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martedì 30 luglio 2013 19:23

Dirigenti P.A.: rientra nel potere discrezionale del singolo ente graduare l'indennità di funzione in rapporto alla specificità delle funzioni disimpegnate, nonché alle caratteristiche ed alla complessità della struttura operativa di riferimento

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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L'art. 38 del DPR n. 333/90 dispone che ai dirigenti è corrisposta un’indennità di funzione connessa con l’effettivo esercizio delle funzioni e graduata in relazione: al coordinamento di attività; all’importanza della direzione delle strutture o dei singoli programmi; alla rilevanza dell’attività di studio, di consulenza propositiva e di ricerca, di vigilanza e di ispezione, di assistenza agli organi; alla disponibilità richiesta in relazione all’incarico conferito. L’indennità è commisurata allo stipendio iniziale secondo appositi coefficienti varianti da 0,1 a 1, sulla base di parametri di riferimento e di criteri che le amministrazioni, con appositi provvedimenti, determinano in via preventiva. La norma, peraltro, indica espressamente una serie di elementi di valutazione che le amministrazioni sono tenute a prendere in considerazione: coordinamento delle attività di direzione; direzione di struttura; direzione di progetto; attività di studio etc., carico di lavoro relativo all’incarico conferito. L’indennità di funzione rappresenta, dunque, la specifica remunerazione della prestazione tipica del dirigente e la sua graduazione è diretta a compensare, sul piano del sinallagma delle obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro, la diversa qualità e quantità della prestazione, nonché la disponibilità richiesta in relazione all'incarico conferito, in attuazione del c.d. principio di omnicomprensività. Il comma quinto dell’art. 38, difatti, significativamente, esclude il personale dirigenziale dalla fruizione degli istituti incentivanti previsti dall'art. 6 del DPR 333/90, ivi compreso il compenso per lavoro straordinario. L'espressione "in via preventiva", contenuta nel quarto comma dell'articolo, sta a significare che l'amministrazione debba determinare i parametri di valutazione delle varie posizioni dirigenziali in anticipo e in via generale ed astratta e non di volta in volta all'atto della sua concreta erogazione, garantendo così "obiettività e trasparenza" (Consiglio Stato, sez. V, 20 febbraio 2006, n. 694). Il Consiglio in esame dopo aver evidenziato il soprariportato quadro normativo precisa poi che rientra nel potere discrezionale del singolo ente graduare l'indennità di funzione in rapporto alla specificità delle funzioni disimpegnate, nonché alle caratteristiche ed alla complessità della struttura operativa di riferimento, sicché l'individuazione, da parte degli organi deliberanti dell'ente, dei coefficienti di valutazione necessari per corrispondere al proprio personale dirigenziale detta indennità, costituisce il frutto di valutazioni di merito, insindacabili in sede di legittimità, salvo il caso di palese irragionevolezza o di difformità rispetto alla norma primaria (Consiglio Stato, sez. V, 01 ottobre 2010, n. 7248).

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

 
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L'art. 38 del DPR n. 333/90 dispone che ai dirigenti è corrisposta un’indennità di funzione connessa con l’effettivo esercizio delle funzioni e graduata in relazione: al coordinamento di attività; all’importanza della direzione delle strutture o dei singoli programmi; alla rilevanza dell’attività d ... Continua a leggere

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martedì 30 luglio 2013 19:23

Gli atti che deve adottare la P.A. in caso di scoperta tardiva che un dipendente non possiede il titolo di studio e l’abilitazione professionale indispensabili per esercitare l’attività inerente al suo rapporto di servizio: decadenza, annullamento d'ufficio e le problematiche connesse alla ricostruzione, utilizzazione o scorrimento della graduatoria dell'originario concorso

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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Dopo anni di servizio si scopre che il dipendente ha falsamente indicato il possesso di titoli e una volta dichiarato decaduto dall'impiego, tenuto conto che nelle more della vigenza della graduatoria la P.A. aveva provveduto ad assumere il secondo, terzo e quarto candidato, la quinta classificata rivolgeva istanza per conseguire la nomina al posto del dipendete decaduto, ma l'amministrazione negava l'utilizzo della graduatoria. Siamo nella Regione Marche e la P.A. in questione e' la USL di Camerino dove appunto si origina la presente controversia giunta innanzi alla Terza sezione del Consiglio di Stato che analizza con la sentenza in esame sia le problematiche connesse alla tipologia di atto che deve assumere la P.A. per il "defenestramento" del dipendente sia le problematiche connesse all'utilizzo della graduatoria dell'originario concorso "ora per allora" per la copertura del posto resosi vacante. Il Collegio ha evidenziato che giustamente il primo giudice ha richiamato l’articolo 127, lettera d), del d.P.R. n.3 del 1957 che commina la decadenza ex nunc in caso di nomina conseguente alla produzione fraudolente e dolosa di documenti falsi anche se i documenti falsi attengono ad uno dei requisiti di ammissione al concorso (rectius di accesso), articolo sostanzialmente reiterato dall’articolo 20 del D.M. 30.1.1982 che prevede che "Decade dall'impiego chi abbia conseguito la nomina mediante presentazione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile". Deve al riguardo osservarsi che al momento della fase istruttoria espletata al fine di valutare i requisiti di ammissione dei candidati alla prova concorsuale, non erano emersi, motivi di esclusione e la verifica del possesso dei requisiti ebbe esito positivo tant’è che al soggetto fu consentito di assumere e svolgere il servizio. Solo dopo quattro anni dalla nomina e nel corso del rapporto lavorativo, la amministrazione si rese conto del mancato possesso, del titolo di studio e della abilitazione necessari per conseguire la nomina. In un tale contesto, in cui la nomina era stata effettuata e la prestazione del servizio si era svolta per lungo tempo, era legittimo e anche doveroso che l’amministrazione procedesse alla applicazione della sanzione della decadenza, contemplata espressamente dalla normativa generale in materia di pubblico impiego nonché da quella di settore per i dipendenti dell’amministrazione sanitaria; decadenza che non è correlata ad un riesame, ora per allora, della legittimità dell’atto di nomina a suo tempo adottato e non ha di per sé efficacia retroattiva. Altra questione è se in un caso del genere (scoperta tardiva che un dipendente non possiede il titolo di studio e l’abilitazione professionale indispensabili per esercitare l’attività inerente al suo rapporto di servizio) l’amministrazione possa utilizzare il diverso strumento dell’annullamento d’ufficio dell’atto di nomina. In linea di massima, la risposta non può essere che affermativa, ma questo non comporta di per sé che sia illegittimo applicare invece l’istituto della decadenza. Fra i due istituti (decadenza e autoannullamento) non vi è piena coincidenza. La decadenza è una sanzione, che può e deve essere applicata a prescindere da ogni valutazione dell’interesse dell’amministrazione, e anche se, in ipotesi, tale interesse sia inesistente (la falsa documentazione potrebbe riguardare elementi necessari ai fini dell’ammissione al concorso, ma irrilevanti riguardo all’idoneità del soggetto a svolgere le sue mansioni); al contrario l’annullamento in autotutela postula che sia stato apprezzato discrezionalmente l’interesse attuale dell’amministrazione ma prescinde invece dalla circostanza che al soggetto sia addebitabile o meno una condotta illecita (l’ammissione al concorso del candidato privo di un titolo potrebbe avere avuto cause diverse dalla falsità della documentazione). In altre parole, non è sempre detto che quando vi siano i presupposti della decadenza vi siano anche quelli dell’autoannullamento, e viceversa; e può anche accadere che vi siano i presupposti di entrambi. Peraltro, quando si verifichi quest’ultima ipotesi, non per questo viene meno la doverosità (o se si preferisce l’automatismo) della decadenza. Nel caso in esame, dunque, non si può ravvisare alcun vizio nell’applicazione della decadenza, essendo incontroverso che ne sussistevano i presupposti tipici. Sotto questo profilo, dunque, le doglianze dell’appellante sono infondate. 5. Resta da vedere, semmai, se l’amministrazione avesse il potere (e se del caso il dovere) di procedere "anche" all’autoannullamento, q tutela del (supposto) interesse pubblico a rimuovere ex tunc e non solo ex nunc la originaria costituzione del rapporto d’impiego con il soggetto privo di titolo. Ma anche in tal caso l’eventuale utilizzazione dell’autotutela sarebbe stata discrezionale, e non doverosa; anzi, una rigorosa valutazione dell’interesse pubblico sarebbe stata tanto più necessaria, in quanto l’effetto di maggior rilevanza e di maggior interesse attuale (ossia la risoluzione immediata del rapporto d’impiego) si era comunque già prodotto, grazie alla decadenza. Si conferma dunque anche sotto questo profilo che l’attuale appellante non ha ragione di dolersi per il fatto che l’amministrazione abbia tacitamente ritenuto superfluo avviare un procedimento di autotutela. Ed è significativo che l’appellante abbia posto l’accento essenzialmente sulla (presunta) doverosità dell’autoannullamento, senza chiarire quale fosse l’interesse dell’amministrazione per procedere in quel senso. Posto che l’amministrazione si è legittimamente limitata ad applicare la decadenza, ne consegue che altrettanto legittimamente gli effetti sono stati limitati alla sola posizione del soggetto privo dei titoli, in un assetto delle situazioni giuridiche ormai del tutto consolidato dopo il cospicuo numero di anni passati. Ma si sarebbe detto lo stesso anche se, in ipotesi, l’amministrazione avesse autoannullato l’assunzione con effetto ex nunc. Neppure in tal caso si sarebbe potuto riconoscere alcun diritto dell’appellante alla ricostruzione, utilizzazione o scorrimento della graduatoria: alla data del 12.7.1994, quando si è reso vacante il posto per la decadenza. La graduatoria che la appellante vorrebbe utilizzare, era ormai ampiamente scaduta e le situazioni erano divenute irreversibili. Altro infatti è dire che un rapporto d’impiego venga risolto, in ipotesi, con effetto ex tunc, e altro è dire che il posto resosi vacante in tal modo debba essere coperto "ora per allora" attingendosi alla graduatoria dell’originario concorso. Il principio per cui le graduatorie concorsuali non hanno, di norma, valore a tempo indeterminato, ma possono essere utilizzate solo entro un termine determinato, è dettato a tutela dell’interesse dell’amministrazione ad assumere dipendenti la cui idoneità all’impiego sia stata accertata entro un intervallo di tempo ragionevolmente ristretto. Rientra invero nelle comuni conoscenze ed esperienze che un candidato, che pure in origine sia stato giudicato idoneo, ma non sia stato assunto (e dunque non abbia dato effettiva prova delle sue capacità, né abbia tenuto vive queste ultime con l’esercizio effettivo e duraturo dell’attività), non dia più affidamento, quanto meno con uguale certezza, a notevole distanza di tempo. E’ per questo che la utilizzazione plurima delle graduatorie (peraltro, e non a caso, estranea alla disciplina generale del pubblico impiego di cui al t.u. n. 3/1957), anche quando è ammessa, lo è sempre entro margini di tempo definiti. Il soprarichiamato art. 20 del D.M. 30.1.1982 (abrogato dall’art.56 del D.P.R. 27 marzo 2001, n.220 e quindi vigente al momento del ricorso), nel disciplinare la normativa concorsuale del personale delle unità sanitarie locali, oltre a prevedere al 3° e 6° co. la decadenza per colui che avesse conseguito la nomina mediante presentazione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile, consentiva alla U.S.L. di utilizzare la graduatoria entro l’anno dalla sua approvazione. Successivamente l’art.9 della legge n.207/1985 ha portato tale termine ad un biennio e in seguito la legge n.537/93 (art. 2 co.22) lo ha di nuovo ridotto a diciotto mesi. Il prolungamento dei termini di utilizzabilità della graduatoria disposto dall’art. 22, 8° co. della legge n.724/94 riguardava solo le graduatorie approvate a decorrere dal 1.1.1992, quindi al momento in cui si è verificata la vacanza del posto, nel 1994, la graduatoria non era più utilizzabile in quanto scaduta l’8.8.1992. Quindi una volta disposto, l’allontanamento dal servizio, che segna anche la data di vacanza del posto di assistente medico presso il centro diabetologico, il provvedimento di avvio della procedura di copertura del posto a mezzo di mobilità regionale e l’atto di diniego d’ulteriore utilizzo della graduatoria, si giustificavano con la disciplina che regola il periodo di validità delle graduatorie concorsuali presso le U.S.L.. La delibera di indizione dell’avviso pubblico di copertura del posto per mobilità, è stata adottata quando la graduatoria, aveva perso di validità, come cui conclude il Consiglio di Stato legittimamente la U.S.L. ha dichiarato la sua inutilizzabilità.

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

 
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martedì 30 luglio 2013 19:23

Poliziotto riceveva 50.000 lire per non fare una multa, il TAR di fatto lo riammette in servizio. Dopo dieci anni il Consiglio di Stato ribalta il giudizio e premia l'ostinazione del Ministero dell'Interno sentenziando che "si tratta di condotta assai grave, realizzata durante lo svolgimento dei compiti di servizio, che pienamente giustifica il provvedimento di destituzione"

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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Il Consiglio di Stato annulla la sentenza del TAR che aveva consentito la riammissione in servizio del Poliziotto che si era fatto consegnare soldi dal conducente di un autocarro per evitare il verbale per mancato funzionamento del cronotachigrafo e per sovraccarico. Assolto dal Giudice Penale per intervenuta prescrizione del reato, ma per il Giudice Amministrativo la gravità della condotta realizzata durante lo svolgimento dei compiti di servizio giustifica pienamente il provvedimento di destituzione essendo peraltro irrilevante il comportamento tenuto dall’incolpato successivamente alla sua, peraltro non giustificata alla luce del presente giudizio, riammissione in servizio. Per dieci anni nonostante la gravità del comportamento ascritto, il Polizotto ha continuato ha svolgere il servizio di Stato. Siamo nel lontano 2003 quando il Capo della Polizia emette apposito decreto con il quale preso atto delle risultanze del giudizio penale a carico dell’Assistente Capo, conclusosi con la sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato di cui all’art. 640 c.p., ritenuto comunque che questi non desse garanzie di esercitare le delicate funzioni assegnategli, lo destituiva dall’Amministrazione della Pubblica Sicurezza a decorrere dal 30.1.2003. Un lungo contenzioso che a colpi di vizi procedurali, di violazioni di termini istruttori, grazie anche alla caparbietà del Ministero dell'Interno, si è concluso con una sentenza che accerta definitivamente la correttezza del provvedimento di destituzione.

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

 
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Il Consiglio di Stato annulla la sentenza del TAR che aveva consentito la riammissione in servizio del Poliziotto che si era fatto consegnare soldi dal conducente di un autocarro per evitare il verbale per mancato funzionamento del cronotachigrafo e per sovraccarico. Assolto dal Giudice Penale per ... Continua a leggere

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martedì 30 luglio 2013 19:23

Diniego di permesso di soggiorno: l’imprecisione o anche l’erroneità del richiamo normativo non inficia la legittimità sostanziale del provvedimento in mancanza della idonea sistemazione alloggiativa

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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Una cittadina nigeriana, già titolare di permesso di soggiorno per lavoro domestico scaduto, ne chiedeva il rinnovo per motivi di lavoro autonomo, ai sensi dell’art. 26 del d. lgs. 286/98, ma il Questore della Provincia di Varese rigettò tale richiesta, in quanto rilevava che la medesima, pur essendo anagraficamente residente presso il Comune di Cislago (VA), non vi era effettivamente domiciliata. Avverso tale provvedimento proponeva ricorso avanti al T.A.R. Lombardia l’interessata, lamentando la violazione di legge, per difetto assoluto di istruttoria e di motivazione, e la violazione e la falsa applicazione dell’art. 4 della l. 241/90 per la mancata indicazione del responsabile del procedimento. Il T.A.R. Lombardia accoglieva il ricorso, annullando il provvedimento ritenendo che l’incertezza sulla dimora effettiva dell’interessato non esimeva la Questura investita della domanda di rinnovo dal dovere di esaminarla verificando la sussistenza o meno dei requisiti necessari per ottenere il titolo, salvo devolverne l’esame alla diversa Questura indicata come competente in base alle risultanze degli accertamenti sulla dimora effettiva. Il Consiglio con la sentenza in esame ha rilevato che in riferimento all’analoga fattispecie del permesso rilasciato ai sensi degli artt. 4, 5, comma 5, e 13, comma 2, del d. lgs. 286/98, si è già avuto modo di chiarire che la certezza della situazione abitativa costituisce un presupposto indispensabile per ottenere il permesso di soggiorno, che non può essere rilasciato in situazioni di forte precarietà alloggiativa, connesse a sostanziale irreperibilità della straniera interessata, "anche sulla base di dichiarazioni rese da soggetti dalla stessa indicati come ospitanti" (Cons. St., sez. VI, 19.8.2008, n. 3961), come è del resto avvenuto anche nel caso di specie. In conclusione il provvedimento, adottato dalla Questura, va esente da censura, poiché esso ha correttamente ritenuto che l’istante non avesse titolo ad ottenere il richiesto permesso, in mancanza della idonea sistemazione alloggiativa prevista dall’art. 26, comma 3, del d. lgs. 286/98. Né alla correttezza di tale decisione osta il rilievo che il provvedimento impugnato abbia inteso far improprio riferimento agli artt. 4 e 5 della l. 189/2002, come invece ha ritenuto il primo giudice, poiché l’imprecisione o anche l’erroneità del richiamo normativo non inficia la sostanziale legittimità del provvedimento alla stregua del più volte richiamato parametro normativo dell’art. 26, comma 3, del d. lgs. 286/98.

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martedì 30 luglio 2013 19:23

Dal deposito in giudizio di documenti, mai comunicati e conosciuti, decorre il termine iniziale per la proposizione di motivi aggiunti

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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In linea generale, al fine dell’individuazione della decorrenza del termine iniziale per la proposizione di motivi aggiunti, il deposito in giudizio di documenti - mai prima comunicati o comunque conosciuti - costituisce il momento iniziale idoneo a determinare l’avvio del termine decadenziale per la relativa impugnazione, di cui all’art.43, primo comma secondo periodo, del c.p.a..

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martedì 30 luglio 2013 19:23

Concorsi pubblici: i criteri di valutazione vanno predeterminati prima dell’inizio delle correzioni degli elaborati

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I criteri di valutazione vanno predeterminati prima dell’inizio delle correzioni degli elaborati in modo da potere assegnare a ciascun tema un punteggio numerico alla luce dei criteri stessi. La loro funzione è, infatti, di consentire la comprensione dell’iter logico giuridico seguito dalla commissione nell’assegnazione di un determinato punteggio (es. Cons. Stato, II, 26 febbraio 2012, n. 5536).

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martedì 30 luglio 2013 19:23

Svolgimento di mansioni superiori del personale degli enti sanitari: il diritto alla maggiore retribuzione non è limitato allo stipendio propriamente detto, ma deve essere esteso a tutte le voci che compongono il trattamento economico complessivo

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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La materia dell’esercizio di fatto delle mansioni superiori, relativamente al personale degli enti sanitari, è sommariamente regolata dall’art. 29 del d.P.R. n. 761/1979, e dalla giurisprudenza (anche costituzionale) che si è formata sulla sua interpretazione.In particolare l’art. 29 dispone che: (a) è vietato adibire i dipendenti a mansioni delle qualifica superiore; (b) in via eccezionale l’incarico può essere dato per una durata non superiore a sessanta giorni per anno solare; (c) l’esercizio delle mansioni superiori non comporta il diritto ad alcuna maggiorazione retributiva.La Corte Costituzionale (sentenze n. 57/1989, 296/1990, 369/1990) ha chiarito che il divieto della maggiore retribuzione è costituzionalmente legittimo, a condizione che lo si interpreti come limitato a quel periodo di sessanta giorni per anno solare; e che pertanto qualora l’assegnazione alle mansioni superiori si prolunghi oltre quel termine, a partire da quel momento si deve riconoscere al dipendente il diritto alla maggiore retribuzione. Con ciò, la Corte si è richiamata all’art. 36 della Costituzione. La giurisprudenza consolidata dei giudici amministrativi ha recepito le indicazioni della Corte. Tale orientamento giurisprudenziale implica, logicamente, che il diritto alla maggiore retribuzione non si possa limitare allo stipendio propriamente detto, ma si debba invece estendere a tutte le voci che compongono il trattamento economico complessivo. Se, infatti, la fonte è l’articolo 36 della Costituzione, e il principio è che la retribuzione deve essere adeguata alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato, non vi è ragione per limitare il diritto solo ad alcune componenti della retribuzione escludendone altre.In altre parole, qualora al dipendente spetta il maggior trattamento economico, ai sensi dell’art. 29, cit., ed alle condizioni da esso desumibili con ciò s’intende che spetta lo stesso trattamento economico cui l’interessato avrebbe avuto titolo se fosse stato in possesso della qualifica superiore, beninteso con anzianità zero nella medesima.

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

 
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La materia dell’esercizio di fatto delle mansioni superiori, relativamente al personale degli enti sanitari, è sommariamente regolata dall’art. 29 del d.P.R. n. 761/1979, e dalla giurisprudenza (anche costituzionale) che si è formata sulla sua interpretazione.In particolare l’art. 29 dispone che: ( ... Continua a leggere

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martedì 30 luglio 2013 19:23

Farmacie: il Consiglio di Stato risolve le problematiche interpretative dell'art. 5 d.P.C.M n. 298/1994 concernente il punteggio da assegnare, nei concorsi per sedi farmaceutiche, in relazione ai titoli di esercizio professionali

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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Nella sentenza in esame il punto centrale della controversia è la corretta interpretazione della disposizione concernente il punteggio da assegnare, nei concorsi per sedi farmaceutiche, in relazione ai titoli di esercizio professionali. L’interessato non ha dedotto che vi sia stato errore nell’individuare, storicamente, la qualità e la durata dei periodi di servizio professionale prestato, né che vi siano stati errori di calcolo; ha invece dedotto che il criterio indicato dalla normativa vigente era stato mal applicato perché mal interpretato. La disposizione oggetto della contestazione è il regolamento approvato con d.P.C.M n. 298/1994, art. 5, comma 3, del seguente tenore: «Ai fini della valutazione dell'esercizio professionale, sono assegnati i seguenti punteggi: a) per l'attività di titolare e direttore di farmacia aperta al pubblico: punti 0,5 per anno per i primi dieci anni; 0,2 per anno per i secondi dieci anni; b) per l'attività di collaboratore di farmacia aperta al pubblico: punti 0,45 per anno per i primi dieci anni; 0,18 per anno per i secondi dieci anni (...)». La commissione giudicatrice, nel caso di specie, ha applicato queste norme intendendo che le espressioni "primi dieci anni", "secondi dieci anni" si debbano intendere come riferite rispettivamente ai primi e ai secondi dieci anni di attività professionale. In altre parole, ai servizi svolti nei primi dieci anni di attività si assegnano i punteggi più elevati, a quelli svolti nei secondi dieci anni i punteggi meno elevati, in entrambi i casi riferendosi al tipo di attività esercitato in quel periodo di tempo. L’interessato ha invece sostenuto (e il T.A.R. ha condiviso la sua tesi) che si debba valutare prioritariamente l’attività di livello più elevato, a punteggio pieno fino al massimo di dieci anni, e poi a punteggio ridotto per il tempo eccedente i dieci anni; se in tal modo non si totalizzano venti anni, per il periodo residuo si valuta l’attività di livello meno elevato, con gli stessi criteri; e così via, fermo in ogni caso il limite di venti anni complessivi. Il Consiglio di Stato osserva che la disposizione in esame (art. 5, comma 3, del regolamento) è formulata in modo non chiarissimo e si presta a diverse interpretazioni, ciascuna delle quali tuttavia presenta inconvenienti e aspetti critici. In questa luce la soluzione sostenuta dall’interessato e recepita dal T.A.R. può apparire non priva di una sua plausibilità, pur se, come detto, presenta ugualmente qualche aspetto critico. Nondimeno, non si può prescindere dal fatto che la giurisprudenza di questo Consiglio si è da tempo pronunciata in senso conforme al modo di procedere adottato dalla Regione Campania. A tal fine il Collegio richiama la massima della decisione del Consiglio di Stato, sezione V, n. 7350/2005, del seguente tenore: «Nel concorso per l'assegnazione di sedi farmaceutiche di nuova istituzione la valutazione dei titoli di esercizio professionale, secondo le previsioni dell'art. 5 d.P.C.M. n. 298 del 1994 e precisamente i due decenni di riferimento cui la norma concede i punteggi differenziati, ha carattere premiale a favore delle posizioni di servizio utili in quanto acquisite entro il primo ventennio d'attività e, nell'ambito del ventennio, di quelle ottenute nel primo decennio, che ha diritto al punteggio più elevato rispetto al secondo, per qualunque delle attività considerate: ciò vuol dire che l'attività meglio considerata sul piano del punteggio, se esercitata nel secondo decennio, a partire dall'anno di inizio del primo dei servizi utili a punteggio, vale di meno proprio perché acquisita in un tempo più lontano dal principio dell'attività professionale». In senso analogo si era già pronunciata la IV Sezione con decisione n. 5497/2004. Alla luce di queste massime, e' stato accolto l’appello e, in riforma della sentenza appellata, rigettato il ricorso proposto in primo grado.

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

 
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Nella sentenza in esame il punto centrale della controversia è la corretta interpretazione della disposizione concernente il punteggio da assegnare, nei concorsi per sedi farmaceutiche, in relazione ai titoli di esercizio professionali. L’interessato non ha dedotto che vi sia stato errore nell’indi ... Continua a leggere

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martedì 30 luglio 2013 19:23

Trasferimento per incompatibilità ambientale dell'agente di pubblica sicurezza: liti o "scaramucce" tra il personale dell’ufficio non consentono l’indiscriminato trasferimento di tutto il personale interessato, senza la rigorosa valutazione delle condotte dei singoli

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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Per consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. VI, 19.3.2009, n. 1675), ai fini dell’adozione di un provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale di un agente di pubblica sicurezza, ai sensi dell’art. 55, comma 4, del d.P.R. 24 aprile 1982 n. 335, è sufficiente che dal provvedimento emergano adeguati elementi che, oltre ad incidere negativamente sullo stesso disimpegno efficiente dei compiti di istituto, siano tali da offuscare la figura dell’agente al punto da nuocere, mercé la sua persona, al prestigio dell’amministrazione. Il trasferimento ai sensi dell’art. 55, comma 4, d.P.R. 24 aprile 1982, n. 335, senza assumere carattere sanzionatorio, consegue d’altronde a una valutazione ampiamente discrezionale dei fatti che possono sconsigliare la permanenza dell’agente di pubblica sicurezza in una determinata sede. "Il trasferimento per incompatibilità di un agente di P.S.– è stato già sottolineato da questo Consiglio –non postula necessariamente un diretto rapporto di imputabilità di specifici fatti e comportamenti addebitabili al medesimo, essendo sufficiente a tal fine l’oggettiva sussistenza di una situazione lesiva del prestigio dell’Amministrazione che sia, da un lato, riferibile alla presenza in loco del dipendente in questione e, dall’altro, suscettibile di rimozione attraverso l’assegnazione del medesimo ad altra sede; principio questo che assume particolare consistenza quando venga riferito, come nella specie, al trasferimento di un dipendente della Polizia di Stato, ipotesi questa in cui si configurano in capo all’Amministrazione più ampi e penetranti poteri discrezionali in funzione di tutela di particolari e preminenti interessi pubblici volti ad assicurare la convivenza civile" (Cons. St., sez. VI, 29.1.2010, n. 388). L’adozione dell’atto di trasferimento, infatti, non presuppone né una valutazione comparativa dell’amministrazione in ordine alle esigenze organizzative dei propri uffici, potendo essere disposto anche in soprannumero, né l’espressa menzione dei criteri in base ai quali vengono determinati i limiti geografici dell’incompatibilità ai fini dell’individuazione della sede più opportuna, né può essere condizionato alle condizioni personali e familiari del dipendente, le quali recedono di fronte all’interesse pubblico alla tutela del buon funzionamento degli uffici e del prestigio dell’amministrazione (v., tra le tante, Cons. St., sez. VI, 21.3.2006, n. 1504; Cons. St., sez. VI, 6.4.2010, n. 1913). L’ampia discrezionalità di cui gode l’amministrazione in questa materia deve essere assistita da un preventivo e rigoroso accertamento dei fatti, nocivi al prestigio della stessa, che siano riconducibili, sul piano eziologico, alla presenza del dipendente in loco, poiché diversamente si configurerebbe come l’esercizio di un insindacabile arbitrio. Per valutare la legittimità del provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale, previsto dall’art. 55, comma 4, d.P.R. 24 aprile 1982 n. 335, è dunque richiesto che lo stesso sia stato adottato in base ad elementi logici e chiari che, senza essere tali da comportare un provvedimento disciplinare, siano però adeguati a rendere la figura del pubblico dipendente, ed in particolare di un agente della polizia di Stato, offuscata da ombre idonee a nuocere attraverso la sua persona al prestigio dell’amministrazione e alla funzionalità dell’esercizio stesso delle funzioni di istituto (v., ex plurimis, Cons. St., sez. IV, 6.3.1990, n. 155)....La radicalità del provvedimento, assunto senza previamente acclarare le ragioni di tale conflitto, ne palesa la sostanziale afflittività nei confronti di un dipendente in relazione al quale non sono emerse, né comunque sono state debitamente accertate e/o evidenziate dall’amministrazione, quelle "ombre" capaci di offuscarne la figura al punto da nuocere, mercé la sua persona, al prestigio dell’amministrazione. L’esistenza di liti o "scaramucce" tra il personale dell’ufficio, per quanto frequenti o incresciose, non può essere posta a fondamento dell’indiscriminato trasferimento di tutto il personale interessato, senza la rigorosa valutazione delle condotte dei singoli che, pur non dovendo denotare una illiceità disciplinare, devono tuttavia pur sempre assumere, sul piano obiettivo, una rilevanza causale di gravità tale da "offuscare" la figura del dipendente e, per questa via, il prestigio dell’amministrazione nella sede di servizio, sì da rendere opportuno l’allontanamento del dipendente da questa. In assenza di una idonea motivazione circa la sussistenza di una accertata situazione di incompatibilità ambientale, nei sensi sopra delineati, il provvedimento impugnato in prime cure e' stato dichiarato dal Consiglio di Stato illegittimo.

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Per consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. VI, 19.3.2009, n. 1675), ai fini dell’adozione di un provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale di un agente di pubblica sicurezza, ai sensi dell’art. 55, comma 4, del d.P.R. 24 aprile 1982 n. 335, è sufficiente che dal ... Continua a leggere

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martedì 30 luglio 2013 19:23

L’appello di una sentenza pronunciata dal tribunale amministrativo regionale in materia di diritto di accesso agli atti della P.A. non può essere proposto personalmente dalla parte

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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Ai sensi degli artt.22, comma 2, 23, comma 1, e 95, comma 6, c.p.a., l’appello avverso una sentenza pronunciata dal tribunale amministrativo regionale in materia di diritto di accesso agli atti della P.A. non può essere proposto personalmente dalla parte ma con il ministero e/o l’assistenza di un difensore (cfr. Cons. St., Sez. VI, 27.12.2011, n. 6846; id., Sez. V, 19.10.2011, n. 5623), esclusione questa che non viola il diritto di difesa costituzionalmente garantito (cfr. Cons. St., Sez. IV, 28.2.2012, n. 1162). Dunque, l’art. 95, comma 6, c.p.a. ha circoscritto le ipotesi di difesa personale ai soli giudizi di primo grado, sancendo l’inapplicabilità dell’art. 23, comma 1, c.p.a. alle impugnazioni, di talchè è necessario dinanzi al Consiglio di Stato il ministero di un difensore all’uopo abilitato. Sulla base dei suesposti principi il Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha dichiarato inammissibile l'appello proposto personalmente dalla parte.

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martedì 30 luglio 2013 19:23

Rimborsabilità delle spese legali sostenute da ex amministratori comunali coinvolti in procedimenti penali: per la Corte dei Conti presupposto di rimborsabilità è il positivo e definitivo accertamento della mancanza di responsabilità, indipendentemente dalla formula assolutoria utilizzata dal giudice penale

​a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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Il Sindaco del Comune di Amalfi ha richiesto alla Corte dei Conti un parere in merito alla rimborsabilità delle spese legali sostenute da ex amministratori comunali coinvolti in procedimenti penali conclusisi con sentenza di assoluzione con formula piena, precisando che: - alcuni di loro rivestono ancora la carica di amministratore dell’ente; - non vi sono impedimenti non esistendo conflitto di interesse e le azioni si sono svolte nell’assolvimento dell’attività di ufficio; - la possibilità di rimborso agli amministratori era prevista e regolamentata dal vecchio statuto comunale ed è prevista anche nel nuovo statuto. Sulla materia di che trattasi e, in particolare, sull’ammissibilità o meno di richieste di pareri rivolte alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti ai sensi dell’art. 7, comma 8 della legge 5 giugno 2003 n° 131, concernenti la materia della rimborsabilità di spese legali in favore di amministratori di enti locali assolti all’esito di giudizi celebrati a loro carico, questa Sezione regionale di controllo ha in passato richiesto alla Sezione delle autonomie di questa Corte di volersi pronunciare, in sede di coordinamento, ai sensi dell’art. 1, lett. b), della deliberazione delle Sezioni riunite n. 2/2003 (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Campania, 24 novembre 2005, n° 8). L’interpellata Sezione delle Autonomie, con la deliberazione n° 5/AUT/2006 del 10 marzo 2006, ha ritenuto che le questioni relative alla predetta problematica siano estranee alla nozione di contabilità pubblica cui si riferisce l’art. 7, comma 8 della legge n° 131 del 2003, con conseguente inammissibilità oggettiva di richieste di parere concernenti questioni attinenti alla menzionata rimborsabilità. In particolare, la predetta Sezione delle Autonomie ha condivisibilmente osservato quanto segue: "…ancorché la materia della contabilità pubblica non possa ridursi alla sola tenuta delle scritture contabili ed alla normativa avente ad oggetto le modalità di acquisizione delle entrate e di erogazione delle spese, essa non potrebbe investire qualsiasi attività degli enti che abbia comunque riflessi di natura finanziaria patrimoniale. Ciò non solo rischierebbe di vanificare lo stesso limite imposto dal legislatore, ma comporterebbe l’estensione dell’attività consultiva delle Sezioni regionali a tutti i vari ambiti dell’azione amministrativa con l’ulteriore conseguenza che le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti diventerebbero organi di consulenza generale delle autonomie locali. In tal modo, la Corte verrebbe, in varia misura, inserita nei processi decisionali degli enti, condizionando quell’attività amministrativa su cui è chiamata ad esercitare il controllo che, per definizione, deve essere esterno e neutrale. Per le ragioni sopraesposte, emerge dunque l’esigenza che la nozione di contabilità pubblica strumentale alla funzione consultiva assuma un ambito limitato alla normativa e ai relativi atti applicativi che disciplinano, in generale, l’attività finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di settore, ricomprendendo in particolare la disciplina dei bilanci e i relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziaria-contabile, la disciplina del patrimonio, la gestione delle spese, l’indebitamento, la rendicontazione e i relativi controlli…Così delineato l’ambito oggettivo della materia, la questione della rimborsabilità agli amministratori delle spese legali risulta totalmente estranea alla nozione di contabilità pubblica cui si riferisce l’art. 7, comma 8, della legge n. 131 del 2003" (Corte dei conti, Sezione delle Autonomie, 10 marzo 2006, n° 5/AUT/2006). Tale orientamento è stato costantemente condiviso da questa Sezione (cfr., ex plurimis, Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Campania, n. 172/2013, 68/2012, 5/2010, ecc), né si ravvisano motivi per discostarsi dallo stesso, nella fattispecie qui in esame. D’altra parte, la considerazione che la eventuale rimborsabilità delle spese legali agli amministratori sia atto discrezionale di pura gestione, facente capo esclusivamente all’ente di competenza, appare condivisa da molte altre Sezioni di controllo della Corte dei conti che, anche quando, esprimendosi in maniera esplicita su un parere avente medesimo oggetto, dichiarandolo ammissibile, aderiscono alla tesi della potenziale rimborsabilità delle spese legali agli amministratori pubblici, intanto rendono nota l’esistenza di contrastanti orientamenti in materia, e inoltre dichiarano che non rientra nella funzione consultiva intestata alla Corte dei conti stabilire in base a quale tipo di assoluzione spetti, nel caso specifico, la rimborsabilità delle spese legali (ex plurimis, cfr. Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia n. 86/2012, nel quale specificamente si dichiara che "E’ inoltre necessario osservare che la decisione da parte dell’amministrazione di provvedere o meno al rimborso delle spese di lite sostenute da un proprio dipendente o amministratore è frutto di una valutazione propria dell’ente medesimo, nel rispetto delle previsioni legali e contrattuali, rientrante nelle prerogative esclusive dei relativi organi decisionali. Detto in altri termini, la valutazione di merito sulla sussistenza delle condizioni richieste dalla normativa per assumere l’onere dell’assistenza legale del dipendente e/o amministratore costituisce ambito riservato alle scelte dell’Ente che deve osservare prudenti regole di sana gestione finanziaria e contabile"). Appare interessante inoltre sottolineare come, in relazione ad uno dei quattro presupposti di cui valutare rigorosamente la sussistenza, al fine di un eventuale rimborso delle spese legali, e cioè la conclusione del procedimento con una sentenza definitiva di assoluzione con formula piena, (come nel caso di specie), con cui si sia stabilita l’insussistenza dell’elemento psicologico del dolo e della colpa grave e da cui emerga l’assenza di pregiudizio per gli interessi dell’amministrazione, la Sezione Lombardia, nella delibera succitata, prosegue sostenendo che "Sul punto la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sez. V n. 2242 del 14 aprile 2000) ha ritenuto ragionevole circoscrivere l’eccezionale possibilità di rimborso delle spese ai soli casi in cui sia incontestabilmente accertata l’assenza di responsabilità penale degli imputati; presupposto di rimborsabilità delle spese legali sostenute dall’amministratore è il positivo e definitivo accertamento della mancanza di responsabilità, indipendentemente dalla formula assolutoria utilizzata dal giudice penale…..Pertanto, per la rimborsabilità delle spese legali, occorre una espressa valutazione positiva del comportamento, tale da ritenere il persistere del rapporto organico….per l’amministratore .è necessario un accertamento positivo di diligenza e buona fede". La stessa Sezione Lombardia, sempre sullo stesso argomento, con delibera n. 519/2012, richiamando la sua precedente n. 86/2012, non perde occasione per ribadire come debba, comunque, osservarsi che "…..molti dei fatti astrattamente non sanzionabili sotto il profilo penalistico risultano, tuttavia, suscettibili di essere affetti da marchiane illegittimità, nonché forieri di responsabilità in capo all’ente….Ne deriva che, con riferimento alla fattispecie in commento….occorrerà valutare se il proscioglimento sia intervenuto per l’accertamento della sostanziale correttezza del comportamento tenuto dall’amministratore, ovvero se la pronunzia penale si limiti ad acclarare l’insussistenza dei presupposti per l’irrogazione della sanzione: ben potendo la stessa, a titolo esemplificativo, riscontrare l’esistenza di forti illegittimità nel comportamento dell’amministratore, ma nel contempo ritenere il reato non integrato in quanto risulti carente la patrimonialità del vantaggio conseguito ovvero (con riferimento all’elemento soggettivo) difetti la vera e propria intenzione di determinare un vantaggio patrimoniale o un danno, per quanto gli stessi siano stati effettivamente determinati. Tale statuizione, rilevante sotto il profilo penalistico, non escluderebbe però una valutazione di disvalore per il comportamento dell’agente, e sarebbe quindi insufficiente a legittimare la ripetizione delle spese legali" Alla luce di quanto esposto, la Corte dei Conti ha affermato di non poter non potendo fornire specifiche indicazioni in quanto esse si tradurrebbero in una ingerenza della Corte nella concreta attività dell’ente (con il rischio di creare elementi di commistione con altre funzioni dalla stessa esercitate, quali quella requirente e di giurisdizione), il quesito potrà trovare soluzione alla stregua delle valutazioni, da parte dell’ente interpellante, in ordine agli elementi di fatto e di diritto implicati dalla fattispecie, alla luce della ovvia considerazione che, se è doveroso assicurare che i soggetti che agiscono nell’interesse pubblico siano adeguatamente tutelati qualora ingiustamente coinvolti in procedimenti penali per fatti connessi all’adempimento del mandato, è altrettanto necessario impedire tale rimborso a soggetti che non si trovano nelle medesime condizioni.

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martedì 30 luglio 2013 19:23

Il Ministero dell'istruzione in Lombardia nel concorso per il reclutamento di 355 dirigenti scolastici consegna ai candidati buste di fatto trasparenti che non garantivano l'anonimato dei concorrenti. Il Ministero si giustifica sostenendo di aver acquisito le buste mediante una fornitura Consip. Il Consiglio di Stato non fa ripetere le prove, ma affida a dirigenti estranei alla vicenda il compito di procedere alla sostituzione delle buste

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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Importante sentenza del Consiglio di Stato nella quale vengono enunciati i seguenti principi: A) Nelle procedure concorsuali l’esigenza di assicurare il rispetto effettivo del principio costituzionale del pubblico concorso e la regola fondamentale dell’anonimato ad esso sottesa costituiscono la base di un dovere indefettibile per l’amministrazione che le impone di utilizzare, in conformità alla condotta tipica definita a livello normativo, buste, all’interno delle quali i concorrenti inseriscono i dati identificativi, materialmente tali da non consentire nemmeno astrattamente che la commissione o altri possano, in qualunque condizione ambientale, leggere i dati identificativi dei concorrenti stessi fino al momento procedimentale dedicato all’apertura delle buste. B) L’attuazione della sentenza che dichiara l’illegittimità di una fase della procedura concorsuale deve avvenire, in ossequio al principio di economicità dell’azione amministrativa, in modo da preservare, ove possibile, le fasi della procedura stessa immuni dai vizi denunciati. In particolare in virtù dell’art. 34, lettera e), Cod. proc. amm. che prevede che il giudice, con la sentenza con cui definisce il giudizio di cognizione, «dispone le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato» nel caso in esame il Consiglio di Stato ha previsto che l’attuazione del giudicato deve avvenire in modo da preservare, in rispetto del principio di economicità, la validità degli atti della procedura che non sono stati inficiati dall’illegittimità qui riscontrata. In questa prospettiva, "non è necessario che venga ripetuto lo svolgimento delle prove scritte, in quanto lo stesso è avvenuto, per le ragioni indicate, nel rispetto delle relative norme. Il Ministero dell’istruzione, pertanto, dovrà affidare a un dirigente di prima fascia incardinato da almeno un anno presso gli uffici centrali ministeriali e ad altri due dirigenti di analoga collocazione, estranei alla vicenda amministrativa in esame, il compito di procedere alla sostituzione delle buste, oggetto di contestazione in questo giudizio, con buste che assicurino l’assoluto rispetto del principio dell’anonimato, nonché all’effettuazione delle altre necessarie operazioni materiali. I dirigenti incaricati daranno adeguata pubblicità delle attività poste in essere indicando luogo, giorno e ora in cui si effettueranno tali operazioni, consentendo, se richiesto, ad un numero non superiore a dieci candidati, di assistervi. Il Ministero, inoltre, provvederà a nominare una nuova commissione composta da soggetti aventi i prescritti requisiti legali, con il compito di procedere ad una nuova valutazione degli elaborati di tutti i candidati che hanno superato la prova preselettiva. La commissione nominata procederà poi alla correzione degli elaborati nel rispetto di tutte le norme di legge e di quelle contenute nel bando di concorso." Questa la conclusione del contenzioso arrivato innanzi al Consiglio i Stato il quale ha in generale, sottolineato che l’art. 97, terzo comma, della Costituzione prevede che, salvo i casi stabiliti dalla legge, «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso». Ciò significa che la «forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni» (Corte cost., 9 novembre 2006, n. 363) è rappresentata «da una selezione trasparente, comparativa, basata esclusivamente sul merito e aperta a tutti i cittadini in possesso di requisiti previamente e obiettivamente definiti» (Corte cost., 13 novembre 2009, n. 293). La giurisprudenza costituzionale ha rilevato la stretta correlazione a questa norma costituzionale degli articoli 3, 51 e 97, primo comma, Cost. Il concorso pubblico, infatti: i) consente «ai cittadini di accedere ai pubblici uffici in condizioni di eguaglianza» (artt. 3 e 51); ii) garantisce il rispetto del principio del buon andamento (art. 97, primo comma), in quanto «il reclutamento dei dipendenti in base al merito si riflette, migliorandolo, sul rendimento delle pubbliche amministrazioni e sulle prestazioni da queste rese ai cittadini» (Corte cost. n. 293 del 2009, cit.); iii) assicura il rispetto del principio di imparzialità, in quanto «impedisce che il reclutamento dei pubblici impiegati avvenga in base a criteri di appartenenza politica e garantisce, in tal modo, un certo grado di distinzione fra l’azione del governo, normalmente legata agli interessi di una parte politica, e quella dell’amministrazione, vincolata invece ad agire senza distinzioni di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate nell’ordinamento; sotto tale profilo il concorso rappresenta, pertanto, il metodo migliore per la provvista di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizioni di imparzialità e al servizio esclusivo della Nazione» (Corte cost. n. 293 del 2009, cit. e 15 ottobre 1990, n. 453). Da tutto quanto esposto è dato trarre la considerazione che la pratica effettiva dell’anonimato per le prove scritte d’esame dei concorsi pubblici – come in generale per tutti gli esami scritti a rilievo pubblico – realizza in termini pratici principi e regole di dignità costituzionale. Dal che la sua indefettibilità in concreto. Nello specifico poi, l’art. 14 d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi) disciplina gli adempimenti dei concorrenti e della commissione al termine della prova scritta (analoghe disposizioni sono contenute nel d.P.R, 3 maggio 1957, n. 686, recante «Norme di esecuzione del testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3»). In particolare, la commissione è tenuta a: - consegnare al candidato in ciascuno dei giorni di esame due buste di eguale colore: una grande munita di linguetta staccabile ed una piccola contenente un cartoncino bianco (comma 1); - il presidente della commissione o del comitato di vigilanza, o chi ne fa le veci, appone trasversalmente sulla busta, in modo che vi resti compreso il lembo della chiusura e la restante parte della busta stessa, la propria firma e l'indicazione della data della consegna (comma 2, ultimo inciso); - al termine di ogni giorno di esame è assegnato alla busta contenente l’elaborato di ciascun concorrente lo stesso numero da apporsi sulla linguetta staccabile, in modo da poter riunire, esclusivamente attraverso la numerazione, le buste appartenenti allo stesso candidato (comma 3); - successivamente alla conclusione dell’ultima prova di esame e comunque non oltre le ventiquattro ore si procede alla riunione delle buste aventi lo stesso numero in un unica busta, dopo aver staccata la relativa linguetta numerata; tale operazione è effettuata dalla commissione esaminatrice o dal comitato di vigilanza con l’intervento di almeno due componenti della commissione stessa nel luogo, nel giorno e nell’ora di cui è data comunicazione orale ai candidati presenti in aula all'ultima prova di esame, con l'avvertimento che alcuni di essi, in numero non superiore alle dieci unità, potranno assistere alle anzidette operazioni (comma 4); - i pieghi sono aperti alla presenza della commissione esaminatrice quando essa deve procedere all'esame dei lavori relativi a ciascuna prova di esame (comma 5); - il riconoscimento deve essere fatto a conclusione dell’esame e del giudizio di tutti gli elaborati dei concorrenti (comma 6). Il candidato è tenuto: - dopo aver svolto il tema, senza apporvi sottoscrizione, né altro contrassegno, a mettere il foglio o i fogli nella busta grande; a scrivere il proprio nome e cognome, la data e il luogo di nascita nel cartoncino, chiudendolo nella busta piccola; a porre, quindi, anche la busta piccola nella grande che richiude e a consegnare il tutto al presidente della commissione o del comitato di vigilanza o a chi ne fa le veci (comma 2, primo inciso). Sul piano funzionale, va considerato il dato essenziale che l’ordinamento, con queste norme, intende assicurare il rispetto effettivo del principio dell’anonimato - vale a dire della non riconoscibilità, anche ipotetica, dell’autore - degli scritti concorsuali, che costituisce «garanzia ineludibile di serietà della selezione e dello stesso funzionamento del meccanismo meritocratico» (Cons. Stato, VI, 6 aprile 2010, n. 1928) e rappresenta «il diretto portato del criterio generale di imparzialità della pubblica amministrazione, la quale deve operare le proprie valutazioni senza lasciare alcuno spazio a rischi, anche soltanto potenziali, di condizionamenti esterni» (Cons. Stato, V, 5 dicembre 2006, n. 7116; Cons. Stato, V, 1 marzo 2000, n. 1071). Sul piano strutturale, per perseguire nella realtà pratica un tale obiettivo, l’ordinamento prevede norme cogenti che, in rapporto ai suddetti principi costituzionali, configurano regole di condotte tipizzate, riconducibili all’amministrazione e ai candidati, che indefettibilmente vanno osservate nelle procedure concorsuali. La violazione di tali norme comporta un’illegittimità da pericolo astratto e presunto: solo con una siffatta rigorosa precauzione generale, infatti, è ragionevolmente garantita l’effettività dell’anonimato nei casi singoli. Con queste cautele, elevate a inderogabili norma di condotta, la soglia dell’illegittimità rilevante viene anticipata all’accertamento della sussistenza di una condotta concreta non riconducibile a quella tipizzata. L’ordinamento non chiede dunque che il giudice accerti di volta in volta che la violazione delle regole di condotta abbia portato a conoscere effettivamente il nome del candidato. Se fosse richiesto un tale, concreto, accertamento, lo stesso - oltre ad essere di evidente disfunzionale onerosità - si risolverebbe, con inversione dell’onere della prova, in una sorta di probatio diabolica che contrasterebbe con l’esigenza organizzativa e giuridica di assicurare senz’altro e per tutti il rispetto delle indicate regole, di rilevanza costituzionale, sul pubblico concorso. Riguardo alla casistica ad oggi formatasi sui comportamenti dei candidati, il caso più ricorrente riguarda l’apposizione di segni di riconoscimento sugli elaborati scritti: a tale proposito, si è affermato che «ciò che rileva non è tanto l’identificabilità dell’autore dell’elaborato mediante un segno a lui personalmente riferibile, quanto piuttosto l’astratta idoneità del segno a fungere da elemento di identificazione» (da ultimo, Cons. Stato, V, 11 gennaio 2013, n. 102; VI, 26 marzo 2012, n. 1740; si v. anche V, 29 settembre 1999, n. 1208). Più in dettaglio, la casistica stessa varia poi in relazione all’identificazione della nozione di "segno" astrattamente riconoscibile. Con riferimento ai comportamenti dell’amministrazione, i casi indicati riguardano l’apposizione sui lembi di chiusura delle buste contenenti gli elaborati delle sigle dei membri della commissione. A tal proposito, si è affermato che è sufficiente che tali sigle «siano apposte in maniera macroscopicamente diversa da busta a busta ovvero che su alcune di esse sia stata marcata la data con la sola indicazione del giorno e del mese mentre su altre vi si legge il giorno, il mese e l'anno» per considerare leso il principio dell’anonimato. E’ stato ritenuto sufficiente, anche in questo caso, la violazione della regola di condotta tipica descritta dalle norme «senza che sia necessario (…)ricostruire a posteriori il possibile percorso di riconoscimento degli elaborati da parte dei soggetti chiamati a valutarli» (Cons. Stato, VI, n. 1928 del 2010, cit.). Dopo aver ricostruito nei termini sopra esposti il suddetto quadro normativo e giurisprudenziale il Collegio passa all'esame dei motivi di appello dei quali appare opportuno riportare i seguenti. Con un primo gruppo si assume che: i) i ricorrenti in primo grado non hanno dimostrato la trasparenza delle buste e, in ogni caso, esse avrebbero natura tale non fare risultare, ictu oculi, leggibili i nominativi, come sarebbe dimostrato dal fatto che i.1) tali buste sono state acquistate tramite la Consip e che i. 2) nessun candidato o commissario abbia mai contestato la natura delle buste. I motivi non sono fondati. Viene qui in rilievo il comportamento dell’amministrazione che ha fornito ai singoli candidati le buste contenenti il cartoncino su cui apporre i propri dati anagrafici. L’art. 14 del d.P.R. n. 487 del 1994 prevede, come già sottolineato, che la commissione consegni ai singoli candidati una busta piccola contenente un cartoncino bianco su cui indicare i propri dati anagrafici. Questa busta deve avere natura e consistenza tale da non consentire la lettura dei predetti dati. Occorre allora qui accertare se la condotta concreta posta in essere dall’amministrazione sia o meno riconducibile alla condotta tipica voluta dall’ordinamento. Questa verifica ha presupposto, in primo luogo, l’acquisizione, disposta dal primo giudice, della documentazione costituita dalle buste nella disponibilità dell’amministrazione. Sul punto non può, pertanto, ritenersi che i ricorrenti in primo grado non abbiamo fornito la prova dei fatti dedotti. In secondo luogo, la verifica ha richiesto un accertamento tecnico che, anche per la varietà dei contesti ambientali nel cui ambito esso deve essere svolto, il Collegio ha demandato a un verificatore. Il verificatore ha depositato la relazione tecnica in data 11 aprile 2013. La relazione ha premesso che la tipologia di tecniche e strumenti potenzialmente utilizzabili per la lettura dei «dati identificativi» è assai ampia. In particolare, ha ritenuto che la modalità guida sulla base della quale selezionare le tecniche di indagine debba essere quella «ictu oculi» affiancata da determinazioni strumentali sul grado di bianco e da misure di opacità. Sono state, pertanto, escluse tecniche sofisticate da laboratorio, quale la video-comparazione, la digitalizzazione di immagini e la loro elaborazioni con software dedicati, l’uso di sistemi di microscopia equipaggiati con lenti di ingrandimento e software di analisi, gestione ed elaborazione di immagini. Il verificatore ha, inoltre, dichiarato di avere «provveduto alla eliminazione dello strato d’aria tra busta e cartoncino mediante pressione meccanica esercitata con le dita, simulando una operazione di stiraggio ancorata ai lembi laterali delle buste». Il verificatore ha concluso ritenendo che la misura del grado di bianco è compatibile con i valori medi e la misura di opacità «è considerato congruo rispetto al segreto epistolare di tipo comune». Per quanto attiene alle valutazioni ictu-oculi, ha effettuato una serie di accertamenti, valutando tutte le possibili condizioni ambientali nella fase di correzione degli elaborati. In particolare, egli ha accertato quanto segue. A) I nominati dei candidati sono leggibili in condizioni «di luce media con cielo privo di nubi e con irraggiamento indiretto all’interno di un locale non illuminato artificialmente» (pag. 12 rel.). Si è puntualizzato che «in base ai risultati ottenuto non si è ritenuto necessario procedere ad una valutazione nella condizione di luce solare trasmessa per irraggiamento diretto, con diffusione attraverso vetro, e nella condizione di luce solare trasmessa per irraggiamento diretto senza diffusione attraverso vetro (la cosiddetta condizione di "controluce"), in quanto la sola luce solare trasmessa e diffusa attraverso una finestra nelle condizioni di verifica già consente la lettura dei nominativi sui cartoncini» (pag. 19 rel.). B) I nominativi dei candidati sono leggibili in «condizioni di luce media del giorno a cielo coperto all’interno di un locale non illuminato artificialmente» (pag. 20 rel.) in caso di «cartoncino inserito lato intestazione o lato chiusura busta con osservazione diretta sullo stesso lato» (pag. 22 rel.). C) I nominati dei candidati sono leggibili mediante «impiego di lampada da tavolo da 28W in trasmissione come piano visore» (pag. 26 rel.). I dati identificativi non sono leggibili mediante impiego: a) di lampada da tavolo in condizione di riflessione (pagg. 23-24 rel.); b) di lampada da soffitto in condizione di trasmissione e di riflessione (pagg. 25-28). Il Collegio, ritiene, con riferimento alle valutazioni preliminari, che la scelta tecnica, basata sull’accertamento ictu oculi, effettuata dal verificatore sia corretta, in quanto risulta compatibile con la natura del procedimento e dell’accertamento giudiziale richiesto. Inoltre, l’eliminazione dello strato d’aria, essendo effettuata con le modalità sopra indicate, risponde al normale impiego manuale delle buste. Con riferimento alle valutazioni finali, il Collegio ritiene che le stesse correttamente conducano a ritenere che non sono state rispettate le norme di disciplina del settore. Le rammentate regole di condotta tipiche impongono infatti che le buste utilizzate non debbano consentire, in qualunque possibile condizione ambientale, che siano "leggibili" i nominativi. Le pratiche di condotta rilevate in concreto hanno però dimostrato che, in presenza di una luce naturale o artificiale del tipo sopra indicato, era in realtà possibile leggere i nominativi dei candidati e così identificarli, in evidente lesione della inderogabile garanzia di anonimato e dunque di eguaglianza. Una volta perciò dimostrato, come così è avvenuto, che le buste permettono di poter conoscere i dati identificativi, non assumono rilevanza la circostanza che il Ministero abbia acquisito le buste mediante una fornitura Consip e che in sede di prova d’esame nessuno abbia specificamente contestato la consistenza della buste. Con un secondo ordine di motivi, strettamente connessi, si assume che, anche qualora le buste abbiano una consistenza tale da rendere astrattamente leggibili i nominativi, in ogni caso: i) le buste contenenti i nominativi non erano nella disponibilità della commissione; ii) i luoghi ove sono stati corretti gli elaborati non avevano, per mancanza di finestre, una luce naturale sufficiente; iii) è mancato l’accertamento in concreto della violazione delle regole dell’anonimato (come richiesto dalle decisioni 1 ottobre 2002, n. 5132 e 6 luglio 2004, n. 5017 della V e VI Sezione del Consiglio di Stato); iv) la violazione delle regole dell’anonimato presupporrebbe un comportamento "fraudolento" della commissione. Anche tali motivi non sono stati ritenuto fondati. In relazione al primo aspetto, dai verbali del concorso e, più in generale, dagli atti acquisiti al processo risulta che la busta piccola era nella "disponibilità" della commissione. Infatti, gli elaborati di ciascuna delle due prove scritte erano inseriti in una busta bianca unitamente alla busta piccola. Le due buste bianche sono state poi inserite in un’unica busta gialla. Al momento della correzione, la commissione ha proceduto ad assegnare un numero progressivo alla busta gialla e alle due buste bianche in quella contenute, per poi procedere all’apertura di una delle due buste bianche, assegnando un numero progressivo alla busta piccola e procedure alla correzione dell’elaborato. Appare evidente, pertanto che, contrariamente a quanto affermato dagli appellanti, la busta piccola sia stata nella disponibilità della commissione al momento della valutazione dei temi. In relazione al secondo aspetto: i) non è possibile individuare con certezza un luogo unico di correzione che abbia le caratteristiche indicate; ii) erano, comunque, presenti, come ammettono le parti stesse, dei "lucernai"; iii) la leggibilità poteva avvenire, come sopra rilevato, sia in assenza di luce solare sia mediante luce artificiale. In relazione al terzo aspetto non è necessaria la prova dell’effettiva lettura dei nominativi. Come già sottolineato è sufficiente un accertamento astratto e non concreto della violazione (si v. punto 4.2.1.). La decisione n. 5132 del 2002, sopra richiamata, non si discosta da questo principio, essendosi limitata a disporre una verifica "concreta" con riguardo alla tipologia di segni di riconoscimento apposti dai candidati. La decisione n. 5017 del 2004, anch’essa richiamata, ha riguardato una fattispecie particolare relativa alla scollatura di alcune buste consegnate a un numero ridotto di candidati. In tale decisione si è affermato che non poteva farsi ricadere sui candidati un rischio non addebitabile a un loro condotta finalizzata a farsi riconoscere, specificando che questo caso è diverso da quello in cui vengono consegnati a tutti i candidati buste che consentono la leggibilità dei nominati. In tale ipotesi, si è disposto, l’intera procedura dovrà essere «ripetuta, con rispetto della par condicio». Infine, si deve rilevare come non sia necessario, per la lettura dei nominativi, un comportamento effettivamente "fraudolento" della commissione, in quanto, come già sottolineato, è sufficiente un impiego "ordinario" delle buste affinché si possa venire a conoscenza dei nominativi dei candidati.

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

 
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Importante sentenza del Consiglio di Stato nella quale vengono enunciati i seguenti principi: A) Nelle procedure concorsuali l’esigenza di assicurare il rispetto effettivo del principio costituzionale del pubblico concorso e la regola fondamentale dell’anonimato ad esso sottesa costituiscono la ba ... Continua a leggere

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martedì 30 luglio 2013 19:23

Pensionamenti nella P.A. in caso di soprannumero: pubblicata la circolare della Funzione Pubblica sui pensionamenti in deroga

Funzione Pubblica circolare n. 3 del 29.7.2013

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E' in attesa di registrazione da parte della Corte dei conti la circolare del 29 luglio 2013 con la quale la Funzione Pubblica dirama alle P.A. indicazioni omogenee per l'attuazione dell'art. 2 del decreto legge n. 95 del 2012, convertito in l. n. 135 del 2012, c.d. "Spending review". La norma consente l'accesso speciale al pensionamento attraverso l'esodo volontario in caso di dimissioni del dipendente o la risoluzione unilaterale del rapporto da parte dell'amministrazione. Sostanzialmente in tali casi si applica il regime di accesso e di decorrenza del trattamento pensionistico previgente alla riforma operata con la Legge n. 214/2011.

Funzione Pubblica circolare n. 3 del 29.7.2013

 
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martedì 30 luglio 2013 19:23

CAD: pubblicate le nuove linee guida per la fruibilità dei dati delle Pubbliche Amministrazioni

Agenzia per l'Italia Digitale

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L'Agenzia per l'Italia Digitale ha provveduto ad aggiornare le "Linee guida per la stesura di convenzioni per la fruibilità di dati delle pubbliche amministrazioni" in attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 58 del Codice dell'Amministrazione Digitale, adottando una nuova versione (2.0 - giugno 2013) che sostituisce integralmente la precedente. D'intesa con il Garante per la protezione dei dati personali che, come previsto dalla norma, interviene nel processo di formazione delle suddette convenzioni, le nuove linee guida semplificano in modo significativo il procedimento di formazione delle convenzioni stesse, mirando a rendere pienamente conformi alla disciplina in materia di protezione dei dati personali i trattamenti ivi previsti. Infatti, per le convenzioni redatte conformemente alle Linee guida (versione 2.0 - giugno 2013) non è più necessario richiedere il parere del Garante per la protezione dei dati personali, anche laddove la convenzione abbia per oggetto l'accesso a dati personali. In relazione agli obiettivi di fruibilità perseguiti dalla succitata norma del CAD le Linee guida individuano, tra l'altro, i servizi e le modalità che dovranno essere utilizzate per l'accesso ai dati, con l'indicazione dei criteri per la definizione dei livelli di servizio che le convenzioni potranno stabilire. In tale contesto viene data particolare attenzione ai casi in cui la convenzione abbia per oggetto l'accesso a dati personali. Per quanto riguarda invece gli aspetti operativi, le Linee guida definiscono una struttura di base della convenzione-quadro, con l'indicazione del contenuto minimo della stessa, nonché il procedimento e gli adempimenti connessi alla stipula delle convenzioni, anche in relazione alle attività di monitoraggio che lo stesso articolo 58 del CAD pone in capo all'Agenzia per l'Italia Digitale.

Agenzia per l'Italia Digitale

 
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martedì 30 luglio 2013 19:23

Amministrazione Trasparente: devono essere pubblicate on line le convenzioni-quadro volte a disciplinare le modalità di accesso ai dati delle Pubbliche Amministrazioni

G.A.

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Si invitano le P.A. che utilizzano l'applicativo "Amministrazione Trasparente" distribuito dalla Gazzetta Amministrativa per conto della Funzione pubblica, a pubblicare on line nelle apposita sezione le convenzioni-quadro volte a disciplinare le modalità di accesso ai dati. In tal senso nelle nuove linee guida per la stesura di convenzioni per la fruibilità di dati delle pubbliche amministrazioni (art. 58 comma 2 del CAD), a pag. 8 "Raccolta e disponibilità del dato" si ribadisce che le pubbliche amministrazioni prima di procedere alla raccolta di nuovi dati, sono tenute a verificare se le informazioni di cui hanno bisogno possano essere acquisite mediante l'accesso a dati già in possesso di altre pubbliche amministrazioni o soggetti pubblici, in ottemperanza alle norme sulla "fruibilità di dati" previste dal Codice dell'Amministrazione Digitale. A tal fine, in attuazione anche delle recenti disposizioni in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni (D. Lgs. 14 marzo 2013, n. 33), le pubbliche amministrazioni devono rendere conoscibili le diverse tipologie di dati che possono essere fruibili da altre pubbliche amministrazioni, mediante pubblicazione sul proprio sito istituzionale delle convenzioni-quadro volte a disciplinare le modalità di accesso ai dati. In linea con le previsioni di cui all'articolo 35, comma 3, lettera b) del citato D. Lgs. 33/2013 dette convenzioni quadro devono essere pubblicate nella sezione denominata "Amministrazione trasparente", seguendo la struttura delle sottosezioni contemplata in allegato al medesimo provvedimento e di seguito riportata: sotto sezione 1° livello "Attività e procedimenti" sotto sezione 2° livello "Dichiarazioni sostitutive e acquisizione d'ufficio dei dati". Unitamente alle convenzioni quadro le amministrazioni provvedono altresì a pubblicare le informazioni di cui alle lettere a) e c) dello stesso articolo 35, comma 3.

G.A.

 
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martedì 30 luglio 2013 19:23

In Gazzetta Ufficiale il divieto di utilizzo delle sigarette elettroniche nei locali chiusi delle istituzioni scolastiche

Ministero della Salute

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Entra in vigore oggi e avrà efficacia per dodici mesi l'ordinanza del Ministero della Salute pubblicata in data 29.7.2013 sulla Gazzetta Ufficiale che ribadisce il divieto di vendita ai minori delle sigarette elettroniche e ne vieta altresì l'utilizzo nei locali chiusi delle istituzioni scolastiche statali e paritarie e dei centri di formazione professionale.

Ministero della Salute

 
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Entra in vigore oggi e avrà efficacia per dodici mesi l'ordinanza del Ministero della Salute pubblicata in data 29.7.2013 sulla Gazzetta Ufficiale che ribadisce il divieto di vendita ai minori delle sigarette elettroniche e ne vieta altresì l'utilizzo nei locali chiusi delle istituzioni scolastiche ... Continua a leggere

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martedì 30 luglio 2013 19:23

In Italia sono presenti 3.764.236 cittadini non comunitari regolari

ISTAT

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Al 1° gennaio 2013, in base ai dati forniti dal Ministero dell'Interno, sono regolarmente presenti in Italia 3.764.236 cittadini non comunitari. L'Istat nel comunicato fornito in data odierna precisa inoltre che tra il 2012 e il 2013 il numero di cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti è aumentato di circa 127 mila unità. I paesi di cittadinanza più rappresentati sono Marocco (513.374), Albania (497.761), Cina (304.768), Ucraina (224.588) e Filippine (158.308). I minori presenti in Italia rappresentano il 24,1% degli stranieri non comunitari regolarmente soggiornanti, mentre nel 2012 essi costituivano il 23,9%. Continua a crescere la quota di soggiornanti di lungo periodo (passano da 1.896.223 nel 2012 a 2.045.662 nel 2013) che costituiscono la maggior parte dei cittadini non comunitari regolarmente presenti (54,3%). La quota di soggiornanti di lungo periodo sul totale è particolarmente elevata nelle regioni del Centro-Nord. Netta è stata la diminuzione di nuovi ingressi di cittadini stranieri non comunitari: durante il 2012 sono stati rilasciati 263.968 nuovi permessi, quasi il 27% in meno rispetto all'anno precedente. La diminuzione dei nuovi arrivi ha interessato gli uomini (-33%) più delle donne (-19,5%). Si riducono notevolmente i nuovi permessi rilasciati per lavoro (-43,1%); si contraggono, anche se in misura minore (-17%), le nuove concessioni per famiglia. I permessi rilasciati per asilo e motivi umanitari, passano da 42.672 nel 2011 a 22.916 nel 2012. Nel 2012 hanno rappresentato l'8,7% dei nuovi flussi, mentre l'anno precedente erano il 16,2% del totale.

ISTAT

 
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Al 1° gennaio 2013, in base ai dati forniti dal Ministero dell'Interno, sono regolarmente presenti in Italia 3.764.236 cittadini non comunitari. L'Istat nel comunicato fornito in data odierna precisa inoltre che tra il 2012 e il 2013 il numero di cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti è ... Continua a leggere

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martedì 30 luglio 2013 19:23

Il divieto per le P.A. di stipulare contratti di locazione passiva nel corso dell’anno 2013 si applica a prescindere dalla decorrenza degli effetti economici che ne derivano

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti nota a parere Corte dei Conti

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Il Sindaco del Comune di Montecatini Terme ha chiesto alla Corte dei Conti di chiarire se il divieto di stipulare contratti di locazione passiva dettato dall’art. 12, comma 1-quater del d.l. 98/2011, convertito dalla L. 111/2011 riguardi solo la stipula di contratti che svolgono la propria efficacia durante l’anno 2013 (essendo possibile stipulare contratti di locazione con efficacia per gli anni successivi) o se al contrario riguarda in generale la capacità di stipulare contratti di locazione passiva durante l’anno 2013. La Corte nel merito, ha precisato che l’art. 12, comma 1-quater del d.l. 98/2011, convertito dalla L. 111/2011, come modificato dall’art. 1, comma 138, della l. 228/2012, stabilisce: "Per l'anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), non possono acquistare immobili a titolo oneroso nè stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti. Sono esclusi gli enti previdenziali pubblici e privati, per i quali restano ferme le disposizioni di cui ai commi 4 e 15 dell'articolo 8 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Sono fatte salve, altresì, le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate con il decreto previsto dal comma 1, in data antecedente a quella di entrata in vigore del presente decreto". Il riferimento normativo al divieto di "stipulare contratti di locazione passiva" appare riferibile alla capacità di contrarre (si parla infatti di "stipulare") un nuovo contratto e non solo agli effetti economici che ne derivano, ciò appare confermato interpretando la norma, secondo il suo significato letterale e logico; difatti tale interpretazione appare confortata da due ordini di ragioni: - in primis, la norma di cui al comma 1-quater riportato stabilisce un divieto anche per l’acquisto di immobili specificando che trattasi di divieto di acquisto a "titolo oneroso", mentre non esplicita tale circostanza in relazione alla stipulazione di contratti di locazione per i quali, invece, si esprime stabilendo un generale divieto di "stipulare contratti di locazione passiva" senza accennare all’onerosità degli stessi: la locuzione "locazione passiva" esprime, difatti, la posizione giuridica dell’amministrazione pubblica-stipulante e non l’onerosità del contratto; - in secondo luogo, il divieto appare riferibile alla stipulazione di un contratto di locazione anche in virtù dell’esplicitazione delle deroghe espressamente stabilite dalla stessa norma la quale contempla l’eccezione quando trattasi di "rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti" riferendosi, anche in questi casi, all’atto della contrazione della locazione (il rinnovo può avvenire a prescindere dalla sua onerosità e dalla congruità/convenienza del canone di locazione che ne consegue). In conclusione, pertanto, il collegio ha ritenuto che il divieto di cui all’art. 12, comma 1-quater, del d.l. 98/2011, convertito dalla L. 111/2011 riguardi la stipulazione di contratti di locazione passiva nel corso dell’anno 2013 a prescindere dalla decorrenza degli effetti economici che ne derivano, in virtù dell’interpretazione letterale della norma che disciplina la materia.

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti nota a parere Corte dei Conti

 
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Il Sindaco del Comune di Montecatini Terme ha chiesto alla Corte dei Conti di chiarire se il divieto di stipulare contratti di locazione passiva dettato dall’art. 12, comma 1-quater del d.l. 98/2011, convertito dalla L. 111/2011 riguardi solo la stipula di contratti che svolgono la propria efficaci ... Continua a leggere

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mercoledì 3 luglio 2013 21:18

Incostituzionale l'articolo 19 dello "Statuto dei lavoratori"

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La Corte costituzionale, nell’odierna camera di consiglio, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, 1° c. lett. b) della legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. "Statuto dei lavoratori") nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale sia costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda. (Corte Costituzionale, comunicato del 3.7.2013)

 
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La Corte costituzionale, nell’odierna camera di consiglio, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, 1° c. lett. b) della legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. "Statuto dei lavoratori") nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale sia costituita anche nell’ ... Continua a leggere

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mercoledì 3 luglio 2013 21:18

La Corte Costituzionale boccia la riforma delle Province

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​La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale: - dell’art. 23, commi 4, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20 bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214; - degli artt. 17 e 18 del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135 per violazione dell’art. 77 Cost., in relazione agli artt. 117, 2° comma lett. p) e 133, 1° comma Cost., in quanto il decreto-legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza, è strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate nel presente giudizio. (Corte Costituzionale, comunicato del 3.7.2013)

 
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​La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale: - dell’art. 23, commi 4, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20 bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214; - degli artt. 17 e 18 del decreto- ... Continua a leggere

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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

Esercizio delle funzioni di primario ospedaliero da parte dell’aiuto corresponsabile: spetta la maggiore retribuzione se l’esercizio delle mansioni superiori si prolunghi oltre la durata di sessanta giorni per anno solare, senza necessità di un atto formale di incarico, purche' esista in organico un posto di primario vacante

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Il contenzioso sottoposto all'esame del Consiglio di Stato trae origine dalla domanda proposta dal ricorrente, poi appellante, per il riconoscimento delle differenze stipendiali asseritamente spettantigli per avere esercitato, di fatto, le funzioni di primario ospedaliero di cardiologia presso un Ospedale, mentre la sua qualifica formale era quella di aiuto corresponsabile. Ciò a decorrere dal 1° aprile 1989. La materia è regolata dall’art. 29 del d.P.R. n. 761/1979 e dalla giurisprudenza (in parte evolutiva) che ne è derivata. In particolare si può ritenere acquisito da molto tempo il principio che l’art. 29 si interpreta nel senso che spetta la maggiore retribuzione qualora l’esercizio delle mansioni superiori si prolunghi oltre la durata di sessanta giorni per anno solare; subordinatamente però alla condizione che vi sia stato un incarico formale a copertura di un posto vacante in organico. Su questo punto, prima ancora che la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio, vi sono pronunce della Corte costituzionale. Si deve ancora aggiungere, sempre con riferimento alla giurisprudenza consolidata, che nello specifico caso dell’esercizio delle funzioni di primario ospedaliero da parte dell’aiuto corresponsabile non si ritiene necessario un atto formale di incarico, ferma restando la necessità che il posto di primario esista in organico e sia attualmente vacante. Ciò in considerazione della "indefettibilità" delle funzioni del primario ospedaliero e del fatto che in caso di assenza o impedimento del primario è compito dell’aiuto sostituirlo (art. 3, d.P.R. n. 3/1969), distinguendosi semmai fra la sostituzione in caso di assenza temporanea del titolare (che non dà luogo a pretese retributive) e l’assunzione delle responsabilità primariali in caso di vacanza del posto (che invece vi dà luogo). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 10.6.2013, n. 3148)

 
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Il contenzioso sottoposto all'esame del Consiglio di Stato trae origine dalla domanda proposta dal ricorrente, poi appellante, per il riconoscimento delle differenze stipendiali asseritamente spettantigli per avere esercitato, di fatto, le funzioni di primario ospedaliero di cardiologia presso un O ... Continua a leggere

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mercoledì 3 luglio 2013 19:11

E' valida l'autodichiarazione resa ai sensi del d.P.R. n.445/2000 anche se manca il richiamo delle sanzioni penali previste per il caso di false dichiarazioni

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Sul mancato richiamo delle sanzioni penali previste per il caso di false dichiarazioni, la giurisprudenza ha da tempo osservato che tale adempimento non costituisce un requisito sostanziale per la validità delle dichiarazioni ai sensi del d.P.R. n.445/2000 in quanto la qualificazione come falso, e le relative conseguenze penali, prescindono dall’avvenuto uso in concreto della formula, mentre la ignoranza della legge penale comunque non scusa il falso dichiarante, sia che abbia invocato per iscritto l’art. 76 del d.P.R.445/2000, sia che non lo abbia invocato. In effetti l’art. 48 del t.u. n. 445/2000 non richiede, a pena d’invalidità, che il soggetto si impegni esplicitamente a rendere una dichiarazione veritiera, e neppure che si dichiari consapevole delle sanzioni penali previste per le false dichiarazioni. Al contrario, è la p.a. che deve richiamare le sanzioni penali, nel momento in cui invita il privato a rendere le dichiarazioni e gli fornisce il relativo modello (peraltro facoltativo). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 10.6.2013, n. 3146)

 
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