso del Sindacato Italiano Unitario Lavoratori di Polizia contro la ripartizione dei contingenti complessivi dei distacchi sindacali retribuiti autorizzabili

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Nel giudizio in esame il Sindacato unitario lavoratori di polizia (SIULP) domandava l’annullamento del Decreto in data 8.11.2004 del Ministro per la funzione pubblica recante la ripartizione dei contingenti complessivi dei distacchi sindacali retribuiti autorizzabili (per il biennio 2004-2005) perviolazione dell’art. 35 del DPR n.164/2002 e dell’art. 43, comma 1, del Decreto leg.vo n.165/2001, nonché eccesso di potere per difetto di motivazione. Il Tribunale adìto accoglieva il ricorso, rilevandone la fondatezza nel merito. Detta decisione è stata impugnata innanzi al Consiglio di Stato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il cui appello e' stato accolto relativamente all'eccepito difetto di giurisdizione. Invero l’azione è proposta da un organizzazione sindacale che contrasta un atto amministrativo recante una disciplina di ripartizione, tra le varie forze sindacali presenti nel settore della Polizia di Stato, dei distacchi sindacali. Muovendo da quest’ultimo contenuto, si deve rilevare anzitutto che la materia si pone del tutto al di fuori del rapporto di pubblico impiego sotto il profilo soggettivo, poiché la relazione giuridica che viene in rilievo intercorre tra la p.a. ed un sindacato, mentre quella di pubblico impiego corre tra la p.a. ed il singolo dipendente. Conseguentemente non possono venire in soccorso, al fine di individuare la giurisdizione amministrativa, le norme (indicate dall’appellato) che regolano il rapporto di pubblico impiego, soprattutto poiché i contestati criteri, adottati da atto amministrativo, tuttavia non incidono sul singolo dipendente (o incidono, ma sempre ed solo indirettamente, sul singolo dipendente che vanti titolo ad un distacco sindacale), ma investono le modalità di esercizio della funzione sindacale nel suo complesso. Con specifico riferimento a quest’ultima ed alla luce della posizione attribuita al sindacato nel sistema delle relazioni "industriali", va tenuto conto che il meccanismo dei distacchi è uno degli strumenti attraverso i quali il sindacato realizza la propria autonomia di organizzazione e quindi contribuisce ad articolare le proprie funzioni. In altri termini, proprio la natura della posizione azionata, indubbiamente non di interesse legittimo, ma di diritto soggettivo (come sottolineato dall’appellante), in indissolubile correlazione con la peculiare natura del soggetto titolare, appare decisiva al fine di non radicare la giurisdizione amministrativa, ove si consideri che: - si tratta di diritto soggettivo che non figura tra le materie affidate alla giurisdizione esclusiva; - la titolarità di tale diritto costituisce attribuzione tipica di una organizzazione sindacale; e, attesa tale peculiarità del soggetto agente, la giurisdizione deve essere attribuita in stretto riferimento agli artt. 28 della legge n. 300/1970 e 6 e 7 della legge n.146/1990 (norme indicate dall’appellante), in base ai quali il Sindacato in quanto tale può azionare la tutela delle proprie posizioni in materia solo innanzi al giudice ordinario. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 14.2.2013, n. 1523)

 
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Nel giudizio in esame il Sindacato unitario lavoratori di polizia (SIULP) domandava l’annullamento del Decreto in data 8.11.2004 del Ministro per la funzione pubblica recante la ripartizione dei contingenti complessivi dei distacchi sindacali retribuiti autorizzabili (per il biennio 2004-2005) per ... Continua a leggere

 

Accesso ai documenti: il limite di valutazione della p.a. sulla sussistenza di un interesse concreto, attuale e differenziato all'accesso, si sostanzia solo nel giudizio estrinseco sull'esistenza di un legittimo bisogno differenziato di conoscenza in capo a chi richiede i documenti

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E' pacifica in giurisprudenza l’affermazione secondo la quale l’azione per l’accesso agli atti della pubblica amministrazione può essere proposta anche sulla base di un interesse di contenuto tale da non legittimare la proposizione dell’azione per l’annullamento di un provvedimento amministrativo.Più precisamente, il limite di valutazione della p.a. sulla sussistenza di un interesse concreto, attuale e differenziato all'accesso, che è correlativamente pure il requisito di ammissibilità della relativa azione, si sostanzia solo nel giudizio estrinseco sull'esistenza di un legittimo bisogno differenziato di conoscenza in capo a chi richiede i documenti, purché non preordinato a un controllo generalizzato ed indiscriminato di chiunque sull'azione amministrativa, espressamente vietato dall'art. 24, comma terzo, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (in termini, da ultimo, C. di S., III, 07 agosto 2012 n. 4530). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.3.2013, n. 793)

 
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E' pacifica in giurisprudenza l’affermazione secondo la quale l’azione per l’accesso agli atti della pubblica amministrazione può essere proposta anche sulla base di un interesse di contenuto tale da non legittimare la proposizione dell’azione per l’annullamento di un provvedimento amministrativo. ... Continua a leggere

 

Piacenza, ribaltata la sentenza del TAR, ritorna il Sindaco Sandra Ponzini. Il Consiglio di Stato sancisce che l’art. 73, decimo comma, del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, deve essere interpretato nel senso che qualora la coalizione collegata al candidato sindaco eletto non raggiunga il 60 per cento dei voti debba comunque esserle attribuito il 60 per cento dei seggi, arrotondando il risultato all’unità superiore quando il calcolo relativo non dia un numero intero

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Con ricorso al Tribunale amministrativo dell’Emilia Romagna, Parma, il sig. Marco Colosimo nella duplice qualità di cittadino elettore iscritto nelle liste elettorali del Comune di Piacenza e di candidato nella lista Piacenza Viva, unitamente al sig. Matteo Monfasani in qualità di elettore, impugnavano l’atto di proclamazione degli eletti al Consiglio comunale di Piacenza a seguito delle operazioni elettorali svoltesi nei giorni 6 e 7 maggio 2012 e 20 e 21 maggio 2012 per il turno di ballottaggio, unitamente ad ogni altro atto presupposto e connesso, deducendo violazione di legge ed eccesso di potere nonché violazione dell’art. 73, comma 10 del d. lgs. n. 267 del 2000, assumendo che l’arrotondamento del numero di seggi da assegnare alle liste collegate al candidato sindaco eletto sig. Dosi, dovesse essere effettuato per difetto. Conseguentemente, secondo i ricorrenti, il seggio in questione andava attribuito alla lista Piacenza viva, collegata al candidato sindaco Andrea Paparo e, dunque, doveva risultare eletto consigliere il candidato Marco Colosimo, risultato maggior suffragato della lista con 114 preferenze. Con sentenza n. 266 in data 10 luglio 2012, il Tribunale amministrativo dell’Emilia Romagna, sede di Parma, accoglieva il ricorso sulla base di quanto affermato da questo Consiglio di Stato con la sentenza della Quinta Sezione 21 maggio 2012, n. 2928, per l’effetto annullando gli atti impugnati limitatamente alla nomina della signora Sandra Ponzini in luogo del signor Marco Colosimo. Avverso la predetta sentenza la signora Sandra Ponzini ha proposto ricorso che e' stato accolto dal Consiglio di Stato. Si legge nella parte motiva che il Collegio non ignora il contrasto giurisprudenziale formatosi in seno alla stessa Quinta Sezione del Consiglio di Stato in ordine all’interpretazione dell’art. 73, decimo comma, del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ai sensi del quale: "qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al primo turno, alla lista o al gruppo di liste a lui collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, ma abbia ottenuto almeno il 40 per cento dei voti validi, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate abbia superato il 50 per cento dei voti validi. Qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al secondo turno, alla lista o al gruppo di liste ad esso collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate al primo turno abbia già superato nel turno medesimo il 50 per cento dei voti validi. I restanti seggi vengono assegnati alle altre liste o gruppi di liste collegate ai sensi del comma 8". Si discute infatti se qualora il calcolo del 60 per cento dei seggi porti ad un numero non intero, come nel caso di specie, il necessario arrotondamento debba avvenire per difetto, e quindi all’unità inferiore, come ritenuto da C. di S., V, 21 maggio 2012, n. 2928, richiamata dal primo giudice, ovvero per eccesso, e quindi all’unità superiore, come affermato da C. di S., V, 1 marzo 2012, n. 1197, e 18 aprile 2012, n. 2260. Il Collegio condivide l’orientamento espresso dalle ultime due sentenze citate. Invero, appare decisivo il fatto che la norma della cui applicazione si discute usa la congiunzione "almeno" per indicare la percentuale minima dei seggi spettanti alla coalizione vincente. La norma infatti stabilisce che qualora la coalizione non abbia ottenuto "almeno" il 60 per cento dei seggi questa percentuale le deve essere comunque attribuita. La volontà del legislatore è quindi chiara nell’attribuire alla coalizione collegata al candidato sindaco eletto non meno del 60 per cento dei consiglieri spettanti al comune, per evidenti motivi di governabilità, che il legislatore ha ritenuto prevalenti. Di conseguenza, l’arrotondamento per difetto, preteso dall’odierno appellato, si pone in contraddizione con la volontà espressa dal legislatore. Deve essere poi sottolineato come le argomentazioni appena esposte, fondate sull’esegesi del testo, prevalgano sulle apprezzabili considerazioni logiche svolte nel precedente cui si è uniformato il primo giudice. Afferma, in conclusione, il Collegio che l’art. 73, decimo comma, del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, deve essere interpretato nel senso che qualora la coalizione collegata al candidato sindaco eletto non raggiunga il 60 per cento dei voti debba comunque esserle attribuito il 60 per cento dei seggi, arrotondando il risultato all’unità superiore quando il calcolo relativo non dia un numero intero. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.2.2013, n. 810)

 
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Con ricorso al Tribunale amministrativo dell’Emilia Romagna, Parma, il sig. Marco Colosimo nella duplice qualità di cittadino elettore iscritto nelle liste elettorali del Comune di Piacenza e di candidato nella lista Piacenza Viva, unitamente al sig. Matteo Monfasani in qualità di elettore, impugna ... Continua a leggere

 

Principi giurisprudenziali in materia di procedimento di autenticazione delle firme dei cittadini che accettano la candidatura

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Nella vicenda in esame il Consiglio di Stato ha rigettato l'appello proposto da Niccoli Francesco quale candidato escluso della Lista provinciale di Campobasso "Noi per il Molise - Frattura Presidente" e in conferma della sentenza resa dal TAR ha evidenziato che le Amministrazioni interessate prima, ed il T.a.r. poi, hanno fatto buon governo delle norme e dei principi elaborati dalla giurisprudenza (cfr. ex plurimis e da ultimo Cons. St., Sez. V, 29 ottobre 2012, n. 5504; Sez. V, 1 marzo 2011, n. 1272; Sez. V, 6 luglio 2010, n. 4322), in materia di autenticazione delle sottoscrizioni dei soggetti che accettano di candidarsi, atteso che: a) le invalidità che riguardano il procedimento di autenticazione delle firme dei cittadini che accettano la candidatura non assumono un rilievo meramente formale poiché le minute regole da esse presidiate mirano a garantire la genuinità delle sottoscrizioni, impedendo abusi e contraffazioni, con la conseguenza che l’autenticazione, seppur distinta sul piano materiale dalla sottoscrizione, rappresenta un elemento essenziale – non integrabile aliunde - della presentazione della lista o delle candidature e non un semplice elemento di prova volto ad evitare che le sottoscrizioni siano raccolte antecedentemente al 180° giorno fissato per la presentazione delle candidature; b) le firme sul modello di accettazione della candidatura a cariche elettive devono essere autenticate nel rispetto, previsto a pena di nullità, delle formalità stabilite dall’art. 21, t.u. n. 445 del 2000, sicché la mancata indicazione di tali modalità rende invalida la sottoscrizione; c) fra i vari elementi essenziali costitutivi della procedura di autenticazione si annoverano l’apposizione del timbro nonché l’indicazione del luogo e della data della sottoscrizione del pubblico ufficiale procedente; d) sotto tale angolazione è del tutto irrilevante, ai fini del perfezionamento e della validità della procedura di autenticazione, che il modulo utilizzato in concreto, predisposto dal Ministero dell’Interno, faccia riferimento al d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235 (t.u. in materia di incandidabilità, pubblicato nella G.U. del 4 gennaio 2013 n. 3 ed entrato in vigore il successivo 5 gennaio 2013), e dunque dimostri che la sottoscrizione e l’autenticazione non sono antecedenti al 180° giorno fissato per la presentazione delle candidature; e) il presupposto interpretativo da cui muovono gli appellanti in ordine all’art. 14, comma 3, l. n. 53 del 1990, secondo cui tale disposizione prevederebbe come unica causa di nullità l’anteriorità dell’accettazione della candidatura e della relativa autenticazione al centottantesimo giorno precedente il termine fissato per la presentazione delle candidature, è erroneo, in quanto quella in esame è, con tutta evidenza, una nullità aggiuntiva a quelle ordinarie per inosservanza della forma dell’atto e non già sostitutiva; dunque, ogni argomento circa la prova della non anteriorità di sottoscrizioni e autenticazioni al centottantesimo giorno precedente il termine fissato per la presentazione delle candidature è inconferente; f) nel caso di specie è pacifico che l’autenticazione della sottoscrizione della dichiarazione di accettazione della candidatura da parte del ricorrente è priva della indicazione della data e del luogo; Richiamate e condivise, in conclusione, tutte le argomentazioni svolte dalle autorità emananti nonché dall’impugnata sentenza, che conducono alla reiezione dei mezzi posti a sostegno del gravame. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.3.2013, n. 788)

 
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Il provvedimento, adottato in esecuzione di un’ordinanza cautelare del Giudice, non implica di per sé il ritiro dell’atto impugnato ed oggetto della pronuncia stessa e ha una rilevanza solo provvisoria in attesa che la decisione di merito accerti se l'atto stesso sia, o no, legittimo.

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Per consolidata giurisprudenza (cfr., per tutti, Cons. St., III, 4 luglio 2011 n. 4000; id., V, 16 gennaio 2013 n. 240), il provvedimento, adottato in esecuzione di un’ordinanza cautelare del Giudice, non implica di per sé il ritiro dell’atto impugnato ed oggetto della pronuncia stessa e ha una rilevanza solo provvisoria in attesa che la decisione di merito accerti se l'atto stesso sia, o no, legittimo. La misura cautelare, infatti, non configura di norma una radicale consumazione della potestà amministrativa e l'effetto caducante dell'eventuale sentenza definitiva si estende comunque a tutti gli ulteriori atti adottati dalla P.A. a seguito dell’adozione dell’ordinanza cautelare. Si badi: ciò non vuol dire certo che l’attività di riemanazione, conseguente in modo inderogabile all’ordine cautelare di questo Giudice di riesaminare la vicenda e di provvedervi, non possa determinare una fattispecie estintiva della controversia cui la cautela accede. Ciò, tuttavia, si verifica non certo se la P.A. emani l’atto richiesto foss’anche a seguito dell’obbligatoria istruttoria che il procedimento amministrativo sostanziale richiede, ma solo se siffatta statuizione intervenga senza riserve e senza condizioni, cioè alla luce d’una valutazione autonoma e non collegata all’oggetto del giudizio di merito. Il Comune di Casoli, nella specie, ha emanato l’invocata autorizzazione e l’ASL ha fornito il relativo parere non già per uno spontaneo ed autonomo riesame in autotutela dell’intera vicenda, bensì a seguito di una formale diffida della Società appellata ed in precipua esecuzione dell’ordinanza n. 68/2011. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 14.3.2013, n. 1534)

 
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Per consolidata giurisprudenza (cfr., per tutti, Cons. St., III, 4 luglio 2011 n. 4000; id., V, 16 gennaio 2013 n. 240), il provvedimento, adottato in esecuzione di un’ordinanza cautelare del Giudice, non implica di per sé il ritiro dell’atto impugnato ed oggetto della pronuncia stessa e ha una ril ... Continua a leggere

 
PROVVEDIMENTI REGIONALI

L’obbligo di astensione dei membri della Commissione non sussiste in assenza di coinvolgimenti personali particolarmente intensi, ma soltanto quando i rapporti personali o professionali siano di rilievo ed intensità tali da far sorgere il sospetto che il candidato sia giudicato non in base al risultato delle prove, bensì in virtù delle conoscenze personali

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Nel giudizio in esame la ricorrente ha chiesto il risarcimento del danno patrimoniale subito in ragione dell’asserita non corretta gestione della procedura selettiva e comparativa indetta dalla Provincia di Pavia per l’affidamento di un incarico di collaborazione coordinata e continuativa per le azioni di tutor individuale nell’ambito dei servizi per l’impiego, nonché in ragione del ritardo e parziale diniego del diritto di accesso agli atti esercitato tempestivamente ai fini dell’eventuale tutela dei propri diritti. In particolare con riferimento alla doglianza con la quale si assume l’illegittimità del comportamento dell’Amministrazione provinciale, in quanto la candidata vincitrice della procedura avrebbe, in precedenza, prestato servizio presso la stessa struttura che ha indetto la procedura comparativa, da cui discenderebbe un passato rapporto di colleganza con gli stessi membri della Commissione e quindi l’obbligo di astensione da parte di questi ultimi per assicurare l’imparzialità e la terzietà della fase valutativa. Come affermato dalla costante giurisprudenza l’obbligo di astensione non sussiste in assenza di coinvolgimenti personali particolarmente intensi, ma soltanto quando i rapporti personali o professionali siano di rilievo ed intensità tali da far sorgere il sospetto che il candidato sia giudicato non in base al risultato delle prove, bensì in virtù delle conoscenze personali. Poiché tali legami assumano il predetto rilievo, deve trattarsi di rapporti diversi e più saldi di quelli che di regola intercorrono tra soggetti che lavorano nello stesso ufficio (Consiglio di Stato, VI, 11 gennaio 1999, n. 8), essendo decisiva la circostanza che il rapporto tra commissario e candidato si sia concretato in un autentico sodalizio professionale connotato dai caratteri della stabilità e della reciprocità di interessi di carattere economico (T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 11 luglio 2012, n. 1944). (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, sentenza 15.3.2013, n. 704)

 
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I termini processuali ordinari per il deposito del ricorso avente ad oggetto provvedimenti delle Autorità amministrative indipendenti (al cui novero appartiene l’ISVAP, oggi IVASS) "sono dimezzati"

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Nel giudizio in esame viene impugnato il risultato dell’esito degli esami della prova scritta dell’esame di idoneità per periti assicurativi svoltosi il giorno 11 luglio 2012, pubblicata il 15 novembre 2012 sul sito I.S.V.A.P., con protocollo P011-06740. il Consiglio di Stato ha dichiarato il ricorso irricevibile poiché depositato dal ricorrente ha depositato ben oltre il termine dimidiato di quindici giorni decorrenti dalla sua notificazione. Per effetto del combinato disposto dell’art. 119, c. 1, lett. b) e 2 c.p.a. con gli artt. 41 e 45 dello stesso codice, infatti, i termini processuali ordinari per il deposito del ricorso recante ad oggetto provvedimenti delle Autorità amministrative indipendenti (al cui novero appartiene l’ISVAP, oggi IVASS) "sono dimezzati". (TAR Lazio, Roma, Sez. II ter, sentenza 15.3.2013, n. 2679)

 
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Nel giudizio in esame viene impugnato il risultato dell’esito degli esami della prova scritta dell’esame di idoneità per periti assicurativi svoltosi il giorno 11 luglio 2012, pubblicata il 15 novembre 2012 sul sito I.S.V.A.P., con protocollo P011-06740. il Consiglio di Stato ha dichiarato il ricor ... Continua a leggere

 

Il giudizio in materia di accesso: il giudice amministrativo, nell’indagare sulla sussistenza del diritto di accesso ai documenti richiesti in capo all’interessato, deve tener conto anche delle ragioni esternate dall’amministrazione in sede giudiziale

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Per costante giurisprudenza, il giudizio in materia di accesso – anche se si atteggia come impugnatorio nella fase della proposizione del ricorso, in quanto rivolto contro l'atto di diniego o avverso il silenzio diniego formatosi sulla relativa istanza e il relativo ricorso deve essere esperito neltermine perentorio di 30 giorni (C. Stato, A.P., 24 giugno 1999, n. 16) – è sostanzialmente rivolto ad accertare la sussistenza o meno del titolo all'accesso nella specifica situazione alla luce dei parametri normativi, indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza delle ragioni addotte dall'amministrazione per giustificarne il diniego. Tant’è vero che, anche nel caso di impugnativa del silenzio diniego sull'accesso, l'amministrazione può dedurre in giudizio le ragioni che precludono all'interessato di avere copia o di visionare i relativi documenti, e la decisione da assumere, che deve comunque accertare la sussistenza o meno del titolo all'esibizione, si deve formare tenendo conto anche di tali deduzioni (Tar Lazio, II, 18 gennaio 2010, n. 395; 22 aprile 2010, nn. 8015 e 8016; C. Stato, V, 7 novembre 2008, n. 5573; V, 11 maggio 2004, n. 2966; IV, 2 luglio 2002, n. 3620; VI, 9 maggio 2002, n. 2542). In applicazione dei predetti canoni ermeneutici, il giudice amministrativo, nell’indagare sulla sussistenza del diritto di accesso ai documenti richiesti in capo all’interessato, deve indi tener conto anche delle ragioni esternate dall’amministrazione in sede giudiziale. Nella fattispecie, le ragioni addotte nell’odierno giudizio dall’amministrazione, rimasta come detto inerte a seguito della presentazione da parte della società ricorrente dell’istanza di accesso agli atti relativi al procedimento, conclusosi con esito a lei sfavorevole, per l’attribuzione dei diritti d’uso di risorse frequenziali alle società odierne contro-interessate, consistono esclusivamente nell’illustrazione dell’infondatezza delle doglianze formulate dalla stessa società in un diverso gravame (di cui meglio in fatto) interposto avverso il predetto esito negativo. Siffatto percorso motivazionale non è in alcun modo idoneo a sorreggere il rigetto dell’istanza di accesso per cui è causa. Non pare, innanzitutto, possa esservi dubbio che la società ricorrente vanta un interesse qualificato alla conoscenza degli atti relativi al procedimento cui ha infruttuosamente partecipato. L’art. 22 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nel testo vigente, afferma infatti che per diritto di accesso si intende "il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi" (comma 1, lett. a), intendendosi per "interessati", "tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso" (comma 1, lett. b). Il comma 2 dello stesso art. 22 della l. 241/1990 afferma che "l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l’imparzialità e la trasparenza". L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (18 aprile 2006, n. 6), ha qualificato il "diritto di accesso" come una situazione soggettiva che, più che fornire utilità finali, risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell'interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o interessi). Il diritto di accesso si presenta, dunque, come posizione strumentale riconosciuta a un soggetto che sia già titolare di una diversa "situazione giuridicamente tutelata", e che abbia, in collegamento a quest’ultima, un interesse diretto, concreto ed attuale ad acquisire mediante accesso uno o più documenti amministrativi. Il diritto di accesso può, indi, giustamente, e notoriamente, fondarsi – come nella fattispecie – sul diritto alla tutela della propria posizione giuridica in sede giudiziaria, senza che, al riguardo, possano essere opposti limiti temporali (art. 22, comma 6:"Il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione ha l'obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere"), ovvero condizioni personali che a tale diversa sede siano ascrivibili, ovvero ancora – e il principio è qui dirimente – valutazioni in ordine alla più o meno efficace utilizzabilità del documento ai fini di tutela in sede giudiziaria, che non spetta all’amministrazione destinataria dell’istanza di accesso valutare. Può aggiungersi, ad abundantiam, che il comma 7 dell’art. 24 della ridetta legge n. 241/1990 prescrive che l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici debba comunque essere garantito anche laddove – ipotesi che nella specie non sembra essere sussistente – operi una causa di esclusione del diritto all’accesso, secondo i precedenti commi da 1 a 6. (TAR Lazio, Roma, Sez. I, sentenza 14.3.2013, n. 2664)

 
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Per costante giurisprudenza, il giudizio in materia di accesso – anche se si atteggia come impugnatorio nella fase della proposizione del ricorso, in quanto rivolto contro l'atto di diniego o avverso il silenzio diniego formatosi sulla relativa istanza e il relativo ricorso deve essere esperito nel ... Continua a leggere

 

Provvedimenti di recupero di indebito per congedo parentale: per pacifica giurisprudenza il recupero deve essere effettuato al netto e non al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali, potendo avere a oggetto soltanto quanto effettivamente sia entrato nella sfera patrimoniale del dipendente

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Per pacifica giurisprudenza la percezione da parte del pubblico dipendente di emolumenti non dovuti impone all’amministrazione di ripetere le relative somme ai sensi dell’art. 2033 cod. civ., non essendo a ciò di ostacolo l’affidamento e la buona fede del dipendente in considerazione del danno perl’erario derivante da un illegittimo esborso di denaro pubblico (la non ripetibilità può semmai trovare riscontro solo in specifiche disposizioni normative, nella specie non ricorrenti; cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2704, e giurispr. ivi richiamata). Né l’iniziativa restitutoria dell’amministrazione è impedita dall’art. 34 d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, a tenore del quale l’indennità di congedo parentale (pari al 30 per cento della retribuzione) spetta al dipendente "fino al terzo anno di vita del bambino" e per un periodo di congedo "massimo complessivo tra i genitori di sei mesi" (co. 1) ovvero, per durate superiori, "a condizione che il reddito individuale dell’interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria" (co. 3). È sufficiente rilevare in proposito come il ricorrente non abbia dedotto né provato (com’era suo onere ai sensi degli artt. 2697 cod. civ. e 64 c.p.a.) di versare nella situazione contemplata dalla norma (e in particolare dal menzionato comma 3, risultando dai provvedimenti di congedo un’età del figlio superiore ai tre anni). Va parimenti disattesa la domanda volta all’accertamento dell’irrilevanza del congedo parentale sul computo della tredicesima mensilità e dell’indennità giudiziaria, in ossequio al chiaro disposto: - dell’art. 34, co. 5, d.lgs. n. 151/2001 cit., a tenore del quale "i periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia"; e - dell’art. 3, 1° comma, l. 19 febbraio 1981, n. 27 (come modificato dall’art. 1, co. 325, l. 30 dicembre 2004, n. 311), secondo cui l’indennità giudiziaria (spettante ai magistrati "in relazione agli oneri che gli stessi incontrano nello svolgimento della loro attività") va corrisposta "con esclusione dei periodi di congedo straordinario, di aspettativa per qualsiasi causa, di astensione facoltativa previsti dagli articoli 32 e 47, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e di sospensione dal servizio per qualsiasi causa". Non spetta perciò al ricorrente, per il fruito periodo di congedo parentale, alcun emolumento per i titoli in questione. È invece meritevole di accoglimento il capo di domanda concernente l’entità del recupero, che per pacifica giurisprudenza deve essere effettuato al netto e non al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali, potendo avere a oggetto soltanto quanto effettivamente sia entrato nella sfera patrimoniale del dipendente (v. ex multis Cons. Stato, sez. III, 4 luglio 2011, n. 3984; Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2009, n. 1164; v. anche Cons. Stato, comm. spec. p.i., ad. 5 febbraio 2001, n. 478/2000, nonché, in termini, Cass. civ., sez. lav., 2 febbraio 2012, n. 1464). (TAR Lazio, Roma, Sez. III, sentenza 13.3.2013, n. 2661)

 
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Per pacifica giurisprudenza la percezione da parte del pubblico dipendente di emolumenti non dovuti impone all’amministrazione di ripetere le relative somme ai sensi dell’art. 2033 cod. civ., non essendo a ciò di ostacolo l’affidamento e la buona fede del dipendente in considerazione del danno per ... Continua a leggere

 

L’accesso ai documenti riguarda i soli documenti rappresentativi di atti già esistenti, non essendo tenuta l’Amministrazione ad elaborare dati in suo possesso per soddisfare le domande di accesso

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La sentenza in esame viene attenzionata in quanto affronta la questione afferente alla individuazione di ciò che può qualificarsi "documento amministrativo" ai fini della relativa accessibilità. Si legge nella statuizione che "problematica è la questione relativa all’accessibilità dello specifico "documento" del quale si chiede l’esibizione, tenuto conto che per espressa disposizione di legge (art. 22 della L. 241/90) si intende per «documento amministrativo», "ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale". Nel caso di specie la ricorrente richiede alla Regione Lazio "la certificazione del numero di accessi e minuti complessivi di consultazione telematica dei progetti (sia pure in forma anonima) eseguiti tra il 18 giugno 2012 (data della nomina della Commissione) ed il 25 giugno 2012 (data della prima riunione della Commissione)". La norma dell’art. 22 della L. 241/90 dà una nozione di "documento" molto ampia, non avente necessariamente natura cartacea, richiede però che si tratti di una rappresentazione del contenuto di atti; la norma regolamentare (art. 2 comma 2 del D.P.R. 184/06), a sua volta, specifica che: "Il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica amministrazione, di cui all'articolo 22, comma 1, lettera e), della legge, nei confronti dell'autorità competente a formare l'atto conclusivo o a detenerlo stabilmente. La pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso". Entrambe le disposizioni chiariscono in modo incontrovertibile che l’accesso riguarda i soli documenti rappresentativi di atti già esistenti, non essendo tenuta l’Amministrazione ad elaborare dati in suo possesso per soddisfare le domande di accesso. La giurisprudenza ha costantemente affermato che l' accesso è un istituto preordinato alla conoscenza di documenti preesistenti e non può essere utilizzato allo scopo di promuovere la costituzione di nuovi documenti in cui siano contenute le informazioni richieste (T.A.R. Lecce Puglia sez. II 8 marzo 2012 n. 453; TAR Campania - Napoli, Sez. V, 2 luglio 2008, n. 6673; TAR Calabria - Reggio Calabria, 21 settembre 2004, n. 712). Nel caso di specie, viene richiesta la predisposizione di una certificazione in merito agli accessi informatici da parte dei Commissari, al fine di verificare – in sostanza – quanto tempo abbiano dedicato alla disamina preventiva dei progetti. E’ del tutto evidente che per soddisfare la domanda di accesso della ricorrente la Regione dovrebbe predisporre una ricognizione ad hoc – servendosi all’occorrenza della società che si è occupata della gestione informatica della procedura - per ricavare i dati richiesti, e formare quindi il documento di cui si chiede l’esibizione, attività questa che fuorisce dal ristretto campo dell’accesso agli atti amministrativi, che presuppone – come già detto – la preesistenza del documento. Risulta quindi pienamente condivisibile la tesi della Regione Lazio secondo cui la certificazione richiesta fuorisce dal concetto di "documento amministrativo" di cui all’art. 22 della L. 241/90 con conseguente inammissibilità della domanda di accesso. Ciò però non esclude che il Collegio – ove lo ritenga necessario – possa acquisire le medesime informazioni in via istruttoria, non essendovi in questo caso preclusioni derivanti dalla particolare natura della certificazione. (TAR Lazio, Roma, Sez. I ter, sentenza 12.3.2013, n. 2581)

 
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In caso di omessa pronuncia sull’istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore, il rimedio esperibile è costituito dal procedimento di correzione degli errori materiali

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In caso di omessa pronuncia sull’istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore, il rimedio esperibile, in assenza di un’espressa indicazione legislativa, è costituito dal procedimento di correzione degli errori materiali di cui all’art. 86 cod. proc. amm. e non dagli ordinari mezzi di impugnazione (cfr., con riferimento al procedimento di cui agli artt. 287 e 288 cod. proc. civ., Cass. civ., Sez. III, 13 aprile 2012, n. 5894 e Cass. Civ., Sez. Un., 7 luglio 2010, n. 16037). (TAR Puglia, Bari, Sez. I, sentenza 15.3.2013, n. 379)

 
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Licenza di porto di pistola: i provvedimenti in materia di detenzione e utilizzo di armi, compresa la revoca di un porto d’armi rientrano fra gli atti per i quali l'art. 7 della L. n. 241/90 consente di prescindere dalla previa comunicazione di avvio del procedimento

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La giurisprudenza amministrativa ha chiarito (Cfr. Tar Ancona, 20 dicembre 2010, n. 3472) che i provvedimenti in materia di detenzione e utilizzo di armi, compresa la revoca di un porto d’armi, in quanto rimedi finalizzati dall'art. 39, t.u.18 giugno 1931 n. 773 a salvaguardare la collettività dalpericolo dell'uso delle armi da parte di un soggetto che si ritiene capace di abusarne, hanno di per sé il carattere dell'urgenza, per cui rientrano fra gli atti per i quali l'art. 7 della L. 7 agosto 1990 n. 241 consente di prescindere dalla previa comunicazione di avvio del procedimento. (TAR Calabria, Reggio Calabria, Sez. I, sentenza 14.3.2013, n. 162)

 
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Decide il giudice ordinario sul ricorso proposto contro la delibera della Commissione straordinaria di liquidazione del Comune, recante l'inserimento, ai sensi dell'art. 254, d.lg. 18 agosto 2000 n. 267, della massa passiva della liquidazione nel piano di rilevazione

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Rientra nella giurisdizione del g.o. il ricorso proposto contro la delibera della Commissione straordinaria di liquidazione del Comune, recante l'inserimento, ai sensi dell'art. 254, d.lg. 18 agosto 2000 n. 267, della massa passiva della liquidazione nel piano di rilevazione; ciò in quanto l'organostraordinario di liquidazione non effettua valutazioni caratterizzate da discrezionalità amministrativa, ma compie accertamenti o, tutt'al più, valutazioni di ordine tecnico; né preclusione ad un'eventuale azione davanti al g.o. può derivare dall'art. 254, d.lg. n. 267, cit. - che prevedeva la possibilità di ricorrere in via gerarchica al Ministero dell'Interno contro i provvedimenti di diniego di inserimento dei debiti nel piano di rilevazione - in quanto ciò non condiziona l'individuazione dell'organo giurisdizionale che dovrà decidere la controversia una volta esperiti i ricorsi in sede amministrativa. (TAR Campania, Napoli, Sez. V, sentenza 14.3.2013, n. 1477)

 
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Rientra nella giurisdizione del g.o. il ricorso proposto contro la delibera della Commissione straordinaria di liquidazione del Comune, recante l'inserimento, ai sensi dell'art. 254, d.lg. 18 agosto 2000 n. 267, della massa passiva della liquidazione nel piano di rilevazione; ciò in quanto l'organo ... Continua a leggere

 
 
 
 
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