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lunedì 20 maggio 2013 19:45

Il giudizio di ottemperanza deve trovare puntuale riscontro nel dictum in precedenza emesso e del quale si chiede l’esecuzione, non potendosi discostare dalla portata e dai limiti delle statuizioni recate in sentenza

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Il giudizio di ottemperanza è un momento processuale particolarmente importante nel sistema giurisdizionale amministrativo giacchè, in quanto diretto ad ottenere l’esecuzione del dictum rimasto ineseguito si pone come fondamentale strumento processuale con cui assicurare l’effettività della tutela del privato. Questi, com’è noto, dà inizio al giudizio di legittimità con l’intento specifico di ottenere il risultato dell’attribuzione della concreta utilitas sottesa al chiesto annullamento del provvedimento ( in primis, Cass. SS. UU. 22 luglio 1999 n.500) Può accadere allora che le sole statuizioni demolitorie del giudicato non siano sufficienti a garantire all’interessato l’attribuzione del bene della vita dallo stesso rivendicato e dall’Amministrazione illegittimamente negato o compresso: è a questo punto che ove sia stata dichiarata con sentenza passata in giudicato la illegittimità dell’agire amministrativo, il giudice dell’ottemperanza ha cura di accertare l’eventuale avvenuto inadempimento e di valutare la consistenza della dedotta inerzia, nonché dettare le regole per la puntuale esecuzione delle statuizioni rese nella sentenza passata in giudicato eventualmente anche con la nomina di un commissario ad acta. Viene necessariamente in rilievo il rapporto tra giudizio di cognizione e giudizio di ottemperanza e in relazione a tale problematica si riconosce in sede di ottemperanza, al di là delle definizioni di giudicato a formazione successiva (cfr Cons. Stato Sez. V 6 aprile 2009 n.2143) o di giudizio di ottemperanza come prosecuzione del giudizio di cognizione, la sussistenza di momenti più o meno ampi di cognizione, vertenti, in particolare, sull’inadempimento della Pubblica Amministrazione, il tutto accanto a fasi del potere giurisdizionale volte a dare (mera) esecuzione alle statuizioni di merito. Quanto ai primi aspetti si pensi all’ampio spazio dell’attività cognitoria riconosciuta al giudice dell’ottemperanza in materia di riconoscimento e determinazione del risarcimento del danno sin dalla legge n.205 del 2000, per non parlare dei poteri cognitori e di merito ancor più fortemente sottolineati, in tema di pagamento di somme di denaro, "anche a titolo di risarcimento del danno" di cui alle previsioni recate dall’art. 34 ( in ispecie, commi 1 e 4 ) del codice del processo amministrativo. Nondimeno - ed è questa la regola iuris di importanza fondamentale che regge la fattispecie all’esame - la struttura portante del giudizio di ottemperanza come già configurata dall’art.37 della legge n.1034 del 1071 e "conservata", con le opportune integrazioni, dalle previsioni normative recate dagli artt.112-115 c.p.a. è e rimane quella di rimedio giurisdizionale in qualche modo servente il giudizio di cognizione e cioè di esecuzione di una sentenza passata in giudicato. Ciò significa che il giudizio di ottemperanza deve trovare puntuale riscontro nel dictum in precedenza emesso e del quale si chiede l’esecuzione, non potendosi discostare dalla portata e dai limiti delle statuizioni recate in sentenza. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 9.5.2013, n. 2531)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:45

Il giudizio di ottemperanza: differenza tra violazione e elusione del giudicato da parte della P.A.

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La giurisprudenza ha sottolineato che nel giudizio di ottemperanza può essere dedotta come contrastante con il giudicato non solo l’inerzia della pubblica amministrazione cioè il non facere (inottemperanza in senso stretto), ma anche un facere, cioè un comportamento attivo, attraverso cui si realizzi un’ottemperanza parziale o inesatta ovvero ancora la violazione o l’elusione attiva del giudicato (C.d.S., sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6501). Il nuovo atto emanato dall’amministrazione, dopo l’annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento illegittimo, può essere considerato adottato in violazione o elusione del giudicato solo quando da quest’ultimo derivi un obbligo assolutamente puntuale e vincolato, così che il suo contenuto sia integralmente desumibile nei suoi tratti essenziali dalla sentenza (C.d.S., sez. VI, 3 maggio 2011, n. 2602; sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 70; 4 ottobre 2007, n. 5188), con la conseguenza che la verifica della sussistenza del vizio di violazione o elusione del giudicato implica il riscontro della difformità specifica dall’atto stesso rispetto all’obbligo processuale di attenersi esattamente all’accertamento contenuto nella sentenza da eseguire (C.d.S., sez. IV, 21 maggio 2010, n. 3233; sez. VI, 7 giugno 2011, n. 3415; 5 dicembre 2005, n. 6963). La violazione del giudicato è pertanto configurabile quando il nuovo atto riproduca gli stessi vizi già censurati in sede giurisdizionale ovvero quando si ponga in contrasto con precise e puntuali prescrizioni provenienti dalla statuizione del giudice, mentre si ha elusione del giudicato allorquando l’amministrazione, pur provvedendo formalmente a dare esecuzione alle statuizioni della sentenza, persegue l’obiettivo di aggirarle dal punto di vista sostanziale, giungendo surrettiziamente allo stesso esito già ritenuto illegittimo (C.d.S., sez. IV, 1° aprile 2011, n. 2070, 4 marzo 2011, n. 1415; 31 dicembre 2009, n. 9296). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 2.5.2013, n. 2400)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:45

La comunicazione di preavviso di diniego ex art. 10 bis Legge n. 241/90 e' assoggettata alle stesse regole valevoli per la comunicazione di avvio del procedimento

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Nel giudizio in esame e' stata, tra l'altro, dedotta violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241/1990 per avere il Comune respinto un’istanza della ricorrente senza preavviso delle ragioni di diniego. Il Consiglio di Stato ha ritenuto incondivisibile tale censura, atteso che la comunicazione va considerata quale provvedimento conclusivo di un procedimento ad istanza di parte ma la comunicazione di preavviso di diniego nei procedimenti di tal guisa deve ritenersi assoggettata alle stesse regole valevoli per la comunicazione di avvio del procedimento, con conseguente superamento del vizio formale in questione nelle ipotesi, come quella di specie, in cui la comunicazione di avvio del procedimento non è necessaria. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 2.5.2013, n. 2402)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:45

Mansioni superiori dei dipendenti pubblici inquadrati nell’Area medica del comparto Sanità: lo svolgimento di mansioni superiori da parte dell’aiuto ospedaliero, oltre il limite dei 60 giorni per anno solare, comporta l’attribuzione a suo favore del trattamento economico corrispondente all’attività effettivamente svolta, detratti 60 giorni per ogni anno solare

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Il Consiglio di Stato rinviando alla sentenza Corte Costituzionale n. 296/1990 ed alla Adunanza Plenaria n. 2/1991 per la ricostruzione del quadro normativo di riferimento dell’epoca, ha affermato che non ha motivi per discostarsi dal consolidato (anche se non monolitico) orientamento espresso dal Consiglio (anche di recente) in materia di mansioni superiori dei dipendenti pubblici inquadrati nell’Area medica del comparto Sanità: pertanto, visto l’art.29 DPR n. 761/1979 e l’art. 7 dpr. 128/1969, ha diritto alle differenze retributive l’aiuto che – in osservanza di urgenti e inderogabili esigenze del servizio sanitario- svolge le funzioni del primario su posto vacante per un periodo superiore ai 60 giorni per anno solare (vedi ex multis C.d.S. n.248/2012 e n.1406/2011). Inoltre, la giurisprudenza di segno opposto richiamata nell’appello si riferisce in gran parte alla nuova disciplina introdotta dal d.lgs. n. 29/1993 e relativa alle mansioni superiori in comparti del pubblico impiego diversi da quello della Sanità e del personale medico; in particolare, quanto alla pretesa necessità del conferimento formale dell’incarico per le funzioni superiori, neanche i precedenti di questa Sezione del 2011 citati nella memoria ULSS (febbraio 2012) risultano pertinenti, poiché non riguardano personale medico oppure sono motivati con riferimento alla contestazione in fatto dell’effettivo esercizio delle mansioni superiori da parte del medico aspirante alle differenze stipendiali......Quanto, poi, alla mancanza dell’atto formale di conferimento dell’incarico primariale, la giurisprudenza consolidata ha affermato che il carattere inderogabile ed urgente di tali funzioni, nonché lo speculare obbligo di sostituzione del primario ai fini dell’ordinato andamento del Servizio sanitario, giustificano anche l’esercizio in via di fatto delle mansioni superiori da parte dell’aiuto corresponsabile (vedi ex multis anche C d S n. 4521/2010 e n. 4235/2010). Come ha rilevato la Corte Costituzionale con sentenza n. 296/1990, lo svolgimento di mansioni superiori da parte dell’aiuto ospedaliero, oltre il limite dei 60 giorni per anno solare, comporta l’attribuzione a suo favore del trattamento economico corrispondente all’attività effettivamente svolta in diretta applicazione dell’art. 36 Cost. ne e dell’art. 2126 c.c. Pertanto correttamente il TAR ha riconosciuto a favore del ricorrente le differenze stipendiali, detratti 60 giorni per ogni anno solare, per il periodo indicato. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 3.5.2013, n. 2403)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:45

Commissione di concorso: il giudice deve valutare la coerenza logica del giudizio operato dalla Commissione, ma non può sostituire o giustapporre alla valutazione della Commissione un proprio, differente giudizio

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Nel giudizio in esame il Ministero della Giustizia ha impugnato la sentenza del Tar che aveva accolto il ricorso proposto avverso il giudizio di non ammissione alle prove orali dell'esame di avvocato. Il Consiglio di Stato ha accolto l'appello richiamando quanto più volte affermato dalla giurisprudenza e cioè che: a) la Commissione giudicatrice di un concorso esprime, quanto alla sufficienza della preparazione del candidato, un giudizio tecnico- discrezionale caratterizzato da profili di puro merito…non sindacabile in sede di legittimità, salvo che risulti manifestamente viziato da illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o travisamento (Cons. Stato Sez. IV, n.1237/2008); b) il giudice deve valutare la coerenza logica del giudizio operato dalla Commissione, ma non può sostituire o giustapporre alla valutazione della Commissione un proprio, differente giudizio (Cons. Stato Sez. IV n.5581/2012) Nella specie, tali regulae iuris risultano palesemente non osservate, atteso che il Tar con le gravate statuizioni ha proceduto ad un (non consentito) rinnovato giudizio delle prove, giungendo a formulare un giudizio positivo, che costituisce esercizio di proprio, autonomo potere valutativo, senza invece ripercorrere il percorso logico seguito dall’organo straordinario dell’amministrazione e in ciò si rinvengono gli estremi di una sorte di eccesso di potere giurisdizionale. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 9.5.2013, n. 2509)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:45

Decreto di perenzione ultradecennale: nei casi di comunicazione dell’avviso di segreteria a mezzo fax, quando manchi il preventivo consenso del destinatario e residui, a fronte di opposizione del ricorrente, il dubbio che l’avviso stesso sia stato non solo inviato ma altresì ricevuto rende necessaria la reiscrizione della causa sul ruolo

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E’ appellata la sentenza con la quale il TAR Sardegna ha respinto l’opposizione avverso decreto di perenzione ultradecennale pronunciato dal Presidente di quel Tribunale. Dinanzi all’opposizione, incentrata sulla mancata ricezione dell’avviso di presentazione di nuova istanza di fissazione, ex art. 9 l.205/2000, asseritamente causata da un malfunzionamento dell’apparecchio fax del domiciliatario, il TAR ha evidenziato la presunzione di ricezione connessa al rapporto di trasmissione positiva, e rilevato l’insussistenza, nel caso di specie, di una prova tale da superare detta presunzione. Trattasi di contestazione avente ad oggetto il mancato recapito dell’avviso previsto dall’art 9 della legge 205/2000, finalizzato alla verifica dell’interesse alla prosecuzione del processo nonostante il lungo decorso temporale, avviso propedeutico rispetto alla dichiarazione di perenzione. La norma, all’epoca vigente, prevedeva che "…a cura della segreteria è notificato alle parti costituite, dopo il decorso di dieci anni dalla data di deposito dei ricorsi, apposito avviso in virtù del quale è fatto onere alle parti ricorrenti di presentare nuova istanza di fissazione d'udienza con la firma delle parti entro sei mesi dalla data di notifica dell'avviso medesimo. I ricorsi per i quali non sia stata presentata nuova domanda di fissazione vengono, dopo il decorso infruttuoso del termine assegnato, dichiarati perenti….." L’art. 12 della legge n. 205/2000 disponeva inoltre che "il presidente del tribunale può disporre che la notifica del ricorso o di provvedimenti sia effettuata con qualunque mezzo idoneo, compresi quelli per via telematica o telefax, ai sensi dell’art. 151 del codice di procedura civile". A prescindere dall’esistenza di un decreto presidenziale che espressamente autorizzasse alla notifica via fax (circostanza non contestata), giova rilevare che, nel caso di specie, il ricorrente si è semplicemente limitato, nell’ambito del ricorso originario (3338/1996 RG), ad eleggere domicilio presso lo studio dell’avvocato Macis, in Cagliari, ma non ha specificatamente autorizzato l’effettuazione di comunicazioni via fax. In difetto di un preventivo assenso non può quindi discorrersi di presunzione di ricezione, né tale presunzione è deducibile dalle caratteristiche tecnologiche del mezzo. L’appellante ha prodotto oltre ad una dichiarazione del domiciliatario in ordine al malfunzionamento dell’apparecchio fax (non in relazione al singolo episodio, ma per tutto il periodo del mese di gennaio), una fattura di avvenuta riparazione, emessa pochi giorni dopo quello di presunta notifica così come risultante dal rapporto di trasmissione in possesso della segreteria TAR. Trattasi invero di documentazione non esaustiva, ma comunque sufficiente a sollevare ragionevoli dubbi sull’effettiva ricezione del fax trasmesso, soprattutto ove si consideri, come già accennato, che una presunzione di ricezione sulla base del rapporto di trasmissione può giustificarsi come tale, solo ove la parte, costituendosi in giudizio, abbia manifestato la disponibilità a ricevere tale comunicazione a mezzo fax, presso una utenza indicata all’uopo. Alla carenza di consenso non può del resto supplire la funzionalità del mezzo, atteso che il telefax non fornisce alcuna garanzia in ordine al soggetto che materialmente raccoglie l’atto né in ordine alla effettiva leggibilità della copia spedita, in ciò differenziandosi nettamente dalla posta elettronica certificata, che perviene ad una casella di posta elettronica che si presume nella sola disponibilità del destinatario e che certamente consente al medesimo di ricevere una copia integra. In conclusione può richiamarsi il principio, di recente affermato dalla Sezione VI, per il quale "nei casi di comunicazione dell’avviso di segreteria a mezzo fax, quando manchi il preventivo consenso del destinatario e residui, a fronte di opposizione del ricorrente, il dubbio sull’effettivo conseguimento dello scopo, ossia che l’avviso stesso sia stato non solo inviato ma altresì ricevuto si rende necessaria la reiscrizione della causa sul ruolo" (cfr. Consiglio di Stato, Sez VI, 4 luglio 2012, n. 3909). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2425)

 
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E’ appellata la sentenza con la quale il TAR Sardegna ha respinto l’opposizione avverso decreto di perenzione ultradecennale pronunciato dal Presidente di quel Tribunale. Dinanzi all’opposizione, incentrata sulla mancata ricezione dell’avviso di presentazione di nuova istanza di fissazione, ex art ... Continua a leggere

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lunedì 20 maggio 2013 19:45

Provvedimento di revisione della patente di guida: ai fini dell'adozione del provvedimento basta l'insorgenza di dubbi sulla persistenza, nei titolari, dei requisiti fisici e psichici o della idoneità tecnica, non è necessario l'accertamento della responsabilità del soggetto nella cassazione del sinistro

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Nel caso concreto a seguito di un incidente che causava il decesso di un passeggero che viaggiava nella vettura dell’appellante, nei confronti di quest'ultimo veniva disposta la revisione della patente. Il provvedimento veniva impugnato e sia il TAR che il Consiglio di Stato hanno rigettato il gravame rilevando come il sinistro costituisce, per la sua gravità, ex se elemento idoneo a ingenerare nell’autorità amministrativa quel dubbio, richiesto dall’art. 128 CdS, tale da legittimare il procedimento di revisione della patente di guida. A tali conclusioni il Collegio perviene in quanto L’art. 128 del Codice della Strada, prevede, tra l’altro, che "gli uffici competenti del Dipartimento per i trasporti terresti nonché il Prefetto nei casi previsti dagli articoli 186 e 187, possono disporre che siano sottoposti a visita medica presso la commissione medica locale . . . o ad esame di idoneità i titolari di patente di guida qualora sorgano dubbi sulla sussistenza nei medesimi dei requisiti fisici e psichici prescritti o dell’idoneità tecnica. L’esito della visita medica o dell’esame di idoneità sono comunicati ai competenti uffici del Dipartimento per i trasporti terresti per gli eventuali provvedimenti di sospensione o revoca della patente". Come è dato osservare "il presupposto che legittima la revisione della patente di guida risiede nella insorgenza di dubbi sulla persistenza, nei titolari, dei requisiti fisici e psichici o della idoneità tecnica". Ciò che legittima l’autorità competente a disporre la revisione della patente di guida, dunque, non è rappresentato dalla "certezza" della responsabilità del conducente, bensì dal dubbio, ingenerato dalla dinamica di un sinistro ovvero dalla complessiva condotta di guida tenuta, sulla persistenza dei requisiti psico – fisici ovvero dell’idoneità tecnica. Alla ratio dell’art. 128, comma 1, Codice della Strada è del tutto estraneo ogni accertamento di responsabilità in ordine ad un sinistro intervenuto, essendo invece sufficiente che, dal complesso delle circostanze, possa desumersi – in base ad un procedimento deduttivo immune da vizi logici o evidente irragionevolezza – la necessità di un accertamento sulla detta persistenza dei requisiti ovvero dell’idoneità tecnica. Alla base del procedimento deduttivo può, inoltre, come ancora una volta condivisibilmente afferma la sentenza impugnata, essere posta "qualunque situazione di fatto che, avendo stretta attinenza alla condotta da tenere durante la circolazione stradale, prospetta una anomalia comportamentale del titolare della patente di guida tale da esigere una verifica della sua perdurante idoneità alla guida". (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2430)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:45

Diniego di accesso ai verbali dei collegi dei docenti: dalla qualità di componente di organo collegiale dell’istituzione scolastica consegue l'interesse concreto e diretto, oltre che qualificato, a disporre di copia degli atti e dei verbali inerenti all’attività del collegio stesso, per verifica, approfondimento, memoria dell’iter di formazione della volontà collegiale

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Il componente di un organo collegiale dell’amministrazione ha un interesse concreto e diretto, oltre che qualificato, a disporre di copia degli atti e dei verbali inerenti all’attività del collegio stesso, per verifica, approfondimento, memoria dell’iter di formazione della volontà collegiale (cfr. Cons. Stato, VI, 9 giugno 2005, n. 3042); disponibilità che non può essere circoscritta solo all’occasione delle riunioni cui egli partecipa o della apposizione della firma ai verbali ad esse relativi. Proprio alla qualità di componente di organo collegiale dell’istituzione scolastica si riconnette l’interesse, cui la disponibilità della documentazione può essere funzionale, ad ogni utile iniziativa sul piano propositivo e deliberativo per il miglior perseguimento degli interessi di rilievo pubblico che fanno capo all’istituzione stessa. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 6.5.2013, n. 2423)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:45

Impossibile per il giudice annullare il provvedimento amministrativo che si fonda su una pluralità di motivi, se all'esito del giudizio risulti fondato anche un solo motivo

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La consolidata giurisprudenza (Cons. Stato, VI, 17 luglio 2008, n. 3609; V, 6 giugno 2011, n. 3382; V, 21 ottobre 2011, n. 5683; IV, 6 luglio 2012, n. 3970), quando un provvedimento amministrativo negativo è fondato su una pluralità di motivi, è sufficiente che resti dimostrata, all’esito del giudizio, la fondatezza di uno solo di questi perché ne derivi la consolidazione dell’atto, stante l’impossibilità di disporne l’annullamento giurisdizionale. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 6.5.2013, n. 2409)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:32

I provvedimenti amministrativi sono efficaci ed esecutivi anche in pendenza di giudizio, salvo che non venga disposta cautelativamente la loro sospensione

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Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato ha evidenziato come risponda ad un principio generale di effettività dell’ordinamento giuridico la regola secondo la quale i provvedimenti amministrativi sono efficaci ed esecutivi anche in pendenza di giudizio, salvo che non venga disposta cautelativamente la loro sospensione. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2431)

 
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Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato ha evidenziato come risponda ad un principio generale di effettività dell’ordinamento giuridico la regola secondo la quale i provvedimenti amministrativi sono efficaci ed esecutivi anche in pendenza di giudizio, salvo che non venga disposta cautelativam ... Continua a leggere

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lunedì 20 maggio 2013 19:32

Mobilità del personale organico alle Forze Armate: la possibilità di essere trasferito dopo tre anni di permanenza in una sede disagiata spetta unicamente al militare che in tale sede è stato in precedenza trasferito d’autorità e non a chi è stato trasferito su domanda

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Il Consiglio di Stato nella sentenza attenzionata è chiamato a verificare la legittimità o meno del diniego opposto dall’Amministrazione della Difesa in ordine alla domanda di trasferimento dell’appellante sottufficiale da una sede di servizio considerata disagiata ( Teulada ), avanzata dall’interessato ai sensi della normativa costituita dalle c.d. direttive contenute nel Testo Unico sulle procedure per l’impiego del personale militare dell’Esercito del 2008. Sostiene in particolare l’interessato che in applicazione delle suindicate direttive, egli ha sostanzialmente diritto ad essere trasferito da Teulada, dopo aver compiuto il triennio di permanenza in detta sede disagiata, come peraltro già disposto dalla stessa Amministrazione per altri colleghi. Tale assunto non è stato accolto dal Consiglio di Stato che in primo luogo ha respinta la censura circa l’avvenuta violazione della disposizione legislativa di cui all’art.10 bis della legge n. 241/90. Sono state più volte sottolineate da questo Consiglio di Stato la natura e la specialità degli atti riguardanti il trasferimento dei militari (cfr Sez. IV n.623/2011) e si è avuto modo di far presente come in realtà le determinazioni che riguardano la mobilità del personale organico alle Forze Armate risponde a dei fini strettamente organizzativi, per cui, anche in presenza di trasferimenti a domanda, gli atti che definiscono tali istanze, quanto alla normativa di riferimento, subiscono alcuni limiti, nel senso che ad essi non appare applicabile tout court la normativa di tipo garantista dettata dalla legge sul procedimento amministrativo (cfr Sez. IV nn. 6273/09 e 7614/09) e se così è, nella specie, non appare configurabile a carico del provvedimento negativamente assunto il vizio di mancata comunicazione delle ragioni ostative. Tornando alla quaestio iuris fondamentalmente dedotta in giudizio, una corretta applicazione delle regole ermeneutiche da utilizzarsi per la "lettura" del regime giuridico disciplinante il rapporto che viene in rilevo, porta a concludere per la legittima fondatezza delle ragioni addotte dall’Amministrazione a sostegno dell’opposto diniego. Ritiene invero il Ministero che l'appellante non possa giovarsi del chiesto trasferimento, in quanto la possibilità di essere trasferito da una sede disagiata come Teulada spetti unicamente al militare che in tale sede è stato in precedenza trasferito d’autorità e non a chi come l’appellante è stato trasferito su domanda. Ebbene, un tale assunto appare corretto, posto che si rivela congruo in relazione ai principi fondamentali che regolano la materia dei trasferimenti nell’ambito dell’organizzazione militare e soprattutto non contrasta con la normative dettata dal testo unico sulle procedure per l’impiego del personale militare dell’Esercito edizione 2008 ai sensi della quale pure l’interessato ha inteso far valere il suo " diritto" al trasferimento ad altra sede. Nelle predette direttive, invero, è previsto che il militare, dopo tre anni di permanenza in sede disagiata può chiedere, a domanda, di essere trasferito ad una sede di suo gradimento ed è altresì vero che in detta normativa non è prevista la limitazione costituita dal fatto che nella sede di "partenza " il militare a suo tempo deve essere stato trasferito di autorità: nondimeno, ritiene il Collegio che l’assenza di un apposito divieto per i trasferiti a domanda non impedisce all’Amministrazione di denegare il chiesto " ulteriore" trasferimento. Invero, avuto riguardo allo status di militare e alla specialità dell’organizzazione militare, il trasferimento a domanda costituisce un beneficio che in un certo qual modo deroga alla regole per così dire anelastiche finalizzate ad assicurare le esigenze organizzative proprie delle strutture militari, sicchè, l’ulteriore domanda di trasferimento si atteggia come ulteriore deroga e quindi si impone una lettura restrittiva delle disposizioni che regolano la mobilità degli appartenenti alle Forze Armate, con la conseguenza che le aspettative rappresentate dal singolo militare aspirante al trasferimento appaiono decisamente recessive rispetto alle superiori esigenze organizzative proprie dall’Amministrazione della Difesa, senza che possa ravvisarsi nell’opposto diniego, in assenza di un aspecifica disposizione che deponga univocamente in senso voluto dall’attuale appellante, una illogicità o arbitrarietà della determinazione negativamente assunta. Insomma nella interpretazione del caso de quo, appare ragionevole ritenere che il favor costituito dalla possibilità di fare domanda di trasferimento dopo tre anni di permanenza in sede disagiata va riconosciuto esclusivamente per coloro che hanno già subito la "deteriore" assegnazione d’ufficio a tale sede, sì da "premiarli", una volta che i medesimi hanno espletato per un periodo di tempo prefissato il servizio nella struttura sita in quella località. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2439)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:32

Risarcimento del danno a carico della P.A.: il giudice può affermare la responsabilità dell'Amministrazione per danni conseguenti a un atto illegittimo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato

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Per giurisprudenza pacifica, ai fini dell'ammissibilità della domanda di risarcimento del danno a carico della Pubblica amministrazione non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessaria la prova del danno subito e la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa. Si deve quindi verificare se l'adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede alle quali l'esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi, con la conseguenza che il giudice amministrativo può affermare la responsabilità dell'Amministrazione per danni conseguenti a un atto illegittimo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato. Viceversa la responsabilità deve essere negata quando l'indagine presupposta conduce al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (fra le più recenti: Consiglio di Stato, sez. IV, 7 gennaio 2013 n. 23; Consiglio di Stato sez. V, 31 luglio 2012 n. 4337). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 6.5.2013, n. 2452)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:32

È possibile la ricostruzione della carriera qualora sia riconosciuta l’illegittimità dell’interruzione del rapporto di lavoro

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La giurisprudenza ammette la ricostruzione della carriera allorquando sia riconosciuta l’illegittimità dell’interruzione del rapporto di lavoro, mentre, nella specie, come si è detto, non sussiste alcuna pronuncia che abbia dichiarato illegittima "l’interruzione del rapporto di lavoro", ma vi è stato un atto di riammissione in servizio (a seguito di domanda e di procedimento disciplinare) che ha ricostituito il rapporto di impiego dell’interessato con i limiti previsti della legge n. 19 del 1990. Da ciò deriva che non spetta al dipendente riammesso in servizio l’integrale ricostruzione della carriera (per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 5 novembre 2012, n. 5618) ma solo la ricostruzione della posizione di status (attribuzione della qualifica, livello ed anzianità posseduti alla data della precedente cessazione dal servizio), con esclusione della "restitutio in integrum" relativamente al trattamento retributivo che, in base al principio di sinallagmaticità, va erogato a fronte dell'effettività della prestazione lavorativa (Cons. Stato, sez. VI, 27 dicembre 2006, n. 7978) e, in generale,dell’integrale ricostruzione di carriera sia giuridica, sia economica (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5 ottobre 2006, n. 5925 e sez. IV, 15 luglio 2008, n. 3522). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 7.5.2013, n. 2455)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:32

Il rito del silenzio: l'adozione di un provvedimento esplicito, anche non satisfattivo dell'interesse fatto valere, in risposta all'istanza dell'interessato, rende il ricorso inammissibile per carenza originaria dell'interesse ad agire, se il provvedimento interviene prima della proposizione del ricorso

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Il presupposto per l'applicazione del rito speciale è il silenzio della P.A. e, in particolare, l'omissione di provvedimento che acquista rilevanza come ipotesi di silenzio - rifiuto, attraverso il relativo, caratteristico procedimento, quando la medesima si sia resa inadempiente, restando inerte, ad un obbligo di provvedere. Scopo del ricorso contro il silenzio rifiuto è ottenere un provvedimento esplicito dell'Amministrazione, che elimini lo stato di inerzia ed assicuri al privato una decisione che investe la fondatezza o meno della sua pretesa. L'interesse all'impugnazione del silenzio serbato dall'Amministrazione sull'istanza del privato non viene meno per il solo fatto che sia stato emesso un atto meramente istruttorio o comunque interno, dovendosi verificare se sia stato emesso un provvedimento che corrisponda nel suo contenuto a quello tipico previsto dalla legge, anche se non satisfattivo. Quindi l'adozione di un provvedimento esplicito (anche non satisfattivo dell'interesse fatto valere), in risposta all'istanza dell'interessato, rende il ricorso inammissibile per carenza originaria dell'interesse ad agire, se il provvedimento interviene prima della proposizione del ricorso. Ciò in quanto il privato ha ottenuto il risultato al quale mira il giudizio, ossia il superamento della situazione di inerzia procedimentale e di violazione/elusione dell'obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso entro i termini all'uopo previsti; nel caso in cui il provvedimento sopravvenuto sia ritenuto illegittimo, il soggetto interessato è tutelato dalla normativa in materia che consente di proporre contro di esso una nuova impugnazione, anche, ex art. 117 del c.p.a., con motivi aggiunti. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 7.5.2013, n. 2465)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:32

Rinnovo del consiglio comunale e per l’elezione del sindaco nei comuni con più di 15.000 abitanti: i criteri che presiedono all’attribuzione del cd. "premio di maggioranza" ai sensi dell’art. 73 del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267

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La quaestio iuris oggetto di giudizio si incentra sui criteri che presiedono all’attribuzione del cd. "premio di maggioranza" ai sensi dell’art. 73 del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante la disciplina per il rinnovo del consiglio comunale e per l’elezione del sindaco nei comuni con più di 15.000 abitanti. La citata disposizione di legge, al comma 10, dispone testualmente: "Qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al primo turno, alla lista o al gruppo di liste a lui collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, ma abbia ottenuto almeno il 40 per cento dei voti validi, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate abbia superato il 50 per cento dei voti validi. Qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al secondo turno, alla lista o al gruppo di liste ad esso collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate al primo turno abbia già superato nel turno medesimo il 50 per cento dei voti validi. I restanti seggi vengono assegnati alle altre liste o gruppi di liste collegate ai sensi del comma 8". Nel caso di specie il numero totale di seggi da assegnare è pari a ventiquattro e il 60% di questi, da attribuire, quale premio di maggioranza, alle liste collegate al candidato sindaco vincente, darebbe un risultato pari a 14,4. Occorre, quindi, valutare se si debba operare un arrotondamento all’unità inferiore o superiore, a seconda che si interpreti l’indicato 60% come limite "massimo", nel senso quindi dell’attribuzione di "non più del 60%", ovvero limite "minimo", ossia nel senso del riconoscimento, quale soglia percentuale in ogni caso garantita, di "almeno il 60%". Questo Collegio ritiene, in adesione all’indirizzo prevalente sostenuto dalla Sezione, che argomenti di natura letterale e teleologica depongano in favore della seconda interpretazione (da ultimo Cons. Stato, sez. V, 30 gennaio 2013 n, 571; 12 febbraio 2013, n. 810; contra, sez. V, n. 2928/2012). Prendendo le mosse dal dato schiettamente letterale risulta significativo il dato che la disposizione prevede l’attribuzione del premio di maggioranza del 60% quando il gruppo di liste collegato al candidato sindaco eletto non abbia conseguito consegue "almeno" il 60% dei seggi del consiglio e nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate al primo turno abbia già superato nel turno medesimo il 50% dei voti validi. Il dato letterale si salda con l’argomento teleologico, in quanto la considerazione del mancato raggiungimento di detta quota minimale quale presupposto per l’attribuzione del premio evidenzia la volontà legislativa di ritenere tale percentuale alla stregua di soglia minima e intangibile spettante alle liste collegate al sindaco eletto, al fine di assicurare stabilità e governabilità all’ente locale. Detta quota percentuale funge, quindi, da parametro che cristallizza, ad un tempo, il presupposto negativo per l’attribuzione del premio e la consistenza minima del premio medesimo. Si soddisfa in tal guisa la finalità, perseguita dalla normativa in parola, di garantire la governabilità dei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti grazie alla costituzione, in favore del sindaco eletto, di una maggioranza stabile identificata per legge nella più volte rammentata misura minima del 60%. Si deve aggiungere che la diversa soluzione dell’arrotondamento per difetto impedirebbe l’applicazione del meccanismo correttivo che la legge prevede invece quale conseguenza indefettibile del mancato raggiungimento, anche in ragione di frazioni di punto, della soglia minima del 60%. Va infine osservato, a contrario, che il criterio dell’arrotondamento per difetto della cifra decimale inferiore a 50 centesimi è previsto espressamente da altre disposizioni del testo unico, e segnatamente dall’art. 71, comma 8, relativo alla elezione del Sindaco e del Consiglio comunale nei Comuni sino a 15.000 abitanti, dall’art. 75, comma 8, riguardo alla elezione del consiglio provinciale e dell’art. 73, comma 1, . per l’ elezione del consiglio comunale nei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, limitatamente però al numero minimo e massimo dei candidati che devono essere compresi nelle liste elettorali. Tale arrotondamento per difetto non è invece estensibile al diverso caso del premio di maggioranza di cui all’articolo 73, comma 10, cit, per il quale il dato letterale e l’argomento teleologico impongono, alla stregua delle considerazioni esposte, il riconoscimento della quota minima del 60%. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 7.5.2013, n. 2468)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:32

Rischio radiologico: il congedo aggiuntivo di giorni quindici per ciascun anno solare, al pari delle ferie ordinarie, attende alla funzione di recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore, con la conseguente spettanza del compenso sostitutivo per il lavoratore che incolpevolmente non abbia potuto godere di tale congedo

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Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato ha esaminato la questione riguardante la richiesta di monetizzazione del congedo aggiuntivo non goduto dagli appellanti dal momento del riconoscimento della loro condizione di professionalmente esposti al rischio radiologico. Al riguardo si deve ricordare che il Consiglio di Stato, con numerose pronunce anche recenti (Sezione III, n. 6641 del 19 dicembre 2011, Sez. V, n. 554 del 26 gennaio 2011), ha affermato che l'incolpevole mancata fruizione del riposo biologico di cui all’art. 120, comma 9, del d.P.R. n. 384/1990, e all’art. 5, comma 1, della legge n. 724/1994, «è compensabile con un'indennità sostitutiva da liquidarsi in via equitativa ex art. 1226 c.c., a condizione che il mancato godimento del riposo sia comprovato dall'interessato». Si è, infatti, ritenuto che il congedo aggiuntivo di giorni quindici per ciascun anno solare, a favore del personale esposto in misura continuativa al rischio radiologico, al pari delle ferie ordinarie, attende alla funzione di recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore, con la conseguente spettanza del compenso sostitutivo qualora l'interessato non abbia potuto godere di tale congedo per ragioni non dipendenti dalla sua volontà. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 7.5.2013, n. 2472)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:32

Personale del comparto Sanità: sono retribuibili le mansioni superiori svolte in presenza delle triplici e coessenziali condizioni inerenti: 1) l'esistenza in organico di un posto vacante cui ricondurre le mansioni di più elevato livello, 2) la previa adozione di un atto deliberativo di assegnazione alle mansioni superiori da parte dell'organo a ciò competente, 3) l'espletamento delle suddette mansioni per un periodo eccedente i sessanta giorni nell'anno solare

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Il Consiglio di Stato ribadisce nella sentenza in esame i principi consolidati in materia di mansioni superiori dei pubblici dipendenti che, con riguardo al personale del comparto della sanità, in deroga al generale principio dell'irrilevanza ai fini giuridici ed economici dello svolgimento delle mansioni superiori nel settore del pubblico impiego, ammette la retribuibilità delle stesse, ai sensi dell'art. 29 del d.P.R. 761/1979, in presenza delle triplici e coessenziali condizioni inerenti: l'esistenza in organico di un posto vacante cui ricondurre le mansioni di più elevato livello, la previa adozione di un atto deliberativo di assegnazione alle mansioni superiori da parte dell'organo a ciò competente (potendosene prescindere solo nel caso di sostituzione nell'esercizio delle funzioni primariali in area medica), l'espletamento delle suddette mansioni per un periodo eccedente i sessanta giorni nell'anno solare (cfr. tra le più recenti, Cons. Stato, III, 21 giugno 2012, n. 3661; 20 giugno 2012, n. 3581; 13 marzo 2012, n. 768; V, 15 febbraio 2010, n. 814; VI, 16 dicembre 2011, n. 9016). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 7.5.2013, n. 2479)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:32

I presupposti che legittimano la revoca del provvedimento amministrativo

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Come la Sezione ha avuto nodo di ricordare (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 31 maggio 2012 n. 3262), ai sensi dell'art. 21 quinquies l. 7 agosto 1990 n. 241 (introdotto dall'art. 14 l. 11 febbraio 2005 n. 15), i presupposti che, in via alternativa, legittimano l'adozione di un provvedimento di revoca, in senso tecnico, di un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole da parte dell'Autorità emanante sono rispettivamente; a) sopravvenuti motivi di pubblico interesse, b) nuova valutazione dell'interesse pubblico originario; c) mutamento della situazione di fatto. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 8.5.2013, n. 2485)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:32

Lista "Fascismo e Libertà" nuovamente bocciata dal Consiglio di Stato per il richiamo al partito nazionale fascista

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Con la presente statuizione il Consiglio di Stato ha confermato il proprio precedente specifico relativo alla stessa lista, della quale è stata giudicata legittima l’esclusione per contrasto con la ricordata disciplina costituzionale "in ragione del simbolo del movimento (il fascio), della dizione letterale (acronimo di Fascismo e Libertà) e del richiamo ideologico al disciolto partito fascista." In presenza di richiami simbolici tanto pregnanti, il Collegio ritiene superfluo il pur sollecitato esame degli elementi contenutistici dello statuto ed atto costitutivo del Movimento. In particolare, appropriatamente la difesa erariale ha richiamato l’attenzione sulla testuale denominazione assunta dalla lista in discussione, che, con l’inequivocabile inserimento del termine "Fascismo", chiaramente evoca il partito nazionale fascista. Dall’appellante viene inoltre lamentata una violazione del canone di eguaglianza e una lesione del diritto alla libera associazione in partiti politici. Sul primo aspetto è però già emersa la specificità del Movimento interessato rispetto ad ogni comune associazione a fini politici, che ne giustifica per ciò stesso un trattamento differenziato alla luce della precisa disposizione costituzionale transitoria sopra citata. Sui rimanenti punti, infine, nulla occorre aggiungere alla ineccepibile constatazione, già racchiusa nel provvedimento di base impugnato, che i "diritti" invocati dalla ricorrente non possono non trovare un limite nel divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista, imposto dalla norma costituzionale più volte richiamata. Per accedere al testo per esteso della sentenza cliccare sul titolo sopra linkato. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.5.2013, n. 2573)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:32

Il Responsabile Anticorruzione non può contemporaneamente rivestire il ruolo di responsabile dell'ufficio per i procedimenti disciplinari

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E’ stato chiesto alla Commissione se il Segretario comunale, quale responsabile per la prevenzione della corruzione e, al tempo stesso, responsabile dell’ufficio per i procedimenti disciplinari, versi in situazioni di conflitto di interesse o di incompatibilità. Risposta: "La Commissione ha espresso l’avviso che, anche alla luce di quanto previsto dalla circolare n.1/2013 del Dipartimento della Funzione pubblica, il responsabile della prevenzione della corruzione non può rivestire contemporaneamente il ruolo di responsabile dell’ufficio per i procedimenti disciplinari, versandosi in tale ipotesi in una situazione di potenziale conflitto di interessi." (Civit, risposta a quesito del marzo 2013)

 
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E’ stato chiesto alla Commissione se il Segretario comunale, quale responsabile per la prevenzione della corruzione e, al tempo stesso, responsabile dell’ufficio per i procedimenti disciplinari, versi in situazioni di conflitto di interesse o di incompatibilità. Risposta: "La Commissione ha espre ... Continua a leggere

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lunedì 20 maggio 2013 19:32

Il provvedimento di diniego del permesso di soggiorno non costituisce atto vincolato in relazione alla situazione esistente al momento della richiesta

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Secondo l’art. 5, co. 5, del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 e ss.mm.ii. il provvedimento di diniego del permesso di soggiorno non costituisce atto vincolato in relazione alla situazione esistente al momento della richiesta, ossia non deve limitarsi a verificare la sussistenza di una circostanza obiettivamente ostativa (come, ad es., una condanna penale), ma occorre che siano valutati gli elementi sopravvenuti e rispetto ai quali l'interessato possa fornire in sede procedimentale opportuni chiarimenti; inoltre, lo stesso art. 5, co. 5, nell’ultimo periodo aggiunto dall’art. 2 del d.lgs. 8 gennaio 2007 n. 5, richiede che, in sede di rilascio, revoca o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, si debba tener conto anche della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 13.5.2013, n. 2576)

 
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lunedì 20 maggio 2013 19:32

La "piena conoscenza" del provvedimento per l'individuazione del momento da cui decorre il termine per impugnare deve essere intesa come quella che consenta all’interessato, di percepire la lesività dell’atto emanato dall’amministrazione

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Come già diffusamente esposto nella sentenza del Consiglio di Stato del 28 maggio 2012 n. 3159 - quanto al concetto di "piena conoscenza" dell’atto lesivo, lo stesso, anche con riferimento alla previgente disciplina, non deve essere inteso quale "conoscenza piena ed integrale" dei provvedimenti che si intendono impugnare, ovvero di eventuali atti endoprocedimentali, la cui illegittimità infici, in via derivata, il provvedimento finale. Ciò che è invece sufficiente ad integrare il concetto di "piena conoscenza" - il verificarsi della quale determina il dies a quo per il computo del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale - è la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso. Ed infatti, mentre la consapevolezza dell’esistenza del provvedimento e della sua lesività, integra la sussistenza di una condizione dell’azione, rimuovendo in tal modo ogni ostacolo all’impugnazione dell’atto (così determinando quella "piena conoscenza" indicata dalla norma), invece la conoscenza "integrale" del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi. In tali sensi, è rilevante osservare che l’ordinamento prevede l’istituto dei "motivi aggiunti", per il tramite dei quali il ricorrente può proporre ulteriori motivi di ricorso derivanti dalla conoscenza di ulteriori atti (già esistenti al momento di proposizione del ricorso ma ignoti) o dalla conoscenza integrale di atti prima non pienamente conosciuti, e ciò entro il (nuovo) termine decadenziale di sessanta giorni decorrente da tale conoscenza sopravvenuta. Ciò comprova la fondatezza dell’interpretazione resa della "piena conoscenza" dell’atto oggetto di impugnazione. Ed infatti, se tale "piena conoscenza" dovesse essere intesa come "conoscenza integrale", il tradizionale rimedio dei motivi aggiunti non avrebbe ragion d’essere, o dovrebbe essere considerato residuale. In altre parole, solo l’assenza dell’istituto dei motivi aggiunti consentirebbe di interpretare la "piena conoscenza" come conoscenza integrale dell’atto impugnabile e degli atti endoprocedimentali ad esso preordinati, poiché in questo (ipotetico) caso si produrrebbe – diversamente opinando - un vulnus per il diritto alla tutela giurisdizionale, in quanto il soggetto che si reputa leso dall’atto si troverebbe compresso tra un termine decadenziale che corre ed una impossibilità di conoscenza integrale dell’atto, e quindi di completa e consapevole articolazione di una linea difensiva. Al contrario, la previsione dei cd. motivi aggiunti comprova ex se che la "piena conoscenza" indicata dal legislatore come determinatrice del dies a quo della decorrenza del termine di proposizione del ricorso giurisdizionale, non può che essere intesa se non come quella che consenta all’interessato, di percepire la lesività dell’atto emanato dall’amministrazione, e che quindi rende pienamente ammissibile – quanto alla sussistenza dell’interesse ad agire - l’azione in sede giurisdizionale. Ogni aspetto attinente al contenuto del provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo, ritenuto lesivo, ovvero di atti endoprocedimentali ritenuti illegittimi, incide su profili di legittimità dell’esercizio del potere amministrativo, e quindi sui presupposti argomentativi della domanda di annullamento. Ma, come si è detto, la possibilità di sottoporre al giudice ulteriori motivi di doglianza, sui quali fondare e/o rafforzare la domanda di annullamento, non è preclusa dall’ordinamento, proprio per il tramite della previsione dei citati motivi aggiunti. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 9.5.2013, n. 2521)

 
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Come già diffusamente esposto nella sentenza del Consiglio di Stato del 28 maggio 2012 n. 3159 - quanto al concetto di "piena conoscenza" dell’atto lesivo, lo stesso, anche con riferimento alla previgente disciplina, non deve essere inteso quale "conoscenza piena ed integrale" dei provvedimenti che ... Continua a leggere

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