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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

Il pubblico impiegato, che contesti il proprio inquadramento in una data qualifica o con determinate modalità, temporali, giuridiche o patrimoniali, ha l'onere di impugnare il relativo provvedimento entro il termine perentorio di decadenza

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La materia dell'inquadramento nel pubblico impiego si connota per la presenza di atti autoritativi e, quindi, ogni pretesa al riguardo, in quanto radicata su posizioni di interesse legittimo, può essere azionata soltanto mediante tempestiva impugnazione dei provvedimenti che si assumono illegittimamente incidenti su tali posizioni; segue da ciò che il pubblico impiegato, che contesti il proprio inquadramento in una data qualifica o con determinate modalità, temporali, giuridiche o patrimoniali che siano, ha l'onere di impugnare il relativo provvedimento entro il termine perentorio di decadenza, anche quando egli assume che gli spetta un determinato inquadramento (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 15 febbraio 2013, n. 919). Infatti, i provvedimenti d'inquadramento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici non contrattualizzati, così come i provvedimenti d’inquadramento nel pubblico impiego anteriori alla contrattualizzazione, come nella specie, si configurano come atti provvedimentali tout court, soggetti ai comuni termini decadenziali d'impugnazione: pertanto, in siffatta materia non sono proponibili azioni di accertamento, ma domande di impugnazione degli atti autoritativi che assegnano una qualifica funzionale ed un corrispondente livello retributivo, posto che la posizione del dipendente resta quella di un soggetto titolare di interessi legittimi che devono essere fatti valere nei termini decadenziali previsti dalla legge (cfr: Consiglio di Stato, sez. II, 9 ottobre 2012, n. 1121; sez. V, 2 novembre 2011, n. 5848; sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1251; sez. V, 24 settembre 2010, n. 7104). Pertanto, come esattamente riconosciuto dal TAR, è inammissibile il ricorso, come quello in oggetto, che tende alla richiesta di attribuzione dell’anzianità di servizio ai fini giuridici sin dalla data di prima assunzione in applicazione della Delibera 4193 del 17 novembre 1981 ed alla richiesta di attribuzione di tutti i miglioramenti, gli adeguamenti e le progressioni funzionali ed economiche riconosciute con le delibere G.R. n. 5386-87 e n. 382-91, in assenza della puntuale, rituale e tempestiva impugnazione degli atti di inquadramento che dispongono diversamente rispetto alle pretese fatte valere nell’ambito delle suddette richieste. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.6.2013, n. 3216)

 
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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

E' legittima la motivazione della p.a. che sia pure in modo sintetico ovvero attraverso un meccanismo motivazionale che utilizza il rinvio per relationem al contenuto di atti endoprocedimentali, esterni le ragioni che ostano all’accoglimento dell’istanza, così da consentire al privato di valutare l’opportunità di un’eventuale reazione giurisdizionale

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L’onere motivazionale che grava in capo alla p.a. rinviene la sua giusta misura nell’esigenza che il destinatario del provvedimento sia messo in grado di percepire quali siano le ragioni che hanno portato al diniego dell’istanza proposta (Cons. St., Sez. II, 24 maggio 2006, n. 7681; Id. 5 febbraio 1997, n. 336). Pertanto, se non risulta sufficiente il generico richiamo alla norma di legge (Cons. St., Sez. V, 4 aprile 2006, n. 1750), è consentito adoperare una motivazione che sia pure in modo sintetico ovvero attraverso un meccanismo motivazionale che utilizza il rinvio per relationem al contenuto di atti endoprocedimentali, come nella fattispecie, esterni le ragioni che ostano all’accoglimento dell’istanza, così da consentire al privato di valutare l’opportunità di un’eventuale reazione giurisdizionale. Nel caso in esame, quindi, il rinvio alla relazione del responsabile del procedimento e della Commissione edilizia, unitamente alla contrarietà derivante dalla circostanza che l’opera sananda comportava un incremento volumetrico non consentito, anche perché non riconducibile nell’ambito dell’ipotesi di adeguamento igienico-sanitario, risulta soddisfare il precetto contenuto nell’art. 3, l. n. 241/1990. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.6.2013, n. 3235)

 
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L’approvazione della pianta organica delle Farmacie, con la contestuale offerta ai Comuni delle sedi in prelazione, è un atto immediatamente lesivo, prima ancora della pubblicazione del bando del concorso

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L’approvazione della pianta organica delle Farmacie, con la contestuale offerta delle sedi in prelazione, è un atto immediatamente lesivo, prima ancora della pubblicazione del bando del concorso. Ad avviso del Consiglio di Stato, infatti, quando sarà emanato il bando, quest’ultimo non potrà metter a concorso che le sedi che in quel momento saranno disponibili, e quelle offerte in prelazione ai Comuni non lo saranno più. Rispetto all’emanando bando di concorso, l’offerta in prelazione ai Comuni non è un atto endoprocedimentale, ma un mero presupposto di fatto che concorre con altri a determinare il numero delle sedi disponibili per concorso. Si potrebbe dire, al più, che dopo aver impugnato la delibera in oggetto, gli interessati avranno l’onere di impugnare anche il successivo bando di concorso, pena l’improcedibilità del ricorso già proposto. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 12.6.2013, n. 3249)

 
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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

Anticorruzione: chiarimenti della Civit sulla rotazione degli incarichi in caso di dipendente sospeso a seguito di condanna non definitiva

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"È stato chiesto alla Commissione come garantire la rotazione degli incarichi nelle ipotesi di sospensione di cui all’art. 4, legge n. 97 del 2001 del dipendente dal servizio a seguito di condanna non definitiva, qualora la dotazione organica non consenta di operare la rotazione" Risposta: La Commissione ha espresso l’avviso secondo cui, nelle ipotesi di sospensione del dipendente dal servizio a seguito di condanna non definitiva, qualora la dotazione organica non consenta di operare la rotazione degli incarichi dei dirigenti, l’amministrazione procederà ad affidare l’incarico ad un funzionario o, in subordine, si avvarrà di soggetto esterno all’amministrazione stessa. (Civit, chiarimenti del 19.6.2013)

 
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Disegno di legge "semplificazioni", sintesi dei contenuti fondamentali

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Il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge in materia di semplificazioni, su proposta del Ministro per la Pubblica Amministrazione e la semplificazione, Giampiero D’Alia, che contiene una serie di misure di semplificazione che completano il quadro degli interventi di sburocratizzazione dell’amministrazione, avviati con il cd. decreto-legge "Fare", approvato sabato scorso dal Consiglio dei Ministri. Si tratta di norme funzionali alla riduzione degli oneri amministrativi e informativi a carico di cittadini e imprese e utili per il rilancio dell’economia e l’ammodernamento del Sistema Paese. Si tratta, inoltre, di misure di semplificazione a costo zero che, in coerenza con precisi impegni assunti in sede comunitaria, permettono, come richiesto anche dalle maggiori associazioni imprenditoriali, di ridurre gli oneri amministrativi gravanti sulle imprese. Di Di La Presidenza del Consiglio precisa i contenuti fondamentali individuandoli tra l'altro come segue: A) SEMPLIFICAZIONE PER I CITTADINI. 1) Rilascio, a richiesta dell’interessato, dei titoli di studio in lingua inglese, in maniera tale da poterli utilizzare all’estero senza necessità di costose traduzioni asseverate; 2) Riunificazione degli adempimenti relativi al cambio di residenza e al pagamento del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi. Si evitano ai cittadini inutili duplicazioni burocratiche e si previene l’evasione tributaria; 3) Procedure del Pubblico Registro Automobilistico (PRA):I cittadini non dovranno più comunicare al PRA le perdite di possesso per furto ed i cambi di residenza, che verranno acquisiti d’ufficio. Fine del fenomeno delle intestazioni fittizie dei veicoli, perché sarà necessario produrre l’atto sottoscritto non solo dal venditore ma anche dall’acquirente per procedere al passaggio di proprietà. Ogni variazione riguardante la proprietà del veicolo verrà immediatamente e gratuitamente comunicata dal PRA all’interessato con e-mail o sms. Entro il 31 dicembre di ogni anno, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, previa intesa con la Conferenza unificata, approverà l’Agenda dei lavori per la semplificazione delle norme e delle procedure contenente le linee di indirizzo condivise tra Stato, Regioni, Province Autonome e Autonomie locali, sulle modalità, anche temporali, di attuazione delle misure di semplificazione vigenti. Questo consentirà di programmare e coordinare l’attività di semplificazione. L’interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni per consentire lo scambio dei dati contenuti nelle diverse banche-dati. La norma risulta fondamentale per dare concreta attuazione al principio secondo il quale le pubbliche amministrazioni non possono chiedere ai cittadini e alle imprese documentazione relativa a dati e informazioni di cui sono già in possesso. B) SEMPLIFICAZIONE PER LE IMPRESE: 1) TUTOR D'IMPRESA. Il ddl introduce inoltre la figura di un tutor per le imprese che le segue passo passo nella loro attività, dall’inizio alla conclusione dei procedimenti. Nello specifico: informa sulle normative ad hoc che si possono applicare e su tutti gli adempimenti necessari per l’esercizio dell’attività produttiva. Il tutor garantisce l’osservanza delle migliori prassi amministrative e delle disposizioni in materia di semplificazione. Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione e Ministro dello Sviluppo Economico curano ogni anno, in collaborazione con le Regioni, l’ANCI, Unioncamere e le associazioni di imprese, la pubblicazione delle migliori prassi amministrative sul portale www.impresainungiorno.gov.it. 2) LAVORO. Per semplificane degli adempimenti in materia di sorveglianza sanitaria, si prevede che la visita medica precedente alla ripresa del lavoro sia effettuata soltanto nel caso in cui la patologia sia correlata ai rischi professionali. Si elimina l’obbligo a carico del datore di lavoro di inviare all’INAIL le certificazioni mediche di infortunio sul lavoro e di malattia professionale poiché la comunicazione verrà fatta direttamente dal medico. 3) BENI CULTURALI. L’uscita temporanea dall’Italia di beni culturali non esposti, ma richiesti da accordi culturali con istituzioni museali straniere consente di ricevere un corrispettivo per lo sfruttamento economico di tali beni per un periodo che non può essere superiore a dieci anni; Per adeguarsi alle mutate prassi del settore cinematografico, si amplia la possibilità di depositare la copia del film presso la Cineteca nazionale per l’ottenimento dei contributi, oltre che mediante negativo della pellicola originale, anche in versione digitale. Si facilita il "found raising" sul territorio, anche di modico valore, da destinare a interventi di tutela dei beni culturali o paesaggistici, analogamente a quanto avviene in altri Paesi europei. In tal modo, nel caso delle donazioni di scopo per interventi di tutela del patrimonio culturale, si consente ai funzionari delegati del Ministero per i beni e le attività culturali di acquisire direttamente e utilizzare immediatamente le somme destinate a interventi specifici, mediante l’accensione di appositi conti correnti presso istituti bancari o altri soggetti autorizzati, eliminando il versamento delle somme in conto entrata dello Stato e la loro successiva riassegnazione allo stato di previsione della spesa del Ministero per i beni e le attività culturali. 4) EDILIZIA. Si semplifica la realizzazione di varianti ai permessi di costruire che non costituiscono variazioni essenziali, assoggettandole alla SCIA. Ciò può avvenire a condizione della conformità alle prescrizioni urbanistico-edilizie e dell’avvenuta acquisizione degli atti di assenso in materia ambientale e paesaggistica, nonché di quelli previsti dalle altre norme di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e in particolare delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie e di quelle relative all’efficienza energetica. Tali segnalazioni costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruire dell’intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori. 5) APPALTI. Si modifica il codice dei contratti pubblici, semplificando le procedure per agevolare la partecipazione alle gare da parte delle piccole e medie imprese. In particolare, si prevede che le stazioni appaltanti devono motivare le ragioni della mancata suddivisione dell’appalto in lotti; l’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici vigilerà sul rispetto di tale adempimento. Al fine di promuovere lo sviluppo del partenariato pubblico privato, si riconosce alle amministrazioni aggiudicatrici la possibilità di far ricorso a centrali di committenza, anche per l’affidamento dei contratti di concessione di lavori. Si prevede che, in caso di risoluzione di un rapporto concessorio per motivi attribuibili al concessionario, gli enti finanziatori del progetto possono evitare la risoluzione designando una società che, in un termine non inferiore a 120 giorni, subentri nella concessione al posto del concessionario. Al fine di ridurre l’overdesign delle opere infrastrutturali ferrovie e stradali, si prevede che l’introduzione di nuove norme nazionali non fondate su standard comuni europei di sicurezza ferroviaria deve essere limitata al minimo e subordinata ad una analisi economica di impatto sul sistema ferroviario che tiene conto dei relativi sovraccosti oltre che alla stima dei tempi necessari alla loro implementazione. 6) PRIVACY. La norma sulla privacy assume particolare importanza, in quanto, al pari di quanto avviene in altri Paesi UE, viene stabilito che, ai fini del trattamento dei dati personali previsto dal Codice della privacy, qualsiasi imprenditore, anche individuale, è considerato e trattato come persona giuridica: quindi, escluso dal trattamento dei dati personali ivi previsto. 7) AMBIENTE. Viene semplificata una serie di procedimenti nel pieno rispetto degli standard comunitari al fine di assicurarne l’accelerazione, fermi restando i livelli di tutela. Tra l’altro vengono affrontati i problemi della messa in sicurezza e della bonifica con il duplice fine di difendere l’ambiente e recuperare aree, anche ai fini produttivi, e vengono semplificati alcuni passaggi burocratici dei procedimenti di VIA, di VAS e AIA. 8) SETTORE AGRICOLO e agroindustriale. Si escludono dall’obbligo di iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali gli imprenditori agricoli che effettuano direttamente il trasporto di rifiuti pericolosi e non pericolosi di propria produzione e, in agricoltura, si prevede la possibilità di assunzioni collettive di lavoratori da parte di gruppi di imprese facenti capo allo stesso gruppo o riconducibili ad uno stesso proprietario ovvero ad uno stesso nucleo familiare. Inoltre, si facilita la tenuta della contabilità degli imprenditori agricoli, consentendo agli imprenditori agricoli obbligati alla tenuta del registro di carico-scarico di delegare la tenuta degli stessi alla cooperativa agricola di cui sono soci. 9) SALUTE. In materia di influenza aviaria, si riducono gli obblighi di informazione per le aziende avicole familiari. Si snelliscono le procedure autorizzative per l’installazione delle apparecchiature a risonanza magnetica. 10) SEMPLIFICAZIONE IN MATERIA FISCALE. Il pacchetto di misure è volto ad agevolare il rapporto tra fisco e contribuenti attraverso un uso più diffuso degli strumenti informatici ed evitando duplicazioni di documentazione. Tra le principali novità: - Successioni: quando il valore dell’eredità non supera i 75.000 euro i beneficiari sono esonerati dalla dichiarazione se si tratta di coniuge o parenti in linea retta e se l’eredità non comprende immobili o diritti reali immobiliari. Attualmente la soglia per l’esonero e’ fissata in 50 milioni di lire; - Rimborso crediti d’imposta: si stabilisce che gli interessi sui rimborsi in conto fiscale siano erogati contestualmente al rimborso stesso senza che il contribuente debba presentare apposita istanza; - Spese di rappresentanza: viene portato a 50 euro (da 25,82 euro) il valore unitario degli omaggi per cui è ammessa la detrazione Iva. In questo modo il valore per la detrazione Iva viene uniformato a quello della deducibilità ai fini delle imposte sui redditi; - Ammortamento finanziario: si prevede l’eliminazione della preventiva autorizzazione per poter dedurre quote di ammortamento finanziario in caso di concessioni relative alla costruzione e all’esercizio di opere pubbliche; - Imprese di spettacoli: viene uniformata la percentuale di detrazione forfettaria dell’iva per le operazioni di sponsorizzazione con quella prevista per le spese di pubblicità. In questo modo si riduce il contenzioso dovuto alla difficoltà di distinguere le due categorie; - Società tra professionisti: ad esse si applica, anche ai fini Irap, il regime fiscale delle associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche. La norma e’ volta a risolvere alcune incertezze interpretative. - Spese di vitto e alloggio dei professionisti: la disposizione specifica che queste spese sostenute direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per i professionisti che ne usufruiscono. Inoltre sulle Deleghe normative e di semplificazioni, il disegno di legge contiene una delega per il riassetto normativo e la codificazione nelle materie del pubblico impiego e della documentazione amministrativa, nonché una delega regolamentare per la riduzione degli oneri regolatori a carico di cittadini e imprese e dei termini dei procedimenti.Contiene, inoltre, deleghe di settore, in materia ambientale, di beni culturali e di istruzione. (Presidenza Consiglio dei Ministri, comunicato del 19.6.2013)

 
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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

Concorsi pubblici: è legittima la determinazione dei criteri di valutazione delle prove concorsuali anche dopo la loro effettuazione, purché prima della loro concreta valutazione

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Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato ha enunciato una serie di principi ormai consolidati in materia di concorsi pubblici che si ritiene utile di seguito evidenziare: 1)il voto numerico attribuito dalla commissione di un concorso pubblico esprime e sintetizza in modo adeguato il giudizio tecnico-discrezionale della commissione (cfr. anche, ex plurimis, Cons. Stato, IV, 2 novembre 2012, n. 5581); 2) la valutazione delle prove dei candidati rientra nella discrezionalità della commissione, non censurabile in giudizio se non per illogicità o altri vizi estrinseci, che nella fattispecie non è dato riscontare; 3) è legittima la determinazione dei criteri di valutazione delle prove concorsuali anche dopo la loro effettuazione, purché prima della loro concreta valutazione, essendo il precetto stabilito dall’art. 12 comma 1, d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalita' di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi) volto a eliminare il sospetto che i criteri stessi siano preordinati a favorire o sfavorire alcuni concorrenti (per tutte, Cons. Stato, V, 25 maggio 2012, n. 3062). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 20.6.2013, n. 3365)

 
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Nomina del Comandante del Corpo di Polizia Municipale: in caso di ampliamento della pianta organica con creazione di una posizione dirigenziale non c'è demansionamento per il dipendente già in servizio sino ad allora titolare della posizione apicale all'interno del Corpo, ma inquadrato in una posizione inferiore

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Nel giudizio in esame l’appellante si duole della circostanza che in violazione di quanto dispone l’art. 52 d.lgs. n. 165/2001, non sarebbe possibile sottrarre le mansioni affidate ad un pubblico dipendente, né varrebbe quale giustificazione la presunta riorganizzazione del Corpo di Polizia municipale, poiché tale non potrebbe essere valutata la mera assunzione di un nuovo dipendente. La censura ad avviso del Consiglio di Stato è priva di pregio e va disattesa. L’art. 52 d.lgs. n. 165/2001, infatti, sancisce il diritto alla adibizione alle mansioni per le quali il dipendente è stato assunto o ad altre equivalenti, e recepisce - attese le perduranti peculiarità relative alla natura pubblica del datore di lavoro, tuttora condizionato, nell'organizzazione del lavoro, da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria delle risorse - un concetto di equivalenza "formale", ancorato alle previsioni della contrattazione collettiva (indipendentemente dalla professionalità acquisita) e non sindacabile dal giudice, con la conseguenza che condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita (Cass., sez. lav., 11 maggio 2010, n. 11405). Pertanto, nel caso di ampliamento della pianta organica con creazione di una posizione dirigenziale non si registra un demansionamento nei confronti del dipendente già in servizio sino ad allora titolare della posizione apicale all’interno del Corpo di Polizia municipale, ma inquadrato in una posizione inferiore. Semplicemente, si registra un riallineamento automatico delle posizioni lavorative imposto dalla stessa l. n. 65/1986, dalla cui disciplina si evince che il Comandante del Corpo di Polizia municipale deve avere la qualifica di vigile urbano, ha la responsabilità del Corpo e ne risponde direttamente al Sindaco (Cons. St., Sez. V, 14 maggio 2013, n. 2607). Del resto appare utile rammentare come per giurisprudenza consolidata la nomina a Comandante del Corpo non deve essere necessariamente accompagnata dall’assegnazione di una qualifica dirigenziale (Cons. St., sez. V, 14 novembre 1997, n. 1303). Inoltre in questa sede non può che ribadirsi l’avviso già espresso dalla Suprema Corte in ordine ai limiti che incontra il sindacato di legittimità del giudice: "Nel regime di impiego contrattualizzato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni successivo al d.lgs. n. 80 del 1998, ove le mansioni attribuite ad un dipendente pubblico siano modificate come conseguenza di un atto amministrativo che incide sulle linee fondamentali e di organizzazione dell'ente, compete al giudice di merito, risolvendosi nell'accertamento della volontà della P.A., la interpretazione dell'atto amministrativo, e la relativa valutazione è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata ed immune dalla violazione delle norme che, dettate per la interpretazione dei contratti, sono applicabili anche agli atti amministrativi" (Cass., Sez. Lav., 11 settembre 2007, n. 19025). Appare, ancora, del tutto infondato il profilo di illegittimità inerente l’assenza di una vera riorganizzazione del Corpo di Polizia municipale, non potendo la stessa ridursi nell’ampliamento di organico di una sola unità come lamentato dall’appellante. Sotto questo profilo, infatti, il varo della L.R. Lombardia, n. 3/2004, con attribuzione di nuove funzioni al Corpo di Polizia municipale ben giustifica l’esigenza di rafforzarne l’organico, mentre rientra nel merito della valutazione discrezionale dell’amministrazione comunale la decisione in ordine all’aumento di una sola unità, come quella relativa all’individuazione della qualifica professionale da inserire in pianta organica. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.6.2013, n. 3236)

 
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Inquadramento del personale degli Enti Locali: per il Consiglio di Stato sono irrilevanti le mansioni superiori svolte dal dipendente non riconducibili ad un preciso profilo professionale

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L’art. 40, d.P.R. 25 giugno 1983, n. 347, dispone l’inquadramento del personale degli enti locali nei diversi livelli dell’articolazione ivi prevista sulla base del raffronto fra la declaratoria del profilo professionale formalmente attribuito a ciascuno e la declaratoria dei profili inseriti nei vari livelli istituiti dallo stesso d.P.R., senza che possa darsi alcun rilievo alle eventuali mansioni superiori svolte. L’assunto è da tempo pacifico, essendo stati da tempo superati i dubbi emersi nella fase di applicazione nella giurisprudenza dei tribunali amministrativi (da ultimo C. di S., V, n. 1924 del 2013 cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.). Nella vicenda in esame il Comune di Firenze ha posto in essere una complessa procedura preordinata a dare rilievo alle mansioni superiori a quelle proprie della qualifica svolte dai dipendenti al fine dell’inquadramento nei livelli previsti dal d.P.R. richiamato, e tali deliberazioni non venivano impugnate. Il ricorrente in particolare pretende di essere inquadrato in un profilo professionale inesistente e sul punto il Collegio ha rilevato che i casi eccezionali nei quali la normativa regolante lo stato giuridico dei dipendenti pubblici ammette la rilevanza dell’esercizio di mansioni superiori si basano sul presupposto che l’Amministrazione abbia di fatto ricevuto un vantaggio dalla preposizione del dipendente a compiti di maggiore impegno di quelli di sua spettanza; nel caso in cui le mansioni di cui si tratta non sono riconducibili ad un preciso profilo professionale è dimostrato che tale presupposto non ricorre, in quanto l’Amministrazione non ha riconosciuto l’utilità delle mansioni di cui si tratta inquadrandole in un preciso profilo professionale. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.6.2013, n. 3225)

 
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L’art. 40, d.P.R. 25 giugno 1983, n. 347, dispone l’inquadramento del personale degli enti locali nei diversi livelli dell’articolazione ivi prevista sulla base del raffronto fra la declaratoria del profilo professionale formalmente attribuito a ciascuno e la declaratoria dei profili inseriti nei v ... Continua a leggere

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Revisione pianta organica farmacie: il Consiglio di Stato chiarisce i casi in cui l'istituzione di nuove sedi farmaceutiche ricade nel divieto di prelazione comunale e nell’obbligo di copertura mediante il concorso straordinario

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Il contenzioso in esame ha per oggetto la delibera del Consiglio Provinciale di Reggio Emilia, n. 55/2012, con la quale è stata approvata la revisione della pianta organica delle farmacie. La delibera è giunta all’esito del procedimento avviato con riferimento al biennio 2007/2008, secondo le leggi n. 475/1968 e n. 362/1991, e in applicazione dei criteri ivi previsti. La delibera prevede, fra l’altro, l’istituzione di un certo numero di nuove sedi farmaceutiche; e prevede altresì che sette (su otto) di queste siano offerte in prelazione ai rispettivi Comuni: Boretto, Montecchio nell’Emilia, Novellara, San Martino in Rio, Viano, e Reggio nell’Emilia (due sedi)......Nel merito viene in considerazione l’art. 11 del decreto legge n. 1/2012, come modificato dalla legge di conversione n. 27/2012. Il comma 1 modifica i parametri demografici per la determinazione del numero delle sedi farmaceutiche spettanti a ciascun Comune; la conseguenza (comma 2) è il potere-dovere dei Comuni di procedere all’individuazione delle nuove sedi farmaceutiche. Il comma 3 dispone che ciascuna Regione bandisca un concorso straordinario per l’immediata copertura «delle sedi farmaceutiche disponibili di cui al comma 2 e di quelle vacanti» e aggiunge che in deroga alle norme generali «sulle sedi farmaceutiche istituite in attuazione del comma 1 o comunque vacanti non può essere esercitato il diritto di prelazione da parte del comune». Si può dare per incontroverso, nel presente giudizio, che le due disposizioni, benché formulate con espressioni leggermente diverse, riguardino le medesime sedi; in altre parole, le sedi farmaceutiche per le quali è introdotto il divieto di assegnazione ai Comuni sono le stesse che debbono essere bandite nel concorso straordinario, e viceversa. Il punto ora in discussione è se le nuove sedi istituite con la pianta organica approvata con la delibera n. 55 del 12 aprile 2012 (data nella quale erano già entrate in vigore le nuove disposizioni e non erano ancora scaduti i termini per gli adempimenti conseguenti) ricadano nel divieto di prelazione comunale e nell’obbligo di copertura mediante il concorso straordinario. I ricorrenti sostengono la tesi affermativa, basandosi essenzialmente sulla portata ampia ed inclusiva della espressione «sedi comunque vacanti». La sentenza appellata ha invece recepito la tesi contraria, basandosi sulla petizione di principio che nella lingua italiana la parola "vacante" si riferisca specificamente ed esclusivamente ad una sede che sia divenuta tale per effetto della cessazione di chi ne era titolare, e non anche a quella che non sia mai stata coperta, perché di recente istituzione. Peraltro, sempre secondo la sentenza appellata, le sedi di cui si discute non rientrerebbero neppure nella previsione relativa alle «sedi farmaceutiche istituite in attuazione del comma 1», perché istituite in attuazione della normativa previgente, ancorché con atto emanato dopo l’entrata in vigore della nuova (pure questo punto della sentenza, ad avviso del Collegio, sarebbe discutibile, ma gli appellanti non lo contestano, e perciò può essere tenuto per fermo). Quanto asserito dal T.A.R. circa il significato della parola "vacante" nella lingua italiana non può viene condiviso dal Consiglio di Stato. E’ vero che per lo più i dizionari di uso corrente e scolastico dicono che "vacante" è il posto che si è reso libero per effetto del venir meno di chi ne era titolare, tacendo di quelli che sono liberi sin dall’origine, non essendo stati mai coperti. Ma è chiaro che le espressioni di siffatti dizionari hanno una funzione esplicativa ed esemplificativa e suggeriscono il significato di più immediata comprensione per il lettore; non hanno invece la pretesa di dare "definizioni" ad excludendum con esattezza scientifica o tecnico-giuridica. D’altra parte, dato e non concesso che si possa astrattamente distinguere fra le sedi "vacanti" siccome abbandonate dal titolare, e quelle mai coperte sin dalla loro origine, non si comprende quali ragioni vi siano per differenziare le une dalle altre quanto al regime giuridico, né quale interesse pratico o quale rilevanza concettuale possa avere tale distinzione. Di questi interrogativi la sentenza appellata non si occupa. In realtà, nel linguaggio giuridico comune l’espressione "posto vacante" ha, pacificamente e da sempre, il significato più esteso sostenuto dai ricorrenti e non quello più restrittivo affermato dal T.A.R.. Nella materia del pubblico impiego vi è una sterminata casistica dell’uso ampio ed inclusivo della locuzione "posto vacante", sia nei testi normativi, sia nelle massime di giurisprudenza. Così, quando la legge n. 207/1985 ha concesso l’inquadramento in ruolo "in sanatoria" al personale degli enti sanitari che avesse svolto di fatto le mansioni, subordinando il beneficio alla preesistenza del relativo "posto vacante in organico", è sempre stato pacificamente inteso che con ciò la norma si riferisse anche ai posti mai coperti (anzi, di fatto questa era l’ipotesi di più frequente applicazione) e non è mai stata affacciata l’ipotesi che la si dovesse intendere diversamente. La controprova è che non esiste un termine tecnico appropriato per indicare quei posti che, pur essendo privi di titolare, stando alla tesi del T.A.R. non si potrebbero denominare "vacanti", e che ovviamente non sono neppure "non vacanti". Etimologicamente, il termine "vacante" deriva com’è noto dal verbo "vacare", disusato in italiano, ma che in latino significa essere vuoto (vacuus), e per estensione essere libero (vacare vitio, essere esente da vizio), senza distinguere se tale stato di fatto duri sin dall’origine ovvero dipenda da vicende sopravvenute. Anche nel codice di diritto canonico, quando si parla di officium vacans il contesto rende palese che ci si riferisce indifferentemente ad entrambe le ipotesi (canoni 153, 155). Anche per questa via si smentisce la tesi lessicale affermata dal T.A.R..Tornando al testo letterale dell’art. 11 del decreto legge n. 1/2012, poi, è ulteriormente significativo che il legislatore abbia abbinato alla parola "vacante" (già di per sé insuscettibile dell’interpretazione limitativa accolta dal T.A.R.) l’avverbio "comunque". Esso, pur essendo sostanzialmente superfluo, tuttavia palesa l’intenzione di sottolineare ancora l’ampiezza del termine usato e di eliminare ogni possibilità di equivoco. Invero in quel contesto "comunque" sta per: "quale che sia la causa per cui la sede è priva di titolare". L’intenzione così palesata dal legislatore mediante un uso non equivoco delle parole è coerente con lo scopo perseguito dall’intero decreto legge. Esso contiene, com’è noto, disposizioni relative a materie assai disparate, ma tutte accomunate dall’intento politico enunciato dall’intitolazione del decreto legge: «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività». Si comprende che l’aumento del numero delle farmacie e una sia pur minima apertura verso una certa liberalizzazione del settore rispondono, nella mente del legislatore, non solo e non tanto allo scopo di migliorare il servizio reso all’utenza, quanto a quello di offrire nuove possibilità all’iniziativa imprenditoriale e alla concorrenza. Da questo punto di vista si spiega dunque che il legislatore abbia temporaneamente interdetto la facoltà dei Comuni di assumere la gestione di un certo numero di farmacie, sottraendole all’iniziativa privata. Dunque la disposizione: «sulle sedi farmaceutiche istituite in attuazione del comma 1 o comunque vacanti non può essere esercitato il diritto di prelazione da parte del comune», non può essere oggetto di capziose forzature interpretative che contraddirebbero tanto il senso proprio delle parole usate, quanto lo scopo palese dell’intero intervento normativo. Per completezza, il Collegio si e' fatto carico di un’altra possibile obiezione formulabile contro le tesi degli appellanti. Si potrebbe invero prospettare la tesi che, proprio perché le sedi farmaceutiche in contestazione sono state istituite con la delibera del 12 aprile 2012, esse non erano né esistenti né tanto meno "vacanti" alla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 27/2012 (25 marzo); dunque non ricadrebbero sotto il divieto stabilito in deroga e una tantum dall’intervento legislativo, e resterebbero suscettibili della prelazione comunale. Neppure questa tesi, peraltro, può essere condivisa, perché come si è detto sopra il divieto della prelazione comunale è posto in stretta correlazione con la indizione del concorso straordinario, il quale deve avere per oggetto tanto le farmacie di nuova istituzione quanto tutte quelle genericamente "vacanti". La data di riferimento per individuare quali sedi siano "vacanti" (e come tali da mettere a concorso), e quali no, può dunque essere logicamente solo quella della indizione effettiva del concorso straordinario; oppure, a tutto concedere, quella della scadenza del termine (ordinatorio e non perentorio) entro il quale il concorso doveva essere bandito, se anteriore alla data della effettiva indizione. La delibera impugnata (12 aprile 2012) è notevolmente anteriore ad entrambe quelle possibili date di riferimento. In conclusione, è certo che la delibera impugnata in primo grado, n. 55 del 12 aprile 2012, è viziata nella parte in cui offre in prelazione ai rispettivi Comuni quelle nuove sedi farmaceutiche, in un momento nel quale la prelazione era tassativamente esclusa dalla legge testé entrata in vigore. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 12.6.2013, n. 3249)

 
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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

L'attività di raccolta delle scommesse e di organizzazione/esercizio di concorsi pronostici riservata allo Stato e ad altre Amministrazioni, integra un servizio pubblico suscettibile di concessione in gestione a terzi relativamente al quale le controversie aventi ad oggetto indennità, canoni ed altri corrispettivi sono sottratte alla giurisdizione del plesso amministrativo

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Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo regionale pronunciandosi sul ricorso proposto dall'appellante, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del plesso giurisdizionale amministrativo in ordine alla domanda di annullamento dei provvedimenti dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato - Ufficio regionale della Campania, con i quali era stato alla stessa stato richiesto il versamento di penali ed interessi per il preteso ritardato pagamento dei flussi finanziari di cui all’art. 14, comma 5, della convenzione di concessione n. 4008 per la raccolta dei giochi pubblici di cui all’art. 38 del decreto legge n. 223/2006, convertito con modificazioni ed integrazioni dalla legge n. 248/2006. Il Consiglio di Stato ha rigettato l'appello. A tale proposito si rammenta che la giurisprudenza amministrativa (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. IV, 1 marzo 2006 n. 962) ha sempre e costantemente sostenuto che l'attività di raccolta delle scommesse e di organizzazione/esercizio di concorsi pronostici, riservata allo Stato e ad altre Amministrazioni, integra, alla stregua dell'ordinamento vigente, un servizio pubblico suscettibile di concessione in gestione a terzi (Cass SS.UU., ord. 1 aprile 2003 n. 4994 e Cons. Stato, Sez. VI, 22 aprile 2004 n. 2330). La causa del potere riconosciuto alla Pubblica amministrazione persegue non solo (e non tanto) lo scopo di assicurare un congruo flusso di entrate all'erario, quanto piuttosto quello di garantire, a fronte della espansione del settore, l'interesse pubblico alla regolarità e moralità del servizio e, in particolare, la prevenzione della sua possibile degenerazione criminale (cfr., in particolare, Cass. pen., SS.UU., 26 aprile 2004 n. 3272): ne consegue che l'attività di raccolta delle scommesse sportive in esame va qualificata quale servizio pubblico, con la conseguenza che rispetto alle controversie che riguardano il settore trova applicazione l'art. 33 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, poi trasfuso nell’art. 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205 (ed ora presente nell’elenco di cui all’art. 133 c.p.a.) che attribuisce alla giurisdizione esclusiva del G.A. tutte le controversie in materia di servizi pubblici. Tuttavia, deve essere anche ricordato che la antevigente citata disposizione di legge era stata oggetto di sindacato da parte della Corte costituzionale, che ne aveva dichiarato la parziale illegittimità laddove la giurisdizione esclusiva andava a ricomprendere anche le controversie in tema di servizi pubblici aventi ad oggetto indennità, canoni ed altri corrispettivi (sentenza della Corte cost. 6 luglio 2004 n. 204). Il quesito cui occorre fornire una risposta, pertanto, riposa nella sussumibilità – o meno- dell’oggetto del provvedimento gravato nell’ambito delle controversie in tema di servizi pubblici aventi ad oggetto indennità, canoni ed altri corrispettivi sottratte alla giurisdizione del plesso amministrativo (come oggi positivamente ribadito dall’art. 133 del cpa). Ritiene in proposito il Collegio di non doversi discostare dall’orientamento consolidato della Corte Costituzionale e della Corte regolatrice della giurisdizione secondo cui la giurisdizione si determina in relazione al c.d. "petitum sostanziale" (tenendo conto cioè, non solo della tipologia di richiesta veicolata nel processo e degli atti gravati ma anche e soprattutto della posizione giuridica sostanziale sottesa) . Con riguardo a tale profilo, e con specifico riferimento alla controversia per cui è causa, il Collegio ha quindi ribadito la correttezza dell’approdo del Tar che ha posto in luce che la controversia attiene ad aspetti esclusivamente patrimoniali del rapporto concessorio,riguardando esclusivamente al versamento di penali ed interessi per il preteso ritardato pagamento dei flussi finanziari di cui all’art. 14, comma 5, della convenzione di concessione. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.6.2013, n. 3246)

 
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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

Prima del decorso del termine di centoventi giorni decorrente dalla notifica del titolo esecutivo il creditore non può, nei confronti delle Amministrazioni, procedere ad esecuzione forzata né alla notifica dell'atto di precetto

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La disposizione di cui all’art. 14 D.L. n.669/96 e ss. mod. assegna alle amministrazioni dello Stato e agli enti pubblici non economici il termine di centoventi giorni, decorrente dalla notifica del titolo esecutivo, per completare le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di danaro. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto. Si tratta, evidentemente, di un obbligo per amministrazioni ed Enti, vincolati dal bilancio, al fine precipuo di definire le operazioni contabili necessarie a rendere esigibili i crediti degli amministrati derivanti dai titoli esecutivi, che vincola, per i profili procedimentali, l'azione delle pubbliche amministrazioni alle quali si rivolge (Cons. St. Sez. V, 19.3.2007, n. 1303). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.6.2013, n. 3160)

 
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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

Reclutamento nelle Forze di polizia e per l'accesso alla Guardia di finanza: anche un isolato episodio, in cui il candidato abbia utilizzato o detenuto droga, è suscettibile di essere valutato negativamente e di rappresentare di per sé causa di esclusione dal concorso

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L’Amministrazione ha ampia discrezionalità nell’apprezzare i requisiti morali e di condotta che la normativa di legge e di concorso richiede negli aspiranti ed in tale prospettiva, anche un isolato episodio, in cui il candidato abbia utilizzato o detenuto droga, è suscettibile di essere valutato negativamente e di rappresentare di per sé causa di esclusione dal concorso, senza che per tale motivo la condotta dell’Amministrazione possa dirsi irragionevole. Questi principi ad avviso del Consiglio di Stato valgono in genere per il reclutamento nelle Forze di polizia e ancor più per l’accesso alla Guardia di finanza, in ragione dei compiti particolari di contrasto e repressione del traffico delle sostanze stupefacenti che a questo Corpo sono attribuiti e della vicinanza a soggetti dediti allo spaccio che il consumo di droga inevitabilmente comporta (cfr. in tal senso 29 settembre 2011, n. 5411; 4 luglio 2012, n. 3929; 9 luglio 2012, n. 4048; 5 marzo 2013, n. 1343; 28 maggio 2013, n. 2912; ord. 24 aprile 2013, n. 1506). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.6.2013, n. 3473)

 
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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

Resta la bocciatura all'esame d'avvocato anche se il candidato produce al giudice pareri pro veritate per contrastare i giudizi espressi dalle commissioni esaminatrici

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Il giudizio amministrativo è il luogo in cui la valutazione della commissione di esame può essere apprezzata ab extrinseco, nei termini di cui prima si è detto, non la sede per contrapporre giudizi di merito (i quali, per definizione, possono sempre rivestire una certa misura di soggettività), salvo il caso in cui tali giudizi siano chiaramente irragionevoli ed arbitrari; il che non si verifica nella specie. Non a caso, d’altronde, proprio per questa ragione è stata costantemente affermata l’irrilevanza dei pareri pro veritate, eventualmente addotti a contrastare i giudizi espressi dalle commissioni esaminatrici secondo la propria discrezionale valutazione. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.6.2013, n. 3474)

 
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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

Elusione del giudicato delle P.A., il Consiglio di Stato smaschera le Amministrazioni che con attività surrettizie rieditano di fatto il contenuto di provvedimenti annullati dal giudice

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Il concetto di elusione del giudicato miri a stigmatizzare una vicenda particolarmente "maliziosa sconveniente", caratterizzata dall’aspetto defatigante e insidioso, che permette all’amministrazione, in illusorio falso ossequio alla decisione del giudice, di rivedere le proprie determinazione in senso asseritamente rispettoso, ma fondamentalmente contrario alla statuizione giurisdizionale. Si tratta di un fenomeno che ha attirato l’attenzione del Consiglio di Stato, che lo ha spesso osservato in una pluralità di espressioni, evidenziando come, anche in chiave semantico - lessicale, l'elusione configuri un fenomeno diverso dall'aperta violazione del decisum, venendo ad emersione in quei casi in cui l'amministrazione, pur formalmente provvedendo a dare esecuzione ai precetti rivenienti dal giudicato, tenda in realtà a perseguire l'obiettivo di aggirarli sul piano sostanziale, in modo da pervenire surrettiziamente al medesimo esito già ritenuto illegittimo. La giurisprudenza che si registra in materia rileva che il vizio in questione sussiste laddove l'amministrazione, piuttosto che riesercitare la propria potestà discrezionale in conclamato contrasto con il contenuto precettivo del giudicato amministrativo, cerchi di realizzare il medesimo risultato con un'azione connotata da un manifesto sviamento di potere, mediante l'esercizio di una potestà pubblica formalmente diversa in palese carenza dei presupposti che la giustificano (in questi sensi, Consiglio di Stato sez. IV, 21 novembre 2012 n. 5903; id., 1 aprile 2011, n. 2070). È quindi evidente, agli occhi del giudice, come il fenomeno in sé si caratterizzi dal punto di vista sostanziale, ossia in relazione al risultato raggiunto, che è oggettivamente contrario al decisum (in una ottica vicina alle posizioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, su cui vedi sentenza 18 novembre 2004, Zazanis c. Grecia, recentemente richiamata in Consiglio di Stato ad. plen., 15 gennaio 2013 n. 2), più che dal punto di vista formale dell’illegittimità dei singoli atti che sostanziano l’elusione. In effetti, impiegando un concetto che la dottrina amministrativista ha mutuato da quella civilista, si assiste qui a una vera e propria operazione amministrativa, condotta dal soggetto pubblico che, con uno o più atti diversi, consegue un risultato vietato dall’ordinamento, secondo uno schema normativo che ha un suo prototipo disciplinare nella fattispecie regolata dall’art. 1344 codice civile. Il che implica, in primis, una constatazione di tipo ontologico e, conseguentemente, un’immediata influenza sul modus agendi del giudicante. Dal primo punto di vista, la ricostruzione del fenomeno elusivo passa attraverso la complessiva disamina dell’insieme di atti e comportamenti tenuti dall’amministrazione, per cui appare recessiva il criterio discretivo basato sulla legittimità del singolo provvedimento, dovendosi invece valutare l’insieme degli atti adottati, in relazione al risultato finalmente ottenuto e non potendosi neppure escludere, in via di principio, che il risultato elusivo consegua ad atti singolarmente non viziati. Tale logica appare direttamente derivata dalla previsione normativa data dall’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990. Infatti, è in tale "ambiente" che il legislatore, inquadrando il fenomeno dell’elusione e della violazione del giudicato nel tema della nullità, e non dell’annullabilità, del provvedimento amministrativo, ne modifica i connotati essenziali, sottoponendolo ad una diversa disciplina e allontanandolo dal regime decadenziale vigente per impugnativa degli atti meramente illegittimi. Dal secondo punto di vista, quello delle modalità di scrutinio giurisdizionale, proprio perché il regime disciplinare muta a seconda della tipologia di vizio di cui è affetto l’atto, trasmutandosi dalla mera illegittimità alla più grave e tranciante nullità, la prima fase dell’accertamento devoluto al giudice è quello dell’esatta qualificazione della patologia lamentata dalla parte, al fine di poter concretamente applicare il regime conseguente. Proprio perché tale accertamento avviene in una fase di "azzardo" conoscitivo, l’applicazione immediata del meccanismo dell’irrecivibilità si dimostra una vera fallacia, atteso che esso applica una norma valevole generalmente per i casi di vizi di illegittimità ad una fattispecie in cui non è ancora accertato quale sia la disciplina invocabile. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.6.2013, n. 3264)

 
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Il concetto di elusione del giudicato miri a stigmatizzare una vicenda particolarmente "maliziosa sconveniente", caratterizzata dall’aspetto defatigante e insidioso, che permette all’amministrazione, in illusorio falso ossequio alla decisione del giudice, di rivedere le proprie determinazione in se ... Continua a leggere

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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

Per la condanna della P.A. al risarcimento del danno derivante dall’azione amministrativa illegittima non è sufficiente la declaratoria giurisdizionale dell’illegittimità dell'atto amministrativo

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Il riconoscimento di un danno risarcibile come conseguenza dell’azione amministrativa illegittima, non è qualificabile come evento direttamente conseguente alla declaratoria giurisdizionale dell’illegittimità di un atto amministrativo, ma deve essere fondata su una pluralità di presupposti, desumibili dalla normativa civilistica in tema di danno extracontrattuale, che contemplano, accanto all’accertata non conformità a legge del provvedimento lesivo, anche la sussistenza del danno de quo, la puntuale e ragionevole dimostrazione del rapporto di causa ed effetto che si instaura tra atto illegittimo e danno e l’imputabilità all’amministrazione stessa del fatto. Questo e' il principio affermato dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato la quale ha sottolineato come non vi sia quindi un meccanismo di automatica equivalenza tra l’intervenuto annullamento dell’atto amministrativo, l’evidenziato comportamento illegittimo della pubblica amministrazione e la risarcibilità del danno ingiusto eventualmente patito dal soggetto destinatario degli effetti lesivi dell’atto annullato. Ed è alla parte istante, secondo la normale ripartizione dell’onere probatorio nell’ambito dei diritti soggettivi, che spetta dare contezza dei fatti sui quali si fonda la propria pretesa. Sulla base di queste premesse incontestabili e del tutto pacifiche, ed in disparte ogni valutazione sull’effettiva spettanza del bene della vita, la cui lesione viene fondata come fatto a sostegno del danno subito dagli appellanti (va infatti rammentato che il T.A.R. in sede di cognizione ha evidenziato come l’amministrazione avrebbe prima dovuto annullare la concessione edilizia rilasciata per poi procedere alla fase sanzionatoria, evidenziando ad ogni modo il contrasto tra il manufatto realizzato e la pianificazione vigente), va effettivamente rimarcato come alcun valido elemento probatorio sia stato portato a sostegno della pretesa risarcitoria. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.6.2013, n. 3266)

 
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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

È inammissibile l'istanza di accesso ai documenti con la quale si richiede un'attività di elaborazione e formazione di nuovi documenti

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L’accesso documentale e' rivolto a ottenere documenti esistenti e in possesso della pubblica amministrazione (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013 n. 846; Consiglio di Stato, sez. IV, 30 luglio 2012 n. 4316, dove si dichiara inammissibile l'istanza con la quale si chiede all'Amministrazione non l'ostensione di atti già esistenti in rerum natura , ma un'attività di elaborazione e formazione di nuovi documenti, che non può essere pretesa in sede di accesso). Ne deriva che tale pretesa non può essere invocata allorché lo stesso interessato non chieda l'esibizione di documenti di cui sia certa l'esistenza, ma intende provare l'esistenza di documenti che egli afferma essere stati a suo tempo formati, atteso che, agendo diversamente ed ammettendo una richiesta di esibizione di documenti non corredata con la prova dell'esistenza delle notizie riferibili all'interesse di cui l'istante è titolare, in essi contenute, essa si trasformerebbe in un inammissibile strumento di controllo sull'attività stessa (Consiglio di Stato, sez. IV, 10 dicembre 2009 n. 7725). In secondo luogo, va sottolineato come la scienza dell’amministrazione, e quindi i documenti che la rappresentano, non siano detenuti ad uso proprio, ma rappresentino un bene fruibile dalla collettività, secondo la disciplina del diritto d’accesso stesso. Per cui, la reiterazione in sé di una istanza di accesso, ove non acquisti un contenuto pretestuoso o contrario alla legge stessa (come nel caso esaminato da Consiglio di Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013 n. 846), non è illegittima, qualora rientri nello schema normativo individuato dalla giurisprudenza consolidata in tema (che la quale chiarisce come salvo ammette la salvezza del diritto dell'interessato a reiterare l'istanza di accesso ed a pretendere riscontro alla stessa in presenza di fatti nuovi sopravvenuti, non rappresentati nell'originaria istanza o anche a fronte di una diversa prospettazione dell'interesse giuridicamente rilevante; cfr., Consiglio di Stato, sez. V, 12 marzo 2009 n. 1429; Consiglio di Stato, sez. V, 2 febbraio 2010 n. 442; Consiglio di Stato, sez. V, 2 febbraio 2010 n. 442; Consiglio di Stato, sez. IV, 6 giugno 2011 n. 3403). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.6.2013, n. 3267)

 
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L’accesso documentale e' rivolto a ottenere documenti esistenti e in possesso della pubblica amministrazione (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013 n. 846; Consiglio di Stato, sez. IV, 30 luglio 2012 n. 4316, dove si dichiara inammissibile l'istanza con la quale si chiede all'Amm ... Continua a leggere

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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

Da oggi comunicazioni all'Inail solo on line

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Avviata il 1° luglio la digitalizzazione totale dei servizi, l'Inail farà infatti ricorso esclusivo ai servizi telematici nelle comunicazioni con le aziende. Nel rispetto di quanto disposto dal decreto della Presidenza del consiglio dei ministri del 22 luglio 2011, dunque, l'Istituto – come tutti i soggetti operativi nella pubblica amministrazione del Paese – adotta con pienezza operativa un programma generale di informatizzazione all'insegna dell'innovazione, della trasparenza e della sburocratizzazione. Obbligo di invio telematico anche per le denunce di infortunio, di malattia professionale e di silicosi e asbestosi. Secondo quanto sancito dal dpcm del 22 luglio 2011, quindi, dal 1 luglio la presentazione di istanze, dichiarazioni, dati e lo scambio di informazioni e documenti tra imprese e amministrazioni pubbliche deve avvenire esclusivamente in via telematica. L'istituto nel comunicato stampa precisa che particolare rilievo assumono, in questa fase, le denunce di infortunio per le quali l'Inail ha rilasciato in produzione, dal febbraio 2013, una versione aggiornata del servizio online di denuncia/comunicazione di infortunio (anche al fine di recepire le disposizioni del Testo unico per la sicurezza, che tuttavia non sono ancora in vigore riguardo alla comunicazione a fini statistici per gli infortuni con prognosi di almeno un giorno escluso quello dell'evento). Il servizio di invio telematico per i datori di lavoro è, inoltre, obbligatorio anche per le denunce di malattia professionale e di silicosi e asbestosi, con le modalità descritte dalla circolare Inail 34 del 27 giugno 2013.Dalle strutture del territorio massima disponibilità nel sostegno all'utenza. Le strutture territoriali dell'Istituto, in considerazione della novità dell'obbligo esclusivo di presentazione della denunce degli eventi lesivi in via telematica, adotteranno tutte le iniziative informative più idonee per agevolare gli utenti nella fase di passaggio all'utilizzo esclusivo delle modalità telematiche assicurando, peraltro, la massima disponibilità per consentire all'utenza di effettuare gli adempimenti nei termini previsti. La consulenza del Contact center e di "Inail Risponde". Per ogni dubbio, l'Inail ricorda che il proprio Contact center multicanale erogherà agli utenti, come di consueto, tutte le informazioni necessarie attraverso il numero verde gratuito 803.164, da telefono fisso, e il numero 06.164.164 per chiamate da telefono mobile. È a disposizione degli utenti anche il servizio "Inail Risponde" (nell'area Contatti del portale) per richiedere informazioni o chiarimenti sull'utilizzo dei servizi online e per approfondimenti normativi e procedurali. (Inail, comunicato del 28.6.2013)

 
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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

Ustica, il Governo non impugnerà la sentenza che ha condannato lo Stato a risarcire i familiari delle vittime

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"Il Governo non ha intenzione di impugnare per revocazione la sentenza definitiva con cui la Cassazione ha condannato lo Stato a risarcire i familiari delle vittime di Ustica". Lo precisa una nota di Palazzo Chigi. "Questa determinazione - prosegue la nota - è motivata da ragioni giuridiche, in quanto un ricorso per revocazione in questa situazione processuale potrebbe apparire meramente dilatorio ed esporrebbe lo Stato a ulteriori spese. Ma soprattutto è motivata da ragioni di ordine etico, per il dovuto rispetto alle vittime e ai loro familiari. La sentenza definitiva della Cassazione andrà semplicemente eseguita" conclude la nota. (Presidenza del Consiglio dei Ministri, comunicato del 29.6.2013)

 
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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

La Croazia entra nell'Unione Europea

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Dal 1 luglio la Croazia e' entrata nell'Unione Europea. La Croazia aveva presentato la domanda di adesione all'Unione europea il 21 febbraio 2003 e i negoziati erano cominciati il 3 ottobre 2005. Il Trattato di adesione era invece stato firmato il 9 dicembre 2011 e successivamente aperto alla ratifica. (Farnesina, news 1.7.2013)

 
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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

Il Dlgs n. 39/2013 sulla incompatibilita' e/o inconferibilita' degli incarichi nelle P.A. e negli enti privati in controllo pubblico si applica anche agli incarichi preesistenti all'entrata in vigore delle nuova normativa

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La CIVIT chiarisce che Il dlgs n. 39/2013 può far rimuovere da cariche ed incarichi coloro che versano in condizione di incompatibilita e/o inconferibilita dal momento della sua entrata in vigore e non ha effetto retroattivo. La delibera in questione interviene a risolvere un problema interpretativo rappresentato da molti amministrazioni di seguito indicate: QUESITI: "1. Nota del 24 maggio 2013 del Segretario generale del Comune di Pesaro, in merito all’applicabilità delle disposizioni in materia di inconferibilità e di incompatibilità degli incarichi in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n.39/2013. 2. Nota del 2 maggio 2013 del Direttore generale dell’UPI, con la quale si chiede alla Commissione un parere in ordine all’interpretazione delle norme del d.lgs. n. 39/2013 relative all’incompatibilità degli incarichi. In particolare si chiede "se l’incompatibilità sopravvenuta debba portare alla decadenza dell’incarico o se debba prevalere il principio del tempus regit actum, per il quale gli incarichi in essere andrebbero a scadenza con la normativa previgente in tema di incompatibilità". 3. Nota in data 30 maggio 2013, con la quale il Comune di Canegrate (Milano) chiede il parere della Commissione in ordine all’applicabilità dell’art. 12, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 39/2013 "alle situazioni già consolidate" al momento della data di entrata in vigore della norma. 4. Nota del 21 maggio 2013 del Segretario generale della Città di Massafra, con la quale si chiede "se le cause di incompatibilità e di inconferibilità di incarichi presso pubbliche amministrazioni", di cui al d.lgs. n. 39/2013, "abbiano effetto retroattivo". 5. Nota del 24 maggio 2013 di un consigliere della Provincia di Lecce, con la quale si chiede alla Commissione "se le cause di incompatibilità previste dal d.lgs. n. 39/2013 (…) si applicano agli incarichi ricoperti dopo l’entrata in vigore del suddetto decreto (…) oppure se i predetti motivi di incompatibilità debbano essere contestati, con l’entrata in vigore della norma in questione, a prescindere dalla data di conferimento dell’incarico/i". 6. Nota in data 27 maggio 2013, con la quale il Segretario generale del Comune di Foggia chiede il parere della Commissione in ordine all’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 39/2013, ove si tratti di cariche assunte in epoca anteriore all’entrata in vigore della norma e a tutt’oggi rivestite. 7. Nota del 4 giugno 2013, con la quale il Segretario generale del Comune di Bari chiede alla Commissione un parere ai sensi dell’art. 16, comma 3, del d. lgs. n. 39 del 2013, in merito alla decorrenza della disciplina posta dall’art. 12 dello stesso decreto. 8. Nota del 5 giugno 2013 del Segretario generale della Provincia di Milano, con la quale si chiede, tra l’altro, di conoscere l’avviso della Commissione in ordine all’applicabilità delle norme del d.lgs. n. 39/2013 alle nomine e agli incarichi/cariche già conferiti alla data di entrata in vigore del citato decreto. 9. Nota del 14 giugno 2013 del Segretario generale del Comune di Gaeta (Latina) con la quale si chiede alla Commissione se "l’incompatibilità disposta dal nuovo decreto legislativo debba portare alla decadenza degli incarichi o se debba prevalere il principio tempus regit actumper il quale gli incarichi consolidati andrebbero a scadenza con la normativa previgente sul tema". 10. Nota del 30 maggio 2013, con la quale il Segretario generale della Provincia di Ancona chiede di conoscere e le disposizioni relative all’inconferibilità, ai sensi dell’art. 7, comma 2, lettera d) del d.lgs. n.39/2013 debbano essere applicate anche agli incarichi in corso all’entrata in vigore del citato decreto. 11. Nota del 20 giugno 2013 del Dirigente della Ripartizione II della Regione autonoma Trentino-Alto Adige, con la quale si chiede, tra l’altro, "quali determinazioni adottare in riferimento agli incarichi attualmente in corso attribuiti precedentemente all’entrata in vigore del citato d.lgs. n. 39/2013, anche alla luce delle condizioni di incompatibilità introdotte dal decreto medesimo". 12. Nota del 10 giugno 2013 con cui il Segretario generale del Comune di Pisticci (Matera) chiede alla Commissione un parere in ordine alla eventuale sussistenza di cause di incompatibilità, ai sensi del d.lgs. n. 39/2013, tra l’incarico di assessore comunale e quello di dirigente a tempo indeterminato presso l’ATER, con particolare riferimento all’efficacia temporale delle richiamate norme." Tenuto conto di quanto previsto dall’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 39/2013, la Civit ha espresso IL SEGUENTE AVVISO: "Va, in primo luogo, precisato che il problema dell’applicabilità delle disposizioni in esame si pone, comunque, a decorrere dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 39/2013, e non della legge n. 190/2012, stante la chiara formulazione sul punto dei commi 49 e 50 dell’art. 1 di detta legge, che affidano al legislatore delegato l’adozione di uno o più decreti legislativi "diretti a modificare la disciplina vigente. Ciò premesso, la Commissione ritiene che il d.lgs. n. 39/2013 non pone alcun problema di retroattività e, conseguentemente, di violazione dell’invocato principio tempus regit actum. Le norme del decreto – in particolare, gli artt. da 4 a 8 – non incidono sulla validità del preesistente atto di conferimento degli incarichi, mentre ben può la legge sopravvenuta disciplinare ipotesi di incompatibilità tra incarichi e cariche con il conseguente obbligo di eliminare la situazione divenuta contra legem attraverso apposita procedura. Gli incarichi e le cariche presi in esame dalla nuova disciplina sul punto, infatti, comportano l’espletamento di funzioni e poteri che si protraggono nel tempo (quali, ad esempio, atti di gestione finanziaria, atti di amministrazione e gestione del personale, ecc.). Trattandosi di un "rapporto di durata", dunque, il fatto che l’origine dell’incarico si situa in un momento anteriore non può giustificare il perdurare nel tempo di una situazione di contrasto con la norma, seppur sopravvenuta. Deve concludersi, pertanto, nel senso che la nuova disciplina è di immediata applicazione. Ne deriva che non è in questione l’applicazione del principio della irretroattività della legge, quanto piuttosto l’eventuale differimento dell’efficacia delle norme sulla incompatibilità, che avrebbe richiesto una possibile ma necessariamente espressa previsione da parte del legislatore. Ma ciò non è avvenuto. A conferma della soluzione ora esposta si deve rilevare come già nella legge delega sia prevista l’applicabilità delle disposizioni in tema di incompatibilità anche ad ipotesi di incarichi preesistenti. L’art. 1, comma 50, lett. e) della l. n. 190/2012 affida, infatti, al legislatore delegato la disciplina dei casi di incompatibilità tra gli incarichi di cui alla lett. d) del citato decreto (gli incarichi amministrativi di vertice, nonché gli incarichi dirigenziali, anche conferiti a soggetti estranei alle pubbliche amministrazioni, che comportano l’esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione, e gli incarichi di direttore generale, sanitario e amministrativo delle ASL e delle aziende ospedaliere, nonché gli incarichi di amministratore di enti pubblici ed enti di diritto privato in controllo pubblico) già conferiti e lo svolgimento di attività retribuite o no presso enti di diritto privato regolati o finanziati dall’amministrazione che ha conferito l’incarico, o lo svolgimento in proprio di attività professionali, se l’ente o l’attività professionale sono regolati dall’amministrazione. L’art. 1, comma 50, lett. f) della citata legge, inoltre, affida al legislatore delegato la disciplina dei casi di incompatibilità tra gli incarichi di cui alla lett. d) del citato decreto (gli incarichi amministrativi di vertice, nonché gli incarichi dirigenziali, anche conferiti a soggetti estranei alle pubbliche amministrazioni, che comportano l’esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione e gli incarichi di direttore generale, sanitario e amministrativo delle ASL e delle aziende ospedaliere, nonché gli incarichi di amministratore di enti pubblici ed enti di diritto privato in controllo pubblico) già conferiti e l’esercizio di cariche negli organi di indirizzo politico. Nello stesso senso si devono richiamare gli articoli 9, comma 1, 12, comma 1 e 15, comma 1 del d.lgs. n. 39/2013, che fanno riferimento ai casi di assunzione e mantenimento dell’incarico incompatibile o divenuto tale. L’art. 9, comma 1, prevede, infatti, che gli incarichi amministrativi di vertice e gli incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni , che comportano poteri di vigilanza e controllo sulle attività svolte dagli enti di diritto privato regolati o finanziati dall’amministrazione che conferisce l’incarico, sono incompatibili con l’assunzione e il mantenimento, nel corso dell’incarico, di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dall’amministrazione o ente pubblico che conferisce l’incarico. L’art. 12, comma 1, a sua volta, sancisce che gli incarichi dirigenziali, interni ed esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli di diritto privato in controllo pubblico sono incompatibili con l’assunzione e il mantenimento, nel corso dell’incarico, della carica di componente dell’organo di indirizzo nella stessa amministrazione o nello stesso ente pubblico che ha conferito l’incarico, ovvero con l’assunzione e il mantenimento, nel corso dell’incarico, della carica di presidente e amministratore delegato nello stesso ente di diritto privato in controllo pubblico che ha conferito l’incarico. L’art. 15, comma 1, del resto, presuppone tale ipotesi nel prevedere che: "il responsabile del piano anticorruzione di ciascuna amministrazione, ente pubblico e ente di diritto privato in controllo pubblico contesta all’interessato l’esistenza o l’insorgenza delle situazioni di inconferibilità o incompatibilità." La soluzione adottata dal legislatore secondo l’interpretazione ora prospettata non contrasta, d’altra parte, con il richiamato principio della tutela dell’affidamento. Si deve rilevare, infatti, che tale soluzione si ispira chiaramente a principi di ragionevolezza, perché il protrarsi di situazioni di incompatibilità oggettivamente in contrasto con la nuova disciplina finirebbe col differire nel tempo la sua efficacia e, quindi, il perseguimento della finalità di prevenzione della corruzione che il legislatore ha attribuito alla disciplina in esame, e creerebbe una disparità di trattamento tra i dirigenti a cui è stato conferito l’incarico prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 39/2013 e i dirigenti a cui è stato conferito successivamente. Si può concludere osservando come sul piano sistematico l’interpretazione ora esposta ben si coordini con la disciplina dell’immediata applicabilità espressamente prevista dall’art. 3 del d.lgs. n. 39/2013 in tema di inconferibilità di incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione richiamata nella nota." (Civit, delibera n. 46 del 27.6.2013)

 
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La CIVIT chiarisce che Il dlgs n. 39/2013 può far rimuovere da cariche ed incarichi coloro che versano in condizione di incompatibilita e/o inconferibilita dal momento della sua entrata in vigore e non ha effetto retroattivo. La delibera in questione interviene a risolvere un problema interpretativ ... Continua a leggere

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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

L'obbligo ex d.l. n. 95/2012 alla p.a. titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, di nominare propri dipendenti nei C.d.A. delle società partecipate non contrasta con il d.lgs n. 39/2013 e comporta che i nominandi membri del consiglio di amministrazione possono anche essere dirigenti, purché non investiti della carica di presidente con deleghe gestionali dirette o di amministratore delegato

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La Civit con la delibera n. 47/2013 interviene - in risposta ai numerosi quesiti di seguito riportati - a chiarire rispetto il rapporto tra le previsioni dell’art. 4 del d. l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, in l. n. 135/2012, e gli artt. 9 e 12 del d. lgs. n. 39/2013: "1. Nota del 5 giugno 2013 del Segretario generale della Provincia di Milano, con la quale si chiede, fra l’altro, se vi sia contrasto tra l’art. 4, commi 4 e 5 del d.l. 95/2012, che impone alla p.a. titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, di nominare propri dipendenti nei C.d.A. delle società partecipate, e gli artt. 9 e 12 del d.lgs. 39/2013, che prevedono ipotesi di incompatibilità tra incarichi e cariche in enti di diritto regolati o finanziati (art. 9), e tra incarichi dirigenziali interni e esterni e cariche di componenti degli organi di indirizzo nelle amministrazioni statali, regionali e locali (art. 12). 2. Nota del 30 maggio 2013 del Commissario Straordinario della Provincia Regionale di Catania, con la quale si pone la questione del coordinamento tra l’art. 4, commi 4 e 5 del d.l. 95/2012, che impone alla p.a. titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, di nominare propri dipendenti nei C.d.A. delle società partecipate, e gli artt. 9 e 12 del d.lgs. 39/2013, che prevedono ipotesi di incompatibilità tra incarichi e cariche in enti di diritto regolati o finanziati (art. 9), e tra incarichi dirigenziali interni e esterni e cariche di componenti degli organi di indirizzo nelle amministrazioni statali, regionali e locali (art. 12). 3. Nota dell’8 maggio 2013 del Segretario generale del Comune di Brescia, con la quale si sollevano problemi interpretativi e di coordinamento tra la disciplina prevista dall’art. 4, comma 5, del d.l. n. 95/2012 e gli artt. 9 e 12 del d.lgs. n. 39/2013. 4. Nota del 17 maggio 2013 del Presidente della Provincia di Savona, con la quale si chiede – alla luce delle difficoltà di coordinamento della disciplina prevista dall’art. 4, commi 4 e 5 del d.l. n. 95/2012 con il d.lgs. n. 39/2013 – se sia possibile conferire al Segretario generale della Provincia l’incarico di componente del consiglio di amministrazione in una società pubblica controllata dalla provincia medesima. 5. Nota del Segretario generale della Città di Alessandria, con la quale si sollevano problemi interpretativi e di coordinamento tra la disciplina prevista dall’art. 4, comma 5, del d.l. n. 95/2012 e gli artt. 9 e 12 del d.lgs. n. 39/2013. 6. Nota del 14 maggio 2013 del Segretario generale del Comune di Rovigo, con la quale si chiede un parere in ordine al rapporto fra art. 4, commi 4 e 5, d.l. n. 95/2012 e art. 12, comma 4, lett. c), d.lgs. n. 39/2013, con riferimento a organi collegiali di amministrazione in società partecipate. 7. Nota del 19 giugno 2013 del Segretario generale della Città di san Donà di Piave (VE), con la quale si segnala, fra l’altro, la questione del rapporto che intercorre tra il d.l. n. 95/2012 e il d.lgs. n. 39/2013;" RISPOSTA: "La Commissione, esaminate le richieste di parere sopra elencate, nelle quali viene segnalato un possibile contrasto tra le previsioni dell’art. 4 del d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, in l. n. 135/2012, e quanto previsto dagli artt. 9 e 12 del d. lgs. n. 39/2013, ha espresso il seguente avviso: "Premesso che, nel rapporto tra l’art. 4 del d. l. n. 95/2012 e gli artt. 9 e 12 del d. lgs. n. 39/2013, non si ha piena coincidenza degli enti interessati (è possibile che alcuni degli enti non rientrino nella previsione dell’art. 4), la Commissione ritiene che le norme in esame non si pongano, comunque, in diretto e integrale contrasto. Il d.l. n. 95/2012, infatti, prevede in generale l’obbligatorietà della nomina nei consigli di amministrazione di "dipendenti" senza specificarne qualifica o funzione, mentre il d. lgs n. 39/2013, con riferimento alle amministrazioni centrali, si occupa esclusivamente di dirigenti – salvo il caso di incarichi di funzione dirigenziale nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione (secondo quanto previsto dalle lettere j) e k) del comma 2 dell’art. 1 del d. lgs. n. 39/2013) – e, con riferimento agli enti locali, anche di incarichi dirigenziali affidati al personale non dirigente (ai sensi dell’art. 2, c. 2, d. lgs. n. 39/2013). Ne deriva che, con riferimento ai soggetti, un parziale contrasto tra le norme in esame può ravvisarsi per quanto riguarda la possibilità di nominare dirigenti in enti di diritto privato in controllo pubblico. A un attento esame, peraltro, il problema va affrontato non in termini di abrogazione delle disposizioni del d.l. n. 95/2012 o di loro integrale vigenza in base al richiamato principio di specialità, ma soltanto nel senso che la disciplina sopravvenuta (d. lgs. n. 39/2013) ha delimitato l’ambito soggettivo cui si riferiscono gli obblighi di nomina previsti dall’art. 4 del d.l. n. 95/2012; vale a dire che, nel caso dell’art. 4, comma 4, del d.l. n. 95/2012, i due nominandi membri del consiglio di amministrazione possono anche essere dirigenti, purché non investiti della carica di presidente con deleghe gestionali dirette o di amministratore delegato. Per quanto riguarda, poi, l’art. 4, comma 5, del d.l. n. 95/2012, si giunge a conclusioni analoghe, nel senso che, nel caso di cinque componenti, i tre designandi da parte delle amministrazioni non possono rivestire le summenzionate funzioni. A queste conclusioni, infatti, si può giungere sulla base delle considerazioni che seguono. L’art. 9, comma 1, del d. lgs. n. 39/2013 si applica a "incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati", con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. e), del d. lgs. n. 39/2013, l’incompatibilità prevista riguarda esclusivamente le cariche di "presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato, le posizioni di dirigente, lo svolgimento stabile di attività di consulenza a favore dell’ente". Alla luce di tale premessa deriva che, in base alla previsione dell’art. 9, non è preclusa la nomina dei soggetti ivi elencati, che non siano investiti di tali deleghe o funzioni, a componenti del consiglio di amministrazione degli enti. In una prospettiva solo in parte in parte diversa si pone il problema dell’incompatibilità prevista dall’art. 12 del d. lgs. n. 39/2013, con riferimento alle cariche negli enti di diritto privato in controllo pubblico. Per quanto riguarda il comma 1 del detto articolo, l’incompatibilità è limitata alle cariche di presidente e amministratore delegato; ed è da ritenere che il generico riferimento a "presidente" debba essere integrato con la previsione della titolarità di "deleghe gestionali dirette" (ai sensi della lettera e) dell’art. 1, comma 2, del d. lgs. n. 39/2013), come si può desumere, del resto, dall’abbinamento della carica di presidente con quella di amministratore delegato. In questo quadro, residua il problema dell’interpretazione della lettera c) del comma 4 dell’art. 12 del d. lgs. n. 39/2013. Tuttavia, sul piano della ricostruzione del sistema, alla Commissione sembra evidente che la carica di "componente di organi di indirizzo negli enti di diritto privato in controllo pubblico" ivi prevista coincide con la carica di presidente con delega e di amministratore delegato. In conclusione, la Commissione ritiene che le soluzioni sopra indicate e frutto di un primo esame consentono pienamente di realizzare un adeguato contemperamento tra l’esigenza di contenimento della spesa (art. 4, commi 4 e 5, d.l. n. 95/2012) (atteso che devono essere nominati due o tre componenti del C.d.A. scegliendoli, oltre che tra i dipendenti, anche tra i dirigenti, con il conseguente contenimento della spesa) e l’esigenza, perseguita dalla l. n. 190/2012 e dal legislatore delegato, di prevenire possibili casi di corruzione che potrebbero essere favoriti dal protrarsi nel tempo, in capo alle medesime persone, di funzioni di gestione e amministrazione presso l’ente conferente l’incarico e l’ente sottoposto a controllo, regolato o finanziato." (Civit, delibera n. 47 del 27.6.2013)

 
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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

Il divieto sancito dall'art. 7, d. lgs. n. 39/2013, relativo ai limiti temporali alla nomina o conferma in incarichi amministrativi di vertice e di amministratori di enti pubblici o di enti di diritto privato in controllo pubblico, opera solo per quanto riguarda l’incarico di amministratore presso un diverso ente e non impedisce la conferma dell’incarico già ricoperto

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Con la delibera n. 48/2013 la Civit interviene a chiarire la materia dei limiti temporali alla nomina o alla conferma in incarichi amministrativi di vertice e di amministratori di enti pubblici o di enti di diritto privato in controllo pubblico, ai sensi dell’art. 7, d. lgs. n. 39/2013. Tale delibera muove dai vari quesiti inoltrato alla Civit e di seguito trascritti. QUESITI: "1. Nota del 5 giugno 2013, con la quale il Segretario generale della Provincia di Milano chiede, tra l’altro, se nel caso di rinnovo delle cariche all’interno di enti di diritto privato in controllo pubblico è possibile confermare i presidenti o amministratori delegati uscenti nei rispettivi consigli. 2. Nota del 13 giugno 2013 del Segretario generale del Comune di Velletri, con la quale si chiede alla Commissione, tra l’altro, un parere in ordine all’ammissibilità "del rinnovo a scadenza dei rispettivi incarichi" per coloro che sono stati presidente, amministratore delegato o titolari di cariche assimilabili di una società partecipata. 3. Nota del 20 giugno 2013 di un dirigente della Regione autonoma Trentino Alto Adige, con la quale si chiede alla Commissione "quale sia l’orizzonte temporale da prendere come riferimento per l’inconferibilità di incarichi a coloro che abbiano ricoperto la carica di presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di (…) comuni e loro forme associative", con particolare riferimento allo "svolgimento di un secondo ulteriore mandato nella medesima carica". 4. Nota del 30 maggio 2013, con la quale il Comune di Padova formula un quesito in ordine al rinnovo di un incarico di amministratore di una società controllata dal Comune. Tenuto conto di quanto previsto dall’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 39/2013". RISPOSTA: Sulle richieste sopra elencate che riguardano il problema posto dall’art. 7 del d. lgs. n. 39/2013, nella parte in cui vieterebbe non soltanto il conferimento degli incarichi di amministratore di ente pubblico, o di ente di diritto privato in controllo pubblico, presso un ente diverso, ma anche la conferma nella carica presso il medesimo ente, prima ancora che siano trascorsi due anni dalla cessazione del precedente incarico la Commissione ha espresso il seguente avviso: "l’art. 7 possa essere interpretato nel senso che il divieto operi soltanto per quanto riguarda l’incarico di amministratore presso un diverso ente e non impedisca invece la conferma dell’incarico già ricoperto. A favore di questa interpretazione operano non soltanto la formulazione letterale della norma ma anche gli argomenti di seguito esposti. Innanzitutto, quella in esame è una disciplina del potere di nomina e non una disciplina della durata delle cariche negli enti pubblici o privati. La sua ratio consiste nell’evitare che un soggetto usi un proprio potere per ottenere un’altra carica, non nell’escludere che un amministratore meritevole possa essere confermato. Se il legislatore avesse voluto escludere un secondo mandato, lo avrebbe detto espressamente. Va, inoltre, rilevato come l’art. 7 faccia parte del capo IV del decreto legislativo, dedicato alla "inconferibilità di incarichi a componenti di organo di indirizzo politico", e come la stessa previsione si rinvenga anche nel testo della rubrica dell’articolo in esame. Ne deriva che, almeno in prima approssimazione, la previsione, nei commi 1 e 2 dell’articolo, del presidente e dell’amministratore delegato degli enti in controllo pubblico, a meno di non ritenere che tali soggetti possano essere considerati "componenti di organo politico", debba essere interpretata in senso restrittivo, facendo assumere valore al dato meramente letterale e cioè alla previsione del divieto di conferimento e non anche della conferma. La circostanza che il divieto operi per la durata di due anni (o un anno) dalla cessazione della carica (o dell’incarico) può trovare la sua giustificazione nel caso di nomina o di conferimento dell’incarico di presidente o di amministratore delegato presso un diverso ente, ma non nel caso di conferma, perché è evidente che la sostituzione nei detti incarichi alla scadenza del precedente mandato impedirebbe la reiterazione della nomina del presidente, o amministratore delegato, che abbia ben svolto il proprio compito, per un periodo maggiore di quello previsto dalla norma in esame. Che la volontà del legislatore sia quella di non impedire una conferma si può desumere anche dalla previsione del comma 3 dell’art. 7 nella parte in cui precisa che "le inconferibilità non si applicano ai dipendenti della stessa amministrazione, ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico" che, all’atto di assunzione della carica politica, erano titolari di incarichi. Anche se riferita solo alle cariche politiche, questa previsione mostra che il legislatore non ha voluto escludere la possibilità di conferma in incarichi precedenti." (Civit, delibera n. 48 del 27.6.2013)

 
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Con la delibera n. 48/2013 la Civit interviene a chiarire la materia dei limiti temporali alla nomina o alla conferma in incarichi amministrativi di vertice e di amministratori di enti pubblici o di enti di diritto privato in controllo pubblico, ai sensi dell’art. 7, d. lgs. n. 39/2013. Tale delibe ... Continua a leggere

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