
Gazzetta Informa News 12 Marzo 2013 - Area Amministrativa
Codice di Comportamento dei dipendenti pubblici: si ai regali, ma solo se il valore non supera euro 150

Su proposta del Ministro della pubblica amministrazione e semplificazione, il Consiglio dei Ministri ha approvato, salvo intese, un regolamento contenente il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici. Il codice, emanato in attuazione della legge anti-corruzione (legge n. 190 del 2012), in linea con le raccomandazioni OCSE in materia di integrità ed etica pubblica, indica i doveri di comportamento dei dipendenti delle PA e prevede che la loro violazione è fonte di responsabilità disciplinare. Tra le disposizioni del codice in sintesi ci sono: - il divieto per il dipendente di chiedere regali, compensi o altre utilità, nonché il divieto di accettare regali, compensi o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico valore (non superiore a 150 euro) anche sotto forma di sconto. I regali e le altre utilità comunque ricevuti sono immediatamente messi a disposizione dell’Amministrazione per essere devoluti a fini istituzionali; - la comunicazione del dipendente della propria adesione o appartenenza ad associazioni e organizzazioni (esclusi partici politici e sindacati) i cui ambiti di interesse possano interferire con lo svolgimento delle attività dell’ufficio; - la comunicazione, all’atto dell’assegnazione all’ufficio, dei rapporti diretti o indiretti di collaborazione avuti con soggetti privati nei 3 anni precedenti e in qualunque modo retribuiti, oltre all’obbligo di precisare se questi rapporti sussistono ancora (o sussistano con il coniuge, il convivente, i parenti e gli affini entro il secondo grado); - l’obbligo per il dipendente di astenersi dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti le sue mansioni in situazioni di conflitto di interessi anche non patrimoniali, derivanti dall'assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici; - la tracciabilità e la trasparenza dei processi decisionali adottati (che dovrà essere garantita attraverso un adeguato supporto documentale). - il rispetto dei vincoli posti dall’amministrazione nell’utilizzo del materiale o delle attrezzature assegnate ai dipendenti per ragioni di ufficio, anche con riferimento all’utilizzo delle linee telematiche e telefoniche dell’ufficio; - gli obblighi di comportamento in servizio nei rapporti e all’interno dell’organizzazione amministrativa; - per i dirigenti, l’obbligo di comunicare all’amministrazione le partecipazioni azionarie e gli altri interessi finanziari che possono porli in conflitto d’interesse con le funzioni che svolgono; l’obbligo di fornire le informazioni sulla propria situazione patrimoniale previste dalla legge; il dovere, nei limiti delle loro possibilità, di evitare che si diffondano notizie non vere sull’organizzazione, sull’attività e sugli altri dipendenti; - è infine assicurato il meccanismo sanzionatorio per la violazione dei doveri di comportamento. (Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 72 del 8.3.2013)
Su proposta del Ministro della pubblica amministrazione e semplificazione, il Consiglio dei Ministri ha approvato, salvo intese, un regolamento contenente il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici. Il codice, emanato in attuazione della legge anti-corruzione (legge n. 190 del 2012), in lin ... Continua a leggere
Bandi di concorso e procedimenti di selezione pubblici: tutte le P.A., anche quelle universitarie, devono prevedere la riserva obbligatoria a favore dei volontari congedati

Il Ministero della Difesa rende noto che con il recente parere del Dipartimento della Funzione Pubblica, visionabile sul sito istituzionale dell’Ufficio generale per il sostegno alla ricollocazione professionale dei volontari congedati, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha affermato che tutte le Amministrazioni, anche quelle universitarie, sono tenute all’applicazione dell’istituto della riserva dei posti a favore dei volontari. L’ Ufficio generale, che unitamente alle Sezioni collocamento e euroformazione dei Comandi Militari Esercito, svolge un’attività di costante monitoraggio sui bandi di concorso e sui procedimenti di selezione pubblici e che, per missione istituzionale, tiene i rapporti con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, si era rivolto a quest’ultima in occasione del rifiuto dell’Università "La Sapienza" di Roma ad inserire la riserva del 30% nei propri bandi di concorso. In data 7 febbraio il Dipartimento della Funzione Pubblica ha reso il richiesto parere con il quale, alla luce della ricognizione normativa, ha confermato l‘applicazione dell’istituto della riserva obbligatoria anche alle Istituzioni universitarie. Una ricostruzione interpretativa in senso diverso - soggiunge il Dipartimento - oltre ad essere infondata, rischierebbe di indebolire la misura di favore prevista dal legislatore a beneficio dei volontari congedati senza demerito. (Ministero della Difesa, comunicato del 8.3.2013)
Il Ministero della Difesa rende noto che con il recente parere del Dipartimento della Funzione Pubblica, visionabile sul sito istituzionale dell’Ufficio generale per il sostegno alla ricollocazione professionale dei volontari congedati, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha affermato che tutt ... Continua a leggere
Indennità di malattia per i lavoratori del trasporto pubblico locale: scade il 31 marzo termine per presentare le domande per beneficiare del contributo erariale

Le aziende operanti nel settore del trasporto pubblico locale entro il 31 marzo 2013 devono trasmettere i dati necessari per beneficiare del contributo erariale per l’anno di competenza 2012, come previsto dall’art. 1, comma 273 della legge n. 266/2005. I modelli di rimborso oneri e di dichiarazione del rappresentante dell’azienda sono scaricabili al seguente link http://www.lavoro.gov.it/Lavoro/Notizie/20130305_Indennità+di+malattia+TPL.htm e debitamente compilati e sottoscritti, debbono essere inviati con raccomandata A/R,unitamente alla dichiarazione sostitutiva del certificato di iscrizione alla Camera di Commercio alla Direzione Generale per le Politiche Previdenziali e Assicurative Divisione IX ,Via Flavia 6 - 00187 Roma. L'omesso arrivo della documentazione nel termine indicato si intenderà come rinuncia dell’azienda richiedente al rimborso. (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, comunicato del 5.3.2013)
Le aziende operanti nel settore del trasporto pubblico locale entro il 31 marzo 2013 devono trasmettere i dati necessari per beneficiare del contributo erariale per l’anno di competenza 2012, come previsto dall’art. 1, comma 273 della legge n. 266/2005. I modelli di rimborso oneri e di dichiarazion ... Continua a leggere
Cinghiali al Cesio 137: sull'isotopo radioattivo rilasciato nel 1986 dalla centrale di Chernobyl il Ministero della salute attiva NAS e Noe

Lingua e diaframma di cinghiali con tracce di cesio 137 oltre la soglia prevista dal regolamenti, sono stati riscontrati in seguito a controlli nella Valsesia che erano però diretti a tutt'altro accertamento ovvero all'indagine sulla trichinellosi, una malattia parassitaria che colpisce prevalentemente suini e cinghiali. Lo rende noto il Ministero della Salute il quale precisa che sono stati analizzati campioni di lingua e diaframma di capi abbattuti durante la stagione venatoria 2012/2013 e su 27 campioni il livello di cesio 137 è risultato superiore allo soglia indicata dal Regolamento 733 del 2008, come limite tollerabile in caso di incidente nucleare. Immediatamente attivato il Comando dei Carabinieri del Nas e del Noe, nel cui Reparto operativo è inserita una Sezione inquinamento da Sostanze radioattive, (orientata al contrasto di traffici illeciti di rifiuti e materiali radioattivi e dotata di complessi laboratori mobili di rilevamento), che insieme alla Direzione Generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione dello stesso Ministero coordineranno tutti gli accertamenti. (Ministero della Salute, comunicato del 8.3.2013)
Lingua e diaframma di cinghiali con tracce di cesio 137 oltre la soglia prevista dal regolamenti, sono stati riscontrati in seguito a controlli nella Valsesia che erano però diretti a tutt'altro accertamento ovvero all'indagine sulla trichinellosi, una malattia parassitaria che colpisce prevalentem ... Continua a leggere
Viaggiatori sugli autobus più tutelati: Nuovi diritti arrivano dall'Europa e possono essere fatti valere in Italia già dal 1 marzo

Le disposizioni del regolamento (UE) n. 181/2011, pubblicato il 28 febbraio 2011, si applicano a partire dal 1° marzo 2013 integralmente ai servizi di lunga percorrenza (vale a dire tratte superiori a 250 km), mentre solo alcune disposizioni si applicano a tutti i servizi, compresi quelli che coprono distanze più brevi. Tra le novità si segnala: 1) non discriminazione per quanto riguarda le condizioni contrattuali o tariffe, diretta o indiretta, basata sulla nazionalità dei passeggeri; 2) trattamento non discriminatorio dei disabili e delle persone a mobilità ridotta e risarcimento in caso di perdita o danneggiamento dei dispositivi che ne agevolano la mobilità in caso di incidente; 3) norme minime in materia di informazione dei passeggeri prima e durante il viaggio, nonché informazioni di carattere generale sui loro diritti, nelle stazioni e online; 4) dove possibile, le informazioni sono fornite in formati accessibili su richiesta prestando particolare attenzione alle esigenze delle persone con disabilità o a mobilità ridotta; 5) un sistema per la gestione dei reclami accessibile a tutti i passeggeri, appositamente predisposto dai vettori; 6) organismi nazionali indipendenti in ogni Stato membro incaricati di garantire l’applicazione del regolamento e, se opportuno, imporre sanzioni; 7) Per i servizi di lunga percorrenza (vale a dire oltre 250 km) si segnala: a) adeguata assistenza (che prevede spuntini, pasti e bevande e se necessario, fino a due pernottamenti in albergo, per un massimo di 80 EUR a notte, fatti salvi casi di condizioni meteorologiche avverse o gravi catastrofi naturali) in caso di cancellazione o di ritardo superiore a 90 minuti per viaggi di durata superiore alle tre ore; b) garanzia di rimborso o riprotezione in caso di overbooking, cancellazione o ritardo alla partenza superiore ai 120 minuti; c) indennizzo pari al 50% del prezzo del biglietto in caso di ritardo alla partenza superiore ai 120 minuti, di cancellazione del viaggio e di mancata offerta al passeggero da parte del vettore di riprotezione o rimborso; d) Informazioni in caso di cancellazioni o partenze ritardate; e) tutela del passeggero in caso di decesso, lesioni, perdita o danneggiamento, quando questi siano stati provocati da incidente stradale, in particolare per quanto riguarda le necessità immediate di ordine pratico (tra cui fino a due pernottamenti in albergo, per un massimo di 80 euro a notte). (Commissione Europea, news del 7.3.2013)
Le disposizioni del regolamento (UE) n. 181/2011, pubblicato il 28 febbraio 2011, si applicano a partire dal 1° marzo 2013 integralmente ai servizi di lunga percorrenza (vale a dire tratte superiori a 250 km), mentre solo alcune disposizioni si applicano a tutti i servizi, compresi quelli che copro ... Continua a leggere
Minacce via web ai dipendenti delle Entrate e di Equitalia con indirizzo email falso del Movimento 5 Stelle

Con comunicato stampa congiunto l'Agenzia delle Entrate ed Equitalia rendono noto che e' in corso una denuncia alle Autorità competenti perché sta circolando una mail contenente minacce nei confronti dei dipendenti dell’Agenzia delle Entrate e di Equitalia con un falso indirizzo associato in modo fraudolento al Movimento 5 Stelle. (Equitalia e Agenzia delle Entrate, comunicato del 5.3.2013)
Con comunicato stampa congiunto l'Agenzia delle Entrate ed Equitalia rendono noto che e' in corso una denuncia alle Autorità competenti perché sta circolando una mail contenente minacce nei confronti dei dipendenti dell’Agenzia delle Entrate e di Equitalia con un falso indirizzo associato in modo f ... Continua a leggere
Il reato di immigrazione clandestina non può più ritenersi ostativo ai fini della procedura di emersione dal lavoro irregolare dei cittadini extracomunitari

Il Consiglio di Stato nel caso di specie, relativo al lavoratore extracomunitario al quale è stato negata, in via automatica la regolarizzazione a motivo di una condanna penale per uno dei reati previsti dall'art. 381 c.p.p., elencazione nella quale è da ricondurre il reato previsto dall’art. 14 co.5 ter del d.lvo. n.286/1998 (c.d. reato di c.d. clandestinità) per cui è stato condannato, debba considerarsi che : - il reato di immigrazione clandestina, di cui sopra non può più ritenersi ostativo ai fini della procedura di emersione dal lavoro irregolare dei cittadini extracomunitari dopo la direttiva U.E. n. 115 del 2008 che, essendo di immediata applicazione secondo l'interpretazione datane con sentenza 28 aprile 2011 della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, è entrata in vigore, anche prima di essere recepita, trascorsi tre anni dalla sua adozione e ha determinato l'abolizione del suddetto reato, come anche riconosciuto dal Consiglio di Stato con le sentenze dell'Adunanza Plenaria 10 maggio 2011, n. 7 e n. 8 e da ampia giurisprudenza successiva (da ultimo Cons. Stato Sez. III, 17 gennaio 2013 n. 271); - in seguito, nell'ambito di una serie di modifiche di adeguamento alla direttiva CE n. 115/2998, il decreto legge 89/2011, art. 3, co. 1, lettera d), n. 6, ha sostituito il precedente testo dell'art. 14, comma 5 ter, citato, con un nuovo testo che prevede una multa nella misura massima di 20.000 euro; - la sentenza della Corte Costituzionale n. 172/2012 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, per contrasto con il principio di ragionevolezza, dell'automatismo tra la condanna penale per uno dei reati di cui all'art. 381 c.p.p. e il diniego dell'istanza di regolarizzazione. Deve essere ritenuta conseguentemente l'illegittimità dell'atto impugnato, in quanto motivato esclusivamente in ragione dell’ automatismo del reato anziché sulla base di un accertamento in concreto della pericolosità del lavoratore extracomunitario (Cons. di Stato, III, 24 novembre 2012 n. 5957; III, 14 gennaio 2013 n. 132) con l’effetto che sarà dovere dell'amministrazione accertare in concreto se, sulla base del precedente penale per il quale peraltro l’appellante nelle more ha ottenuto la riabilitazione, valutato unitamente ad ogni altro elemento sintomatico riferito all'attualità, il lavoratore rappresenti o meno una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 5.3.2013, n. 1331)
Il Consiglio di Stato nel caso di specie, relativo al lavoratore extracomunitario al quale è stato negata, in via automatica la regolarizzazione a motivo di una condanna penale per uno dei reati previsti dall'art. 381 c.p.p., elencazione nella quale è da ricondurre il reato previsto dall’art. 14 co ... Continua a leggere
La censura di eccesso di potere per disparità di trattamento a fronte di scelte discrezionali dell'Amministrazione è riscontrabile soltanto in caso di assoluta identità di situazioni di fatto e di conseguente assoluta irragionevole diversità del trattamento riservato

La censura di eccesso di potere per disparità di trattamento a fronte di scelte discrezionali dell'Amministrazione è riscontrabile soltanto in caso di assoluta identità di situazioni di fatto e di conseguente assoluta irragionevole diversità del trattamento riservato, situazioni la cui prova rigorosa deve essere fornita dall'interessato, con la precisazione che la legittimità dell'operato della p.a. non può comunque essere inficiata dall'eventuale illegittimità compiuta in altra situazione (in tal senso: Cons. Stato, VI, 11 giugno 2012, n. 3401; id., VI, 8 luglio 2011, n. 4100; id., VI, 30 giugno 2011, n. 3894). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 5.3.2013, n. 1323)
La censura di eccesso di potere per disparità di trattamento a fronte di scelte discrezionali dell'Amministrazione è riscontrabile soltanto in caso di assoluta identità di situazioni di fatto e di conseguente assoluta irragionevole diversità del trattamento riservato, situazioni la cui prova rigoro ... Continua a leggere
La trattenuta da operare sugli stipendi in caso di sciopero del personale docente: l’Amministrazione non può sottrarre dallo stipendio la somma corrispondente ad un’intera giornata lavorativa, ma deve operare una decurtazione commisurata all’effettiva durata dell’astensione dal lavoro

La questione sottoposta all’esame del Consiglio di Stato concerne la trattenuta da operare sugli stipendi in caso di sciopero, per personale docente che, nel caso di specie, aveva esercitato tale diritto in occasione delle operazioni collegiali di scrutinio, per il rinnovo del contratto collettivo1985/1987. A tale riguardo, l’Amministrazione aveva provveduto a sottrarre dallo stipendio la somma corrispondente ad un’intera giornata lavorativa, anziché operare – come ritenuto corretto dai ricorrenti – una decurtazione commisurata all’effettiva durata dell’astensione dal lavoro. Con la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, sez. VIII, n. 10943 del 7 novembre 2007, il ricorso n. 5447 del 1987 veniva accolto, in considerazione di quanto previsto dall’art. 171 della legge n. 312/1980, secondo cui, per gli scioperi "di durata inferiore alla giornata lavorativa", le trattenute sono "limitate all’effettiva durata dell’astensione dal lavoro", salvi i casi in cui risultino ‘effetti superiori o più prolungati’, per lavoro basato sulla interdipendenza funzionale dei servizi e degli uffici. Nella situazione in esame quest’ultima fattispecie era ritenuta dal TAR non sussistente, tenuto conto delle lezioni regolarmente svoltesi al mattino e non essendo pregiudicata l’attività didattica dal rinvio degli scrutini ad una data diversa da quella stabilita. In sede di appello (n. 8151/08, notificato il 10 ottobre 2008), il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca rilevava l’erronea applicazione del citato art. 171 della legge n. 312/1980, in quanto lo sciopero di cui trattasi, impedendo l’effettuazione degli scrutini, avrebbe reso impossibile anche la prestazione del personale non scioperante; nel periodo interessato, inoltre, non sarebbe stata svolta al mattino alcuna attività di docenza, essendo già le lezioni sospese per la chiusura dell’anno scolastico, con conseguente effetto paralizzante dello sciopero effettuato sull’unica attività da svolgere per l’Istituto. In considerazione dei fatti emersi nel corso dei due gradi del giudizio, le argomentazioni interpretative dell’appellante, da ultimo sintetizzate, non sono condivise dal Collegio. L’Amministrazione ritiene infatti corretta la trattenuta corrispondente ad un’intera giornata lavorativa, per scioperi di durata inferiore al normale orario di servizio di un gruppo dei docenti, in base ad una duplice considerazione: per avere interessato detti scioperi le operazioni di scrutinio (che non potevano pertanto essere effettuate, con ritenuta applicabilità dell’art. 171, secondo comma, della legge n. 312/1980) e per avere rappresentato detti scrutini l’unica prestazione giornaliera richiesta, non essendovi lezioni al mattino nei giorni interessati. La norma sopra citata contiene infatti una deroga al principio generale – enunciato nel primo comma – secondo cui "per gli scioperi di durata inferiore ad una giornata lavorativa…le trattenute sulle retribuzioni "possono essere limitate all’effettiva durata dell’astensione dal lavoro"; quanto sopra, purché non si tratti di "lavoro basato sull’interdipendenza funzionale di settori, reparti, servizi e uffici, oppure riferito a turni o attività integrate", in rapporto ai quali lo sciopero – benché limitato ad alcune ore lavorative soltanto – può produrre "effetti superiori o più prolungati, rispetto a quelli derivanti dalla limitata interruzione del lavoro". Nella sentenza appellata si riconosce che l’astensione dalle operazioni di scrutinio può concretizzare i più ampi effetti negativi sull’organizzazione scolastica, che in astratto giustificano la non commisurazione della trattenuta alla materiale durata dell’astensione stessa (cfr. in tal senso Cons. St., sez. II, pareri nn. 799 del 19 ottobre 1994, 852 del 29 agosto 1990 e 158 del 14 novembre 1990). Correttamente tuttavia, ad avviso del Collegio, nella medesima sentenza si rileva che detta ultrattività – per uno sciopero incidente sulle venti ore mensili, previste dall’art. 88, comma 1, del d.P.R. 31.5.1974, n. 417, per attività connesse al funzionamento della scuola – non possa estendersi fino a vanificare l’attività regolarmente svolta negli stessi giorni, come quota percentuale delle 78 ore mensili di insegnamento, cui pure è commisurata la retribuzione (cfr. anche, in tal senso, Cons. St., sez. VI, n. 597/2003). Nella situazione in esame, i docenti interessati hanno aderito a scioperi, interamente gravanti sul "monte ore" previsto per attività, connesse al funzionamento della scuola, senza incidere – per quanto dai medesimi affermato – sullo svolgimento dell’attività didattica. Secondo tale rappresentazione, essendo la retribuzione dell’orario lavorativo globale "spalmata" sull’anno solare, scioperi come quelli di cui si discute avrebbero dovuto comportare trattenute commisurate alla retribuzione oraria, nei modi di cui al primo comma del citato art. 171 della legge n. 312/1980, con particolare riguardo a situazioni, in cui i medesimi docenti avessero effettuato parte delle prestazioni lavorative previste per il giorno di riferimento. Quest’ultima circostanza, come già in precedenza ricordato, è stata ritenuta insussistente dall’Amministrazione, che ha operato una rappresentazione dei fatti opposta rispetto a quella, illustrata dai ricorrenti in primo grado di giudizio e recepita nella sentenza appellata. La medesima circostanza di fatto, pertanto, sembra emergere per la prima volta in appello, senza essere suffragata da documentazione – che pure dovrebbe essere in possesso dell’Amministrazione stessa – circa la data di effettivo termine delle lezioni, per l’anno scolastico e per la zona di riferimento. In base alla documentazione presente nel fascicolo di causa, sembra desumibile che le giornate di sciopero di cui si discute abbiano interessato, in misura variabile per i singoli, la prima metà del mese di giugno 1987, ma in nessun modo viene chiarita la data di inizio degli esami di fine anno e delle vacanze estive. Nessun quadro esaustivo delle giornate di sciopero di cui trattasi, né dell’effettiva ricadenza delle stesse nel periodo successivo alla conclusione dell’anno scolastico, pertanto, risulta fornito dall’amministrazione appellante, che si è dichiarata non in grado di fornire ulteriori delucidazioni anche nell’udienza in data odierna. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 5.3.2013, n. 1302)
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Il difetto di giurisdizione è rilevato in primo grado anche d’ufficio mentre, in secondo grado, è rilevato solo se dedotto con specifico motivo avverso il capo della sentenza impugnata. L’eccezione, quindi, formulata con una memoria difensiva non notificata e non con l’atto d’appello, è inammissibile

Il Consiglio di Stato ha chiarito che: - ai sensi dell’art. 9 del codice del processo amministrativo, che ha recepito una regola già immanente nel sistema, quanto meno a far data dalla sentenza della Corte di Cassazione sez.un., 9 ottobre 2009, n. 24833, il difetto di giurisdizione è rilevato in primo grado anche d’ufficio mentre, in secondo grado, è rilevato solo se dedotto con specifico motivo avverso il capo della sentenza impugnata che, in modo esplicito o implicito (come nella specie), ha statuito sulla giurisdizione (Sez. VI, 23 aprile 2012, n. 2390); - questa regola opera immediatamente sui processi in corso, in quanto norma processuale, nella parte in cui esclude che il giudice di impugnazione possa rilevare il difetto di giurisdizione se non eccepito, mentre si applica all’attività processuale delle parti secondo il principio tempus regit actum; - per i giudizi d’appello pendenti alla data di entrata in vigore del codice del processo amministrativo, l’eccezione di difetto di giurisdizione, riproposta dalla parte con memoria, è perciò ammessa se era stata presentata prima della detta data, poiché in precedenza poteva essere riproposta in appello anche con semplice memoria, mentre, se prima non era stata in alcun modo riproposta, non può essere ammessa, poiché lo stesso principio tempus regit actum impedisce al giudice di appello di rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione (Sez. VI, 18 dicembre 2010, n. 8925; Sez. III, 13 marzo 2012, n. 1415); - la pronuncia dell’Adunanza plenaria n. 11 del 2011 (che si è occupata di una questione di giurisdizione ritualmente sollevata con l’atto d’appello) non può valere, inoltre, a scalfire la regola della perpetuatio iuridictionis di cui all’art. 5 c.p.c., per la quale sono rilevanti "solo i sopravvenuti mutamenti legislativi e non gli indirizzi della giurisprudenza, interpretativi delle norme sul giudice competente: diversamente, si vincolerebbe il giudice al precedente giurisprudenziale e si limiterebbe il diritto di difesa nel prospettare una diversa interpretazione" (VI, 8 marzo 2012, n. 1308). Ne consegue che nel caso di specie l’eccezione, formulata con una memoria difensiva non notificata e non con l’atto d’appello, è inammissibile. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 5.3.2013, n. 1295)
Il Consiglio di Stato ha chiarito che: - ai sensi dell’art. 9 del codice del processo amministrativo, che ha recepito una regola già immanente nel sistema, quanto meno a far data dalla sentenza della Corte di Cassazione sez.un., 9 ottobre 2009, n. 24833, il difetto di giurisdizione è rilevato in p ... Continua a leggere
Decide il giudice amministrativo sulle controversie aventi ad oggetto l'impugnazione di un provvedimento di esclusione dalla partecipazione ad una selezione (cd. progressione verticale) per il passaggio ad una fascia funzionale superiore

L'art. 63 comma 4, T.U. 30 marzo 2001 n. 165, nel riservare alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione di dipendenti della p.a., si riferisce non solo a quelle strumentali alla costituzione per la prima volta del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l'accesso di personale dipendente a fascia od area superiore, essendo il termine "assunzione" correlato alla qualifica che il candidato intende conseguire e non solo all'ingresso iniziale nella pianta organica dell'amministrazione. In conseguenza rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto l'impugnazione di un provvedimento di esclusione dalla partecipazione ad una selezione (cd. progressione verticale) per il passaggio ad una fascia funzionale superiore (Consiglio di Stato sez. V, n. 330 del 18 gennaio 2011). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 11.3.2013, n. 1449)
L'art. 63 comma 4, T.U. 30 marzo 2001 n. 165, nel riservare alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione di dipendenti della p.a., si riferisce non solo a quelle strumentali alla costituzione per la prima volta del rapporto di la ... Continua a leggere
Nel giudizio di ottemperanza possono trovare ingresso solo questioni che sono state oggetto di accertamento nel giudizio di cognizione

Il Consiglio di Stato, Ad. Plen., 15 gennaio 2013, n. 2, ha affermato che «l’esigenza di certezza, propria del giudicato, ossia di un assetto consolidato degli interessi coinvolti, non può proiettare l’effetto vincolante nei riguardi di tutte le situazioni sopravvenute di riedizione di un potere, ove questo, pur prendendo atto della decisione del giudice, coinvolga situazioni nuove e non contemplate in precedenza». La definizione del giudizio di ottemperanza quale giudizio misto di cognizione ed esecuzione, richiamata dagli appellanti, non significa, pertanto, che in esso possono entrare questioni non oggetto di accertamento giudiziale. Tale qualificazione implica che il giudice dell’ottemperanza deve, tra l’altro, valutare quale valenza possano avere le eventuali sopravvenienze sul diritto, ricomprendendo in esse anche quelle contenute nei contratti collettivi. In quest’ottica, le sopravvenienze – quando riguardano ‘spazi vuoti’ o criteri di quantificazione che non sono stati oggetto di precedenti statuizioni - rilevano nel senso che di esse occorre tenere conto al fine di accertare come le stesse possano avere inciso sull’accertamento giurisdizionale già svolto e non anche nel senso che esse possono essere richiamate per ottenere il riconoscimento di pretese che esulano dal perimetro del giudicato. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 8.3.2013, n. 1412)
Il Consiglio di Stato, Ad. Plen., 15 gennaio 2013, n. 2, ha affermato che «l’esigenza di certezza, propria del giudicato, ossia di un assetto consolidato degli interessi coinvolti, non può proiettare l’effetto vincolante nei riguardi di tutte le situazioni sopravvenute di riedizione di un potere, o ... Continua a leggere
Decide il giudice ordinario sulla controversia promossa da un privato nei confronti di una Asl per ottenere il rimborso delle spese terapeutiche sostenute presso una struttura privata, senza la preventiva autorizzazione, per prestazioni sanitarie di alta specialità che offrano anche solo l'opportunità di migliorare le proprie condizioni di integrità psico-fisica

Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha tenuto conto dell’orientamento consolidato della Corte regolatrice (cfr. Cass. SS.UU., 27 febbraio 2012, n. 2923; 6 febbraio 2009, n. 2867; 26 maggio 2004, n. 10180; 3 marzo 2003, n. 3145) secondo il quale la controversia promossa da un privato nei confronti di una Asl per ottenere il rimborso delle spese terapeutiche sostenute presso una struttura privata, senza la preventiva autorizzazione, per prestazioni sanitarie di alta specialità che offrano anche solo l'opportunità di migliorare le proprie condizioni di integrità psico-fisica e, quindi, di vita, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto ha ad oggetto la tutela di un diritto primario e fondamentale della persona ossia il diritto alla salute per sua natura incomprimibile e non suscettibile di affievolimento. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 4.3.2013, n. 1285)
Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha tenuto conto dell’orientamento consolidato della Corte regolatrice (cfr. Cass. SS.UU., 27 febbraio 2012, n. 2923; 6 febbraio 2009, n. 2867; 26 maggio 2004, n. 10180; 3 marzo 2003, n. 3145) secondo il quale la controversia promossa da un privato nei c ... Continua a leggere
La retribuzione delle prestazioni in plus orario dei dipendenti delle unità sanitarie locali è subordinata alla copertura finanziaria dell'apposito fondo e, pertanto, in caso di insufficienza delle risorse finanziarie disponibili, rimane del tutto irrilevante la pur intervenuta previa autorizzazione

La giurisprudenza del Consiglio di Stato (v. tra le più recenti, Cons. St. sez. V n. 1259/2009 e 3807/2010, sez. III, n. 2565/2012 e 3868/2012) è ormai consolidata nell'affermare che la retribuzione delle prestazioni in plus orario dei dipendenti delle unità sanitarie locali è subordinata alla necessaria copertura finanziaria dell'apposito fondo e che, pertanto, in caso di insufficienza delle risorse finanziarie disponibili, rimane del tutto irrilevante la pur intervenuta previa autorizzazione delle ore in plus orario da parte della amministrazione; le prestazioni eventualmente effettuate in eccedenza vanno, semmai, retribuite non già alla stregua del compenso incentivante, ma come ore di lavoro straordinario od altro titolo ove, beninteso, ne ricorrano le condizioni valutate dalla amministrazione. Poiché la copertura finanziaria costituisce un limite vincolante per la remunerazione delle prestazioni lavorative in plus orario, e poiché c’è bisogno, prima della liquidazione, che sia svolta una complessa ed articolata procedura che prevede una fase di preventivo controllo sulla effettiva maggiore produttività e una verifica sulla compatibilità finanziaria delle prestazioni effettuate; la posizione soggettiva degli interessati deve ritenersi di interesse legittimo e non di diritto soggettivo, per l'evidente presenza di poteri valutativi dell'Amministrazione. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 4.3.2013, n. 1286)
La giurisprudenza del Consiglio di Stato (v. tra le più recenti, Cons. St. sez. V n. 1259/2009 e 3807/2010, sez. III, n. 2565/2012 e 3868/2012) è ormai consolidata nell'affermare che la retribuzione delle prestazioni in plus orario dei dipendenti delle unità sanitarie locali è subordinata alla nece ... Continua a leggere
L’adozione da parte della P.A., nel corso del giudizio, di atti interamente sostitutivi di quelli inizialmente oggetto di impugnativa e satisfattivi della pretesa determinano l’improcedibilità del ricorso per cessazione della materia del contendere

Per consolidato principio giurisprudenziale l’adozione da parte dell’amministrazione, nel corso del giudizio, di atti interamente sostitutivi di quelli inizialmente oggetto di impugnativa e allo stesso tempo integralmente satisfattivi della pretesa dell’interessato determinano l’improcedibilità delricorso per cessazione della materia del contendere (sul punto, ex plurimis: Cons. Stato, V, 12 dicembre 2009,n. 7800). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 4.3.2013, n. 1262)
Per consolidato principio giurisprudenziale l’adozione da parte dell’amministrazione, nel corso del giudizio, di atti interamente sostitutivi di quelli inizialmente oggetto di impugnativa e allo stesso tempo integralmente satisfattivi della pretesa dell’interessato determinano l’improcedibilità del ... Continua a leggere
Arruolamento nella Polizia di Stato: la valutazione effettuata dall’amministrazione in ordine alla idoneità del candidato non può essere contraddetta da certificazioni di parte, in quanto le commissioni mediche sono gli unici organi abilitati a compiere tali accertamenti

L’arruolamento nella Polizia di Stato richiede una particolare attitudine psicologica, ragionevolmente esigibile in relazione alle caratteristiche dell’impiego operativo da espletare, che può essere impedita anche da alterazioni di carattere non patologico. Il mero contrasto del giudizio espressodalla Commissione esaminatrice con la valutazione fornita da altri esperti del settore, laddove non evidenzi un vizio logico o un errore scientifico nel procedimento seguito dalla prima, non costituisce un elemento che, isolatamente considerato, possa dimostrare un cattivo esercizio del potere nella valutazione di fatti o situazioni complesse, costituendo l’opinabilità delle regole seguite dalla p.a., in questa materia, il contenuto peculiare della discrezionalità tecnica. Quando la commissione formula un giudizio circa l’idoneità psicologica del candidato rispetto alle funzioni alle quali aspira, infatti, essa ricorre all’applicazione di regole e/o leggi scientifiche che, pur presentando un margine di opinabilità, si sottraggono al sindacato giurisdizionale se applicate, come nel caso di specie, alla stregua della miglior scienza ed esperienza nel settore di interesse, con un procedimento valutativo scevro da vizi logici e da travisamenti dei fatti. È un principio consolidato nella giurisprudenza di questo Consiglio, infatti, che l’accertamento dei requisiti psico-attitudinali necessari ai fini del reclutamento nella Polizia di Stato costituisce tipica manifestazione di discrezionalità tecnica, con la conseguenza che esso sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non sia inficiato da un macroscopico travisamento dei fatti assunti ad oggetto di valutazione o per illogicità di quest’ultima e incongruenza delle relative conclusioni, fermo restando che, sotto il profilo della motivazione, la discrezionalità tecnica deve essere esercitata in modo che gli interessati possano comprendere in base a quali elementi siano state operate le valutazioni e le scelte. La valutazione effettuata dall’amministrazione in ordine alla idoneità del candidato non può essere contraddetta da certificazioni di parte, in quanto le commissioni mediche sono gli unici organi abilitati a compiere tali accertamenti. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 5.3.2013, n. 1326)
L’arruolamento nella Polizia di Stato richiede una particolare attitudine psicologica, ragionevolmente esigibile in relazione alle caratteristiche dell’impiego operativo da espletare, che può essere impedita anche da alterazioni di carattere non patologico. Il mero contrasto del giudizio espresso ... Continua a leggere
Assistenza dei familiari con disabilità: la novella dell’art. 24 della L. 183/2010 e' applicabile a tutto il personale dipendente, senza eccezioni pertanto sino a quando la disciplina attuativa sancita dall’art. 19 non interverrà a dettare disposizioni speciali e derogatorie, la disciplina comune in materia di assistenza ai familiari disabili potrà trovare applicazione anche per il personale delle Forze Armate, di Polizia e dei Vigili del Fuoco

Il Consiglio di Stato ha già avuto modo di rilevare (cfr., ad es., la sentenza n. 4047 dd. 9 luglio 2012) che l’art. 24 della L. 183 del 2010 ha sostituito il comma 3 (permessi mensili retribuiti) ed il comma 5 (scelta della sede) dell’art. 33 della L. 104 del 1992 eliminando i previgenti requisitidella c.d. "continuità" e dell’ "esclusività" nell’assistenza quali necessari presupposti per la concessione del beneficio del trasferimento nella sede di servizio compatibile con la prestazione dell’assistenza medesima. Non va invero sottaciuto che l’art. 19 della stessa L. 183 del 2010, recante come rubrica "Specificità delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco", ha anche disposto che: "...1. Ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica, pensionistica e previdenziale, è riconosciuta la specificità del ruolo delle Forze Armate, delle Forze di polizia e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell’ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti. 2. La disciplina attuativa dei princìpi e degli indirizzi di cui al comma 1 è definita con successivi provvedimenti legislativi, con i quali si provvede altresì a stanziare le occorrenti risorse finanziarie". Secondo una pregressa esegesi fornita dalla Sezione e che pone l’accento sull’ampia accezione dei "contenuti del rapporto di impiego" ivi richiamati, sulla "peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali" che interessano il personale delle Forze Armate e di Polizia in ragione dei propri peculiari compiti istituzionali, la successiva disciplina attuativa costituisce un passaggio necessario, in mancanza del quale le disposizioni di dettaglio dettate per la generalità dei dipendenti non possono trovare immediata applicazione. L’assunto, seppur fondato su considerazioni stimolate dalla particolare tecnica legislativa che nel riconoscere la "specialità" sembra introdurre motivi di deroga all’ordinario regime nel frattempo innovato per gli altri dipendenti, merita peraltro di essere parzialmente riconsiderato per diversi ordini di ragioni, primo dei quali è senza dubbio il carattere programmatico della disciplina testè riportata. Nella sua prima parte la disciplina medesima reca infatti principi ed indirizzi, enucleabili, quanto ai principi, nella specificità delle Forze Armate, di Polizia e dei Vigili del Fuoco nel quadro della generale disciplina del rapporto di impiego (in tutti i suoi aspetti: ordinamentale, economico, previdenziale etc.); quanto agli indirizzi, nell’esigenza di dare rilievo ai peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti, ed ai correlati impieghi in attività usuranti. Nella sua seconda parte la disciplina stessa demanda ad altra e successiva fonte, di pari grado, l’attuazione ai principi ora riferiti. Tale formulazione delle disposizioni normative in esame non è in generale idonea a giustificare l’inoperatività relativa della fonte nel cui contesto la norma è inserita, non foss’altro perché essa non contiene nessuna disposizione ad esplicito e specifico carattere inibitorio, presentandosi piuttosto all’interprete come un autonomo articolato, fondante in nuce le basi del futuro assetto di una organica e speciale disciplina del rapporto di impiego delle Forze Armate, di Polizia e dei Vigili del Fuoco. Né la disciplina in esame può essere considerata quale implicita disposizione transitoria che mantiene inalterata, nei confronti delle Forze Armate, tutta la disciplina previgente - ivi dunque compresi i benefici della L.104 del 1992 - in attesa di una valutazione di adeguatezza da parte del legislatore "speciale" e ciò in considerazione della dirimente circostanza per la quale, anche a prescindere da quanto ora chiarito circa la natura palesemente programmatica della disciplina in esame, l’ultravigenza di disposizioni normative espressamente sostituite nella disciplina generale dell’istituto necessita comunque di una chiara indicazione legislativa che ne proroghi temporalmente o soggettivamente l’efficacia, e ciò in deroga al principio per il quale la sostituzione presuppone in via generale una implicita abrogazione della norma sostituita. Anche a prescindere pertanto – da tali considerazioni di fondo, in ogni caso si ricava dalla lettura della disciplina testè riportata che la norma speciale a preteso effetto "inibitorio" non fa specifico riferimento alle agevolazioni finalizzate all’assistenza dei familiari con disabilità grave: e ciò con riguardo alla collocazione – per così dire – "topografica" della norma medesima nell’ambito della fonte: essa è infatti dettata dal legislatore a coronamento di una serie di norme che hanno ad oggetto esclusivamente il rapporto di lavoro (lavori usuranti, lavoro sommerso, orario di lavoro, mobilità, part time etc.), ma è comunque collocata prima dell’art. 24 che segnatamente interviene a modificare la disciplina dettata dalla legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, con ciò lasciando intendere che la materia è oggetto di considerazione autonoma e trasversale che attiene a problematiche di carattere sociale più ampio. L’insieme di tali notazioni testuali e sistematiche inducono conclusivamente a considerare la novella dell’art. 24 applicabile a tutto il personale dipendente, senza eccezioni, con la conseguenza che sino a quando la disciplina attuativa richiamata dall’art. 19 non interverrà e non detterà disposizioni speciali e derogatorie, la disciplina comune in materia di assistenza ai familiari disabili potrà trovare applicazione anche per il personale delle Forze Armate, di Polizia e dei Vigili del Fuoco. Ciò – beninteso - non significa che l’art. 19 sia un mero "manifesto" privo di valenza normativa, ove si consideri che, come innanzi chiarito, esso detta chiaramente un principio di specialità che vincola l’interprete e ne spiega le ragioni che lo ispirano, sì da porsi quale guida esegetica nell’applicazione di questioni dubbie o nella risoluzione di conflitti fra norme. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 5.3.2013, n. 1347)
Il Consiglio di Stato ha già avuto modo di rilevare (cfr., ad es., la sentenza n. 4047 dd. 9 luglio 2012) che l’art. 24 della L. 183 del 2010 ha sostituito il comma 3 (permessi mensili retribuiti) ed il comma 5 (scelta della sede) dell’art. 33 della L. 104 del 1992 eliminando i previgenti requisiti ... Continua a leggere
Personale del comparto sanità: spetta la retribuzione delle mansioni superiori svolte, in presenza della triplice e contestuale condizione inerente: 1) all'esistenza in organico di un posto vacante cui ricondurre le mansioni di più elevato livello; 2) alla previa adozione di un atto deliberativo di assegnazione delle mansioni superiori da parte dell'organo a ciò competente; 3) all'espletamento delle suddette mansioni per un periodo eccedente i sessanta giorni nell'anno solare

La giurisprudenza ha da tempo chiarito che al personale del comparto della sanità - in deroga al generale principio dell'irrilevanza ai fini giuridici ed economici dello svolgimento delle mansioni superiori nel settore del pubblico impiego – spetta la retribuzione delle stesse, in presenza della triplice e contestuale condizione inerente: all'esistenza in organico di un posto vacante cui ricondurre le mansioni di più elevato livello; alla previa adozione di un atto deliberativo di assegnazione delle mansioni superiori da parte dell'organo a ciò competente (potendosene prescindere solo nel caso di sostituzione nell'esercizio delle funzioni primariali); all'espletamento delle suddette mansioni per un periodo eccedente i sessanta giorni nell'anno solare (cfr. ex multis Cons. Stato, III, 21 giugno 2012, n. 3661; 20 giugno 2012, n. 3581; 13 marzo 2012, n. 768; V, 15 febbraio 2010, n. 814; VI, 16 dicembre 2011, n. 9016). Precisando, altresì, che l’obbligo della retribuzione delle mansioni superiori non incontra il limite dei sei mesi previsto dall'art. 121, comma 7, del d.P.R. 384/1990, posto che detta disposizione si limita a vietarne il rinnovo alla scadenza del periodo massimo, ma non preclude il riconoscimento della spettanza delle differenze retributive quando l'Amministrazione, contravvenendo a tale divieto, rinnovi l'incarico o permetta la prosecuzione dell'espletamento delle mansioni superiori anche oltre il tempo massimo previsto, salva la responsabilità anche erariale dell'Amministrazione stessa (cfr. ex multis: Cons. Stato, III, 20 settembre 2012, n. 5000, 31 marzo 2012, n. 1918 e 8 febbraio 2012, n. 674; V, 4 marzo 2011, n. 1406 e 20 maggio 2010, n. 3192) o quando non venga attivato dall'Amministrazione il procedimento concorsuale in vista del quale l'incarico stesso è stato conferito (Cons. Stato, III, 2 luglio 2012, n. 3837, nonché V, n. 5650/2000 e n. 1270/1998, ivi citt.). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 5.3.2013, n. 1340)
La giurisprudenza ha da tempo chiarito che al personale del comparto della sanità - in deroga al generale principio dell'irrilevanza ai fini giuridici ed economici dello svolgimento delle mansioni superiori nel settore del pubblico impiego – spetta la retribuzione delle stesse, in presenza della tr ... Continua a leggere
Elezioni nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti: per individuare la soglia di sbarramento del 3% di cui al comma 7 dell’art. 73 D.lgs n. 267/2000 devono intendersi per "voti validi", tutti i voti validi espressi per l’elezione a sindaco e non solo quelli ottenuti delle liste

La questione sottoposta all’esame del Consiglio di Stato concerne la esatta interpretazione ed applicazione del comma 7 dell’art. 73 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, che, disciplinando l’elezione del consiglio comunale nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti stabilisce testualmente "Non sono ammesse all’assegnazione dei seggi quelle liste che abbiano ottenute al primo turno meno del 3% dei voti validi e che non appartengano a nessun gruppo di liste che abbia superato tale soglia". In particolare, secondo la tesi dell’appellante, i "voti validi", in relazione ai quali deve calcolarsi la soglia del 3%, ai fini dell’ammissione delle liste all’assegnazione dei seggi, sarebbero soltanto quelli ottenuti dalle liste in competizione (voti validi di lista) e non già tutti quelli espressi per l’elezione del sindaco, come erroneamente ritenuto dall’ufficio elettorale, risultando altrimenti stravolta la logica stessa del voto disgiunto, che caratterizza in modo peculiare il sistema di elezione del consiglio comunale nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, ammettendo l’espressione da parte dell’elettore, su di un’unica scheda, di due voti, non necessariamente coerenti (per il candidato sindaco e per una lista ad esso collegata); sempre secondo l’appellante, infatti, dovrebbe distinguersi tra scheda valida (quella che contiene almeno un voto valido) e voti validi di lista, solo questi ultimi utilizzabili per l’assegnazione dei seggi, tanto più che, diversamente opinando (cioè aderendo alle conclusioni cui sono pervenuti i primi giudici), nel caso di voto espresso solo per un candidato sindaco, ma per una lista ad esso non collegata, la volontà dell’elettore sarebbe macroscopicamente disattesa, perché il suo voto sarebbe comunque conteggiato tra i voti di lista e sarebbe considerato ai fini della distribuzione dei seggi. La Sezione ha osservato che tale tesi non trova alcun fondamento normativo ed anzi è smentita dal tenore letterale e dalla ratio delle disposizioni che regolano la fattispecie in esame. Al riguardo occorre evidenziare che, sebbene effettivamente, quanto ai comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267) disciplini separatamente l’elezione del sindaco (art. 72) da quella del consiglio comunale (art. 73), è anche vero che il terzo comma dell’art. 72 dispone testualmente che "ciascun elettore può, con un unico voto, votare per un candidato alla carica di sindaco e per una delle liste ad esso collegate, tracciando un segno sul contrassegno di una di tali liste", aggiungendo immediatamente dopo che "ciascun elettore può altresì votare per un candidato alla carica di sindaco, anche non collegato alla lista prescelta, tracciando un segno sul relativo rettangolo" e che il terzo comma dell’art. 73 altrettanto puntualmente stabilisce che "il voto alla lista viene espresso, ai sensi del comma 3, dell’art. 72, tracciando un segno sul contrassegno della lista prescelta". In effetti la necessità di disciplinare separatamente l’elezione del sindaco da quella del consiglio comunale nei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti risiede nelle evidenti peculiarità dei relativi procedimenti, ma a ciò non consegue che l’elezione del sindaco e quella del consiglio comunale diano luogo a due diversi e separati "momenti elettorali": esse, al contrario, traggono origine da un "unico fatto", cioè dall’esercizio del diritto di voto da parte dell’elettore, che avviene nella stessa unità di tempo e di luogo e che è "unico" (art. 72, comma 3; art. 73, comma 3), ancorché possa concretamente esplicitarsi in due particolari manifestazioni di "voto congiunto" e di "voto disgiunto". Dal tenore letterale delle ricordate disposizioni e dalla unicità del voto, pur essa normativamente sottolineata, emerge, al di là di ogni ragionevole dubbio, che è stato lo stesso legislatore che, nel prevedere la possibilità del voto disgiunto (art. 72, comma 3) e nel precisare (art. 73, comma 3) le modalità di espressione del "voto di lista", ai sensi dell’art. 72, a far coincidere i "voti validi", tutti quelli espressi per l’elezione del sindaco, con quelli cui fa riferimento il settimo comma dell’articolo 73 per la determinazione della soglia del 3% per l’ammissione delle liste all’assegnazione dei seggi: ciò in definitiva è la logica e necessaria conseguenza dell’unicità del voto e dell’unicità della modalità di esercizio del diritto di voto da parte dell’elettore. Sotto altro concorrente profilo aggiunge il Collegio che non può sottacersi che, anche a voler prescindere dalla considerazioni svolte in ordine alla rilevanza del tenore letterale delle disposizioni normative in questione, la necessità di intendere per "voti validi", in relazione ai quali individuare la soglia di sbarramento del 3% di cui al comma 7 dell’art. 73, tutti i voti validi espressi per l’elezione a sindaco (e non solo quelli ottenuti delle liste) è del tutto coerente con l’esigenza di evitare la frammentazione della rappresentanza politica all’interno dei singoli consigli comunali, favorendo la governabilità degli enti stessi, atteggiandosi pertanto come strumento di concreta attuazione del principio maggioritario cui è ispirato il sistema elettorale delineato nel testo unico degli enti locali. Considerare infatti rilevanti ai fini dell’individuazione della soglia di sbarramento in questione i soli voti riportati dalle singole liste (indipendentemente dall’obiettiva problematicità della sua corretta determinazione e dalla macroscopica contraddittorietà che gli effetti di una simile operazione sul relativo tessuto normativo, in cui, come si è avuto modo di accennare, per le liste si fa riferimento, ex art. 73, comma 5, alla cifra elettorale), abbassando evidentemente l’entità dei voti di cui tener conto, favorirebbe proprio la frammentazione della rappresentanza politica fra le singole liste in competizione, incidenza sulla forza e sul valore dell’elezione (diretta) del sindaco e menomando la stessa governabilità dell’ente, valori invece prevalenti secondo il legislatore. Ciò senza contare che la ricostruzione fornita dall’appellante dimentica, come opportunamente sottolineato dalla difesa dell’amministrazione comunale, che a ciascun candidato sindaco non eletto spetta un seggio di consigliere comunale (a condizione che la lista o il gruppo di liste a lui collegate abbiano ottenuto almeno un seggio, C.d.S., 17 aprile 2002, n. 2009; 4 maggio 2001, n. 2519), il che conferma ulteriormente l’intimo collegamento che sussiste tra l’elezione del sindaco e quella del consiglio comunale, fondato proprio sull’unicità del voto. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 6.3.2016, n. 1360)
La questione sottoposta all’esame del Consiglio di Stato concerne la esatta interpretazione ed applicazione del comma 7 dell’art. 73 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, che, disciplinando l’elezione del consiglio comunale nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti stabilisce testualment ... Continua a leggere
Elezioni Comunali, no ai simboli fascisti. Il Consiglio di Stato conferma la legittimità dell'esclusione della lista che presenta il "fascio" come simbolo del movimento, "Fascismo e Libertà" la dizione letterale e il richiamo ideologico al disciolto partito fascista

Il diritto di associarsi in un partito politico, sancito dall’art. 49 Cost., e quello di accesso alle cariche elettive, ex art. 51 Cost., trovano un limite nel divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista imposto dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Detto precetto costituzionale, fissando un’impossibilità giuridica assoluta e incondizionata, impedisce che un movimento politico formatosi e operante in violazione di tale divieto possa in qualsiasi forma partecipare alla vita politica e condizionarne le libere e democratiche dinamiche. Va soggiunto che l’attuazione di tale precetto, sul piano letterale come sul versante teleologico, non può essere limitata alla repressione penale delle condotte finalizzate alla ricostituzione di un’associazione vietata ma deve essere estesa ad ogni atto o fatto che possa favorire la riorganizzazione del partito fascista. Tale essendo il quadro costituzionale entro il quale si iscrive la disciplina che regola il procedimento elettorale e che fissa i poteri delle commissioni elettorale, si deve ritenere che gli articoli 30 e 33 del d.P.R. n. 570/1960 fissino i casi di esclusione e di correzione dei contrassegni e delle liste elettorali presupponendo implicitamente la legittimazione costituzionale del movimento o partito politico alla stregua della XIII disposizione di attuazione e transitoria della Costituzione. In altri termini la normativa in parola, nello stabilire i casi di ricusazione dei contrassegni e delle liste, si riferisce a situazioni in astratto assentibili sul piano della superiore normativa costituzionale senza fungere da garanzia per situazioni già vietate, in via preliminare e preventiva, dall’ordinamento costituzionale. L’impossibilità che il movimento o l’associazione a cui si riferisce il simbolo o la lista partecipi alla vita politica postula quindi, in via implicita ma necessaria, il potere della Commissione di ricusare la lista o i simboli attraverso i quali si persegue il fine originariamente vietato dall’ordinamento giuridico. In conformità questo Consiglio di Stato, con parere della sez. I, 23 febbraio 1984, n. 173/94, ha sottolineato l’impossibilità che un raggruppamento politico partecipi alla competizione elettorale sotto un contrassegno che si richiama esplicitamente al partito fascista bandito irrevocabilmente dalla Costituzione. La disciplina recata dagli artt. 30 e seguenti del d.P.R. 16 maggio 1970, n. 570 va quindi letta e integrata alla luce della disciplina costituzionale che, dettando un requisito originario per la partecipazione alla vita politica, fonda il potere implicito della Commissione di ricusare le liste che si pongano in contrasto con detto precetto. Tanto premesso si deve concludere per la legittimità del provvedimento impugnato con cui la Commissione elettorale, facendo uso di un potere attribuito dal sistema normativo, ha disposto l’esclusione della lista sulla scorta di un’adeguata motivazione in merito al contrasto con la disciplina costituzionale, in ragione del simbolo del movimento (il fascio), della dizione letterale (acronimo di Fascismo e Libertà) e del richiamo ideologico al disciolto partito fascista. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 6.3.2013, n. 1354)
Il diritto di associarsi in un partito politico, sancito dall’art. 49 Cost., e quello di accesso alle cariche elettive, ex art. 51 Cost., trovano un limite nel divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista imposto dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Detto pr ... Continua a leggere