News 30 Luglio 2013 - Area Amministrativa


NORMATIVA

Incompatibilità ed inconferibilità: la CIVIT sospende l’attività consultiva

Civit

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L'Autorità Nazionale Anticorruzione con comunicato del 26 luglio 2013 ha reso di noto di aver temporaneamente sospeso le proprie decisioni sulle richieste di parere pervenute ai sensi dell’art. 16 comma 3 del d. lgs. 39/2013 nelle more dell’approvazione definitiva della legge di conversione del d.l. n. 69/2013 Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia, per doveroso rispetto delle scelte del Parlamento. Per evitare possibili errate interpretazioni, la Commissione si è' premurata anche di aggiungere che all’esito dell’iter parlamentare di conversione, la Commissione opererà, come ha sempre fatto, nel pieno rispetto della legge, esprimendo i pareri richiesti, se il disegno di legge fosse modificato in tal senso, o trasmettendo, per competenza, al Dipartimento della funzione pubblica le richieste pervenute e informandone le amministrazioni richiedenti.

Civit

 
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P.A. digitale: i diritti dei cittadini nei video tutorial di Linea Amica

Linea Amica

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Identificarsi on line, pagamenti elettronici, dialogare con la pubblica amministrazione, svolgere pratiche via web, questi imtemi dei 4 video tutorial realizzati da Linea Amica per aiutare i cittadini a partecipare alla vita amministrativa attraverso internet. Nei video si parla di come richiedereun pin, una casella di posta certificata, come ottenere, ad esempio, un certificato anagrafico e sono cosi suddivisi: 1) Video su Partecipazione al procedimento amministrativo; 2) Video su Dialogare con la pa; 3) Video su Strumenti per identificarsi e ottenere servizi online; 4) video su Pagamenti elettronici. Per accedere ai video cliccare sul titolo sopra linkato.

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In Italia sono presenti 3.764.236 cittadini non comunitari regolari

ISTAT

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Al 1° gennaio 2013, in base ai dati forniti dal Ministero dell'Interno, sono regolarmente presenti in Italia 3.764.236 cittadini non comunitari. L'Istat nel comunicato fornito in data odierna precisa inoltre che tra il 2012 e il 2013 il numero di cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti èaumentato di circa 127 mila unità. I paesi di cittadinanza più rappresentati sono Marocco (513.374), Albania (497.761), Cina (304.768), Ucraina (224.588) e Filippine (158.308). I minori presenti in Italia rappresentano il 24,1% degli stranieri non comunitari regolarmente soggiornanti, mentre nel 2012 essi costituivano il 23,9%. Continua a crescere la quota di soggiornanti di lungo periodo (passano da 1.896.223 nel 2012 a 2.045.662 nel 2013) che costituiscono la maggior parte dei cittadini non comunitari regolarmente presenti (54,3%). La quota di soggiornanti di lungo periodo sul totale è particolarmente elevata nelle regioni del Centro-Nord. Netta è stata la diminuzione di nuovi ingressi di cittadini stranieri non comunitari: durante il 2012 sono stati rilasciati 263.968 nuovi permessi, quasi il 27% in meno rispetto all'anno precedente. La diminuzione dei nuovi arrivi ha interessato gli uomini (-33%) più delle donne (-19,5%). Si riducono notevolmente i nuovi permessi rilasciati per lavoro (-43,1%); si contraggono, anche se in misura minore (-17%), le nuove concessioni per famiglia. I permessi rilasciati per asilo e motivi umanitari, passano da 42.672 nel 2011 a 22.916 nel 2012. Nel 2012 hanno rappresentato l'8,7% dei nuovi flussi, mentre l'anno precedente erano il 16,2% del totale.

ISTAT

 
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Al 1° gennaio 2013, in base ai dati forniti dal Ministero dell'Interno, sono regolarmente presenti in Italia 3.764.236 cittadini non comunitari. L'Istat nel comunicato fornito in data odierna precisa inoltre che tra il 2012 e il 2013 il numero di cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti è ... Continua a leggere

 

Anticorruzione: chiarimenti della Civit sull'applicazione delle norme sull’inconferibilità ed incompatibilità nel settore sanitario

Prof. Avv. Enrico Michetti a Delibera Civit

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Con apposita delibera la Civit interviene a chiarire l'interpretazione delle nuove norme del d.lgs n. 39/2013 nel settore sanitario. Tale delibera muove dai vari quesiti, di seguito trascritti, inoltrati alla Commissione sui dubbi interpretativi afferenti sia l'individuazione delle strutture sanitarie che gli incarichi dirigenziali soggetti alle nuove disposizioni QUESITI: " 1. Nota del 14 maggio 2013 del Responsabile della prevenzione della corruzione del Comune di Chivasso (TO) che chiede alla Commissione un parere in merito al rapporto intercorrente tra l’art. 12, co. 4, lett. b) (riferito genericamente agli incarichi dirigenziali nelle pp.aa.) e l’art. 14 del d.lgs. n. 39/2013 (che prevede, invece, specificamente, tre casi di incompatibilità: Direttore Generale, Direttore Amministrativo e il Direttore Sanitario delle aziende sanitarie locali). Nello specifico si chiede di sapere se la carica di Sindaco del suddetto Comune (oltre 15.000 ab.) sia compatibile con l’incarico di medico primario del Reparto Oncologia, e come tale inquadrato nel ruolo di dirigente dell’azienda ospedaliera "Città della Salute e della Scienza di Torino", precisato, altresì, che l’azienda ospedaliera si differenzia dall’azienda sanitaria locale per competenze diverse previste nel Piano Sanitario Regionale. 2. Nota del 30 aprile 2013 del Responsabile della prevenzione della corruzione e del Direttore Generale dell’Azienda Sanitaria n. 1 Imperiese del Comune di Bussana di Sanremo, con la quale si sottopongono i seguenti quesiti in tema di applicazione del d.lgs. n. 39/2013: a) se al personale appartenente alla Dirigenza Medica e Veterinaria, Sanitaria, Professionale, Tecnica e Amministrativa delle Aziende del Servizio Sanitario Nazionale siano da intendersi applicabili le incompatibilità di cui all’art. 12 (in particolare commi 3 e 4) del citato decreto; b) chiarimenti sull’efficacia temporale dell’art. 12 (assunzione e/o mantenimento nel corso dell’incarico); c) cosa accade in riferimento alle cariche di cui alle lett. a), b) e c) dei citati commi 3 e 4 dell’art. 12 assunte dal personale dirigente prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni e se si possa optare per il mantenimento dell’incarico dirigenziale mediante rinuncia alle altre cariche. 3. Nota del 20 maggio 2013 del Dirigente responsabile anticorruzione dell’Azienda ospedaliera-universitaria (Consorziale Policlinico) della Regione Puglia che formula quesiti: a) se la funzione di direttore generale di azienda ospedaliera universitaria è incompatibile con il ruolo di componente del Consiglio degli Affari Economici dell’Ente ecclesiastico Ospedale regionale "F.Miulli" di Acquaviva delle Fonti; b) se la funzione di dirigente capo area esercente l’attività di controllo analogo in materia di personale della società in house per conto del direttore generale è incompatibile con la funzione di amministratore unico della società Policlinico Servizi Sanitari s.r.l.; c) se la funzione di Presidente del Collegio Sindacale della Policlinico Servizi Sanitari s.r.l., società in house dell’Azienda Policlinico è incompatibile con l’incarico di Direttore amministrativo dell’Istituto di ricerca e di ricovero e assistenza "Istituto Tumori Giovanni Paolo II. 4. Nota del 16 maggio 2013 del Presidente della Provincia di Parma con la quale si chiede se l’incompatibilità sancita dall’art. 12, co. 3, d.lgs. n. 39/2013 si applica anche al "personale medico di Azienda Unitaria Sanitaria Locale o di Azienda Ospedaliera, non esercitante poteri di amministrazione e gestione, ma avente responsabilità professionale. 5. Nota del 9 maggio 2013 del Segretario Generale del Comune di Palo del Colle (BA) che sottopone alla Commissione due quesiti: a) se l’art. 12, co. 3, d.lgs. n. 39/2013 si applica ai dirigenti di struttura ospedaliera semplice; b) se il citato decreto legislativo deve ritenersi applicabile anche ai soggetti che ricoprono il ruolo di medici di medicina generale, che hanno "un rapporto di tipo convenzionale con il Servizio Sanitario Nazionale". 6. Nota del 13 maggio 2013 con la quale il Segretario generale del Comune di Bitonto (Bari) con popolazione superiore a 15.000 abitanti, chiede alla Commissione se l’incompatibilità prevista dall’art. 12, commi 3 e 4 , lett. b) del decreto legislativo n. 39/2013 si applica anche ai dirigenti medici dipendenti a tempo indeterminato dell’Azienda sanitaria locale di Bari. 7. Nota del 14 maggio 2013 del sindaco del Comune di Lonigo (Vicenza) con la quale si chiede alla Commissione, ai sensi dell’art. 16 del decreto legislativo n.39/2013, se versi in una situazione di incompatibilità, sancita dall’art. 12, secondo comma del citato decreto legislativo, il consigliere comunale, che rivesta anche la carica di assessore, che sia dirigente dell’azienda sanitaria locale nel cui ambito ricade lo stesso Comune. 8. Nota del 21 maggio 2013 del Segretario generale del Comune di Fidenza (Parma), con la quale si segnala che il Sindaco è dipendente dell’azienda sanitaria locale con incarico di "dirigente" di struttura complessa e che due consiglieri comunali sono dipendenti dell’azienda sanitaria locale con incarico di dirigente medico responsabile di struttura complessa. Si chiede, inoltre, se il ruolo del Sindaco "è compatibile con l’incarico presso l’azienda sanitaria locale di "dirigente responsabile del presidio ospedaliero aziendale e della direzione amministrativa dell’ospedale di Fidenza" (Parma). 9. Nota del 17 giugno 2013 del Presidente del Consiglio di amministrazione dell’Azienda pubblica di servizi alla persona del distretto di Fidenza (Parma) con la quale si chiede di sapere se: a) la disciplina di cui al d.lgs. n. 39/2013 operi con riferimento agli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della norma in questione e, in caso affermativo, quali siano gli obblighi/adempimenti che competono all’ente/azienda presso cui il soggetto svolge l’incarico; b) se, relativamente alla posizione del Direttore (componente del Consiglio comunale di Parma) sia applicabile la disciplina del d.lgs. n. 39/2013. 10. Nota del 7 giugno 2013 del Responsabile della prevenzione della corruzione dell’Azienda sanitaria locale di Parma, con la quale si chiede a quali figure dirigenziali sia applicabile il d.lgs. n.39/2013, tenuto conto anche dell’esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione. 11. Nota in data 27 maggio 2013, con cui il Sindaco del Comune di Cerignola chiede il parere della Commissione in ordine alla sussistenza di cause di incompatibilità o di inconferibilità tra l’incarico di dirigente medico ospedaliero (di I livello) e quello di Sindaco e tra quest’ultimo e l’eventuale futuro conferimento di incarico di dirigente medico ospedaliero di II livello. 12. Nota del 4 giugno 2013 con la quale l’Azienda sanitaria locale savonese pone un quesito preliminare in materia di applicabilità dell’art. 12 del d. lgs. n. 39/2013 alle Aziende del Servizio Sanitario Nazionale, in considerazione della "presenza di una disciplina specifica per il Servizio Sanitario Nazionale, vale a dire quella prevista dagli artt. 8 e 14", e, in subordine, pone alcuni quesiti di portata generale, relativi anche all’efficacia temporale dell’art. 12. 13. Nota del 4 giugno 2013 con la quale il Segretario generale, responsabile anticorruzione, del Comune di Bari chiede alla Commissione se l’art. 12, comma 4, lett. b del d. lgs. n. 39 del 2013 debba essere applicato anche ai medici incaricati dalle aziende sanitarie locali. Tenuto conto di quanto previsto dall’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 39/2013 La Civit ha espresso IL SEGUENTE AVVISO: "1. Individuazione delle strutture sanitarie alle quali si applica il d.lg. n. 39/2013. La prima questione, tenuto conto che il decreto fa riferimento soltanto alle aziende sanitarie locali, ha ad oggetto l’applicazione delle norme del d.lgs. n. 39/2013 anche alle aziende ospedaliere, agli istituti di ricerca e di ricovero e assistenza, alle aziende pubbliche di servizi alla persone. La Commissione ritiene applicabile il d.lgs. n. 39/2013 a tutte le strutture del servizio sanitario che erogano attività assistenziali volte a garantire la tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo. A favore di questa interpretazione, si citano i seguenti argomenti. Innanzitutto, si ricorda che l’art. 1, commi 49 e 50 della l. n. 190/2012, nel delegare il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi diretti a modificare la disciplina vigente in materia di attribuzioni di incarichi dirigenziali e di incarichi di responsabilità amministrativa di vertice nelle pubbliche amministrazioni, al secondo capoverso, lett. d) prevede il criterio direttivo secondo cui devono essere ricompresi, tra gli incarichi oggetto della disciplina, gli incarichi di Direttore generale, Direttore sanitario e Direttore amministrativo delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere. Occorre ricordare, poi, che, più in generale, l’art. 1, co. 59 della l. 190/2012 prevede che le disposizioni della legge si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, co. 2 del d.lgs. n. 165/2001 in cui rientrano espressamente e più in generale le Aziende del Servizio Sanitario Nazionale. Un ultimo argomento a favore della tesi esposta è rappresentato anche dall’organizzazione delle stesse aziende sanitarie locali, tenuto conto che le Regioni, al fine di assicurare i livelli essenziali di assistenza, si avvalgono anche delle aziende ospedaliere e dei presidi ospedalieri a cui si estende la disciplina prevista per le aziende sanitarie locali (artt. 3 e 4, d.lgs. n. 502/1992, "Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della l. n. 421/1992"). Per specifiche esigenze assistenziali, di ricerca scientifica, nonché di didattica del Servizio Sanitario Nazionale possono essere costituiti o confermati in aziende disciplinate dall’art. 3 del d.lgs. n. 502/1992: gli istituti di ricerca e di ricovero e assistenza (con le particolarità procedurali e organizzative previste dalle disposizioni attuative dell’art. 11, co. 1, lett. b) della l. n. 59/1997), le aziende ospedaliere di rilievo nazionale o interregionale di cui all’art. 6 della l. n. 419/1998 ("Ridefinizione dei rapporti tra università e Servizio sanitario nazionale") (art. 4, co. 1, d.lgs. n. 502/1992). Si ritiene, pertanto, che, nell’espressione "Aziende Sanitarie Locali", si intendono ricomprese tutte le strutture preposte all’organizzazione e all’erogazione di servizi sanitari, incluse anche le aziende ospedaliere, le aziende ospedaliere universitarie, gli istituti di ricerca e di ricovero e assistenza e le aziende pubbliche di servizi alla persona. 2. Applicabilità anche alle strutture sanitarie della Delibera n. 46/2013 in tema di efficacia nel tempo delle norme sull’inconferibilità e incompatibilità degli incarichi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti privati in controllo pubblico di cui al d.lgs. n. 39/2013. Un’ulteriore questione posta all’attenzione della Commissione riguarda l’incidenza delle disposizioni in tema di inconferibilità e incompatibilità sugli incarichi in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 39/2013. La Commissione, sul punto, ha già espresso un avviso di carattere generale (cfr. la delibera n. 46 del 2013) – e a cui si rimanda per ulteriore approfondimento – che conclude nel senso che la nuova disciplina è di immediata applicazione e cioè che gli incarichi e le cariche disciplinati dal d.lgs. n. 39/2013 comportano l’espletamento di funzioni e poteri che si protraggono nel tempo (quali, ad esempio, atti di gestione finanziaria, atti di amministrazione e gestione del personale, ecc.) e, trattandosi di un rapporto di durata, dunque, il fatto che l’origine dell’incarico si situa in un momento anteriore non può giustificare il perdurare nel tempo di una situazione di contrasto con la norma, seppur sopravvenuta a causa del mutamento della normativa. 3. Ambito e limiti di applicabilità delle disposizioni in tema di inconferibilità e incompatibilità ai dirigenti sanitari. La Commissione ha esaminato, inoltre, il problema dell’applicabilità alle diverse figure dirigenziali esistenti del settore sanitario delle fattispecie di inconferibilità e incompatibilità previste, genericamente, per gli incarichi dirigenziali. Il dubbio interpretativo è dovuto al fatto che il legislatore ha riservato al settore sanitario una specifica disciplina, considerando, espressamente, solo la dirigenza rappresentata dal vertice delle aziende sanitarie ovvero il Direttore Generale, il Direttore Amministrativo e il Direttore Sanitario delle aziende sanitarie locali (artt. 5, 8, 10 e 14 del d.lgs. n. 39/2013). La Commissione ritiene, peraltro, che le cause di inconferibilità e di incompatibilità non possono essere applicate soltanto ai detti soggetti. L’applicabilità dell’art. 12 del citato decreto deve, invece, affermarsi considerando che anche i dirigenti sanitari possono avere responsabilità di amministrazione e gestione e non solo responsabilità professionale (art. 15 del d.lgs. n. 502/1992). Ciò premesso, la Commissione ritiene, sul punto, che si deve tener conto della peculiarità della disciplina del personale medico caratterizzata dall’attribuzione formale della qualifica dirigenziale a tutti gli appartenenti. Ne deriva che per decidere in ordine all’applicabilità del decreto in esame si devono individuare le posizioni che, implicando oltre che la responsabilità professionale anche forme di responsabilità di amministrazione e gestione, non possono essere trattate diversamente dal complesso della dirigenza della pubblica amministrazione, che pure, in alcuni settori, prevede posizioni dirigenziali molto variegate. La Commissione, pertanto, ritiene di dover concludere nel senso che: a) il d.lgs. n. 39/2013 non trova applicazione al personale medico c.d. di staff che non esercita tipiche funzioni dirigenziali (come nel caso di sole funzioni di natura professionale, anche di alta specializzazione, di consulenza, studio e ricerca nonché funzioni ispettive e di verifica); b) al contrario, i dirigenti di distretto, i direttori di dipartimento e di presidio e, in generale, i direttori di strutture complesse rientrano sicuramente nel campo di applicazione della disciplina in esame; c) il problema più delicato è rappresentato dai dirigenti di struttura semplice. Per quanto riguarda i dirigenti di struttura semplice va, infatti, preliminarmente rilevato come nel quadro normativo delineato dalla l. n. 190/2012 e dai decreti di attuazione, l’art. 41, co. 2 del d.lgs. n. 33/2013 preveda espressamente che la disciplina in materia di trasparenza sia applicabile soltanto ai dirigenti di struttura complessa ma non anche a quelli che dirigono la struttura semplice. La Commissione ritiene che, nel silenzio del legislatore, tale netta distinzione non possa operare anche per quanto riguarda la materia dell’inconferibilità e dell’incompatibilità attesa la grande varietà dei compiti che possono essere affidati ai dirigenti di struttura semplice e le conseguenti implicazioni che ne possono derivare proprio in materia di incompatibilità. Alla luce di quanto osservato, per i dirigenti di strutture semplici non inserite in strutture complesse deve concludersi per la applicabilità della disciplina in esame. Per i dirigenti che dirigono strutture semplici inserite in strutture complesse la disciplina non è applicabile tranne il caso in cui, tenuto conto delle norme regolamentari e degli atti aziendali (art. 3, co. 1 bis e art. 15, d.lgs. n. 502/1992), al dirigente di struttura semplice sia riconosciuta, anche se in misura minore, significativa autonomia gestionale e amministrativa."

Prof. Avv. Enrico Michetti a Delibera Civit

 
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Con apposita delibera la Civit interviene a chiarire l'interpretazione delle nuove norme del d.lgs n. 39/2013 nel settore sanitario. Tale delibera muove dai vari quesiti, di seguito trascritti, inoltrati alla Commissione sui dubbi interpretativi afferenti sia l'individuazione delle strutture sanita ... Continua a leggere

 

Anticorruzione: chiarimenti della Civit sull'applicabilità delle norme sull'inconferibilità e incompatibilità degli incarichi nei Comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti

Prof. Avv. Enrico Michetti a delibera Civit

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Importante chiarimento della Civit in tema di applicabilità del d. lgs. n. 39/2013 ai Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti o forme associative tra Comuni della medesima regione aventi la medesima popolazione. In particolare la delibera oggi attenzionata interviene a fonte delle numerose richieste di chiarimenti sotto indicate:1. Nota del 15 giugno 2013 del Segretario generale del Comune di Bibbiano (RE) (popolazione inferiore ai 15.000 abitanti) con la quale si chiede alla Commissione se vi sia incompatibilità tra l’incarico di responsabile del servizio assetto ed uso del territorio e dell’ambiente del Comune di Bibbiano e la carica di assessore esterno di un comune con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti. Inoltre, lo stesso Segretario chiede se vi sia incompatibilità con la posizione rivestita da tale dipendente e la sua nomina a Presidente del Consiglio di amministrazione dell’azienda speciale consortile trasporti di Reggio Emilia. 2. Nota del 10 giugno 2013 del Segretario comunale del Comune di Pandino (CR) con la quale si chiede alla Commissione se l’incarico di Presidente dell’azienda speciale sia conferibile ad un consigliere comunale del Comune di Pandino, comune con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, che ha rassegnato le propri dimissione prima della nomina. 3. Nota del 14 giugno 2013 del Sindaco del Comune di Valverde (CT), con la quale si chiede alla Commissione se l’incarico di Assessore di un Comune con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti sia conferibile ad un dottore commercialista e revisore contabile che ricopre il ruolo di componente del collegio sindacale di una società a totale capitale pubblico di cui il citato Comune di Valverde sia socio azionista.AVVISO DELLA COMMISSIONE:"Le disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti di diritto privato in controllo pubblico (art. 7, commi 1 e 2 lett. a) e d); art. 8, comma 5; art.11, comma 2 lett. b); comma 3 lett. b) e c); art. 12 comma 3 lett. b) comma 4 lett. b) e c); art. 13 commi 2 lett. b) e c) e 3; art. 14, comma 2 lett b) e c) del decreto n.39/2013) trovano applicazione – ¬secondo l’ espressa previsione del decreto legislativo – soltanto ai Comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o forme associative tra Comuni della medesima regione aventi la medesima popolazione. Le disposizioni in tema di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi di cui agli artt. 3, 4 e 9 del citato decreto legislativo n. 39/2013 trovano generale applicazione."Importante chiarimento della Civit in tema di applicabilità del d. lgs. n. 39/2013 ai Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti o forme associative tra Comuni della medesima regione aventi la medesima popolazione. In particolare la delibera oggi attenzionata interviene a fonte delle numerose richieste di chiarimenti sotto indicate:1. Nota del 15 giugno 2013 del Segretario generale del Comune di Bibbiano (RE) (popolazione inferiore ai 15.000 abitanti) con la quale si chiede alla Commissione se vi sia incompatibilità tra l’incarico di responsabile del servizio assetto ed uso del territorio e dell’ambiente del Comune di Bibbiano e la carica di assessore esterno di un comune con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti. Inoltre, lo stesso Segretario chiede se vi sia incompatibilità con la posizione rivestita da tale dipendente e la sua nomina a Presidente del Consiglio di amministrazione dell’azienda speciale consortile trasporti di Reggio Emilia. 2. Nota del 10 giugno 2013 del Segretario comunale del Comune di Pandino (CR) con la quale si chiede alla Commissione se l’incarico di Presidente dell’azienda speciale sia conferibile ad un consigliere comunale del Comune di Pandino, comune con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, che ha rassegnato le propri dimissione prima della nomina. 3. Nota del 14 giugno 2013 del Sindaco del Comune di Valverde (CT), con la quale si chiede alla Commissione se l’incarico di Assessore di un Comune con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti sia conferibile ad un dottore commercialista e revisore contabile che ricopre il ruolo di componente del collegio sindacale di una società a totale capitale pubblico di cui il citato Comune di Valverde sia socio azionista.AVVISO DELLA COMMISSIONE:"Le disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti di diritto privato in controllo pubblico (art. 7, commi 1 e 2 lett. a) e d); art. 8, comma 5; art.11, comma 2 lett. b); comma 3 lett. b) e c); art. 12 comma 3 lett. b) comma 4 lett. b) e c); art. 13 commi 2 lett. b) e c) e 3; art. 14, comma 2 lett b) e c) del decreto n.39/2013) trovano applicazione – ¬secondo l’ espressa previsione del decreto legislativo – soltanto ai Comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o forme associative tra Comuni della medesima regione aventi la medesima popolazione. Le disposizioni in tema di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi di cui agli artt. 3, 4 e 9 del citato decreto legislativo n. 39/2013 trovano generale applicazione.

Prof. Avv. Enrico Michetti a delibera Civit

 
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Amministrazione Trasparente: la Civit chiarisce le modalità di pubblicazione degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici

Civit

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La Civit, a fronte dei sottoriportati numerosi quesiti interviene con un'apposita deliberazione in tema di "Pubblicazione degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici a persone fisiche ed enti pubblici e privati (artt. 26 e 27, d.lgs. n. 33/2013)". Quesiti: 1. Note del 10 maggio e del 26 giugno 2013 del Segretario del Comune di Martinengo con le quali si chiede se le aziende speciali siano tenute agli obblighi di pubblicazione di cui al d.lgs. n. 33/2013 ed in particolare a quelli di cui all’art. 26, considerato che l’art. 11 del decreto, relativo all’ambito soggettivo di applicazione, non le menziona e queste ultime non sono citate nemmeno dall’art. 1, c. 2, del d.lgs. n. 165/2001 alla quale l’art. 11 rimanda. Tuttavia, si fa presente che l’art. 18 del d.l. n. 83/2012, ora abrogato, si applicava, per espressa previsione della norma, anche alle aziende speciali. 2. Nota del 22 maggio 2013, con la quale la Provincia di Genova chiede se sia corretto ritenere che, in virtù dell’art. 26 del d.lgs. n. 33/2013, siano da pubblicare sussidi, aiuti e provvidenze e non corrispettivi e compensi in favore di professionisti, imprese e privati dovuti in forza di una prestazione, sebbene l’art. 27 preveda la pubblicazione del curriculum del soggetto incaricato, implicitamente lasciando intendere l’esistenza di un obbligo di pubblicazione dei pagamenti di corrispettivi per incarichi. 3. Nota del 30 maggio 2013 del Dirigente dell’Area Finanze del Comune di Sala Consilina, con la quale si chiede se sia corretto interpretare l’art. 26 del d.lgs. n. 33/2013 come volto ad imporre la pubblicazione di sussidi, aiuti e provvidenze, con esclusione dei dati relativi a corrispettivi e compensi in favore di professionisti, imprese e privati dovuti in forza di una prestazione. 4. Nota del 18 giugno 2013 della Provveditrice della Camera di Commercio di Ancona, con la quale si osserva che gli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013 non prevedono la pubblicazione dei dati dell’albo dei beneficiari di provvidenze di natura economica di cui all’art. 1 del d.P.R. n. 118/2000, e si chiede pertanto se detta pubblicazione possa considerarsi assorbita o se si tratta di un obbligo ulteriore cui le amministrazioni sono comunque tenute ad adempiere. 5. Nota del 1 luglio 2013 del Responsabile della trasparenza e della prevenzione della corruzione dell’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino, con la quale si chiede in primo luogo se sia corretto interpretare l’art. 26 del d.lgs. n. 33/2013 come volto ad imporre la pubblicazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici, con esclusione dei dati relativi a corrispettivi e compensi in favore di professionisti, imprese e privati dovuti in forza di una prestazione, ed in secondo luogo se sia necessario pubblicare solo gli atti di concessione di vantaggi economici di importo superiore a mille euro annui. 6. Nota del 15 luglio 2013, con la quale il Comune di Molteno chiede se sia corretto interpretare l’art. 26 del d.lgs. n. 33/2013 come volto ad imporre la pubblicazione dei contributi erogati a persone, enti ed imprese con esclusione dei dati relativi a corrispettivi alle imprese per lavori, servizi e forniture. Tenuto conto di quanto previsto dall’art. 10, c. 1, lett. a), del d.lgs. n. 33/2013, ad integrazione della delibera n. 5072013 recante "Linee guida per l’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità 2014-2016", coerentemente con le funzioni di vigilanza e controllo sull’esatto adempimento degli obblighi di pubblicazione attribuiti a questa Commissione dall’art. 45, c.1, del d.lgs. n. 33/2013 AVVISO della Civit: Ambito soggettivo di applicazione Va innanzitutto precisato che, per quanto riguarda l’ambito soggettivo di applicazione, le "pubbliche amministrazioni" cui gli artt. 26 e 27 fanno riferimento sono tutte quelle menzionate dall’art. 1, c. 2, del d.lgs. n. 165/2001, in virtù della previsione dell’art. 1, c. 34, della l. n. 190/2012 e del rinvio operato dall’art. 11, c. 1, del d.lgs. n. 33/2013. Pertanto, sono tenute all’applicazione degli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013 tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’ARAN, le Agenzie di cui al d.lgs. n. 300/1999 e, fino alla revisione organica della disciplina di settore, anche il CONI. Le autorità indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione provvedono all’attuazione della norma secondo le disposizioni dei rispettivi ordinamenti. Inoltre, sono tenuti all’adempimento degli obblighi di pubblicazione delle informazioni di cui agli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013 anche gli enti pubblici nazionali, ivi comprese le aziende speciali assimilate dalla giurisprudenza agli enti pubblici economici, considerato che, in base all’art. 1, c. 34, della l. n. 190/2012 agli enti pubblici nazionali, senza distinzione tra enti pubblici economici e non economici, si applicano le disposizioni di cui all’art. 1, cc. 15 a 33, della medesima legge, relative, tra l’altro, alla pubblicazione delle informazioni dei procedimenti di concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché di attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati. Infine, sono sottoposte agli obblighi di pubblicazione dei dati di cui agli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013 anche le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni summenzionate e le società da esse controllate ai sensi dell’art. 2359 del codice civile. Infatti, l’art. 11, c. 2, del d.lgs. n. 33/2013 prevede che a queste si applichino, limitatamente all’attività di pubblico interesse, le disposizioni di cui al citato art. 1, cc. da 15 a 33 della l. n. 190/2012. Ambito oggettivo di applicazione Per quanto attiene l’ambito oggettivo di applicazione, si rileva che l’art. 26, c. 2, impone la pubblicazione, nella sezione "Amministrazione trasparente", sotto-sezione di primo livello "Sovvenzioni, contributi, sussidi, vantaggi economici", degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese, e comunque di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati ai sensi dell’art. 12 della l. n. 241/1990, di importo superiore a mille euro. Tale pubblicazione costituisce condizione legale di efficacia del provvedimento concessorio. Si deve quindi ritenere che la disposizione si riferisca a tutti quei provvedimenti che, sulla base della normativa vigente, sono volti a sostenere un soggetto sia pubblico che privato, accordandogli un vantaggio economico diretto o indiretto mediante l’erogazione di incentivi o agevolazioni che hanno l’effetto di comportare sgravi, risparmi o acquisizione di risorse. Non è prevista dall’art. 26 del decreto la pubblicazione dei compensi dovuti dalle amministrazioni, dagli enti e dalle società a imprese e professionisti privati come corrispettivo per lo svolgimento di prestazioni professionali e per l’esecuzione di opere, lavori pubblici, servizi e forniture. In ogni caso, i compensi comunque denominati relativi al rapporto di lavoro, di consulenza o di collaborazione vanno pubblicati, nella sezione "Amministrazione trasparente", all’interno delle sotto-sezioni di primo livello "Consulenti e collaboratori" e "Personale", secondo quanto previsto dall’art. 15, c. 1, lett. d), del d.lgs. n. 33/2013; parimenti, ai sensi dell’art. 37, c. 1, del decreto e dell’art. 1, c. 32, della l. n. 190/2012, è prevista la pubblicazione, nell’ambito della sotto-sezione di primo livello "Bandi di gara e contratti", delle somme liquidate per lo svolgimento di lavori, servizi e forniture. Deve concludersi, pertanto, che, ai sensi dell’art. 26, sono da pubblicare i dati relativi alle somme da corrispondere ad imprese e professionisti privati unicamente nella misura in cui questi sono individuati da specifiche disposizioni quali destinatari di provvedimenti di ausilio finanziario consistenti in sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzioni di vantaggi economici. L’art. 26, c. 2, del d.lgs. n. 33/20013, inoltre, stabilisce che la pubblicazione è obbligatoria e condizione di efficacia solo per importi superiori a mille euro. In base a quanto stabilito dalla norma, questi sono da intendersi sia se erogati con un unico atto, sia con atti diversi ma che nel corso dell’anno solare superino il tetto dei mille euro nei confronti di un unico beneficiario. Ove, quindi, l’amministrazione abbia emanato più provvedimenti i quali, nell’arco dell’anno solare, hanno disposto la concessione di vantaggi economici a un medesimo soggetto, superando il tetto dei mille euro, l’importo del vantaggio economico corrisposto, di cui all’art. 27, c. 1, lett. b), del decreto, è da intendersi come la somma di tutte le erogazioni effettuate nel periodo di riferimento. In tali casi, l’amministrazione deve necessariamente pubblicare, come condizione legale di efficacia, l’atto che comporta il superamento della soglia dei mille euro, facendo peraltro riferimento anche alle pregresse attribuzioni che complessivamente hanno concorso al suddetto superamento della soglia. Nel caso di attribuzioni di vantaggi economici effettuate su base pluriennale si deve ritenere che l’amministrazione sia comunque tenuta a pubblicare l’atto di concessione, ancorché emesso in epoca precedente alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013, ove le somme erogate siano di pertinenza del bilancio di previsione degli anni successivi al suddetto decreto. Peraltro, tenuto conto che, in forza dell’art. 26, c. 3, del d.lgs. n. 33/2013, la pubblicazione sul sito istituzionale degli atti di concessione è condizione per l’efficacia, i suddetti atti devono essere pubblicati tempestivamente e, comunque, prima della liquidazione delle somme oggetto del beneficio. Infine, la Commissione esprime l’avviso che, qualora l’amministrazione provveda a modificare o revocare un atto di concessione di vantaggi economici, le informazioni già pubblicate sul sito istituzionale non debbano essere sostituite ma soltanto integrate da apposita comunicazione in cui si dia atto delle avvenute modificazioni. Modalità di pubblicazione I dati devono essere pubblicati nella sezione "Amministrazione trasparente", sotto-sezione di primo livello "Sovvenzioni, contributi, sussidi, vantaggi economici", sotto-sezioni di secondo livello "Criteri e modalità" e "Atti di concessione". Si rinvia, comunque, a quanto previsto nell’allegato 1 alla delibera n. 50/2013, recante "Linee guida per l’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità 2014-2016". L’art. 27, c. 2, impone che la pubblicazione delle informazioni debba avvenire secondo modalità di facile consultazione, in tabelle in formato aperto che ne consentano l’esportazione, il trattamento e il riutilizzo, e che annualmente debbano essere organizzate in un unico elenco per singola amministrazione. Con riferimento alla qualità delle informazioni pubblicate, la Commissione ha già fornito indicazioni all’interno dell’allegato 2 alla delibera sopra citata. In proposito, la Commissione è dell’avviso che le informazioni, suddivise per anno, debbano essere pubblicate in elenchi, consultabili sulla base di criteri funzionali (ad esempio, titolo giuridico di attribuzione, ammontare dell’importo, ordine alfabetico dei beneficiari etc.). Per evitare una duplicazione degli adempimenti e semplificare il più possibile le attività delle amministrazioni, i suddetti elenchi devono essere strutturati in modo tale da assolvere anche le funzioni dell’Albo dei beneficiari che, stando all’art. 1 del d.P.R. n. 118/2000, le amministrazioni dello Stato, le Regioni, comprese le Regioni a statuto speciale, le Province autonome di Trento e Bolzano, gli enti locali e gli altri enti pubblici devono istituire e aggiornare annualmente. Si ritiene, inoltre, che nel caso di amministrazioni complesse articolate in uffici periferici la pubblicazione possa considerarsi unitaria anche laddove i dati siano pubblicati nelle pagine degli uffici periferici alle quali si deve pervenire attraverso link collocati nell’ambito della sezione "Amministrazione trasparente" del sito istituzionale dell’amministrazione centrale.

Civit

 
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La Civit, a fronte dei sottoriportati numerosi quesiti interviene con un'apposita deliberazione in tema di "Pubblicazione degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici a persone fisiche ed enti pubblici e privati (artt. 26 e 27, d.lgs. n. 33/2013 ... Continua a leggere

 

In Gazzetta Ufficiale il divieto di utilizzo delle sigarette elettroniche nei locali chiusi delle istituzioni scolastiche

Ministero della Salute

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Entra in vigore oggi e avrà efficacia per dodici mesi l'ordinanza del Ministero della Salute pubblicata in data 29.7.2013 sulla Gazzetta Ufficiale che ribadisce il divieto di vendita ai minori delle sigarette elettroniche e ne vieta altresì l'utilizzo nei locali chiusi delle istituzioni scolastichestatali e paritarie e dei centri di formazione professionale.

Ministero della Salute

 
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Entra in vigore oggi e avrà efficacia per dodici mesi l'ordinanza del Ministero della Salute pubblicata in data 29.7.2013 sulla Gazzetta Ufficiale che ribadisce il divieto di vendita ai minori delle sigarette elettroniche e ne vieta altresì l'utilizzo nei locali chiusi delle istituzioni scolastiche ... Continua a leggere

 

Elaborato dalla Funzione Pubblica il Piano Nazionale Anticorruzione

Funzione Pubblica

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Il Ministro Gianpiero D'Alia ha trasmesso alla CIVIT la proposta di Piano Nazionale Anticorruzione elaborata dal Dipartimento della Funzione pubblica che ora dovrà essere approvato dalla CIVIT. Destinatari sono tutte le P.A. di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001. Per le regioni, gli entidel S.S.N., gli enti locali e gli enti ad essi collegati alcuni adempimenti attuativi saranno definiti attraverso intese in sede di Conferenza unificata (art. 1, commi 60 e 61, legge 190/2012). Per il personale in regime di diritto pubblico (art. 3 del d.lgs. 165/2001), dovranno essere assicurate iniziative e misure di prevenzione analoghe a quelle previste per il personale contrattualizzato. Le Autorità amministrative indipendenti, gli enti pubblici economici, gli enti di diritto privato in controllo pubblico, le società partecipate e le società da esse controllate (art. 2359 c.c.) sono destinatari per le parti in cui sono espressamente indicati. Il Piano e' diviso in tre Sezioni: 1) Prima sezione: sono esposti gli obiettivi strategici e le azioni da implementare a livello nazionale. La responsabilità è in capo al Dipartimento della funzione pubblica e degli altri soggetti istituzionale che operano per la prevenzione a livello nazionale. 2) Seconda sezione: è dedicata all'illustrazione della strategia di prevenzione a livello decentrato ossia a livello di singola amministrazione e contiene le direttive alle pubbliche amministrazioni per l'applicazione delle misure di prevenzione tra cui quelle obbligatorie per legge. 3) Terza sezione: contiene indicazioni circa la comunicazione dei dati e delle informazioni al D.F.P. e la finalizzazione dei dati successivamente alla raccolta, per il monitoraggio e lo sviluppo di ulteriori strategie. Per accedere alla lettura del Piano cliccare sul titolo sopra linkato.

Funzione Pubblica

 
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Il Ministro Gianpiero D'Alia ha trasmesso alla CIVIT la proposta di Piano Nazionale Anticorruzione elaborata dal Dipartimento della Funzione pubblica che ora dovrà essere approvato dalla CIVIT. Destinatari sono tutte le P.A. di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001. Per le regioni, gli enti ... Continua a leggere

 

Amministrazione Trasparente, on line l'elenco degli obblighi di pubblicazione vigenti e dei soggetti obbligati al rispetto del D.lgs n. 33/2013

Civit

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Nell'allegato 1 alle linee guida per l’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità 2014-2016 la Civit ha reso disponibile anche l’elenco degli obblighi di pubblicazione attualmente vigenti per le amministrazioni pubbliche con l’individuazione dei rispettivi ambiti soggettivi di applicazione. L’allegato, in particolare, si compone di due fogli. Il foglio 1 "Elenco obblighi" contiene la ricognizione degli obblighi di pubblicazione mentre nel foglio 2 "Ambito soggettivo" sono riportati i diversi ambiti soggettivi di applicazione degli obblighi. Nel foglio 1 per ciascuno degli obblighi riportati nella colonna "Ambito soggettivo" è indicata una lettera dell’alfabeto, cui corrisponde un particolare ambito soggettivo, esplicitato nel foglio 2 sotto il profilo dei soggetti che vi sono ricompresi. In particolare, il foglio 1, sulla scorta di quanto già previsto dall’allegato A del d.lgs. n. 33/2013, indica come è opportuno sia articolata la sezione "Amministrazione trasparente" di ogni sito istituzionale delle amministrazioni che sostituisce la sezione "Trasparenza, valutazione e merito", già prevista dall’art. 11, c. 8, del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Nello specifico, sono riportate le sotto-sezioni di primo e di secondo livello nelle quali la sezione "Amministrazione trasparente" deve strutturarsi e, per ciascuna delle sezioni di secondo livello, sono indicati gli obblighi di pubblicazione ricompresi, con il relativo riferimento normativo che ne costituisce il presupposto (v. colonna "Riferimento normativo"). Per favorire l’utilizzo di nomenclature standardizzate da parte delle amministrazioni, nella colonna "Denominazione del singolo obbligo" è attribuita, a ciascun dato o gruppo di dati, una denominazione e, laddove ritenuta opportuna, è proposta la pubblicazione dei dati in tabelle. Ciò risulta funzionale alla comparazione dei dati pubblicate dalle diverse amministrazioni e al controllo da parte della CiVIT. Si fa presente che, con riferimento agli obblighi per i quali si suggerisce la pubblicazione in tabelle, è opportuno utilizzare formati di tipo aperto (v. allegato 2) e nel caso in cui nelle tabelle occorra inserire atti o documenti, è possibile riportare direttamente i documenti o, in alternativa, i link agli stessi. In aggiunta, nella colonna "Contenuti dell’obbligo" sono riportati, per ciascun obbligo, i contenuti specifici previsti dalle relative discipline e, qualora esse rinviino ad altre norme, queste sono esplicitate, così da rendere immediatamente disponibile l’elencazione dei dati e delle informazioni oggetto dell’obbligo di pubblicazione. Infine, nella colonna "Aggiornamento" sono specificate le cadenze di aggiornamento di dati, informazioni e documenti. Nel dettaglio, con riferimento al d.lgs. n. 33/2013 è indicata la tempistica di aggiornamento espressamente prevista per ogni singolo obbligo di pubblicazione e, qualora assente, è individuata come "tempestiva" in virtù di quanto disposto dall’art. 8 del medesimo decreto. In relazione, invece, agli obblighi di pubblicazione contenuti in altre disposizioni normative si indica, se presente, la cadenza di aggiornamento richiamata dalla norma e, qualora mancante, è riportata una proposta della Commissione.

Civit

 
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Civit approva le linee guida per l’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità 2014-2016

Civit

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Alla luce delle rilevanti modifiche normative, la Civit ha elaborato delle nuove Linee guida che forniscono, a integrazione delle delibere CiVIT n. 105/2010, "Linee guida per la predisposizione del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità", e n. 2/2012, "Linee guida per il miglioramentodella predisposizione e dell’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità", le principali indicazioni per l’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità e per il suo coordinamento con il Piano di prevenzione della corruzione previsto dalla legge n. 190/2012, per il controllo e il monitoraggio sull’elaborazione e sull’attuazione del Programma. Nella seduta del 4 luglio 2013 la Commissione, infatti, a seguito di consultazione pubblica, ha approvato le "Linee guida per l’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità 2014-2016". Secondo quanto in esse indicato, la verifica sull’assolvimento degli obblighi di pubblicazione da parte degli Organismi indipendenti di valutazione e la relativa attestazione è completata e inviata alla Commissione entro e non oltre il 31 dicembre 2013. Le amministrazioni, invece, adottano il Programma triennale entro il 31 gennaio 2014.

Civit

 
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Trasparenza, calendario delle prossime scadenze a carico delle Amministrazioni

Civit

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Tutte le scadenze per le P.A. emergenti dalle norme sulla "Trasparenza Amministrativa" sono indicate in sintesi dalla Civit che con apposito documento precisa che: 1) a Settembre/Dicembre 2013 (CiVIT indicherà la data) l'OIV dovrà procedere alle attestazioni mirate sull’assolvimento di specifichecategorie di obblighi di pubblicazione in alcune tipologie di amministrazione; 2) 31 Dicembre 2013 l'OIV dovrà Attestare l’assolvimento degli obblighi di pubblicazione per il 2013 (CiVIT renderà disponibile la nuova griglia che sostituisce quella relativa al 2012 allegata alla delibera 4/2012); 3) 31 Gennaio 2014 le Amministrazioni dovranno Adottare il Programma triennale per la trasparenza e l’integrità 2014-2016; 4) entro il 28 Febbraio 2014 il Responsabile della trasparenza (solo per le amministrazioni statali e gli enti pubblici non economici nazionali) dovra' inserire sul Portale della trasparenza il Programma triennale 2014-2016 e compilare la scheda illustrata nell’Allegato 3 alle Linee Guida per l'aggiornamento del Programma; 5) entro 28 Febbraio 2014 l'OIV (solo per le amministrazioni statali e gli enti pubblici non economici nazionali) dovrà procedere alla rilevazione e comunicazione degli esiti dei riscontri effettuati sull’avvio del ciclo della trasparenza 2014 attraverso la compilazione della scheda illustrata nell’Allegato 4; 6) entro il 31 Dicembre 2014 a carico dell'OIV e' prevista l'attestazione sull’assolvimento degli obblighi di pubblicazione per il 2014.

Civit

 
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Tutte le scadenze per le P.A. emergenti dalle norme sulla "Trasparenza Amministrativa" sono indicate in sintesi dalla Civit che con apposito documento precisa che: 1) a Settembre/Dicembre 2013 (CiVIT indicherà la data) l'OIV dovrà procedere alle attestazioni mirate sull’assolvimento di specifiche ... Continua a leggere

 

Amministrazione Trasparente: devono essere pubblicate on line le convenzioni-quadro volte a disciplinare le modalità di accesso ai dati delle Pubbliche Amministrazioni

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Si invitano le P.A. che utilizzano l'applicativo "Amministrazione Trasparente" distribuito dalla Gazzetta Amministrativa per conto della Funzione pubblica, a pubblicare on line nelle apposita sezione le convenzioni-quadro volte a disciplinare le modalità di accesso ai dati. In tal senso nelle nuovelinee guida per la stesura di convenzioni per la fruibilità di dati delle pubbliche amministrazioni (art. 58 comma 2 del CAD), a pag. 8 "Raccolta e disponibilità del dato" si ribadisce che le pubbliche amministrazioni prima di procedere alla raccolta di nuovi dati, sono tenute a verificare se le informazioni di cui hanno bisogno possano essere acquisite mediante l'accesso a dati già in possesso di altre pubbliche amministrazioni o soggetti pubblici, in ottemperanza alle norme sulla "fruibilità di dati" previste dal Codice dell'Amministrazione Digitale. A tal fine, in attuazione anche delle recenti disposizioni in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni (D. Lgs. 14 marzo 2013, n. 33), le pubbliche amministrazioni devono rendere conoscibili le diverse tipologie di dati che possono essere fruibili da altre pubbliche amministrazioni, mediante pubblicazione sul proprio sito istituzionale delle convenzioni-quadro volte a disciplinare le modalità di accesso ai dati. In linea con le previsioni di cui all'articolo 35, comma 3, lettera b) del citato D. Lgs. 33/2013 dette convenzioni quadro devono essere pubblicate nella sezione denominata "Amministrazione trasparente", seguendo la struttura delle sottosezioni contemplata in allegato al medesimo provvedimento e di seguito riportata: sotto sezione 1° livello "Attività e procedimenti" sotto sezione 2° livello "Dichiarazioni sostitutive e acquisizione d'ufficio dei dati". Unitamente alle convenzioni quadro le amministrazioni provvedono altresì a pubblicare le informazioni di cui alle lettere a) e c) dello stesso articolo 35, comma 3.

 
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Si invitano le P.A. che utilizzano l'applicativo "Amministrazione Trasparente" distribuito dalla Gazzetta Amministrativa per conto della Funzione pubblica, a pubblicare on line nelle apposita sezione le convenzioni-quadro volte a disciplinare le modalità di accesso ai dati. In tal senso nelle nuove ... Continua a leggere

 

Trasparenza: entro il 28 luglio on line le situazioni patrimoniali di Ministri, vice Ministri e Sottosegretari

Presidenza Consiglio dei Ministri

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Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi ha adottato una apposita circolare indirizzata a tutti i Ministri, a tutti i Vice Ministri e a tutti i Sottosegretari affinché, in ottemperanza delle normative sulla trasparenza, pubblichino, sul sito istituzionale,tutti i dati sulla loro situazione patrimoniale. L’articolo 14 del d.lgs. n. 33 del 14 marzo 2013 prevede infatti che le pubbliche amministrazioni pubblichino entro tre mesi dalla elezione (28 aprile-28 luglio) o dalla nomina dei titolari di incarichi politici i seguenti documenti e informazioni: • L’atto di nomina o di proclamazione, con l’indicazione della durata dell’incarico o del mandato elettivo; • il curriculum; • i compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica; gli importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici; • i dati relativi all’assunzione di altre cariche presso enti pubblici o privati, ed i relativi compensi a qualsiasi titolo corrisposti; • gli altri eventuali incarichi con oneri a carico della finanza pubblica e l’indicazione dei compensi spettanti; • le dichiarazioni previste dalla legge per il coniuge non separato e ai parenti entro il secondo grado ove gli stessi vi consentano. Per accedere alla lettura della circolare cliccare sul titolo sopra linkato.

Presidenza Consiglio dei Ministri

 
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Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi ha adottato una apposita circolare indirizzata a tutti i Ministri, a tutti i Vice Ministri e a tutti i Sottosegretari affinché, in ottemperanza delle normative sulla trasparenza, pubblichino, sul sito istituzionale, ... Continua a leggere

 

CAD: pubblicate le nuove linee guida per la fruibilità dei dati delle Pubbliche Amministrazioni

Agenzia per l'Italia Digitale

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L'Agenzia per l'Italia Digitale ha provveduto ad aggiornare le "Linee guida per la stesura di convenzioni per la fruibilità di dati delle pubbliche amministrazioni" in attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 58 del Codice dell'Amministrazione Digitale, adottando una nuova versione (2.0 -giugno 2013) che sostituisce integralmente la precedente. D'intesa con il Garante per la protezione dei dati personali che, come previsto dalla norma, interviene nel processo di formazione delle suddette convenzioni, le nuove linee guida semplificano in modo significativo il procedimento di formazione delle convenzioni stesse, mirando a rendere pienamente conformi alla disciplina in materia di protezione dei dati personali i trattamenti ivi previsti. Infatti, per le convenzioni redatte conformemente alle Linee guida (versione 2.0 - giugno 2013) non è più necessario richiedere il parere del Garante per la protezione dei dati personali, anche laddove la convenzione abbia per oggetto l'accesso a dati personali. In relazione agli obiettivi di fruibilità perseguiti dalla succitata norma del CAD le Linee guida individuano, tra l'altro, i servizi e le modalità che dovranno essere utilizzate per l'accesso ai dati, con l'indicazione dei criteri per la definizione dei livelli di servizio che le convenzioni potranno stabilire. In tale contesto viene data particolare attenzione ai casi in cui la convenzione abbia per oggetto l'accesso a dati personali. Per quanto riguarda invece gli aspetti operativi, le Linee guida definiscono una struttura di base della convenzione-quadro, con l'indicazione del contenuto minimo della stessa, nonché il procedimento e gli adempimenti connessi alla stipula delle convenzioni, anche in relazione alle attività di monitoraggio che lo stesso articolo 58 del CAD pone in capo all'Agenzia per l'Italia Digitale.

Agenzia per l'Italia Digitale

 
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L'Agenzia per l'Italia Digitale ha provveduto ad aggiornare le "Linee guida per la stesura di convenzioni per la fruibilità di dati delle pubbliche amministrazioni" in attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 58 del Codice dell'Amministrazione Digitale, adottando una nuova versione (2.0 - ... Continua a leggere

 

Pensionamenti nella P.A. in caso di soprannumero: pubblicata la circolare della Funzione Pubblica sui pensionamenti in deroga

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E' in attesa di registrazione da parte della Corte dei conti la circolare del 29 luglio 2013 con la quale la Funzione Pubblica dirama alle P.A. indicazioni omogenee per l'attuazione dell'art. 2 del decreto legge n. 95 del 2012, convertito in l. n. 135 del 2012, c.d. "Spending review". La norma consente l'accesso speciale al pensionamento attraverso l'esodo volontario in caso di dimissioni del dipendente o la risoluzione unilaterale del rapporto da parte dell'amministrazione. Sostanzialmente in tali casi si applica il regime di accesso e di decorrenza del trattamento pensionistico previgente alla riforma operata con la Legge n. 214/2011.

 
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E' in attesa di registrazione da parte della Corte dei conti la circolare del 29 luglio 2013 con la quale la Funzione Pubblica dirama alle P.A. indicazioni omogenee per l'attuazione dell'art. 2 del decreto legge n. 95 del 2012, convertito in l. n. 135 del 2012, c.d. "Spending review". La norma cons ... Continua a leggere

 
GIURISPRUDENZA

Il Ministero dell'istruzione in Lombardia nel concorso per il reclutamento di 355 dirigenti scolastici consegna ai candidati buste di fatto trasparenti che non garantivano l'anonimato dei concorrenti. Il Ministero si giustifica sostenendo di aver acquisito le buste mediante una fornitura Consip. Il Consiglio di Stato non fa ripetere le prove, ma affida a dirigenti estranei alla vicenda il compito di procedere alla sostituzione delle buste

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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Importante sentenza del Consiglio di Stato nella quale vengono enunciati i seguenti principi: A) Nelle procedure concorsuali l’esigenza di assicurare il rispetto effettivo del principio costituzionale del pubblico concorso e la regola fondamentale dell’anonimato ad esso sottesa costituiscono la base di un dovere indefettibile per l’amministrazione che le impone di utilizzare, in conformità alla condotta tipica definita a livello normativo, buste, all’interno delle quali i concorrenti inseriscono i dati identificativi, materialmente tali da non consentire nemmeno astrattamente che la commissione o altri possano, in qualunque condizione ambientale, leggere i dati identificativi dei concorrenti stessi fino al momento procedimentale dedicato all’apertura delle buste. B) L’attuazione della sentenza che dichiara l’illegittimità di una fase della procedura concorsuale deve avvenire, in ossequio al principio di economicità dell’azione amministrativa, in modo da preservare, ove possibile, le fasi della procedura stessa immuni dai vizi denunciati. In particolare in virtù dell’art. 34, lettera e), Cod. proc. amm. che prevede che il giudice, con la sentenza con cui definisce il giudizio di cognizione, «dispone le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato» nel caso in esame il Consiglio di Stato ha previsto che l’attuazione del giudicato deve avvenire in modo da preservare, in rispetto del principio di economicità, la validità degli atti della procedura che non sono stati inficiati dall’illegittimità qui riscontrata. In questa prospettiva, "non è necessario che venga ripetuto lo svolgimento delle prove scritte, in quanto lo stesso è avvenuto, per le ragioni indicate, nel rispetto delle relative norme. Il Ministero dell’istruzione, pertanto, dovrà affidare a un dirigente di prima fascia incardinato da almeno un anno presso gli uffici centrali ministeriali e ad altri due dirigenti di analoga collocazione, estranei alla vicenda amministrativa in esame, il compito di procedere alla sostituzione delle buste, oggetto di contestazione in questo giudizio, con buste che assicurino l’assoluto rispetto del principio dell’anonimato, nonché all’effettuazione delle altre necessarie operazioni materiali. I dirigenti incaricati daranno adeguata pubblicità delle attività poste in essere indicando luogo, giorno e ora in cui si effettueranno tali operazioni, consentendo, se richiesto, ad un numero non superiore a dieci candidati, di assistervi. Il Ministero, inoltre, provvederà a nominare una nuova commissione composta da soggetti aventi i prescritti requisiti legali, con il compito di procedere ad una nuova valutazione degli elaborati di tutti i candidati che hanno superato la prova preselettiva. La commissione nominata procederà poi alla correzione degli elaborati nel rispetto di tutte le norme di legge e di quelle contenute nel bando di concorso." Questa la conclusione del contenzioso arrivato innanzi al Consiglio i Stato il quale ha in generale, sottolineato che l’art. 97, terzo comma, della Costituzione prevede che, salvo i casi stabiliti dalla legge, «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso». Ciò significa che la «forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni» (Corte cost., 9 novembre 2006, n. 363) è rappresentata «da una selezione trasparente, comparativa, basata esclusivamente sul merito e aperta a tutti i cittadini in possesso di requisiti previamente e obiettivamente definiti» (Corte cost., 13 novembre 2009, n. 293). La giurisprudenza costituzionale ha rilevato la stretta correlazione a questa norma costituzionale degli articoli 3, 51 e 97, primo comma, Cost. Il concorso pubblico, infatti: i) consente «ai cittadini di accedere ai pubblici uffici in condizioni di eguaglianza» (artt. 3 e 51); ii) garantisce il rispetto del principio del buon andamento (art. 97, primo comma), in quanto «il reclutamento dei dipendenti in base al merito si riflette, migliorandolo, sul rendimento delle pubbliche amministrazioni e sulle prestazioni da queste rese ai cittadini» (Corte cost. n. 293 del 2009, cit.); iii) assicura il rispetto del principio di imparzialità, in quanto «impedisce che il reclutamento dei pubblici impiegati avvenga in base a criteri di appartenenza politica e garantisce, in tal modo, un certo grado di distinzione fra l’azione del governo, normalmente legata agli interessi di una parte politica, e quella dell’amministrazione, vincolata invece ad agire senza distinzioni di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate nell’ordinamento; sotto tale profilo il concorso rappresenta, pertanto, il metodo migliore per la provvista di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizioni di imparzialità e al servizio esclusivo della Nazione» (Corte cost. n. 293 del 2009, cit. e 15 ottobre 1990, n. 453). Da tutto quanto esposto è dato trarre la considerazione che la pratica effettiva dell’anonimato per le prove scritte d’esame dei concorsi pubblici – come in generale per tutti gli esami scritti a rilievo pubblico – realizza in termini pratici principi e regole di dignità costituzionale. Dal che la sua indefettibilità in concreto. Nello specifico poi, l’art. 14 d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi) disciplina gli adempimenti dei concorrenti e della commissione al termine della prova scritta (analoghe disposizioni sono contenute nel d.P.R, 3 maggio 1957, n. 686, recante «Norme di esecuzione del testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3»). In particolare, la commissione è tenuta a: - consegnare al candidato in ciascuno dei giorni di esame due buste di eguale colore: una grande munita di linguetta staccabile ed una piccola contenente un cartoncino bianco (comma 1); - il presidente della commissione o del comitato di vigilanza, o chi ne fa le veci, appone trasversalmente sulla busta, in modo che vi resti compreso il lembo della chiusura e la restante parte della busta stessa, la propria firma e l'indicazione della data della consegna (comma 2, ultimo inciso); - al termine di ogni giorno di esame è assegnato alla busta contenente l’elaborato di ciascun concorrente lo stesso numero da apporsi sulla linguetta staccabile, in modo da poter riunire, esclusivamente attraverso la numerazione, le buste appartenenti allo stesso candidato (comma 3); - successivamente alla conclusione dell’ultima prova di esame e comunque non oltre le ventiquattro ore si procede alla riunione delle buste aventi lo stesso numero in un unica busta, dopo aver staccata la relativa linguetta numerata; tale operazione è effettuata dalla commissione esaminatrice o dal comitato di vigilanza con l’intervento di almeno due componenti della commissione stessa nel luogo, nel giorno e nell’ora di cui è data comunicazione orale ai candidati presenti in aula all'ultima prova di esame, con l'avvertimento che alcuni di essi, in numero non superiore alle dieci unità, potranno assistere alle anzidette operazioni (comma 4); - i pieghi sono aperti alla presenza della commissione esaminatrice quando essa deve procedere all'esame dei lavori relativi a ciascuna prova di esame (comma 5); - il riconoscimento deve essere fatto a conclusione dell’esame e del giudizio di tutti gli elaborati dei concorrenti (comma 6). Il candidato è tenuto: - dopo aver svolto il tema, senza apporvi sottoscrizione, né altro contrassegno, a mettere il foglio o i fogli nella busta grande; a scrivere il proprio nome e cognome, la data e il luogo di nascita nel cartoncino, chiudendolo nella busta piccola; a porre, quindi, anche la busta piccola nella grande che richiude e a consegnare il tutto al presidente della commissione o del comitato di vigilanza o a chi ne fa le veci (comma 2, primo inciso). Sul piano funzionale, va considerato il dato essenziale che l’ordinamento, con queste norme, intende assicurare il rispetto effettivo del principio dell’anonimato - vale a dire della non riconoscibilità, anche ipotetica, dell’autore - degli scritti concorsuali, che costituisce «garanzia ineludibile di serietà della selezione e dello stesso funzionamento del meccanismo meritocratico» (Cons. Stato, VI, 6 aprile 2010, n. 1928) e rappresenta «il diretto portato del criterio generale di imparzialità della pubblica amministrazione, la quale deve operare le proprie valutazioni senza lasciare alcuno spazio a rischi, anche soltanto potenziali, di condizionamenti esterni» (Cons. Stato, V, 5 dicembre 2006, n. 7116; Cons. Stato, V, 1 marzo 2000, n. 1071). Sul piano strutturale, per perseguire nella realtà pratica un tale obiettivo, l’ordinamento prevede norme cogenti che, in rapporto ai suddetti principi costituzionali, configurano regole di condotte tipizzate, riconducibili all’amministrazione e ai candidati, che indefettibilmente vanno osservate nelle procedure concorsuali. La violazione di tali norme comporta un’illegittimità da pericolo astratto e presunto: solo con una siffatta rigorosa precauzione generale, infatti, è ragionevolmente garantita l’effettività dell’anonimato nei casi singoli. Con queste cautele, elevate a inderogabili norma di condotta, la soglia dell’illegittimità rilevante viene anticipata all’accertamento della sussistenza di una condotta concreta non riconducibile a quella tipizzata. L’ordinamento non chiede dunque che il giudice accerti di volta in volta che la violazione delle regole di condotta abbia portato a conoscere effettivamente il nome del candidato. Se fosse richiesto un tale, concreto, accertamento, lo stesso - oltre ad essere di evidente disfunzionale onerosità - si risolverebbe, con inversione dell’onere della prova, in una sorta di probatio diabolica che contrasterebbe con l’esigenza organizzativa e giuridica di assicurare senz’altro e per tutti il rispetto delle indicate regole, di rilevanza costituzionale, sul pubblico concorso. Riguardo alla casistica ad oggi formatasi sui comportamenti dei candidati, il caso più ricorrente riguarda l’apposizione di segni di riconoscimento sugli elaborati scritti: a tale proposito, si è affermato che «ciò che rileva non è tanto l’identificabilità dell’autore dell’elaborato mediante un segno a lui personalmente riferibile, quanto piuttosto l’astratta idoneità del segno a fungere da elemento di identificazione» (da ultimo, Cons. Stato, V, 11 gennaio 2013, n. 102; VI, 26 marzo 2012, n. 1740; si v. anche V, 29 settembre 1999, n. 1208). Più in dettaglio, la casistica stessa varia poi in relazione all’identificazione della nozione di "segno" astrattamente riconoscibile. Con riferimento ai comportamenti dell’amministrazione, i casi indicati riguardano l’apposizione sui lembi di chiusura delle buste contenenti gli elaborati delle sigle dei membri della commissione. A tal proposito, si è affermato che è sufficiente che tali sigle «siano apposte in maniera macroscopicamente diversa da busta a busta ovvero che su alcune di esse sia stata marcata la data con la sola indicazione del giorno e del mese mentre su altre vi si legge il giorno, il mese e l'anno» per considerare leso il principio dell’anonimato. E’ stato ritenuto sufficiente, anche in questo caso, la violazione della regola di condotta tipica descritta dalle norme «senza che sia necessario (…)ricostruire a posteriori il possibile percorso di riconoscimento degli elaborati da parte dei soggetti chiamati a valutarli» (Cons. Stato, VI, n. 1928 del 2010, cit.). Dopo aver ricostruito nei termini sopra esposti il suddetto quadro normativo e giurisprudenziale il Collegio passa all'esame dei motivi di appello dei quali appare opportuno riportare i seguenti. Con un primo gruppo si assume che: i) i ricorrenti in primo grado non hanno dimostrato la trasparenza delle buste e, in ogni caso, esse avrebbero natura tale non fare risultare, ictu oculi, leggibili i nominativi, come sarebbe dimostrato dal fatto che i.1) tali buste sono state acquistate tramite la Consip e che i. 2) nessun candidato o commissario abbia mai contestato la natura delle buste. I motivi non sono fondati. Viene qui in rilievo il comportamento dell’amministrazione che ha fornito ai singoli candidati le buste contenenti il cartoncino su cui apporre i propri dati anagrafici. L’art. 14 del d.P.R. n. 487 del 1994 prevede, come già sottolineato, che la commissione consegni ai singoli candidati una busta piccola contenente un cartoncino bianco su cui indicare i propri dati anagrafici. Questa busta deve avere natura e consistenza tale da non consentire la lettura dei predetti dati. Occorre allora qui accertare se la condotta concreta posta in essere dall’amministrazione sia o meno riconducibile alla condotta tipica voluta dall’ordinamento. Questa verifica ha presupposto, in primo luogo, l’acquisizione, disposta dal primo giudice, della documentazione costituita dalle buste nella disponibilità dell’amministrazione. Sul punto non può, pertanto, ritenersi che i ricorrenti in primo grado non abbiamo fornito la prova dei fatti dedotti. In secondo luogo, la verifica ha richiesto un accertamento tecnico che, anche per la varietà dei contesti ambientali nel cui ambito esso deve essere svolto, il Collegio ha demandato a un verificatore. Il verificatore ha depositato la relazione tecnica in data 11 aprile 2013. La relazione ha premesso che la tipologia di tecniche e strumenti potenzialmente utilizzabili per la lettura dei «dati identificativi» è assai ampia. In particolare, ha ritenuto che la modalità guida sulla base della quale selezionare le tecniche di indagine debba essere quella «ictu oculi» affiancata da determinazioni strumentali sul grado di bianco e da misure di opacità. Sono state, pertanto, escluse tecniche sofisticate da laboratorio, quale la video-comparazione, la digitalizzazione di immagini e la loro elaborazioni con software dedicati, l’uso di sistemi di microscopia equipaggiati con lenti di ingrandimento e software di analisi, gestione ed elaborazione di immagini. Il verificatore ha, inoltre, dichiarato di avere «provveduto alla eliminazione dello strato d’aria tra busta e cartoncino mediante pressione meccanica esercitata con le dita, simulando una operazione di stiraggio ancorata ai lembi laterali delle buste». Il verificatore ha concluso ritenendo che la misura del grado di bianco è compatibile con i valori medi e la misura di opacità «è considerato congruo rispetto al segreto epistolare di tipo comune». Per quanto attiene alle valutazioni ictu-oculi, ha effettuato una serie di accertamenti, valutando tutte le possibili condizioni ambientali nella fase di correzione degli elaborati. In particolare, egli ha accertato quanto segue. A) I nominati dei candidati sono leggibili in condizioni «di luce media con cielo privo di nubi e con irraggiamento indiretto all’interno di un locale non illuminato artificialmente» (pag. 12 rel.). Si è puntualizzato che «in base ai risultati ottenuto non si è ritenuto necessario procedere ad una valutazione nella condizione di luce solare trasmessa per irraggiamento diretto, con diffusione attraverso vetro, e nella condizione di luce solare trasmessa per irraggiamento diretto senza diffusione attraverso vetro (la cosiddetta condizione di "controluce"), in quanto la sola luce solare trasmessa e diffusa attraverso una finestra nelle condizioni di verifica già consente la lettura dei nominativi sui cartoncini» (pag. 19 rel.). B) I nominativi dei candidati sono leggibili in «condizioni di luce media del giorno a cielo coperto all’interno di un locale non illuminato artificialmente» (pag. 20 rel.) in caso di «cartoncino inserito lato intestazione o lato chiusura busta con osservazione diretta sullo stesso lato» (pag. 22 rel.). C) I nominati dei candidati sono leggibili mediante «impiego di lampada da tavolo da 28W in trasmissione come piano visore» (pag. 26 rel.). I dati identificativi non sono leggibili mediante impiego: a) di lampada da tavolo in condizione di riflessione (pagg. 23-24 rel.); b) di lampada da soffitto in condizione di trasmissione e di riflessione (pagg. 25-28). Il Collegio, ritiene, con riferimento alle valutazioni preliminari, che la scelta tecnica, basata sull’accertamento ictu oculi, effettuata dal verificatore sia corretta, in quanto risulta compatibile con la natura del procedimento e dell’accertamento giudiziale richiesto. Inoltre, l’eliminazione dello strato d’aria, essendo effettuata con le modalità sopra indicate, risponde al normale impiego manuale delle buste. Con riferimento alle valutazioni finali, il Collegio ritiene che le stesse correttamente conducano a ritenere che non sono state rispettate le norme di disciplina del settore. Le rammentate regole di condotta tipiche impongono infatti che le buste utilizzate non debbano consentire, in qualunque possibile condizione ambientale, che siano "leggibili" i nominativi. Le pratiche di condotta rilevate in concreto hanno però dimostrato che, in presenza di una luce naturale o artificiale del tipo sopra indicato, era in realtà possibile leggere i nominativi dei candidati e così identificarli, in evidente lesione della inderogabile garanzia di anonimato e dunque di eguaglianza. Una volta perciò dimostrato, come così è avvenuto, che le buste permettono di poter conoscere i dati identificativi, non assumono rilevanza la circostanza che il Ministero abbia acquisito le buste mediante una fornitura Consip e che in sede di prova d’esame nessuno abbia specificamente contestato la consistenza della buste. Con un secondo ordine di motivi, strettamente connessi, si assume che, anche qualora le buste abbiano una consistenza tale da rendere astrattamente leggibili i nominativi, in ogni caso: i) le buste contenenti i nominativi non erano nella disponibilità della commissione; ii) i luoghi ove sono stati corretti gli elaborati non avevano, per mancanza di finestre, una luce naturale sufficiente; iii) è mancato l’accertamento in concreto della violazione delle regole dell’anonimato (come richiesto dalle decisioni 1 ottobre 2002, n. 5132 e 6 luglio 2004, n. 5017 della V e VI Sezione del Consiglio di Stato); iv) la violazione delle regole dell’anonimato presupporrebbe un comportamento "fraudolento" della commissione. Anche tali motivi non sono stati ritenuto fondati. In relazione al primo aspetto, dai verbali del concorso e, più in generale, dagli atti acquisiti al processo risulta che la busta piccola era nella "disponibilità" della commissione. Infatti, gli elaborati di ciascuna delle due prove scritte erano inseriti in una busta bianca unitamente alla busta piccola. Le due buste bianche sono state poi inserite in un’unica busta gialla. Al momento della correzione, la commissione ha proceduto ad assegnare un numero progressivo alla busta gialla e alle due buste bianche in quella contenute, per poi procedere all’apertura di una delle due buste bianche, assegnando un numero progressivo alla busta piccola e procedure alla correzione dell’elaborato. Appare evidente, pertanto che, contrariamente a quanto affermato dagli appellanti, la busta piccola sia stata nella disponibilità della commissione al momento della valutazione dei temi. In relazione al secondo aspetto: i) non è possibile individuare con certezza un luogo unico di correzione che abbia le caratteristiche indicate; ii) erano, comunque, presenti, come ammettono le parti stesse, dei "lucernai"; iii) la leggibilità poteva avvenire, come sopra rilevato, sia in assenza di luce solare sia mediante luce artificiale. In relazione al terzo aspetto non è necessaria la prova dell’effettiva lettura dei nominativi. Come già sottolineato è sufficiente un accertamento astratto e non concreto della violazione (si v. punto 4.2.1.). La decisione n. 5132 del 2002, sopra richiamata, non si discosta da questo principio, essendosi limitata a disporre una verifica "concreta" con riguardo alla tipologia di segni di riconoscimento apposti dai candidati. La decisione n. 5017 del 2004, anch’essa richiamata, ha riguardato una fattispecie particolare relativa alla scollatura di alcune buste consegnate a un numero ridotto di candidati. In tale decisione si è affermato che non poteva farsi ricadere sui candidati un rischio non addebitabile a un loro condotta finalizzata a farsi riconoscere, specificando che questo caso è diverso da quello in cui vengono consegnati a tutti i candidati buste che consentono la leggibilità dei nominati. In tale ipotesi, si è disposto, l’intera procedura dovrà essere «ripetuta, con rispetto della par condicio». Infine, si deve rilevare come non sia necessario, per la lettura dei nominativi, un comportamento effettivamente "fraudolento" della commissione, in quanto, come già sottolineato, è sufficiente un impiego "ordinario" delle buste affinché si possa venire a conoscenza dei nominativi dei candidati.

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L’appello di una sentenza pronunciata dal tribunale amministrativo regionale in materia di diritto di accesso agli atti della P.A. non può essere proposto personalmente dalla parte

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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Ai sensi degli artt.22, comma 2, 23, comma 1, e 95, comma 6, c.p.a., l’appello avverso una sentenza pronunciata dal tribunale amministrativo regionale in materia di diritto di accesso agli atti della P.A. non può essere proposto personalmente dalla parte ma con il ministero e/o l’assistenza di un difensore (cfr. Cons. St., Sez. VI, 27.12.2011, n. 6846; id., Sez. V, 19.10.2011, n. 5623), esclusione questa che non viola il diritto di difesa costituzionalmente garantito (cfr. Cons. St., Sez. IV, 28.2.2012, n. 1162). Dunque, l’art. 95, comma 6, c.p.a. ha circoscritto le ipotesi di difesa personale ai soli giudizi di primo grado, sancendo l’inapplicabilità dell’art. 23, comma 1, c.p.a. alle impugnazioni, di talchè è necessario dinanzi al Consiglio di Stato il ministero di un difensore all’uopo abilitato. Sulla base dei suesposti principi il Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha dichiarato inammissibile l'appello proposto personalmente dalla parte.

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Trasferimento per incompatibilità ambientale dell'agente di pubblica sicurezza: liti o "scaramucce" tra il personale dell’ufficio non consentono l’indiscriminato trasferimento di tutto il personale interessato, senza la rigorosa valutazione delle condotte dei singoli

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Per consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. VI, 19.3.2009, n. 1675), ai fini dell’adozione di un provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale di un agente di pubblica sicurezza, ai sensi dell’art. 55, comma 4, del d.P.R. 24 aprile 1982 n. 335, è sufficiente che dalprovvedimento emergano adeguati elementi che, oltre ad incidere negativamente sullo stesso disimpegno efficiente dei compiti di istituto, siano tali da offuscare la figura dell’agente al punto da nuocere, mercé la sua persona, al prestigio dell’amministrazione. Il trasferimento ai sensi dell’art. 55, comma 4, d.P.R. 24 aprile 1982, n. 335, senza assumere carattere sanzionatorio, consegue d’altronde a una valutazione ampiamente discrezionale dei fatti che possono sconsigliare la permanenza dell’agente di pubblica sicurezza in una determinata sede. "Il trasferimento per incompatibilità di un agente di P.S.– è stato già sottolineato da questo Consiglio –non postula necessariamente un diretto rapporto di imputabilità di specifici fatti e comportamenti addebitabili al medesimo, essendo sufficiente a tal fine l’oggettiva sussistenza di una situazione lesiva del prestigio dell’Amministrazione che sia, da un lato, riferibile alla presenza in loco del dipendente in questione e, dall’altro, suscettibile di rimozione attraverso l’assegnazione del medesimo ad altra sede; principio questo che assume particolare consistenza quando venga riferito, come nella specie, al trasferimento di un dipendente della Polizia di Stato, ipotesi questa in cui si configurano in capo all’Amministrazione più ampi e penetranti poteri discrezionali in funzione di tutela di particolari e preminenti interessi pubblici volti ad assicurare la convivenza civile" (Cons. St., sez. VI, 29.1.2010, n. 388). L’adozione dell’atto di trasferimento, infatti, non presuppone né una valutazione comparativa dell’amministrazione in ordine alle esigenze organizzative dei propri uffici, potendo essere disposto anche in soprannumero, né l’espressa menzione dei criteri in base ai quali vengono determinati i limiti geografici dell’incompatibilità ai fini dell’individuazione della sede più opportuna, né può essere condizionato alle condizioni personali e familiari del dipendente, le quali recedono di fronte all’interesse pubblico alla tutela del buon funzionamento degli uffici e del prestigio dell’amministrazione (v., tra le tante, Cons. St., sez. VI, 21.3.2006, n. 1504; Cons. St., sez. VI, 6.4.2010, n. 1913). L’ampia discrezionalità di cui gode l’amministrazione in questa materia deve essere assistita da un preventivo e rigoroso accertamento dei fatti, nocivi al prestigio della stessa, che siano riconducibili, sul piano eziologico, alla presenza del dipendente in loco, poiché diversamente si configurerebbe come l’esercizio di un insindacabile arbitrio. Per valutare la legittimità del provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale, previsto dall’art. 55, comma 4, d.P.R. 24 aprile 1982 n. 335, è dunque richiesto che lo stesso sia stato adottato in base ad elementi logici e chiari che, senza essere tali da comportare un provvedimento disciplinare, siano però adeguati a rendere la figura del pubblico dipendente, ed in particolare di un agente della polizia di Stato, offuscata da ombre idonee a nuocere attraverso la sua persona al prestigio dell’amministrazione e alla funzionalità dell’esercizio stesso delle funzioni di istituto (v., ex plurimis, Cons. St., sez. IV, 6.3.1990, n. 155)....La radicalità del provvedimento, assunto senza previamente acclarare le ragioni di tale conflitto, ne palesa la sostanziale afflittività nei confronti di un dipendente in relazione al quale non sono emerse, né comunque sono state debitamente accertate e/o evidenziate dall’amministrazione, quelle "ombre" capaci di offuscarne la figura al punto da nuocere, mercé la sua persona, al prestigio dell’amministrazione. L’esistenza di liti o "scaramucce" tra il personale dell’ufficio, per quanto frequenti o incresciose, non può essere posta a fondamento dell’indiscriminato trasferimento di tutto il personale interessato, senza la rigorosa valutazione delle condotte dei singoli che, pur non dovendo denotare una illiceità disciplinare, devono tuttavia pur sempre assumere, sul piano obiettivo, una rilevanza causale di gravità tale da "offuscare" la figura del dipendente e, per questa via, il prestigio dell’amministrazione nella sede di servizio, sì da rendere opportuno l’allontanamento del dipendente da questa. In assenza di una idonea motivazione circa la sussistenza di una accertata situazione di incompatibilità ambientale, nei sensi sopra delineati, il provvedimento impugnato in prime cure e' stato dichiarato dal Consiglio di Stato illegittimo.

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Per consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. VI, 19.3.2009, n. 1675), ai fini dell’adozione di un provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale di un agente di pubblica sicurezza, ai sensi dell’art. 55, comma 4, del d.P.R. 24 aprile 1982 n. 335, è sufficiente che dal ... Continua a leggere

 

Farmacie: il Consiglio di Stato risolve le problematiche interpretative dell'art. 5 d.P.C.M n. 298/1994 concernente il punteggio da assegnare, nei concorsi per sedi farmaceutiche, in relazione ai titoli di esercizio professionali

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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Nella sentenza in esame il punto centrale della controversia è la corretta interpretazione della disposizione concernente il punteggio da assegnare, nei concorsi per sedi farmaceutiche, in relazione ai titoli di esercizio professionali. L’interessato non ha dedotto che vi sia stato errore nell’individuare, storicamente, la qualità e la durata dei periodi di servizio professionale prestato, né che vi siano stati errori di calcolo; ha invece dedotto che il criterio indicato dalla normativa vigente era stato mal applicato perché mal interpretato. La disposizione oggetto della contestazione è il regolamento approvato con d.P.C.M n. 298/1994, art. 5, comma 3, del seguente tenore: «Ai fini della valutazione dell'esercizio professionale, sono assegnati i seguenti punteggi: a) per l'attività di titolare e direttore di farmacia aperta al pubblico: punti 0,5 per anno per i primi dieci anni; 0,2 per anno per i secondi dieci anni; b) per l'attività di collaboratore di farmacia aperta al pubblico: punti 0,45 per anno per i primi dieci anni; 0,18 per anno per i secondi dieci anni (...)». La commissione giudicatrice, nel caso di specie, ha applicato queste norme intendendo che le espressioni "primi dieci anni", "secondi dieci anni" si debbano intendere come riferite rispettivamente ai primi e ai secondi dieci anni di attività professionale. In altre parole, ai servizi svolti nei primi dieci anni di attività si assegnano i punteggi più elevati, a quelli svolti nei secondi dieci anni i punteggi meno elevati, in entrambi i casi riferendosi al tipo di attività esercitato in quel periodo di tempo. L’interessato ha invece sostenuto (e il T.A.R. ha condiviso la sua tesi) che si debba valutare prioritariamente l’attività di livello più elevato, a punteggio pieno fino al massimo di dieci anni, e poi a punteggio ridotto per il tempo eccedente i dieci anni; se in tal modo non si totalizzano venti anni, per il periodo residuo si valuta l’attività di livello meno elevato, con gli stessi criteri; e così via, fermo in ogni caso il limite di venti anni complessivi. Il Consiglio di Stato osserva che la disposizione in esame (art. 5, comma 3, del regolamento) è formulata in modo non chiarissimo e si presta a diverse interpretazioni, ciascuna delle quali tuttavia presenta inconvenienti e aspetti critici. In questa luce la soluzione sostenuta dall’interessato e recepita dal T.A.R. può apparire non priva di una sua plausibilità, pur se, come detto, presenta ugualmente qualche aspetto critico. Nondimeno, non si può prescindere dal fatto che la giurisprudenza di questo Consiglio si è da tempo pronunciata in senso conforme al modo di procedere adottato dalla Regione Campania. A tal fine il Collegio richiama la massima della decisione del Consiglio di Stato, sezione V, n. 7350/2005, del seguente tenore: «Nel concorso per l'assegnazione di sedi farmaceutiche di nuova istituzione la valutazione dei titoli di esercizio professionale, secondo le previsioni dell'art. 5 d.P.C.M. n. 298 del 1994 e precisamente i due decenni di riferimento cui la norma concede i punteggi differenziati, ha carattere premiale a favore delle posizioni di servizio utili in quanto acquisite entro il primo ventennio d'attività e, nell'ambito del ventennio, di quelle ottenute nel primo decennio, che ha diritto al punteggio più elevato rispetto al secondo, per qualunque delle attività considerate: ciò vuol dire che l'attività meglio considerata sul piano del punteggio, se esercitata nel secondo decennio, a partire dall'anno di inizio del primo dei servizi utili a punteggio, vale di meno proprio perché acquisita in un tempo più lontano dal principio dell'attività professionale». In senso analogo si era già pronunciata la IV Sezione con decisione n. 5497/2004. Alla luce di queste massime, e' stato accolto l’appello e, in riforma della sentenza appellata, rigettato il ricorso proposto in primo grado.

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Svolgimento di mansioni superiori del personale degli enti sanitari: il diritto alla maggiore retribuzione non è limitato allo stipendio propriamente detto, ma deve essere esteso a tutte le voci che compongono il trattamento economico complessivo

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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La materia dell’esercizio di fatto delle mansioni superiori, relativamente al personale degli enti sanitari, è sommariamente regolata dall’art. 29 del d.P.R. n. 761/1979, e dalla giurisprudenza (anche costituzionale) che si è formata sulla sua interpretazione.In particolare l’art. 29 dispone che: (a) è vietato adibire i dipendenti a mansioni delle qualifica superiore; (b) in via eccezionale l’incarico può essere dato per una durata non superiore a sessanta giorni per anno solare; (c) l’esercizio delle mansioni superiori non comporta il diritto ad alcuna maggiorazione retributiva.La Corte Costituzionale (sentenze n. 57/1989, 296/1990, 369/1990) ha chiarito che il divieto della maggiore retribuzione è costituzionalmente legittimo, a condizione che lo si interpreti come limitato a quel periodo di sessanta giorni per anno solare; e che pertanto qualora l’assegnazione alle mansioni superiori si prolunghi oltre quel termine, a partire da quel momento si deve riconoscere al dipendente il diritto alla maggiore retribuzione. Con ciò, la Corte si è richiamata all’art. 36 della Costituzione. La giurisprudenza consolidata dei giudici amministrativi ha recepito le indicazioni della Corte. Tale orientamento giurisprudenziale implica, logicamente, che il diritto alla maggiore retribuzione non si possa limitare allo stipendio propriamente detto, ma si debba invece estendere a tutte le voci che compongono il trattamento economico complessivo. Se, infatti, la fonte è l’articolo 36 della Costituzione, e il principio è che la retribuzione deve essere adeguata alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato, non vi è ragione per limitare il diritto solo ad alcune componenti della retribuzione escludendone altre.In altre parole, qualora al dipendente spetta il maggior trattamento economico, ai sensi dell’art. 29, cit., ed alle condizioni da esso desumibili con ciò s’intende che spetta lo stesso trattamento economico cui l’interessato avrebbe avuto titolo se fosse stato in possesso della qualifica superiore, beninteso con anzianità zero nella medesima.

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Concorsi pubblici: i criteri di valutazione vanno predeterminati prima dell’inizio delle correzioni degli elaborati

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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I criteri di valutazione vanno predeterminati prima dell’inizio delle correzioni degli elaborati in modo da potere assegnare a ciascun tema un punteggio numerico alla luce dei criteri stessi. La loro funzione è, infatti, di consentire la comprensione dell’iter logico giuridico seguito dalla commissione nell’assegnazione di un determinato punteggio (es. Cons. Stato, II, 26 febbraio 2012, n. 5536).

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Dal deposito in giudizio di documenti, mai comunicati e conosciuti, decorre il termine iniziale per la proposizione di motivi aggiunti

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In linea generale, al fine dell’individuazione della decorrenza del termine iniziale per la proposizione di motivi aggiunti, il deposito in giudizio di documenti - mai prima comunicati o comunque conosciuti - costituisce il momento iniziale idoneo a determinare l’avvio del termine decadenziale perla relativa impugnazione, di cui all’art.43, primo comma secondo periodo, del c.p.a..

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Diniego di permesso di soggiorno: l’imprecisione o anche l’erroneità del richiamo normativo non inficia la legittimità sostanziale del provvedimento in mancanza della idonea sistemazione alloggiativa

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Una cittadina nigeriana, già titolare di permesso di soggiorno per lavoro domestico scaduto, ne chiedeva il rinnovo per motivi di lavoro autonomo, ai sensi dell’art. 26 del d. lgs. 286/98, ma il Questore della Provincia di Varese rigettò tale richiesta, in quanto rilevava che la medesima, pur essendo anagraficamente residente presso il Comune di Cislago (VA), non vi era effettivamente domiciliata. Avverso tale provvedimento proponeva ricorso avanti al T.A.R. Lombardia l’interessata, lamentando la violazione di legge, per difetto assoluto di istruttoria e di motivazione, e la violazione e la falsa applicazione dell’art. 4 della l. 241/90 per la mancata indicazione del responsabile del procedimento. Il T.A.R. Lombardia accoglieva il ricorso, annullando il provvedimento ritenendo che l’incertezza sulla dimora effettiva dell’interessato non esimeva la Questura investita della domanda di rinnovo dal dovere di esaminarla verificando la sussistenza o meno dei requisiti necessari per ottenere il titolo, salvo devolverne l’esame alla diversa Questura indicata come competente in base alle risultanze degli accertamenti sulla dimora effettiva. Il Consiglio con la sentenza in esame ha rilevato che in riferimento all’analoga fattispecie del permesso rilasciato ai sensi degli artt. 4, 5, comma 5, e 13, comma 2, del d. lgs. 286/98, si è già avuto modo di chiarire che la certezza della situazione abitativa costituisce un presupposto indispensabile per ottenere il permesso di soggiorno, che non può essere rilasciato in situazioni di forte precarietà alloggiativa, connesse a sostanziale irreperibilità della straniera interessata, "anche sulla base di dichiarazioni rese da soggetti dalla stessa indicati come ospitanti" (Cons. St., sez. VI, 19.8.2008, n. 3961), come è del resto avvenuto anche nel caso di specie. In conclusione il provvedimento, adottato dalla Questura, va esente da censura, poiché esso ha correttamente ritenuto che l’istante non avesse titolo ad ottenere il richiesto permesso, in mancanza della idonea sistemazione alloggiativa prevista dall’art. 26, comma 3, del d. lgs. 286/98. Né alla correttezza di tale decisione osta il rilievo che il provvedimento impugnato abbia inteso far improprio riferimento agli artt. 4 e 5 della l. 189/2002, come invece ha ritenuto il primo giudice, poiché l’imprecisione o anche l’erroneità del richiamo normativo non inficia la sostanziale legittimità del provvedimento alla stregua del più volte richiamato parametro normativo dell’art. 26, comma 3, del d. lgs. 286/98.

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Poliziotto riceveva 50.000 lire per non fare una multa, il TAR di fatto lo riammette in servizio. Dopo dieci anni il Consiglio di Stato ribalta il giudizio e premia l'ostinazione del Ministero dell'Interno sentenziando che "si tratta di condotta assai grave, realizzata durante lo svolgimento dei compiti di servizio, che pienamente giustifica il provvedimento di destituzione"

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Il Consiglio di Stato annulla la sentenza del TAR che aveva consentito la riammissione in servizio del Poliziotto che si era fatto consegnare soldi dal conducente di un autocarro per evitare il verbale per mancato funzionamento del cronotachigrafo e per sovraccarico. Assolto dal Giudice Penale perintervenuta prescrizione del reato, ma per il Giudice Amministrativo la gravità della condotta realizzata durante lo svolgimento dei compiti di servizio giustifica pienamente il provvedimento di destituzione essendo peraltro irrilevante il comportamento tenuto dall’incolpato successivamente alla sua, peraltro non giustificata alla luce del presente giudizio, riammissione in servizio. Per dieci anni nonostante la gravità del comportamento ascritto, il Polizotto ha continuato ha svolgere il servizio di Stato. Siamo nel lontano 2003 quando il Capo della Polizia emette apposito decreto con il quale preso atto delle risultanze del giudizio penale a carico dell’Assistente Capo, conclusosi con la sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato di cui all’art. 640 c.p., ritenuto comunque che questi non desse garanzie di esercitare le delicate funzioni assegnategli, lo destituiva dall’Amministrazione della Pubblica Sicurezza a decorrere dal 30.1.2003. Un lungo contenzioso che a colpi di vizi procedurali, di violazioni di termini istruttori, grazie anche alla caparbietà del Ministero dell'Interno, si è concluso con una sentenza che accerta definitivamente la correttezza del provvedimento di destituzione.

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Il Consiglio di Stato annulla la sentenza del TAR che aveva consentito la riammissione in servizio del Poliziotto che si era fatto consegnare soldi dal conducente di un autocarro per evitare il verbale per mancato funzionamento del cronotachigrafo e per sovraccarico. Assolto dal Giudice Penale per ... Continua a leggere

 

Gli atti che deve adottare la P.A. in caso di scoperta tardiva che un dipendente non possiede il titolo di studio e l’abilitazione professionale indispensabili per esercitare l’attività inerente al suo rapporto di servizio: decadenza, annullamento d'ufficio e le problematiche connesse alla ricostruzione, utilizzazione o scorrimento della graduatoria dell'originario concorso

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Dopo anni di servizio si scopre che il dipendente ha falsamente indicato il possesso di titoli e una volta dichiarato decaduto dall'impiego, tenuto conto che nelle more della vigenza della graduatoria la P.A. aveva provveduto ad assumere il secondo, terzo e quarto candidato, la quinta classificatarivolgeva istanza per conseguire la nomina al posto del dipendete decaduto, ma l'amministrazione negava l'utilizzo della graduatoria. Siamo nella Regione Marche e la P.A. in questione e' la USL di Camerino dove appunto si origina la presente controversia giunta innanzi alla Terza sezione del Consiglio di Stato che analizza con la sentenza in esame sia le problematiche connesse alla tipologia di atto che deve assumere la P.A. per il "defenestramento" del dipendente sia le problematiche connesse all'utilizzo della graduatoria dell'originario concorso "ora per allora" per la copertura del posto resosi vacante. Il Collegio ha evidenziato che giustamente il primo giudice ha richiamato l’articolo 127, lettera d), del d.P.R. n.3 del 1957 che commina la decadenza ex nunc in caso di nomina conseguente alla produzione fraudolente e dolosa di documenti falsi anche se i documenti falsi attengono ad uno dei requisiti di ammissione al concorso (rectius di accesso), articolo sostanzialmente reiterato dall’articolo 20 del D.M. 30.1.1982 che prevede che "Decade dall'impiego chi abbia conseguito la nomina mediante presentazione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile". Deve al riguardo osservarsi che al momento della fase istruttoria espletata al fine di valutare i requisiti di ammissione dei candidati alla prova concorsuale, non erano emersi, motivi di esclusione e la verifica del possesso dei requisiti ebbe esito positivo tant’è che al soggetto fu consentito di assumere e svolgere il servizio. Solo dopo quattro anni dalla nomina e nel corso del rapporto lavorativo, la amministrazione si rese conto del mancato possesso, del titolo di studio e della abilitazione necessari per conseguire la nomina. In un tale contesto, in cui la nomina era stata effettuata e la prestazione del servizio si era svolta per lungo tempo, era legittimo e anche doveroso che l’amministrazione procedesse alla applicazione della sanzione della decadenza, contemplata espressamente dalla normativa generale in materia di pubblico impiego nonché da quella di settore per i dipendenti dell’amministrazione sanitaria; decadenza che non è correlata ad un riesame, ora per allora, della legittimità dell’atto di nomina a suo tempo adottato e non ha di per sé efficacia retroattiva. Altra questione è se in un caso del genere (scoperta tardiva che un dipendente non possiede il titolo di studio e l’abilitazione professionale indispensabili per esercitare l’attività inerente al suo rapporto di servizio) l’amministrazione possa utilizzare il diverso strumento dell’annullamento d’ufficio dell’atto di nomina. In linea di massima, la risposta non può essere che affermativa, ma questo non comporta di per sé che sia illegittimo applicare invece l’istituto della decadenza. Fra i due istituti (decadenza e autoannullamento) non vi è piena coincidenza. La decadenza è una sanzione, che può e deve essere applicata a prescindere da ogni valutazione dell’interesse dell’amministrazione, e anche se, in ipotesi, tale interesse sia inesistente (la falsa documentazione potrebbe riguardare elementi necessari ai fini dell’ammissione al concorso, ma irrilevanti riguardo all’idoneità del soggetto a svolgere le sue mansioni); al contrario l’annullamento in autotutela postula che sia stato apprezzato discrezionalmente l’interesse attuale dell’amministrazione ma prescinde invece dalla circostanza che al soggetto sia addebitabile o meno una condotta illecita (l’ammissione al concorso del candidato privo di un titolo potrebbe avere avuto cause diverse dalla falsità della documentazione). In altre parole, non è sempre detto che quando vi siano i presupposti della decadenza vi siano anche quelli dell’autoannullamento, e viceversa; e può anche accadere che vi siano i presupposti di entrambi. Peraltro, quando si verifichi quest’ultima ipotesi, non per questo viene meno la doverosità (o se si preferisce l’automatismo) della decadenza. Nel caso in esame, dunque, non si può ravvisare alcun vizio nell’applicazione della decadenza, essendo incontroverso che ne sussistevano i presupposti tipici. Sotto questo profilo, dunque, le doglianze dell’appellante sono infondate. 5. Resta da vedere, semmai, se l’amministrazione avesse il potere (e se del caso il dovere) di procedere "anche" all’autoannullamento, q tutela del (supposto) interesse pubblico a rimuovere ex tunc e non solo ex nunc la originaria costituzione del rapporto d’impiego con il soggetto privo di titolo. Ma anche in tal caso l’eventuale utilizzazione dell’autotutela sarebbe stata discrezionale, e non doverosa; anzi, una rigorosa valutazione dell’interesse pubblico sarebbe stata tanto più necessaria, in quanto l’effetto di maggior rilevanza e di maggior interesse attuale (ossia la risoluzione immediata del rapporto d’impiego) si era comunque già prodotto, grazie alla decadenza. Si conferma dunque anche sotto questo profilo che l’attuale appellante non ha ragione di dolersi per il fatto che l’amministrazione abbia tacitamente ritenuto superfluo avviare un procedimento di autotutela. Ed è significativo che l’appellante abbia posto l’accento essenzialmente sulla (presunta) doverosità dell’autoannullamento, senza chiarire quale fosse l’interesse dell’amministrazione per procedere in quel senso. Posto che l’amministrazione si è legittimamente limitata ad applicare la decadenza, ne consegue che altrettanto legittimamente gli effetti sono stati limitati alla sola posizione del soggetto privo dei titoli, in un assetto delle situazioni giuridiche ormai del tutto consolidato dopo il cospicuo numero di anni passati. Ma si sarebbe detto lo stesso anche se, in ipotesi, l’amministrazione avesse autoannullato l’assunzione con effetto ex nunc. Neppure in tal caso si sarebbe potuto riconoscere alcun diritto dell’appellante alla ricostruzione, utilizzazione o scorrimento della graduatoria: alla data del 12.7.1994, quando si è reso vacante il posto per la decadenza. La graduatoria che la appellante vorrebbe utilizzare, era ormai ampiamente scaduta e le situazioni erano divenute irreversibili. Altro infatti è dire che un rapporto d’impiego venga risolto, in ipotesi, con effetto ex tunc, e altro è dire che il posto resosi vacante in tal modo debba essere coperto "ora per allora" attingendosi alla graduatoria dell’originario concorso. Il principio per cui le graduatorie concorsuali non hanno, di norma, valore a tempo indeterminato, ma possono essere utilizzate solo entro un termine determinato, è dettato a tutela dell’interesse dell’amministrazione ad assumere dipendenti la cui idoneità all’impiego sia stata accertata entro un intervallo di tempo ragionevolmente ristretto. Rientra invero nelle comuni conoscenze ed esperienze che un candidato, che pure in origine sia stato giudicato idoneo, ma non sia stato assunto (e dunque non abbia dato effettiva prova delle sue capacità, né abbia tenuto vive queste ultime con l’esercizio effettivo e duraturo dell’attività), non dia più affidamento, quanto meno con uguale certezza, a notevole distanza di tempo. E’ per questo che la utilizzazione plurima delle graduatorie (peraltro, e non a caso, estranea alla disciplina generale del pubblico impiego di cui al t.u. n. 3/1957), anche quando è ammessa, lo è sempre entro margini di tempo definiti. Il soprarichiamato art. 20 del D.M. 30.1.1982 (abrogato dall’art.56 del D.P.R. 27 marzo 2001, n.220 e quindi vigente al momento del ricorso), nel disciplinare la normativa concorsuale del personale delle unità sanitarie locali, oltre a prevedere al 3° e 6° co. la decadenza per colui che avesse conseguito la nomina mediante presentazione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile, consentiva alla U.S.L. di utilizzare la graduatoria entro l’anno dalla sua approvazione. Successivamente l’art.9 della legge n.207/1985 ha portato tale termine ad un biennio e in seguito la legge n.537/93 (art. 2 co.22) lo ha di nuovo ridotto a diciotto mesi. Il prolungamento dei termini di utilizzabilità della graduatoria disposto dall’art. 22, 8° co. della legge n.724/94 riguardava solo le graduatorie approvate a decorrere dal 1.1.1992, quindi al momento in cui si è verificata la vacanza del posto, nel 1994, la graduatoria non era più utilizzabile in quanto scaduta l’8.8.1992. Quindi una volta disposto, l’allontanamento dal servizio, che segna anche la data di vacanza del posto di assistente medico presso il centro diabetologico, il provvedimento di avvio della procedura di copertura del posto a mezzo di mobilità regionale e l’atto di diniego d’ulteriore utilizzo della graduatoria, si giustificavano con la disciplina che regola il periodo di validità delle graduatorie concorsuali presso le U.S.L.. La delibera di indizione dell’avviso pubblico di copertura del posto per mobilità, è stata adottata quando la graduatoria, aveva perso di validità, come cui conclude il Consiglio di Stato legittimamente la U.S.L. ha dichiarato la sua inutilizzabilità.

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Dirigenti P.A.: rientra nel potere discrezionale del singolo ente graduare l'indennità di funzione in rapporto alla specificità delle funzioni disimpegnate, nonché alle caratteristiche ed alla complessità della struttura operativa di riferimento

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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L'art. 38 del DPR n. 333/90 dispone che ai dirigenti è corrisposta un’indennità di funzione connessa con l’effettivo esercizio delle funzioni e graduata in relazione: al coordinamento di attività; all’importanza della direzione delle strutture o dei singoli programmi; alla rilevanza dell’attività di studio, di consulenza propositiva e di ricerca, di vigilanza e di ispezione, di assistenza agli organi; alla disponibilità richiesta in relazione all’incarico conferito. L’indennità è commisurata allo stipendio iniziale secondo appositi coefficienti varianti da 0,1 a 1, sulla base di parametri di riferimento e di criteri che le amministrazioni, con appositi provvedimenti, determinano in via preventiva. La norma, peraltro, indica espressamente una serie di elementi di valutazione che le amministrazioni sono tenute a prendere in considerazione: coordinamento delle attività di direzione; direzione di struttura; direzione di progetto; attività di studio etc., carico di lavoro relativo all’incarico conferito. L’indennità di funzione rappresenta, dunque, la specifica remunerazione della prestazione tipica del dirigente e la sua graduazione è diretta a compensare, sul piano del sinallagma delle obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro, la diversa qualità e quantità della prestazione, nonché la disponibilità richiesta in relazione all'incarico conferito, in attuazione del c.d. principio di omnicomprensività. Il comma quinto dell’art. 38, difatti, significativamente, esclude il personale dirigenziale dalla fruizione degli istituti incentivanti previsti dall'art. 6 del DPR 333/90, ivi compreso il compenso per lavoro straordinario. L'espressione "in via preventiva", contenuta nel quarto comma dell'articolo, sta a significare che l'amministrazione debba determinare i parametri di valutazione delle varie posizioni dirigenziali in anticipo e in via generale ed astratta e non di volta in volta all'atto della sua concreta erogazione, garantendo così "obiettività e trasparenza" (Consiglio Stato, sez. V, 20 febbraio 2006, n. 694). Il Consiglio in esame dopo aver evidenziato il soprariportato quadro normativo precisa poi che rientra nel potere discrezionale del singolo ente graduare l'indennità di funzione in rapporto alla specificità delle funzioni disimpegnate, nonché alle caratteristiche ed alla complessità della struttura operativa di riferimento, sicché l'individuazione, da parte degli organi deliberanti dell'ente, dei coefficienti di valutazione necessari per corrispondere al proprio personale dirigenziale detta indennità, costituisce il frutto di valutazioni di merito, insindacabili in sede di legittimità, salvo il caso di palese irragionevolezza o di difformità rispetto alla norma primaria (Consiglio Stato, sez. V, 01 ottobre 2010, n. 7248).

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La Consulta dichiara l'incostituzionalità dell'obbligo posto a carico delle Regioni ordinarie di dismettere le società controllate che svolgono attività strumentali

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 1, 2, 3, secondo periodo, 3-sexies ed 8 dell’art. 4 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui si applicano alle Regioni ad autonomia ordinaria. Con sette distinti ricorsi, le Regioni Lazio (n. 145 del 2012), Veneto (n. 151 del 2012), Campania (n. 153 del 2012) e Puglia (n. 171 del 2012), nonché le Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia (n. 159 del 2012), Sardegna (n. 160 del 2012) e la Regione siciliana (n. 170 del 2012) hanno promosso questioni di legittimità costituzionale, in via principale, di numerose norme del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e, tra queste, dell’art. 4 ed in specie di alcuni commi del medesimo articolo. Le ricorrenti impugnano il citato art. 4 nella parte in cui: dispone lo scioglimento, entro il 31 dicembre 2013, delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), e quindi anche dalle Regioni e dagli enti locali, che, nel corso dell’anno 2011, abbiano conseguito un fatturato da prestazione di servizi a favore delle pubbliche amministrazioni stesse superiore al 90 per cento dell’intero fatturato (comma 1); prescrive, in alternativa, l’alienazione, mediante procedure di evidenza pubblica, delle relative partecipazioni entro il 30 giugno 2013 (comma 1), prevedendo, in caso di mancato adeguamento, il divieto di nuovi affidamenti diretti di servizi e del rinnovo degli affidamenti di cui le predette società siano titolari (comma 2); prevede che le predette disposizioni non si applichino, oltre che ad una serie di società specificamente individuate (commi 3 e 13), solo «qualora per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto, anche territoriale, di riferimento non sia possibile per l’amministrazione pubblica controllante un efficace e utile ricorso al mercato», sottoponendo, peraltro, gli esiti della predetta verifica all’Autorità garante della concorrenza e del mercato per l’acquisizione del parere vincolante, parere poi da comunicarsi alla Presidenza del Consiglio dei ministri (comma 3); sottopone al «previo parere favorevole» di un organo statale, e cioè del Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per l’acquisto di beni e servizi, l’approvazione degli eventuali piani «di ristrutturazione e razionalizzazione delle società controllate» che le Regioni abbiano predisposto entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (comma 3-sexies); impone alle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, a decorrere dal 1° gennaio 2014, di acquisire sul mercato i beni e i servizi strumentali alla propria attività mediante le procedure concorrenziali previste dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE» (comma 7); condiziona, a decorrere dalla medesima data, la possibilità di affidamenti diretti a favore di società a capitale interamente pubblico alla circostanza che «il valore economico del servizio o dei beni oggetto dell’affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui», nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house (comma 8). Il medesimo art. 4 è inoltre censurato nella parte in cui detta disposizioni puntuali in ordine alla composizione ed al funzionamento dei consigli di amministrazione delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001 e quindi anche dalle Regioni e dagli enti locali (commi 4 e 5); impone limitazioni in ordine all’assunzione di personale ed al relativo trattamento economico (commi 9, 10, 11 e 12); vieta, a pena di nullità, di inserire clausole arbitrali in sede di stipulazione di contratti di servizio ovvero di atti convenzionali comunque denominati, intercorrenti tra società a totale partecipazione pubblica, diretta o indiretta, e amministrazioni statali e regionali (comma 14). Le ricorrenti sostengono che una simile dettagliata disciplina, considerata nel suo complesso o anche solo con riguardo a specifici commi, impedendo o comunque condizionando la scelta delle Regioni in ordine alla forma giuridica da adottare per organizzare ed erogare i propri servizi, soprattutto con la previsione di una drastica riduzione delle ipotesi di ricorso all’affidamento in house, determinerebbe la violazione: della competenza legislativa regionale residuale in materia di "organizzazione amministrativa regionale e degli enti pubblici regionali", nonché in materia di "servizi pubblici locali"; della potestà legislativa regionale primaria spettante, in materia di "ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione", alle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia, Sardegna ed alla Regione siciliana (nonché in materia di "stato giuridico ed economico del personale", "ordinamento degli enti locali", "trasporti su linee automobilistiche e tranviarie" per la Regione Sardegna; in materia di "regime degli enti locali", "legislazione esclusiva ed esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo" per la Regione siciliana); della competenza statutaria in tema di determinazione dei principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione (Regione Lazio); dell’autonomia regolamentare e delle competenze amministrative degli enti locali, nonché dell’autonomia amministrativa e finanziaria regionale. Le norme impugnate, inoltre, recherebbero vulnus anche alla competenza legislativa regionale concorrente in tema di coordinamento della finanza pubblica, non recando meri principi di coordinamento della finanza pubblica, ma disposizioni dettagliate ed autoapplicative (Regioni Lazio, Veneto, Campania, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna). Infine, impedendo alle Regioni di procedere ad affidamenti in house, a prescindere da qualsivoglia valutazione discrezionale della stessa, si porrebbero anche in contrasto con la normativa dell’Unione europea che consente la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell’ente locale (Regioni Lazio, Veneto, Campania), nonché con i principi di ragionevolezza e buon andamento dell’azione amministrativa (Regione Veneto). Le Regioni Campania, Sardegna e Puglia censurano il citato art. 4 anche nella parte in cui, delineando una procedura ad hoc per le società che esercitano servizi pubblici locali in ordine alle quali sia precluso un utile ed efficace ricorso al mercato in ragione di peculiari caratteristiche, nonché riducendo la possibilità di affidamenti diretti dei medesimi servizi pubblici locali (commi 3 ed 8), con la più grave sanzione dello scioglimento o della privatizzazione delle società controllate direttamente o indirettamente dagli enti locali (comma 1), ed il divieto di nuovi affidamenti diretti di servizi e del rinnovo degli affidamenti in essere (comma 2), riprodurrebbe, di fatto, una disciplina già espunta dall’ordinamento, dapprima a seguito del referendum del 12-13 giugno 2011 e poi per effetto della sentenza di questa Corte n. 199 del 2012, in violazione degli artt. 75 e 136 Cost. e con conseguente lesione delle competenze costituzionali e statutarie delle Regioni nella materia dei servizi pubblici. La Regione Veneto impugna i commi 3 e 13 del citato art. 4 in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. ed al principio di leale collaborazione (artt. 5 e 120 Cost.), in quanto, nell’individuazione delle società cui non trova applicazione detta norma non sarebbe stato previsto alcun coinvolgimento delle Regioni neppure mediante l’intervento della Conferenza unificata Stato-Regioni. Siffatta Regione censura anche il comma 14 per violazione della potestà legislativa regionale (residuale) in materia di "organizzazione amministrativa della Regione" e degli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui, pur vietando di inserire clausole arbitrali in sede di stipulazione di contratti di servizio tra società a totale partecipazione pubblica, diretta o indiretta, e amministrazioni statali e regionali, fa salve le clausole arbitrali contenute nei contratti tra le amministrazioni e le società pubbliche quando si siano già costituiti i relativi collegi arbitrali. La stessa Regione impugna, inoltre, i commi 1, 3, 3-sexies, 7 ed 8, ritenendo che essi violino l’art. 117, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria e con la Carta europea delle autonomie locali. Secondo la Regione Puglia, i commi 1 ed 8 della norma in esame violerebbero gli artt. 41, 42 e 43 Cost., in quanto altererebbero irrimediabilmente l’equilibrio tra proprietà pubblica e proprietà privata, tra impresa pubblica ed impresa privata, nonché l’art. 77 Cost., per l’assenza delle ragioni di straordinaria necessità ed urgenza, che avrebbero potuto giustificare l’adozione del decreto-legge. I motivi dei ricorsi sono stati accolti solo in parte. In particolare la Corte ha affermato come abbia già ripetutamente ribadito che è consentito imporre limiti alla spesa di enti pubblici regionali alla duplice condizione: a) di porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; b) di non prevedere in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenza n. 289 del 2008). Può essere, in altri termini, imposto alle Regioni un «limite globale, complessivo, al punto che ciascuna Regione deve ritenersi libera di darvi attuazione, nelle varie leggi di spesa, relativamente ai diversi comparti, in modo graduato e differenziato, purché il risultato complessivo sia pari a quello indicato nella legge statale» (sentenza n. 36 del 2013; sentenza n. 211 del 2012). Nella specie, le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, secondo periodo, 3-sexies ed 8, delineano, invece, una disciplina puntuale e dettagliata che vincola totalmente anche le amministrazioni regionali, senza lasciare alcun margine di adeguamento, anche a Regioni e Province autonome, con conseguente lesione dell’autonomia organizzativa della Regione, nonché della competenza regionale concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica. Pertanto, e' stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dei commi 1, 2, 3, secondo periodo, 3-sexies, ed 8 dell’art. 4 del d.l. n. 95 del 2012 nella parte in cui si riferiscono anche alle Regioni ad autonomia ordinaria. Quanto alle Regioni ad autonomia speciale deve, invece, dichiararsi la non fondatezza delle questioni proposte, posto che le disposizioni censurate, come si è già detto, non si applicano alle medesime, in virtù dell’operatività della clausola di salvaguardia di cui all’art. 24-bis.

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

 
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Domanda di trasferimento per motivi di famiglia: il beneficio dell’assegnazione temporanea - accordato ai dipendenti di amministrazioni pubbliche con figli minori sino a tre anni di età dall’art. 42-bis del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 - si applica anche al personale militare

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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La materia del contendere si incentra sulla richiesta formulata dalla Sig.ra caporal maggiore dell’Esercito, di trasferimento o l’assegnazione temporanea ad altra sede stante che la situazione familiare difficile (due figli in tenera età, il marito residente altrove e impossibilitato a trasferirsiper ragioni di lavoro, la madre affetta da serie patologie). A fondamento delle sue richieste, ha richiamato anche l’art. 42-bis del decreto legislativo n. 151 del 2006 che esponendo una situazione familiare difficile (due figli in tenera età, il marito residente altrove e impossibilitato a trasferirsi per ragioni di lavoro, la madre affetta da serie patologie), Il comma 1 di tale articolo stabilisce che "il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l'altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. L'eventuale dissenso deve essere motivato. L'assenso o il dissenso devono essere comunicati all'interessato entro trenta giorni dalla domanda". Il Consiglio di Stato è stato fermo nel ritenere che questa particolare disciplina di favore non valesse per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia, assoggettato alle disposizioni proprie dei rispettivi ordinamenti (cfr. sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7506; sez. III, 26 ottobre 2011, n. 5730). Senonché tale giurisprudenza è stata declinata con riferimento a vicende avvenute in epoca anteriore all’entrata in vigore del codice dell’ordinamento militare, l’art. 1493, comma 1, del quale recita che "al personale militare femminile e maschile si applica, tenendo conto del particolare stato rivestito, la normativa vigente per il personale delle pubbliche amministrazioni in materia di maternità e paternità, nonché le disposizioni dettate dai provvedimenti di concertazione". Ritenere che il codice abbia voluto solo riassumere la normativa preesistente significa – almeno sotto il profilo di specie – assoggettare la disposizione a un’interpretazione abrogatrice, che non può essere consentita anche nel quadro di una visione complessiva delle linee di tendenza dell’ordinamento. Valga, a tal fine, il raffronto con la più recente formulazione dell’art. 33 della legge n. 104 del 1992, in ordine al quale la giurisprudenza del Consiglio di Stato, dopo alcune iniziali oscillazioni, si è consolidata nel senso di ritenere applicabile la nuova versione del testo anche agli appartenenti alle Forze armate e di polizia e ai pubblici dipendenti a questi equiparati, non potendo rappresentare un ostacolo, a quest’effetto, il rinvio a futuri provvedimenti legislativi fatto dall’art. 19 della legge di riforma (cfr. ex plurimis, da ultimo, sez. IV, 19 febbraio 2013, n. 1005, ove più dettagliata motivazione e riferimenti ulteriori). Trattandosi di disposizioni rivolte a dare protezione a valori di rilievo costituzionale, ne segue che ogni eventuale limitazione o restrizione nell’applicazione dovrebbe essere espressamente dettata e congruamente motivata. Il che evidentemente non sembra essere nel caso in questione, anche perché non è certo sufficiente rievocare una iniziativa legislativa depositata prima dell’entrata in vigore del codice dell’ordinamento militare e con riguardo a una giurisprudenza del Consiglio di Stato formatasi su un assetto normativo ormai superato (si veda la relazione all’atto Senato n. 1282 della XVI legislatura) per negare al codice quell’efficacia innovativa che esso indubbiamente riveste. L’affermazione che l’art. 42-bis del decreto legislativo n. 151 del 2001 è norma di favore, che opera a vantaggio anche dei dipendenti delle Forze armate e delle Forze di polizia, va tuttavia meglio precisata, proprio alla luce delle spiccate analogie con le problematiche tipiche dell’art. 33 della legge n. 104 del 1992. Con particolare riguardo alla previsione dell’art. 33, comma 5, il Consiglio di Stato è sempre stato netto nell’escludere che la posizione del dipendente pubblico, il quale richieda la concessione del beneficio, possa qualificarsi come un diritto soggettivo. Come appare dall’inciso "ove possibile", racchiuso nel comma 5 ora ricordato, la situazione soggettiva azionata costituisce un interesse legittimo, nel senso che all’Amministrazione spetta valutare la richiesta del dipendente alla luce delle esigenze organizzative e di efficienza complessiva del servizio. Tale inciso ha un corrispondente puntuale, anche se non testualmente conforme, nel comma 1 dell’art. 1493 del codice, che estende i benefici in discorso al personale militare "tenendo conto del particolare stato rivestito". In conclusione: l’art. 42-bis del decreto legislativo n. 151 del 2001 vale anche per il personale militare, e dunque la signora legittimamente ne rivendica l’applicazione a proprio beneficio. Nel fare ciò, peraltro, l’Amministrazione della difesa dovrà valutare la richiesta del privato anche alla luce dell’interesse pubblico e, motivando congruamente, accordare il beneficio richiesto quando a ciò non siano di ostacolo prevalenti esigenze organizzative e di servizio (si veda Cons. Stato, sez. IV, ordinanza 5 febbraio 2013, n. 405).

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

 
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Farmacisti: il diritto a percepire l'indennità di residenza e gli sconti farmaceutici, le problematiche connesse alla delimitazione ISTAT delle località abitate

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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La vicenda giunta al Consiglio di Stato parte dalle Regione Toscana dove alcuni farmacisti titolari di sedi farmaceutiche rurali (fino al 1994/95, "sussidiate"), rivendicano, per il biennio 1996/1997, il diritto all’indennità di residenza ex art. 2 della legge 221/1968, ed il correlato "sconto" farmaceutico di cui all’art. 7, comma 1, della legge 724/1994, chiedendo la condanna della Regione Toscana al pagamento delle relative somme, maggiorate di interessi e rivalutazione, e dei danni consequenziali, ciò, previa disapplicazione, se occorra, della delibera del direttore generale della AUSL 3 di Pistoia n. 507/1997, che ha negato la spettanza dei suddetti benefici, e della nota della Regione Toscana n. 3971/1997, che ha riclassificato le loro farmacie come rurali (ma non anche "sussidiate"). Il Consiglio di Stato ha confermato la statuizione resa dal TAR Toscana, Firenze ed ha rigettato l'appello precisando che l’art. 4 della legge 221/1968, nel disciplinare la presentazione dell’istanza per il conseguimento dell’indennità, prevede che il farmacista interessato produca <>. L’art. 5 stabilisce che la valutazione sul diritto all’indennità debba avvenire <>. Va rimarcato come l’esigenza di basare detta valutazione su criteri certi ed univoci, trova conferma nel rilievo che al Prefetto è attribuita la vigilanza sull’anagrafe della popolazione residente ex art. 12 della legge 1228/1954 e 52 e 54 del d.P.R. 223/1989 (alla regolare tenuta dell’anagrafe provvede il Sindaco quale Ufficiale di Governo, ex art. 4, della legge 1228/1954). Funzione che riguarda sia la consistenza numerica della popolazione, sia la ripartizione del territorio attraverso la delimitazione delle località abitate (centri e nuclei abitati). Come risulta dagli artt. 38 e 39 del d.P.R. 223/1989, la delimitazione delle località abitate, compiuta in occasione del censimento generale della popolazione, deve rimanere invariata sino al successivo censimento, salvi gli aggiornamenti periodici che avvengono sempre secondo le istruzioni impartite dall’ISTAT. Ai sensi dell’art. 9, della legge 1228/1954, i Comuni devono provvedere alla individuazione e delimitazione delle località abitate ed alla suddivisione del territorio in frazioni, ma il piano topografico che ne risulta deve essere esaminato ed approvato dall’ISTAT (nello stesso senso, l’art. 18 del d.P.R. 254/1991, recante il regolamento di esecuzione del 13° censimento generale della popolazione). Dall’ordinamento delle anagrafi della popolazione residente, deve dunque rilevarsi che, in generale, i Comuni, nella delimitazione e nell’aggiornamento delle località abitate, compiti che rientrano nel servizio anagrafico, siano soggetti al potere conformativo ed alla supervisione dell’ISTAT. Ciò per garantire continuità e coerenza (e quindi confrontabilità) tra i dati rilevati con cadenza periodica. Può aggiungersi che il servizio anagrafico è funzione statale (cfr. Corte Cost. nn. 730/1988 e 12/1962) ed è oggetto di potestà legislativa esclusiva statale, come conferma oggi l’art. 117, secondo comma, lettera i), Cost. Così ricostruito il quadro normativo nazione, il Collegio si e' poi domandato come impatti, sulla disciplina statale suindicata, l’art. 5, comma 1, della l.r. Toscana 73/1976 (poi abrogata dall’art. 55 l.r. 16/2000), secondo cui <>, disposizione che gli appellanti pongono alla base delle loro pretese. Ad avviso del Collegio, poiché al Comune non è consentito modificare la delimitazione ISTAT delle località abitate, e poiché, del resto, la disposizione regionale non prende espressamente in considerazione tale aspetto, deve ritenersi che il Sindaco, nel certificare i dati aggiornati della popolazione residente, debba tener conto delle delimitazioni territoriali esistenti ai fini del censimento ISTAT. In altri termini, la disposizione regionale richiede il necessario aggiornamento del dato numerico, ma tiene ferma la delimitazione degli agglomerati urbani; integra, ma non abroga l’art. 5 della legge 221/1968. In definitiva, conclude il Consiglio di Stato sia perché le disposizioni richiamano i dati ISTAT, sia per le esigenze operative legate alla circostanza che si tratta di delimitare ambiti territoriali non aventi caratteristiche oggettive, quindi assai incerti ed opinabili (accanto al capoluogo ed alle frazioni, i "centri abitati" ovvero le "località" o gli "agglomerati rurali, diversi dalle "case sparse"), non si può fare a meno di riferirsi a dati omogenei e progressivi definiti in un contesto generale, quale appunto quelli stabiliti nell’articolazione territoriale predisposta in collaborazione con l’ente nazionale di settore (risulta che l’ISTAT abbia trasmesso ai Comuni, con nota prot. 17891 in data 29 novembre 1995, le "basi territoriali" di ciascun Comune, rappresentate dai confini amministrativi, dalle "località abitate" e dalle "sezioni di censimento", allegando cartografie, tabulati e richiamando la disciplina dettata dall’art. 38 del d.P.R. 233/1989). Ferma restando la necessità di tener conto degli aumenti/decrementi demografici in quelle stesse località, come certificati dai Sindaci. E nel caso specifico, è stato affermato dal TAR (e non viene confutato dagli appellanti) che l’istruttoria compiuta dalla ASL con riferimento alle certificazioni dei Comuni, applicando le risultanze ISTAT circa le "località" rispetto alle quali calcolare la popolazione residente, ha evidenziato – di volta in volta, anche sulla base della contiguità con altre località/frazioni, o dell’incertezza dei confini o delle denominazioni – che le località in cui sono ubicate le farmacie rurali dei ricorrenti devono ritenersi al di sopra del limite di 3000 abitanti, soglia che, ai sensi dell’art. 2, della legge 221/1968, non consente di ottenere i benefici in questione a prescindere dal limite di reddito (è questa, si è detto, la sostanziale materia del contendere).

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Le differenze tra le due figure processuali della sopravvenuta carenza d'interesse e della cessazione della materia del contendere

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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La sopravvenuta carenza di interesse opera solo quando il nuovo provvedimento non soddisfa integralmente il ricorrente, determinando una nuova valutazione dell’assetto del rapporto tra la pubblica amministrazione e l’amministrato; al contrario, la cessazione della materia del contendere si determina quando l’operato successivo della parte pubblica si rivela integralmente satisfattivo dell’interesse azionato. Proprio perché la valutazione dell’interesse alla prosecuzione dell’azione spetta unicamente al ricorrente, la sua carenza può essere conseguenza anche di una valutazione esclusiva dello stesso soggetto, in relazione a sopravvenienze anche indipendenti dal comportamento della controparte (ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 11 marzo 2013 n. 1477; id., 31 dicembre 2009 n. 9292). Nella vicenda in trattazione innanzi l Consiglio di Stato e' tale ultima evenienza che si realizzata in quanto la parte ricorrente, chiedendo di dichiarare la cessazione della materia del contendere, ha dichiarato di non aver più interesse alla prosecuzione dell’azione, imponendo conseguentemente la dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse.

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

 
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007 collocati in quiescenza d’ufficio a 57 anni di età anagrafica, 40 anni di anzianità contributiva e 20 anni di attività

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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Per chi vuole approfondire lo speciale settore degli organismi di informazione e sicurezza troverà interessante la sentenza in esame nella quale si controverte della legittimità del DPCM 30 luglio 2010 n. 2, con il quale è stato disposto il collocamento in quiescenza d’ufficio del personale degli Organismi di informazione e sicurezza, al raggiungimento dei tre requisiti di 57 anni di età anagrafica, 40 anni di anzianità contributiva e 20 anni di attività negli organismi di informazione e sicurezza. Già il TAR Lazio in primo grado aveva rilevato che "il collocamento a riposo d’ufficio del personale, previsto, per il triennio 2011 – 2013, alla maturazione dei requisiti di cui al DPCM 2/2010 . . . è assistito da una giustificazione più che congrua, in quanto finalizzato all’ottimizzazione della spesa e dei costi, nonché al riordinamento organizzativo delle strutture". P effetto delle norme sul collocamento a riposo di ufficio, si ottiene una riduzione della spesa complessiva ed un numero di dipendenti degli Organismi sensibilmente ridotto rispetto all’assetto organizzativo precedente, ed inoltre i requisiti individuati "hanno carattere oggettivo, sicchè non è ipotizzabile alcuna disparità di trattamento tra i singoli dipendenti degli organismi". È' insorto avverso la sentenza del TAR lo 007 "omissis" che si duole dell’epurazione di massa" e ritiene, tra l'altro che "è impossibile ritenere ispirato a logicità e ragionevolezza un sistema che si libera indiscriminatamente di personale cinquantasettenne", peraltro violando anche l’art. 19, co. 6, d. lgs. n. 165/2001 secondo cui il conferimento di incarichi dirigenziali è legato alle attitudini e capacità professionali vagliati alla luce dei risultati conseguiti". La sentenza dopo aver ricostruito il quadro legislativo e regolamentare del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica ha rigettato l'appello, tra l'altro affermato che Innanzi tutto, il Collegio non ritiene che la norma primaria evocata (art. 21 l. n. 124/2007) difetti nell’indicazione di principi, criteri e limiti, nell’esercizio della potestà regolamentare. Al contrario, tale articolo appare (come emerge soprattutto dalla elencazione di casi di cui al comma 2) estremamente specifico e dettagliato. Né, come si è già avuto modo di osservare, ricorre la mera ipotesi del regolamento di delegificazione (per il quale l’indicazione di principi e criteri direttivi è obbligatoria), posto che non vi è alcun trasferimento di disciplina di una materia dalla legge al regolamento, ma solo la parziale autorizzazione concessa a quest’ultimo a disciplinare in deroga alle norme di legge, ma pur sempre nell’ambito delle disposizioni di cui alla legge n. 124/2007. D’altra parte, occorre ricordare che l’indicazione di principi, criteri e limiti all’esercizio della potestà regolamentare non può risolversi in una puntuale indicazione di ipotesi astratte e/o casi di specie, poiché – se è vero che la norma regolamentare costituisce una integrazione della norma primaria – è altrettanto vero che la "pervasività descrittiva" di quest’ultima renderebbe inutile lo stesso esercizio della potestà regolamentare. Al contrario, come si è già affermato, in assenza di criteri più puntuali, il parametro di riferimento è offerto dalle norme primarie, ed innanzi tutto da quelle su cui si fonda l’esercizio della potestà regolamentare e da quelle cui il regolamento è destinato a dare attuazione (e sui principi da esse desumibili), ma è offerto anche dalle norme costituzionali e del diritto dell’Unione Europea, alle quali può essere riconosciuto un contenuto precettivo. In questo contesto,anche la previsione del comma 8, secondo il quale "il regolamento disciplina i casi di cessazione dei rapporti di dipendenza, di ruolo o non di ruolo", deve essere letta nell’ambito dei principi espressi dalla legge n. 124/2007 e dalle norme costituzionali operanti in materia, ma soprattutto tenendo conto della assoluta specialità del settore entro il quale i soggetti , se pure pubblici dipendenti, esplicano la propria attività.. D’altra parte, se la ricostruzione dogmatica della fonte regolamentare dipende anche dalla "funzione" del medesimo, e quindi, in ultima analisi, dall’oggetto della sua disciplina e dal contesto normativo di riferimento, occorre considerare che il caso di specie (ordinamento del personale degli organismi di informazione per la sicurezza della Repubblica) rappresenta il massimo di specialità nell’ambito del rapporto di pubblico impiego, come è non solo intuitivamente desumibile dalla stessa evidenza del settore di riferimento, ma anche e soprattutto dal regime di eccezionalità e di "deroghe" alla disciplina generale (anche penale), che la legge n. 124/2007 prevede. Né la presenza di "deroghe", rispetto alla disciplina generale del pubblico impiego, può essere di per sé ritenuta costituire una violazione dei principi costituzionali di eguaglianza e di imparzialità e buon andamento (artt. 3 e 97 Cost.). Come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare (Cons. Stato, sez. IV, 29 settembre 2011 n. 5411), "la non riconducibilità del rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica amministrazione (latamente intesa) ad un modello unico (di modo che possono aversi valutazioni differenti di un medesimo episodio in ragione di impieghi diversi), è già desumibile dalla stessa Costituzione, laddove, all’art. 98, comma terzo, prevede che, per determinaste categorie di pubblici dipendenti . . . possano essere disposte limitazioni finanche all’esercizio dei diritti politici (nella specie, iscrizioni ai partiti), purchè con legge ed in evidente considerazione della specificità e delicatezza delle loro funzioni". Ne consegue che "l’esercizio della discrezionalità da parte dell’amministrazione (ed il conseguente sindacato giurisdizionale del giudice, nei limiti in cui questo è consentito) deve tenere senz’altro conto della particolarità e delicatezza delle funzioni" che il candidato (ove risultante vincitore del concorso), nel caso considerato dalla sentenza citata, o il dipendente dovrà o deve svolgere. Per accedere gratuitamente al testo integrale della sentenza cliccare sul titolo sopra linkato ed inserire le proprie credenziali.

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

 
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Per chi vuole approfondire lo speciale settore degli organismi di informazione e sicurezza troverà interessante la sentenza in esame nella quale si controverte della legittimità del DPCM 30 luglio 2010 n. 2, con il quale è stato disposto il collocamento in quiescenza d’ufficio del personale degli O ... Continua a leggere

 

Nel processo amministrativo la differente composizione del collegio in sede cautelare ed in sede di merito non integra alcuna causa di nullità o comunque alcuna illegittimità della decisione

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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Nel giudizio in esame si lamenta che illegittimamente vi sarebbe stato un mutamento del collegio tra la fase cautelare e la fase di discussione del merito. n particolare l'appellante sostiene che se è vero che sensi dell'articolo 184 c.p.c. non è ammessa la sostituzione del giudice istruttore, sarebbe anche vero che il collegio originario nel suo plenum avrebbe dovuto conoscere integralmente la causa. Il Consiglio di Stato ha ritenuto assunto privo pregio. In assenza di una specifica disposizione nell’ambito dell’art. 9 dell’all. 2 del c.p.a., che ponga espresse preclusioni in tal senso, la differente composizione del collegio in sede cautelare ed in sede di merito non integra alcuna causa di nullità o comunque alcuna illegittimità della decisione. Nel giudizio amministrativo, il mutamento della composizione del collegio giudicante rispetto alla fase cautelare è una circostanza di per sé neutra, che non costituisce causa di compromissione della decisione del merito. Non vi sono elementi di diritto per ritenere che la cristallizzazione dei collegi, nell'ambito dello stesso ufficio, costituisca, di per sé sola, una garanzia assoluta dell’imparzialità o anche solo di migliore di funzionalità dell’organo giudicante, perché, al contrario, l’intervento nelle successive fasi processuali di magistrati diversi può anche garantire un rinnovato, e maggiore, approfondimento dei motivi di gravame oggetto del contendere. La scelta del legislatore del Codice appare del resto perfettamente coerente non solo ad un archetipo di processo tipicamente connotato dall’istanza e dall’impulso di parte ed anche dalla natura tipicamente "di diritto" delle questioni trattate; ma anche a non secondarie esigenze di natura organizzatoria connesse con la naturale rotazione, anche solo feriale, dei magistrati tra le diverse Sezioni e tra i Tribunali.

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

 
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Nel giudizio in esame si lamenta che illegittimamente vi sarebbe stato un mutamento del collegio tra la fase cautelare e la fase di discussione del merito. n particolare l'appellante sostiene che se è vero che sensi dell'articolo 184 c.p.c. non è ammessa la sostituzione del giudice istruttore, sare ... Continua a leggere

 

L'eccezionalità e la delicatezza delle funzioni svolte dai Servizi Segreti gli consente di non tenere in considerazione le richieste di ricollocamento dello 007 dimissionario relativamente ad opportunità sopravvenute

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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La sentenza in esame riguarda il settore dei Servizi Segreti che per delicatezza, eccezionalità e specificità degli aspetti relazionali ed informativi gode di un'ampia discrezionalità in merito alle scelte riguardanti il personale. Nel caso di specie un colonnello del SISDE dopo aver rassegnato leproprie volontarie dimissioni chiedeva di potere accedere a nuovo collocamento in altro settore della Pubblica Amministrazione a seguito della richiesta, avvenuta successivamente alle sue dimissioni, di restituzione di un determinato numero di dipendenti alle amministrazioni di provenienza, formulata dal Direttore del SISDE. Il Consiglio di Stato ha rigetto il ricorso confermando la sentenza resa dal TAR Lazio affermando che la vicenda rientra in un settore, quale è quello degli organismi di informazione, che rappresenta il massimo di specialità nell’ambito del rapporto di pubblico impiego, come è non solo intuitivamente desumibile dalla stessa evidenza del settore di riferimento, ma anche e soprattutto dal regime di eccezionalità e di "deroghe" alla disciplina generale (anche penale), che la legge prevede. Né la presenza di "deroghe", rispetto alla disciplina generale del pubblico impiego, può essere di per sé ritenuta costituire una violazione dei principi costituzionali di eguaglianza e di imparzialità e buon andamento (artt. 3 e 97 Cost.). Come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare (Cons. Stato, sez. IV, 29 settembre 2011 n. 5411), "la non riconducibilità del rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica amministrazione (latamente intesa) ad un modello unico (di modo che possono aversi valutazioni differenti di un medesimo episodio in ragione di impieghi diversi), è già desumibile dalla stessa Costituzione, laddove, all’art. 98, comma terzo, prevede che, per determinaste categorie di pubblici dipendenti . . . possano essere disposte limitazioni finanche all’esercizio dei diritti politici (nella specie, iscrizioni ai partiti), purchè con legge ed in evidente considerazione della specificità e delicatezza delle loro funzioni". Ne consegue che "l’esercizio della discrezionalità da parte dell’amministrazione (ed il conseguente sindacato giurisdizionale del giudice, nei limiti in cui questo è consentito) deve tenere senz’altro conto della particolarità e delicatezza delle funzioni" che il candidato (ove risultante vincitore del concorso), nel caso considerato dalla sentenza citata, o - più in generale - il dipendente dovrà o deve svolgere. Conclude, quindi,il Collegio rilevando che la natura eccezionale delle funzioni svolte dagli appartenenti agli organismi informazione, il fatto che le stesse afferiscono alla indipendenza e sicurezza della stessa Repubblica, alla tutela dei suoi principi democratici, al conseguente mantenimento delle garanzie costituzionali per i cittadini, non può che costituire, per un verso, fondamento di una lata discrezionalità nelle previsioni di organizzazione dei servizi, anche con riferimento allo status giuridico ed economico dei soggetti ad essi appartenenti; per altro verso, costituisce parametro interpretativo delle disposizioni concretamente adottate, potendosi le stesse ritenere illegittime nella misura in cui risultino violative di fondamentali diritti dell’uomo e di garanzie costituzionali inalienabili, ovvero appaiono di totale irragionevolezza. Da ultimo, è appena il caso di osservare che la restituzione di una pluralità di dipendenti del SISDE non può essere considerata un disegno organizzativo avente carattere generale, non incidendo sulla struttura del servizio, ma solo una verifica di adeguatezza professionale con conseguente avvicendamento.

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Concorso pubblico: e' sufficiente il voto numerico per motivare l'esito della valutazione resa dalle commissioni per le prove scritte e orali

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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La questione della sufficienza del voto numerico, quale esito della valutazione da parte delle commissioni per le prove scritte e orali di un concorso pubblico, ha assunto oramai una tendenziale stabilizzazione in quanto la giurisprudenza (ora anche di livello costituzionale, Corte costituzionale,20 marzo 2009 n. 78) ha evidenziato come in tal modo si esprima e sintetizzi il giudizio tecnico-discrezionale operato. In questo senso, la motivazione espressa numericamente risponde al principio di economicità e proporzionalità dell'azione amministrativa di valutazione, rende possibili le valutazioni di merito compiute dalla commissione e consente il sindacato sul potere amministrativo esercitato.

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

 
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Polizia di Stato: la permanenza dell'idoneità fisica, psichica e attitudinale del dipendente allo svolgimento di compiti che sono connessi all'ordine pubblico e alla sicurezza può e deve essere accertata nel corso del rapporto di lavoro (e non solo al momento dell'assunzione)

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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Il Consiglio di Stato è ormai fermo nel ritenere che, anche nel corso del rapporto di lavoro (e non solo al momento dell'assunzione), per i dipendenti della Polizia di Stato può e deve essere accertata la permanenza dell'idoneità fisica, psichica e attitudinale allo svolgimento di compiti che sonoconnessi all'ordine pubblico e alla sicurezza e richiedono specifiche qualità sul piano fisico, psichico e attitudinale (cfr. III, 19 giugno 2012, n. 3566; 1 febbraio 2012, n. 512; 4 luglio 2011, n. 3991). Ciò, in quanto, in base all'articolo 2, comma 3, del d.m. 198/2003 <>.In particolare, nei precedenti richiamati, ad integrare le "specifiche circostanze" utili a rendere possibile ed opportuna una nuova e accurata verifica attitudinale del dipendente, è stata ritenuta sufficiente la obiettiva circostanza che questi non avesse prestato servizio per un lungo arco temporale.

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

 
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Per esercitare il diritto di accesso ai documenti amministrativi il richiedente deve provare che il documento e' detenuto dalla pubblica amministrazione

Prof. Avv. Enrico Michetti a Consiglio di Stato

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Per accedere ai documenti amministrativi e' necessario che ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. d), l. n. 241/1990 questi siano detenuti dalla pubblica amministrazione nei confronti del quale è esercitato il diritto di accesso. E' questo il principio sancito dal Consiglio di Stato che nella sentenza in esame precisa altresì che l’onere di fornire la prova in ordine a tale circostanza grava, ai sensi dell’art. 2697, comma 1, cod. civ., sulla parte che agisce in giudizio. Né si può ritenere che sia l’amministrazione a dovere offrire la prova di non detenere i documenti oggetto dell’istanza, non essendo concepibile la prova di un fatto negativo. Quest’ultima può invece offrire la prova di fatti positivi contrari.

Prof. Avv. Enrico Michetti a Consiglio di Stato

 
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Graduatoria provinciale permanente per la nomina dei docenti di scuola materna: l'attribuzione del doppio punteggio per il servizio prestato in comuni montani

Consiglio di Stato

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La ricorrente in primo grado, oggi appellata, ha impugnato innanzi al Consiglio di Stato la graduatoria provinciale permanente per la nomina dei docenti di scuola materna lamentando la mancata attribuzione del doppio punteggio per il servizio prestato in varie scuole del Comune dell’Aquila, considerato montano ai sensi della legge n. 134/04 di conversione del d.l. n. 97/04, che alla lett. h) richiama i comuni di montagna di cui alla legge n. 90/1957. La sentenza impugnata ha richiamato la decisione della VI Sezione del Consiglio di Stato n. 2207/2005 per fondare l’accoglimento del ricorso in primo grado proposto dall’odierna appellata. Tale orientamento (Cons. Stato, VI, 9.5. 2005, n. 2207). e' stato nuovamente confermato anche dal Consiglio di Stato laddove nella sentenza in esame ha affermato che a norma dell’art. 27, comma 3, del T.U. n. 267/2000, è affidato alla Regione il compito di individuare gli ambiti e le zone omogenee per la costituzione delle comunità montane; e la legge della Regione Abruzzo n. 11 del 2003 (art. 4 e tab. A) individua i comuni totalmente montani, tra cui è compreso il comune di L’Aquila. "Non può ritenersi che la legge regionale abbia invaso le competenze statali, previste dall’art. 117 Cost., poiché: - la legge regionale ha classificato i comuni, in coerenza con l’art. 27, comma 3, del testo unico, in un sistema per il quale non vanno di volta in volta accertate le caratteristiche dei comuni (come disponeva la legge n. 991 del 1952), ma una volta per tutte rileva la classificazione regionale, con indubbia valorizzazione del principio di certezza delle relazioni giuridiche; - la medesima legge non ha in alcun modo inciso sull’esercizio dei poteri ordinamentali ed organizzativi dello Stato relativi al servizio scolastico, poiché ha operato una qualificazione di uno degli elementi concorrenti per la sussistenza di un presupposto di fatto, rilevante per la verifica della concreta sussistenza del disagio, connesso alla attribuzione del punteggio in misura doppia. Tali considerazioni, unitamente alla natura meramente ricognitiva degli elenchi redatti dal Ministero dell’istruzione, comportano il rigetto delle censure dell’appellante".

Consiglio di Stato

 
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La P.A. non può sospendere sine die i propri provvedimenti

Consiglio di Stato

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Un provvedimento di sospensione sine die è illegittimo perché contrasta radicalmente con la finalità attributiva di tale potere, questo il principio ribadito dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato che ha evidenziato come l’ordinamento riconosce infatti alla p.a. un generale potere – desumibiledall’art. 7, comma 2, l. 7 agosto 1990, n. 241, e ora espressamente disciplinato dall’art. 21-quater della medesima legge – di natura cautelare e durata temporanea, consistente nella sospensione degli effetti dell’atto amministrativo precedentemente adottato. Deve tuttavia essere rimarcata la necessità della prefissione di un termine che salvaguardi l’esigenza di certezza della posizione giuridica della parte, restando così scongiurato il rischio di una illegittima sospensione sine die (cfr., in termini, Cons. St., V, 4.3.2008, n. 904, Cons. St., sez. VI, 11.2.2011, n. 905). Orbene il provvedimento del Comune, nella misura in cui ha sospeso senza prefissare alcun termine la validità del permesso di costruire, si pone in netta antitesi con il principio di cautela e con il fine di certezza sottesi al provvedimento di sospensione, quale configurato dall’astratto paradigma legislativo, ed è in quanto tale illegittimo, sicché rettamente il giudice di prime cure ne ha pronunciato l’annullamento, osservando che l’atto stesso si traduce, di fatto, in una revoca definitiva del provvedimento autorizzatorio.

Consiglio di Stato

 
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Un provvedimento di sospensione sine die è illegittimo perché contrasta radicalmente con la finalità attributiva di tale potere, questo il principio ribadito dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato che ha evidenziato come l’ordinamento riconosce infatti alla p.a. un generale potere – desumibile ... Continua a leggere

 
PROVVEDIMENTI REGIONALI

Rimborsabilità delle spese legali sostenute da ex amministratori comunali coinvolti in procedimenti penali: per la Corte dei Conti presupposto di rimborsabilità è il positivo e definitivo accertamento della mancanza di responsabilità, indipendentemente dalla formula assolutoria utilizzata dal giudice penale

​a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

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Il Sindaco del Comune di Amalfi ha richiesto alla Corte dei Conti un parere in merito alla rimborsabilità delle spese legali sostenute da ex amministratori comunali coinvolti in procedimenti penali conclusisi con sentenza di assoluzione con formula piena, precisando che: - alcuni di loro rivestonoancora la carica di amministratore dell’ente; - non vi sono impedimenti non esistendo conflitto di interesse e le azioni si sono svolte nell’assolvimento dell’attività di ufficio; - la possibilità di rimborso agli amministratori era prevista e regolamentata dal vecchio statuto comunale ed è prevista anche nel nuovo statuto. Sulla materia di che trattasi e, in particolare, sull’ammissibilità o meno di richieste di pareri rivolte alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti ai sensi dell’art. 7, comma 8 della legge 5 giugno 2003 n° 131, concernenti la materia della rimborsabilità di spese legali in favore di amministratori di enti locali assolti all’esito di giudizi celebrati a loro carico, questa Sezione regionale di controllo ha in passato richiesto alla Sezione delle autonomie di questa Corte di volersi pronunciare, in sede di coordinamento, ai sensi dell’art. 1, lett. b), della deliberazione delle Sezioni riunite n. 2/2003 (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Campania, 24 novembre 2005, n° 8). L’interpellata Sezione delle Autonomie, con la deliberazione n° 5/AUT/2006 del 10 marzo 2006, ha ritenuto che le questioni relative alla predetta problematica siano estranee alla nozione di contabilità pubblica cui si riferisce l’art. 7, comma 8 della legge n° 131 del 2003, con conseguente inammissibilità oggettiva di richieste di parere concernenti questioni attinenti alla menzionata rimborsabilità. In particolare, la predetta Sezione delle Autonomie ha condivisibilmente osservato quanto segue: "…ancorché la materia della contabilità pubblica non possa ridursi alla sola tenuta delle scritture contabili ed alla normativa avente ad oggetto le modalità di acquisizione delle entrate e di erogazione delle spese, essa non potrebbe investire qualsiasi attività degli enti che abbia comunque riflessi di natura finanziaria patrimoniale. Ciò non solo rischierebbe di vanificare lo stesso limite imposto dal legislatore, ma comporterebbe l’estensione dell’attività consultiva delle Sezioni regionali a tutti i vari ambiti dell’azione amministrativa con l’ulteriore conseguenza che le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti diventerebbero organi di consulenza generale delle autonomie locali. In tal modo, la Corte verrebbe, in varia misura, inserita nei processi decisionali degli enti, condizionando quell’attività amministrativa su cui è chiamata ad esercitare il controllo che, per definizione, deve essere esterno e neutrale. Per le ragioni sopraesposte, emerge dunque l’esigenza che la nozione di contabilità pubblica strumentale alla funzione consultiva assuma un ambito limitato alla normativa e ai relativi atti applicativi che disciplinano, in generale, l’attività finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di settore, ricomprendendo in particolare la disciplina dei bilanci e i relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziaria-contabile, la disciplina del patrimonio, la gestione delle spese, l’indebitamento, la rendicontazione e i relativi controlli…Così delineato l’ambito oggettivo della materia, la questione della rimborsabilità agli amministratori delle spese legali risulta totalmente estranea alla nozione di contabilità pubblica cui si riferisce l’art. 7, comma 8, della legge n. 131 del 2003" (Corte dei conti, Sezione delle Autonomie, 10 marzo 2006, n° 5/AUT/2006). Tale orientamento è stato costantemente condiviso da questa Sezione (cfr., ex plurimis, Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Campania, n. 172/2013, 68/2012, 5/2010, ecc), né si ravvisano motivi per discostarsi dallo stesso, nella fattispecie qui in esame. D’altra parte, la considerazione che la eventuale rimborsabilità delle spese legali agli amministratori sia atto discrezionale di pura gestione, facente capo esclusivamente all’ente di competenza, appare condivisa da molte altre Sezioni di controllo della Corte dei conti che, anche quando, esprimendosi in maniera esplicita su un parere avente medesimo oggetto, dichiarandolo ammissibile, aderiscono alla tesi della potenziale rimborsabilità delle spese legali agli amministratori pubblici, intanto rendono nota l’esistenza di contrastanti orientamenti in materia, e inoltre dichiarano che non rientra nella funzione consultiva intestata alla Corte dei conti stabilire in base a quale tipo di assoluzione spetti, nel caso specifico, la rimborsabilità delle spese legali (ex plurimis, cfr. Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia n. 86/2012, nel quale specificamente si dichiara che "E’ inoltre necessario osservare che la decisione da parte dell’amministrazione di provvedere o meno al rimborso delle spese di lite sostenute da un proprio dipendente o amministratore è frutto di una valutazione propria dell’ente medesimo, nel rispetto delle previsioni legali e contrattuali, rientrante nelle prerogative esclusive dei relativi organi decisionali. Detto in altri termini, la valutazione di merito sulla sussistenza delle condizioni richieste dalla normativa per assumere l’onere dell’assistenza legale del dipendente e/o amministratore costituisce ambito riservato alle scelte dell’Ente che deve osservare prudenti regole di sana gestione finanziaria e contabile"). Appare interessante inoltre sottolineare come, in relazione ad uno dei quattro presupposti di cui valutare rigorosamente la sussistenza, al fine di un eventuale rimborso delle spese legali, e cioè la conclusione del procedimento con una sentenza definitiva di assoluzione con formula piena, (come nel caso di specie), con cui si sia stabilita l’insussistenza dell’elemento psicologico del dolo e della colpa grave e da cui emerga l’assenza di pregiudizio per gli interessi dell’amministrazione, la Sezione Lombardia, nella delibera succitata, prosegue sostenendo che "Sul punto la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sez. V n. 2242 del 14 aprile 2000) ha ritenuto ragionevole circoscrivere l’eccezionale possibilità di rimborso delle spese ai soli casi in cui sia incontestabilmente accertata l’assenza di responsabilità penale degli imputati; presupposto di rimborsabilità delle spese legali sostenute dall’amministratore è il positivo e definitivo accertamento della mancanza di responsabilità, indipendentemente dalla formula assolutoria utilizzata dal giudice penale…..Pertanto, per la rimborsabilità delle spese legali, occorre una espressa valutazione positiva del comportamento, tale da ritenere il persistere del rapporto organico….per l’amministratore .è necessario un accertamento positivo di diligenza e buona fede". La stessa Sezione Lombardia, sempre sullo stesso argomento, con delibera n. 519/2012, richiamando la sua precedente n. 86/2012, non perde occasione per ribadire come debba, comunque, osservarsi che "…..molti dei fatti astrattamente non sanzionabili sotto il profilo penalistico risultano, tuttavia, suscettibili di essere affetti da marchiane illegittimità, nonché forieri di responsabilità in capo all’ente….Ne deriva che, con riferimento alla fattispecie in commento….occorrerà valutare se il proscioglimento sia intervenuto per l’accertamento della sostanziale correttezza del comportamento tenuto dall’amministratore, ovvero se la pronunzia penale si limiti ad acclarare l’insussistenza dei presupposti per l’irrogazione della sanzione: ben potendo la stessa, a titolo esemplificativo, riscontrare l’esistenza di forti illegittimità nel comportamento dell’amministratore, ma nel contempo ritenere il reato non integrato in quanto risulti carente la patrimonialità del vantaggio conseguito ovvero (con riferimento all’elemento soggettivo) difetti la vera e propria intenzione di determinare un vantaggio patrimoniale o un danno, per quanto gli stessi siano stati effettivamente determinati. Tale statuizione, rilevante sotto il profilo penalistico, non escluderebbe però una valutazione di disvalore per il comportamento dell’agente, e sarebbe quindi insufficiente a legittimare la ripetizione delle spese legali" Alla luce di quanto esposto, la Corte dei Conti ha affermato di non poter non potendo fornire specifiche indicazioni in quanto esse si tradurrebbero in una ingerenza della Corte nella concreta attività dell’ente (con il rischio di creare elementi di commistione con altre funzioni dalla stessa esercitate, quali quella requirente e di giurisdizione), il quesito potrà trovare soluzione alla stregua delle valutazioni, da parte dell’ente interpellante, in ordine agli elementi di fatto e di diritto implicati dalla fattispecie, alla luce della ovvia considerazione che, se è doveroso assicurare che i soggetti che agiscono nell’interesse pubblico siano adeguatamente tutelati qualora ingiustamente coinvolti in procedimenti penali per fatti connessi all’adempimento del mandato, è altrettanto necessario impedire tale rimborso a soggetti che non si trovano nelle medesime condizioni.

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Il Sindaco del Comune di Amalfi ha richiesto alla Corte dei Conti un parere in merito alla rimborsabilità delle spese legali sostenute da ex amministratori comunali coinvolti in procedimenti penali conclusisi con sentenza di assoluzione con formula piena, precisando che: - alcuni di loro rivestono ... Continua a leggere

 

Il divieto per le P.A. di stipulare contratti di locazione passiva nel corso dell’anno 2013 si applica a prescindere dalla decorrenza degli effetti economici che ne derivano

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti nota a parere Corte dei Conti

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Il Sindaco del Comune di Montecatini Terme ha chiesto alla Corte dei Conti di chiarire se il divieto di stipulare contratti di locazione passiva dettato dall’art. 12, comma 1-quater del d.l. 98/2011, convertito dalla L. 111/2011 riguardi solo la stipula di contratti che svolgono la propria efficacia durante l’anno 2013 (essendo possibile stipulare contratti di locazione con efficacia per gli anni successivi) o se al contrario riguarda in generale la capacità di stipulare contratti di locazione passiva durante l’anno 2013. La Corte nel merito, ha precisato che l’art. 12, comma 1-quater del d.l. 98/2011, convertito dalla L. 111/2011, come modificato dall’art. 1, comma 138, della l. 228/2012, stabilisce: "Per l'anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), non possono acquistare immobili a titolo oneroso nè stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti. Sono esclusi gli enti previdenziali pubblici e privati, per i quali restano ferme le disposizioni di cui ai commi 4 e 15 dell'articolo 8 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Sono fatte salve, altresì, le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate con il decreto previsto dal comma 1, in data antecedente a quella di entrata in vigore del presente decreto". Il riferimento normativo al divieto di "stipulare contratti di locazione passiva" appare riferibile alla capacità di contrarre (si parla infatti di "stipulare") un nuovo contratto e non solo agli effetti economici che ne derivano, ciò appare confermato interpretando la norma, secondo il suo significato letterale e logico; difatti tale interpretazione appare confortata da due ordini di ragioni: - in primis, la norma di cui al comma 1-quater riportato stabilisce un divieto anche per l’acquisto di immobili specificando che trattasi di divieto di acquisto a "titolo oneroso", mentre non esplicita tale circostanza in relazione alla stipulazione di contratti di locazione per i quali, invece, si esprime stabilendo un generale divieto di "stipulare contratti di locazione passiva" senza accennare all’onerosità degli stessi: la locuzione "locazione passiva" esprime, difatti, la posizione giuridica dell’amministrazione pubblica-stipulante e non l’onerosità del contratto; - in secondo luogo, il divieto appare riferibile alla stipulazione di un contratto di locazione anche in virtù dell’esplicitazione delle deroghe espressamente stabilite dalla stessa norma la quale contempla l’eccezione quando trattasi di "rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti" riferendosi, anche in questi casi, all’atto della contrazione della locazione (il rinnovo può avvenire a prescindere dalla sua onerosità e dalla congruità/convenienza del canone di locazione che ne consegue). In conclusione, pertanto, il collegio ha ritenuto che il divieto di cui all’art. 12, comma 1-quater, del d.l. 98/2011, convertito dalla L. 111/2011 riguardi la stipulazione di contratti di locazione passiva nel corso dell’anno 2013 a prescindere dalla decorrenza degli effetti economici che ne derivano, in virtù dell’interpretazione letterale della norma che disciplina la materia.

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti nota a parere Corte dei Conti

 
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Il Sindaco del Comune di Montecatini Terme ha chiesto alla Corte dei Conti di chiarire se il divieto di stipulare contratti di locazione passiva dettato dall’art. 12, comma 1-quater del d.l. 98/2011, convertito dalla L. 111/2011 riguardi solo la stipula di contratti che svolgono la propria efficaci ... Continua a leggere

 
 
 
 
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