Gazzetta Informa News 3 Giugno 2013 - Area Amministrativa
"Il ciclo di gestione della performance nei comuni", on line il volume della Funzione Pubblica
Il Dipartimento della funzione pubblica ha realizzato l'ebook che raccoglie i risultati di un importante percorso di selezione, analisi e valorizzazione di esperienze compiute da numerose amministrazioni comunali coinvolte nel progetto PON Governance 2007-2013 "Valutazione delle performance". Il Manuale offre documenti e dati utili a rafforzare gli strumenti e le competenze necessarie alla gestione delle performance nelle amministrazioni locali. Per scaricare il Manuale cliccare sul titolo sopra linkato. (Funzione Pubblica, comunicato del 3.6.2013)
Il Dipartimento della funzione pubblica ha realizzato l'ebook che raccoglie i risultati di un importante percorso di selezione, analisi e valorizzazione di esperienze compiute da numerose amministrazioni comunali coinvolte nel progetto PON Governance 2007-2013 "Valutazione delle performance". Il Ma ... Continua a leggere
Precisazioni della Civit in ordine all’indagine sul benessere organizzativo
La Commissione nella seduta del 29 maggio 2013, in relazione ai modelli per la realizzazione di indagini sul personale dipendente volte a rilevare il livello di benessere organizzativo e il grado di condivisione del sistema nonché la rilevazione della valutazione del proprio superiore gerarchico, ha precisato che: 1. il superiore gerarchico va individuato nel superiore che al singolo dipendente assegna gli obiettivi e successivamente ne valuta la performance individuale; 2. le amministrazioni, con riferimento alle domande con la polarità negativa (A.04, A.05, A.09, B.04,B.07, H.05), devono dare precise indicazioni in occasione della somministrazione dell’indagine sulla compilazione del questionario e ne devono tener conto successivamente in sede di analisi dei dati e della loro elaborazione; 3. ai sensi dell’art. 20, comma 3 del D. Lgs. 33/2013, le singole amministrazioni devono pubblicare i risultati dell’indagine sui propri siti istituzionali, oltre che trasmetterli alla CiVIT. Per approfondire cliccare sul titolo sopra linkato. (Civit, comunicato del 31.5.2013)
La Commissione nella seduta del 29 maggio 2013, in relazione ai modelli per la realizzazione di indagini sul personale dipendente volte a rilevare il livello di benessere organizzativo e il grado di condivisione del sistema nonché la rilevazione della valutazione del proprio superiore gerarchico, h ... Continua a leggere
In caso di procedimenti riguardanti un ampio numero di soggetti interessati, l’Amministrazione può porre in essere forme di pubblicità alternative rispetto alla comunicazione individuale di avvio del procedimento, purché queste forme siano idonee a consentire la possibilità della partecipazione degli interessati medesimi al procedimento.
L'art. 8, comma 3, della legge n. 241 del 1990 dispone che, "qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta involta stabilite dall'amministrazione medesima". Detta norma prevede, in altri termini, che in caso di procedimenti riguardanti un ampio numero di soggetti interessati l’Amministrazione possa porre in essere forme di pubblicità alternative rispetto alla comunicazione individuale di avvio del procedimento, purché queste forme siano idonee a consentire la possibilità della partecipazione degli interessati medesimi al procedimento. Orbene, nel caso di specie, la Soprintendenza Archeologica di Roma, ha rilevato nell’atto contenente la proposta di vincolo - allegato alla nota n. 13.033 del 31 maggio 1996, inviata al Ministero per i beni culturali e ambientali al fine di richiedere la pubblicazione dell’atto medesimo sul Bollettino Ufficiale del Ministero, ai sensi degli artt. 7, 8, 9 e 10 della l. n. 241 del 1990 e dell’art.4, comma 2 del D.M. n. 495 del 1994 - la gravosità della comunicazione per l’elevato numero degli aventi titolo ed ha contestualmente fatto presente di aver dato corso alle procedure previste dagli artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990. La medesima Soprintendenza capitolina, infatti, aveva comunicato, con la lettera n. 8104 del 3 aprile 1996, l’avvio del procedimento al Comune di Roma e, con la nota n. 8106 di pari data, aveva trasmesso alla XX Circoscrizione comunale (attualmente XV Municipio) copia della proposta di vincolo affinché fosse pubblicata sull’albo pretorio. L’Amministrazione de qua aveva, altresì, disposto l’affissione della summenzionata proposta in tre sue sedi. Osserva il Collegio che i citati mezzi di pubblicità ed, in particolare, la pubblicazione sull’albo pretorio della XX Circoscrizione comunale, risultano congrui ed idonei a portare a conoscenza degli interessati l’avvio del procedimento in esame (Cons. di Stato, Sez. IV, 11 aprile 2001, n. 2194) in alternativa alla comunicazione individuale di avvio del procedimento di cui all’art. 7 della legge n. 241 del 1990. A quanto esposto non può, peraltro, opporsi, come fatto dagli appellanti, che l’Amministrazione competente non abbia motivato la sua scelta di optare per forme di pubblicità alternative alla comunicazione individuale di avvio del procedimento. Osserva, infatti, il Collegio che l’Amministrazione ha motivato, come in precedenza evidenziato, tale decisione in relazione all’elevato numero degli aventi titolo, obiettivamente comunque sussistente. A ciò deve aggiungersi che la scelta compiuta dall’Amministrazione, come osservato dalla giurisprudenza, è caratterizzata da un’ampia discrezionalità tecnica e può essere, quindi, sindacata in sede di legittimità esclusivamente per macroscopici vizi di incongruità ed illogicità tali da far emergere l’inattendibilità della valutazione discrezionale effettuata dall’Amministrazione stessa (Cons. di Stato, Sez IV, 3 maggio 2007, n. 2781). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.5.2013, n. 2851)
L'art. 8, comma 3, della legge n. 241 del 1990 dispone che, "qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta in ... Continua a leggere
Gioco del lotto: e' legittima la revoca da parte dei Monopoli di Stato della concessione in caso di violazione abituale delle norme relative alla gestione ed al funzionamento delle rivendite
L’art. 30 del d.P.R. 7 agosto 1990, n. 303 (recante il "Regolamento di applicazione ed esecuzione delle leggi 2 agosto 1982, n. 528 e 19 aprile 1990, n. 85 sull’ordinamento del gioco del lotto") si inserisce nella precisa scansione temporale e nella trama di obblighi che fanno carico al concessionario e ai raccoglitori. Il concessionario, ogni mercoledì successivo al giorno dell’estrazione, deve consegnare a ciascun raccoglitore, in via informatica, l’estratto conto riveniente dalle giocate effettuate contenente: il numero e l’importo delle giocate relative all’ultimo concorso; l’aggio corrispondente all’importo delle giocate, di spettanza del raccoglitore; il numero e l’importo delle vincite pagate; il numero e l’importo delle giocate escluse dal concorso dal concessionario e rimborsate; il numero e l’importo delle giocate annullate; l’importo netto a debito, da versare al concessionario, o a credito, da conguagliare nell’estratto conto della settimana successiva (art. 29). A sua volta il raccoglitore il giorno successivo, ossia il giovedì di ciascuna settimana (ossia il giovedì della settimana successiva alla giocata), deve versare il saldo a proprio debito a mezzo di una o più aziende di credito che assicurino il servizio su tutto il territorio nazionale o del servizio postale (art. 30). Il rilievo e l’importanza di tale scansione temporale e del rispetto dei termini fissati sono intuitivi, poiché, in vista della strutturazione del gioco, imperniato su estrazioni periodiche ravvicinate, sulla raccolta di un montepremi costituito dal totale delle somme giocate, sul pagamento puntuale delle vincite e/o sul rimborso delle giocate, la funzionalità del sistema, sotto il profilo finanziario e contabile, richiede la massima certezza di regolarità dei flussi finanziari.Orbene, nel caso di specie, l’interessata in un arco di tempo non lungo è incorsa in cinque infrazioni dell’obbligo di versamento del saldo nei termini stabiliti dall’art. 30 (e richiamati nel contratto disciplinante la concessione), con ritardi variabili da sei e sino a ventidue giorni, e in due omissioni dei versamenti (per una somma complessiva di oltre venticinquemila euro), puntualmente richiamate e descritte nel preambolo del provvedimento di revoca, tutte debitamente contestate. Deve aggiungersi che l’interessata soltanto per due delle sette contestazioni, a fronte della intimazione di pagamento dell’Amministrazione, ha provveduto altresì al pagamento in misura ridotta delle sanzioni pecuniarie previste dall’art. 33 comma 2 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (legge finanziaria per il 1995), mentre per le altre sono state emanate ordinanze-ingiunzioni di pagamento (sempre per la parte relativa alle sanzioni pecuniarie). Si aggiunga che, dopo rituale avviso dell’avvio del procedimento di revoca, l’interessata non ha nemmeno formulato deduzioni difensive. A fronte di una pluralità di infrazioni a obblighi essenziali gravanti sul raccoglitore, non può revocarsi in dubbio la piena legittimità del provvedimento di revoca, emanato ai sensi dell’ivi richiamato art. 34 comma 1 n. 9) della legge 22 dicembre 1957, n. 1293, le cui disposizioni sono applicabili alle concessioni per la raccolta del gioco del lotto in virtù del rinvio recettizio di cui all’art. 6 comma 1 della legge 19 aprile 1990, n. 85 (recante "Modificazioni alla legge 2 agosto 1982, n. 528, sull’ordinamento del gioco del lotto", a tenore del quale: "A tutte le concessioni del gioco del lotto si applicano le disposizioni di cui alla legge 22 dicembre 1957, n. 1293, e successive modificazioni, ed al D.P.R. 14 ottobre 1958, n. 1074, e successive modificazioni". Il numero 9 dell’art. 34 sanziona, appunto, la "violazione abituale delle norme relative alla gestione ed al funzionamento delle rivendite" (e quindi dei punti di raccolta del gioco del lotto), e precisa che"L’abitualità si realizza quando, dopo tre trasgressioni della stessa indole commesse entro un biennio, il rivenditore ne commetta un’altra, pure della stessa indole, nei sei mesi successivi all’ultima delle violazioni precedenti". (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.5.5.2013, n. 2833)
L’art. 30 del d.P.R. 7 agosto 1990, n. 303 (recante il "Regolamento di applicazione ed esecuzione delle leggi 2 agosto 1982, n. 528 e 19 aprile 1990, n. 85 sull’ordinamento del gioco del lotto") si inserisce nella precisa scansione temporale e nella trama di obblighi che fanno carico al concessiona ... Continua a leggere
L'esecuzione di una sentenza può essere richiesta solo da chi abbia proposto una domanda in sede di cognizione, quando questa sia stata accolta, e non anche il controinteressato soccombente in primo grado, che abbia ottenuto all’esito del giudizio d'appello la reviviscenza dell’atto impugnato (di cui è beneficiario)
Per orientamento ripetutamente seguito dal Consiglio di Stato "il ricorso per l’esecuzione del giudicato – strumento processuale previsto dall’ordinamento per l’esecuzione coattiva delle pronunce passate in giudicato – non è utilizzabile per l’esecuzione delle pronunce di rigetto, anche in mancanzadi un’espressa regola che circoscriva l’ottemperanza alle sole decisioni di accoglimento" (in tal senso Cons. Stato, sez. VI, 26 marzo 2013, n. 1675; Cons. Stato, VI, 13 dicembre 2011, n. 6532; cfr., inoltre, Cons. Stato, VI, 1° settembre 2009, n. 5114). E’ stato, infatti, chiarito, a tale riguardo, che, relativamente alle decisioni del giudice amministrativo, sono le statuizioni preordinate ad una pronuncia di accoglimento a far nascere per l’Amministrazione destinataria un obbligo di ottemperanza, che può dirsi adempiuto solo se vengono posti in essere atti completamente satisfattivi rispetto a quelle statuizioni. In altri termini, è legittimato a chiedere le misure esecutive di una sentenza solo chi abbia proposto una domanda in sede di cognizione, quando questa sia stata accolta, e non anche il controinteressato soccombente in primo grado, che abbia ottenuto all’esito del giudizio di appello la reviviscenza dell’atto impugnato (di cui è beneficiario). La pronuncia di rigetto lascia invariato l’assetto giuridico dei rapporti precedente alla proposizione del giudizio (rimanendo indifferente che la sentenza di rigetto sia stata pronunciata in primo grado ovvero in appello, con una sentenza di riforma della pronuncia di accoglimento emessa dal primo giudice). Se all’esito del giudizio sono mantenuti fermi gli effetti di un provvedimento che comporta un obbligo di fare (come nella specie,, una ordinanza di demolizione), la fonte di tale obbligo continua ad essere il provvedimento amministrativo (e non la sentenza del giudice, che si è limitata a respingere il ricorso contro di esso). L’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto può essere dunque chiesto da chi vi abbia titolo secondo gli strumenti consentiti dal sistema (se del caso, contestando il silenzio dell’Amministrazione), ma non anche col rimedio del giudizio d’ottemperanza, che postula una statuizione del giudice che abbia innovato la sfera giuridica dell’Amministrazione, con i propri effetti d’annullamento, ripristinatori o conformativi. Tale regola, del resto, si applica anche quando nel corso del giudizio sia stata modificata la situazione di fatto in seguito all’accoglimento di una domanda cautelare: non assume rilievo, in senso contrario, il principio desumibile dall’articolo 336, comma 2, cod. proc. civ. secondo cui "la riforma o la cassazione della sentenza estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata", in quanto la disposizione riguarda i provvedimenti e gli atti del giudice e comunque non fornisce alcuna indicazione riguardante le modalità attraverso le quali far valere gli effetti di un atto amministrativo non annullato in sede giurisdizionale (ovvero le conseguenze degli adempimenti di obbligazioni pecuniarie), posti in essere in esecuzione della sentenza di primo grado riformata in appello (cfr. Cons. Stato, VI, 19 settembre 2008, n. 4523; VI, 13 dicembre 2011, n. 6532). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.5.2013, n. 2724)
Per orientamento ripetutamente seguito dal Consiglio di Stato "il ricorso per l’esecuzione del giudicato – strumento processuale previsto dall’ordinamento per l’esecuzione coattiva delle pronunce passate in giudicato – non è utilizzabile per l’esecuzione delle pronunce di rigetto, anche in mancanza ... Continua a leggere
L’istituto del trasferimento temporaneo previsto dall’art. 42-bis, comma 1, d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 è applicabile a tutto il personale militare e delle Forze di polizia di Stato
L’istituto del trasferimento temporaneo previsto dall’art. 42-bis, comma 1, d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, e' ormai, secondo regola generale, applicabile a tutto il personale militare e delle Forze di polizia di Stato di cui all’art. 3, comma 1, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Il suddetto art. 42-bise' applicabile anche ai casi di mobilità interna ad una stessa amministrazione e non riguarda solo i passaggi tra amministrazioni diverse.Nella sentenza in esame precisa poi il Consiglio di Stato che l’inciso "tenendo conto del particolare stato rivestito", contenuto nell'art. 1493, comma 1, del codice dell’ordinamento militare, non integra una clausola di riserva introduttiva di una fattispecie normativa indeterminata di natura eccezionale e derogatoria per determinati settori dell’amministrazione pubblica, la cui individuazione/delimitazione sia rimessa all’interprete, poiché, opinando diversamente, la previsione generale, di estendere anche al personale dell’ordinamento militare la disciplina in materia di maternità e paternità vigente per il personale delle pubbliche amministrazioni, verrebbe (ri)convertita da regola ad eccezione, in contraddizione con la ratio legis sottesa alla disposta estensione. Il medesimo inciso comporta l’attribuzione all’Amministrazione di un peculiare potere valutativo da esercitare caso per caso e tenuto conto delle complessive esigenze degli uffici, imponendole un onere motivazionale pregnante attorno alle ragioni organizzative che, nel caso concreto, siano ostative all’accoglimento dell’istanza (quali, ad es., l’incidenza pregiudizievole sul funzionamento dell’ufficio a quo e/o l’indisponibilità di posti da ricoprire presso l’ufficio ad quem, in relazione al particolare stato rivestito dall’istante nel concreto contesto organizzativo). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.5.2013, n. 2730)
L’istituto del trasferimento temporaneo previsto dall’art. 42-bis, comma 1, d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, e' ormai, secondo regola generale, applicabile a tutto il personale militare e delle Forze di polizia di Stato di cui all’art. 3, comma 1, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Il suddetto art. 42-bis ... Continua a leggere
Sgombero della casa cantoniera: l'ANAS continua ad essere titolare del potere di autotutela esecutiva
La giurisprudenza, per un verso, ha riconosciuto la permanenza della natura pubblica dell’ANAS e la titolarità di poteri di autotutela in capo alla stessa; per altro verso, ha riconosciuto che il regime dei beni trasferiti all’ANAS resta regolato dagli artt. 823 e 829 c.c.. Inoltre, è stato affermato che "escludendosi per effetto di tali disposizioni che le strade e gli altri beni appartenenti al demanio pubblico ed al patrimonio indisponibile dello Stato . . . costituiscano patrimonio del nuovo soggetto societario, succeduto al preesistente ente pubblico economico, risulta dimostrata la sostanziale indifferenza della natura giuridica dei beni affidati alla gestione del nuovo soggetto concessionario rispetto alla formale natura giuridica di quest’ultimo". Resta dunque fermo il regime giuridico dei beni trasferiti al nuovo soggetto, in quanto strumentali al raggiungimento del fine pubblico e dei compiti istituzionali dell’Ente, e dunque l’esercizio del potere di autotutela esecutiva da parte di ANAS, che di tale potere continua ad essere titolare. Alla luce di ciò, non possono assumere rilievo comportamenti delle parti e ad atti diversi e distinti da quello effettivamente regolante il rapporto, nonché a situazioni personali e familiari, tenuto conto dell’accertata natura concessoria dell’atto di assegnazione della casa cantoniera (atto peraltro mancante nel caso di specie). Né può lamentarsi (come effettuato con un profilo del terzo motivo di appello) la irragionevole afflittività del provvedimento, posto che, come si è detto, l’appellante non è destinatario di alcun provvedimento concessorio del bene occupato. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.5.2013, n. 2829)
La giurisprudenza, per un verso, ha riconosciuto la permanenza della natura pubblica dell’ANAS e la titolarità di poteri di autotutela in capo alla stessa; per altro verso, ha riconosciuto che il regime dei beni trasferiti all’ANAS resta regolato dagli artt. 823 e 829 c.c.. Inoltre, è stato afferma ... Continua a leggere
L’obbligo di concludere un procedimento amministrativo, la cui violazione comporta la possibilità di adire il giudice per la declaratoria di illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza proposta, comporta anche che il procedimento debba essere doverosamente avviato
L’obbligo di concludere doverosamente un procedimento amministrativo, la cui violazione comporta la possibilità di adire il giudice ex art. 2 l. n. 241/1990 e art. 31 Cpa per la declaratoria di illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza proposta – comporta anche che il procedimento debba essere doverosamente avviato. Tale non è il caso in cui l’istante richiede l’estensione in suo favore del giudicato di annullamento di un atto amministrativo (disposta limitatamente alle posizioni dei soggetti che hanno vittoriosamente agito in giudizio), poiché, ove ciò fosse, si realizzerebbe una elusione del termine decadenziale previsto per l’impugnazione degli atti amministrativi in sede giurisdizionale. Peraltro, la discrezionalità dell’amministrazione nell’ampliare l’efficacia del giudicato, è stata negli ultimi anni esclusa dal legislatore. Da ultimo, l’art. 1, co. 132, l. 30 dicembre 2004 n. 311, prevede che "per il triennio 2005-2007 è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di cui agli articoli 1, comma 2, e 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, di adottare provvedimenti per l'estensione di decisioni giurisdizionali aventi forza di giudicato, o comunque divenute esecutive, in materia di personale delle amministrazioni pubbliche". Il successivo art. 41, co. 6, d.l. 30 dicembre 2008 n. 207, conv. in l. 27 febbraio 2009 n. 14, prevede che "il divieto di cui all'articolo 1, comma 132, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, è prorogato anche per gli anni successivi al 2008". Pertanto, sia in ragione dei limiti afferenti all’obbligo di provvedere gravante sull’amministrazione (e, dunque, alla possibile, conseguente declaratoria di illegittimità del silenzio), sia in ragione dell’espresso divieto legislativo, appare evidente come non possa esservi obbligo a carico dell’Agenzia delle Entrate di provvedere alla estensione degli effetti di una pronuncia giurisdizionale, anche in favore di coloro che, pur inseriti nella stessa graduatoria concorsuale, non hanno tuttavia provveduto a tutelarsi tempestivamente in sede giurisdizionale. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.5.2013, n. 2826)
L’obbligo di concludere doverosamente un procedimento amministrativo, la cui violazione comporta la possibilità di adire il giudice ex art. 2 l. n. 241/1990 e art. 31 Cpa per la declaratoria di illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza proposta – comporta anche che il pro ... Continua a leggere
In presenza di vizi accertati dell’atto presupposto deve distinguersi fra invalidità ad effetto caducante e invalidità ad effetto viziante, solo per la prima ammettendosi che l’annullamento dell’atto presupposto si estenda automaticamente a quello consequenziale, anche ove quest’ultimo non sia stato tempestivamente impugnato
Per giurisprudenza consolidata, in presenza di vizi accertati dell’atto presupposto deve distinguersi fra invalidità ad effetto caducante e invalidità ad effetto viziante, solo per la prima ammettendosi che l’annullamento dell’atto presupposto si estenda automaticamente a quello consequenziale, anche ove quest’ultimo non sia stato tempestivamente impugnato; e, quanto alla concreta individuazione della predetta tipologia di effetti, è assodato che si debba valutare l’intensità del rapporto di consequenzialità, con riconoscimento dell’effetto caducante solo ove tale rapporto sia immediato, diretto e necessario, nel senso che l’atto successivo si ponga, nell’ambito della stessa sequenza procedimentale, come inevitabile conseguenza di quello anteriore, senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi (così, ex plurimis; Cons. Stato, Sez. VI, 27 novembre 2012 n. 5986). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.5.2013, n. 2823)
Per giurisprudenza consolidata, in presenza di vizi accertati dell’atto presupposto deve distinguersi fra invalidità ad effetto caducante e invalidità ad effetto viziante, solo per la prima ammettendosi che l’annullamento dell’atto presupposto si estenda automaticamente a quello consequenziale, anc ... Continua a leggere
Gioco del lotto, il Consiglio di Stato ribalta la sentenza del TAR: non esiste una norma che riserva a IPZS la fornitura di scontrini. Legittima la procedura aperta indetta da Lottomatica
Dinanzi al TAR, I'IPZS - Istituto poligrafico e zecca dello Stato s.p.a, impugnava il bando di gara avente ad oggetto la procedura aperta indetta da Lottomatica Group s.p.a. "per la fornitura di scontrini per il gioco del lotto", nonché degli atti di gara a questo connessi, quali il Disciplinare digara e gli atti allegati, in quanto adottato in violazione dell’obbligo di Lottomatica s.p.a. - concessionaria, ai sensi del d.m. 17 marzo 1993, n. 4832, del servizio del gioco del lotto automatizzato - di approvvigionarsi, esclusivamente presso l’Istituto Poligrafico e Zecca della Stato per la fornitura degli scontrini. Il TAR accoglieva il ricorso sottolineando l’illegittimità dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione al permanere di una riserva ex lege per la fornitura degli scontrini in favore dell’Istituto originariamente ricorrente. Il Consiglio di Stato dopo ampia ricostruzione del quadro normativo vigente in materia ha dedotto unicamente l’assenza di un dato normativo esplicito e univoco, idoneo a fondare la riserva in favore di IPZS per la fornitura degli scontrini del gioco del lotto annullando la sentenza impugnata. Per accedere al testo per esteso della sentenza cliccare sul titolo sopra linkato. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.5.2013, n. 2820)
Dinanzi al TAR, I'IPZS - Istituto poligrafico e zecca dello Stato s.p.a, impugnava il bando di gara avente ad oggetto la procedura aperta indetta da Lottomatica Group s.p.a. "per la fornitura di scontrini per il gioco del lotto", nonché degli atti di gara a questo connessi, quali il Disciplinare di ... Continua a leggere
Rinnovo del consiglio comunale ed elezione del sindaco nei comuni con più di 15.000 abitanti: "premio di maggioranza" con arrotondamento all’unità superiore
La quaestio iuris oggetto di giudizio si incentra sui criteri che presiedono all’attribuzione del cd. "premio di maggioranza" ai sensi dell’art. 73 del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante la disciplina per il rinnovo del consiglio comunale e per l’elezione del sindaco nei comuni con più di 15.000 abitanti. La citata disposizione di legge, al comma 10, dispone testualmente: "Qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al primo turno, alla lista o al gruppo di liste a lui collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, ma abbia ottenuto almeno il 40 per cento dei voti validi, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, semprechè nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate abbia superato il 50 per cento dei voti validi. Qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al secondo turno, alla lista o al gruppo di liste ad esso collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, semprechè nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate al primo turno abbia già superato nel turno medesimo il 50 per cento dei voti validi. I restanti seggi vengono assegnati alle altre liste o gruppi di liste collegate ai sensi del comma 8". Nel caso di specie il numero totale di seggi da assegnare è pari a trentadue e il 60% di questi, da attribuire, quale premio di maggioranza, alle liste collegate al candidato sindaco vincente, darebbe un risultato pari a 19,2. Occorre, quindi, valutare se si debba operare un arrotondamento all’unità inferiore o superiore, a seconda che si interpreti l’indicato 60% come limite "massimo", nel senso quindi dell’attribuzione di "non più del 60%", ovvero limite "minimo", ossia nel senso del riconoscimento, quale soglia percentuale in ogni caso garantita, di "almeno 60%". Questo Collegio ritiene, in adesione all’indirizzo prevalente sostenuto dalla Sezione, che argomenti di natura letterale e teleologica depongano in favore della seconda interpretazione (da ultimo Cons. Stato, sez. V, 26 marzo 2013, n. 2468; 30 gennaio 2013, n. 571; 12 febbraio 2013, n. 810; contra, Sez. V, n. 2928/2012). Prendendo le mosse dal dato schiettamente letterale risulta significativo che la disposizione preveda l’attribuzione del premio di maggioranza del 60% quando il gruppo di liste collegato al candidato sindaco eletto non abbia conseguito "almeno" il 60% dei seggi del consiglio e nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate al primo turno abbia già superato nel turno medesimo il 50% dei voti validi. Il dato letterale si salda con l’argomento teleologico, in quanto la considerazione del mancato raggiungimento di detta quota minimale quale presupposto per l’attribuzione del premio evidenzia la volontà legislativa di ritenere tale percentuale alla stregua di soglia minima e intangibile spettante alle liste collegate al sindaco eletto, al fine di assicurare stabilità e governabilità all’ente locale. Detta quota percentuale funge, quindi, da parametro che cristallizza, ad un tempo, il presupposto negativo per l’attribuzione del premio e la consistenza minima del premio medesimo. Si soddisfa in tal guisa la finalità, perseguita dalla normativa in parola, di garantire la governabilità dei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti grazie alla costituzione, in favore del sindaco eletto, di una maggioranza stabile identificata per legge nella più volte rammentata misura minima del 60%. Si deve aggiungere che la diversa soluzione dell’arrotondamento per difetto impedirebbe l’applicazione del meccanismo correttivo che la legge prevede invece quale conseguenza indefettibile del mancato raggiungimento, anche in ragione di frazione di punto, della soglia minima del 60%. Va infine osservato, a contrario, che il criterio dell’arrotondamento per difetto della cifra decimale inferiore a 50 centesimi è previsto espressamente da altre disposizioni del testo unico, e segnatamente dall’art. 71, comma 8, relativo alla elezione del Sindaco e del consiglio comunale nei comuni sino a 15.000 abitanti, dall’art. 75, comma 8, riguardo alla elezione del consiglio provinciale e dall’art. 73, comma 1, per l’elezione del consiglio comunale nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, limitatamente però al numero minimo e massimo dei candidati che devono essere compresi nelle liste elettorali. Tale arrotondamento per difetto non è invece estensibile al diverso caso del premio di maggioranza di cui all’art. 73, comma 10, cit., per il quale il dato letterale e l’argomento teleologico impongono, alla stregua delle considerazioni esposte, il riconoscimento della quota minima del 60%. L’arrotondamento per difetto dei seggi da assegnare alla coalizione di liste del candidato sindaco vincente non consentirebbe, infatti, di raggiungere la percentuale minima di seggi alle stesse riservati dalla legge e ciò non corrisponderebbe né alla "ratio" della norma, né alla volontà del legislatore, rivolta a perseguire il fine fondamentale della migliore governabilità dei medi e grandi comuni. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.5.2013, n. 2761)
La quaestio iuris oggetto di giudizio si incentra sui criteri che presiedono all’attribuzione del cd. "premio di maggioranza" ai sensi dell’art. 73 del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante la disciplina per il rinnovo del consiglio comunale e per l’elezione del sindaco nei comuni con più di 15.00 ... Continua a leggere
Riconoscimento del diritto alla maggiorazione dell’indennità operativa d’impiego: l’art. 5 comma 2 del d.P.R. n. 394/1995, la cui applicabilità è stata estesa ai militari della Guardia di Finanza, riguarda il solo personale che già percettore delle speciali indennità d’impiego operativo sia stato impiegato in altri servizi, perdendo le suddette indennità
L’art. 5 del d.P.R. 31 luglio 1995, n. 394 (recante "Recepimento del provvedimento di concertazione del 20 luglio 1995 riguardante il personale delle Forze armate (Esercito, Marina e Aeronautica)"), dopo aver sostituito, al primo comma, la tabella I della legge 23 marzo 1983, n. 78 (recante "Aggiornamento della legge 5 maggio 1976, n. 187, relativa alle indennità operative del personale militare"), concernente la misura della indennità operativa di base di cui all’art. 2 della legge citata, al secondo comma dispone(va) che: "Per il personale che anche anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto abbia prestato servizio nelle condizioni di cui agli articoli 3, 4, 5 e 6, primo, secondo e terzo comma, e 7 della legge 23 marzo 1983, n. 78, le misure di cui alla tabella riportata al comma 1 del presente articolo, sono maggiorate, per ogni anno di servizio effettivo prestato con percezione delle relative indennità e per un periodo massimo complessivo di 20 anni, secondo le percentuali indicate nella tabella VI annessa alla legge 23 marzo 1983, n. 78". Orbene, tenuto conto che la maggiorazione ivi prevista riguarda(va) l’indennità operativa di base, e considerato che essa, per espresso disposto dell’art. 2 della legge n. 78/1983, competeva "…salvo i casi previsti dagli articoli 3, 4, 5, 6, primo, secondo e terzo comma, e 7…", già la formulazione della disposizione, contrariamente a quanto opinato dal giudice amministrativo ligure, palesava la riferibilità della maggiorazione soltanto ai militari che percepissero la prima (indennità operativa di base) avendo in passato goduto di indennità operative speciali, quali appunto quelle di cui alle disposizioni ivi richiamate, tra le quali, appunto la indennità di aeronavigazione (art. 5 della legge) e l’indennità di volo (art. 6 della legge). D’altro canto l’alternatività tra indennità operativa di base e indennità operative speciali, salve le espresse eccezioni stabilite dalla stessa legge, era disposta, in modo inequivoco, dall’art. 17 della legge n. 78/1983, a tenore del quale: "Le indennità previste dai precedenti articoli 2, 3, 4, 5, 6 e 7, salvo il diritto di opzione per il trattamento più favorevole e le eccezioni stabilite dalla presente legge non sono cumulabili fra loro…". L’ultimo comma dell’art. 17, poi, era, a sua volta, oltremodo chiaro nello stabilire che (corsivi dell’estensore): "Le disposizioni della presente legge concernenti le indennità di aeronavigazione, di volo di pilotaggio e relative indennità supplementari valgono anche, in quanto applicabili, per gli ufficiali, sottufficiali e militari di truppa dei reparti di volo del Corpo della guardia di finanza e per il personale dei reparti di volo della polizia di Stato in possesso del brevetto militare di pilota, osservatore o specialista o facenti parte di equipaggi fissi di volo o che frequentano corsi di pilotaggio, di osservazione aerea o di paracadutismo". L’inciso "anche anteriormente" valeva soltanto a estendere il beneficio della maggiorazione dell’indennità operativa di base a quanti già prima dell’entrata in vigore del provvedimento di concertazione di cui al d.P.R. n. 394/1995 fossero cessati dal particolare impiego che dava titolo all’indennità speciale operativa, e quindi non soltanto a quanti venissero destinati ad altri servizi senza diritto a indennità operative speciali in epoca successiva a tale data. Ne consegue che, per quanto sia esatto il rilievo dell’Avvocatura generale dello Stato, in ordine all’espressa estensione dell’applicabilità dell’art. 5 comma 2 del d.P.R. n. 394/1995 al personale dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza soltanto ad opera dell’art. 52 comma 3 del d.P.R. 16 marzo 1999, n. 254 (recante "Recepimento dell’accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999"), non potrebbe nemmeno ritenersi che il giudice amministrativo ligure abbia errato soltanto con riferimento al momento di decorrenza temporale della riconosciuta maggiorazione, riportandola alla data del 1° dicembre 1995 (anziché e quantomeno alla data del 1° gennaio 1998, di decorrenza degli effetti della parte normativa dell’accordo sindacale richiamato), poiché nel caso di specie, non essendo revocato in dubbio che gli appellati fossero adibiti a servizi specifici e percepissero le speciali indennità operative, esulava il presupposto per il riconoscimento della maggiorazione dell’indennità d’impiego operativo di base. La disposizione interpretativa di cui all’art. 3 comma 72 della legge finanziaria 24 dicembre 2003, n. 350 ("L’articolo 5, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1995, n. 394, si interpreta nel senso che le maggiorazioni ivi previste sono attribuite esclusivamente al personale percettore dell'indennità operativa di base di cui alla Tabella riportata al comma 1 del medesimo articolo 5, e successive modificazioni, ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 16 marzo 1999, n. 255") ha poi fugato ogni residuo e ancorché remoto dubbio. Si e' così consolidato univoco l'indirizzo giurisprudenziale (cfr. C.g.a., 26 luglio 2006, n. 449; Sez. IV, 16 marzo 2004, n. 1349; Cons. Stato, Sez. III, 8 marzo 2005, n. 9873 e 6 aprile 2004; Sez. I, 11 febbraio 2004, n. 5566), che ha avuto modo di chiarire come l’art. 5 comma 2 del d.P.R. 394/1995 abbia introdotto "…uno specifico beneficio riservato ai militari che, in precedenza impiegati in attività di servizio compensate con speciali indennità operative di importo superiore a quella di base …cessino da tali peculiari incarichi subendo una decurtazione di reddito. Il meccanismo previsto dall’art. 5, co. 2, (c.d. indennità di trasferimento) disvela lo scopo perequativo di attenuare l’improvvisa decurtazione reddituale che subirebbe questa ben individuata categoria di personale…" (così Sez. IV, 15 luglio 2008 , n. 3548). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.5.2013, n. 2737)
L’art. 5 del d.P.R. 31 luglio 1995, n. 394 (recante "Recepimento del provvedimento di concertazione del 20 luglio 1995 riguardante il personale delle Forze armate (Esercito, Marina e Aeronautica)"), dopo aver sostituito, al primo comma, la tabella I della legge 23 marzo 1983, n. 78 (recante "Aggior ... Continua a leggere
I Titoli di stato smarriti o sottratti sono rimborsati solo se la denuncia all’emittente sia presentata prima della scadenza del titolo e l'istanza di rimborso sia presentata entro sei mesi dalla scadenza del titolo, o al massimo, entro sei mesi dalla scadenza del termine di prescrizione del diritto al rimborso
Ai fini dell’esercizio del diritto al rimborso di titoli al portatore smarriti o sottratti è necessario che la denuncia di smarrimento sia proposta comunque "prima della data di rimborsabilità", essendo soltanto lasciata al denunciante la scelta se chiederne subito il rimborso (con ciò rinunciandoalle cedole non ancora maturate), ovvero attendere sino alla scadenza del termine di prescrizione, con istanza da proporre entro un termine semestrale decadenziale, nel primo caso decorrente direttamente dalla scadenza della data del rimborso, e nel secondo dallo spirare del termine di prescrizione. Il diritto al rimborso del titolo al portatore smarrito o sottratto è infatti subordinato alla duplice condizione che: a) la denuncia all’emittente sia presentata prima della scadenza del titolo stesso; b) la istanza di rimborso sia presentata entro sei mesi dalla scadenza del titolo, o al massimo, entro sei mesi dalla scadenza del termine di prescrizione del diritto al rimborso. A tutto concedere, e con interpretazione di favor, si potrebbe al limite ammettere che la denuncia all’emittente sia presentata anche dopo la scadenza del titolo, ma comunque, pur sempre, prima del perfezionamento del termine prescrizionale. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.5.2013, n. 2735)
Ai fini dell’esercizio del diritto al rimborso di titoli al portatore smarriti o sottratti è necessario che la denuncia di smarrimento sia proposta comunque "prima della data di rimborsabilità", essendo soltanto lasciata al denunciante la scelta se chiederne subito il rimborso (con ciò rinunciando ... Continua a leggere
Guardia di Finanza: anche nei confronti del militare in congedo assoluto permane la soggezione al potere disciplinare, in particolare per le sanzioni di stato qual è la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari
Nel giudizio in esame il Collegio ha ritenuto infondato il motivo del ricorso incentrato sul rilievo secondo il quale il procedimento disciplinare non avrebbe potuto essere attivato, e tantomeno concluso con l’irrogazione della sanzione disciplinare, per essere stato l’interessato collocato in congedo sin dal 22 dicembre 1994. La censura ad avviso del Consiglio di Stato è manifestamente infondata: com’è noto, ai sensi dell’art. 56 della legge 31 luglio 1954, n. 599 (recante "Stato dei sottufficiali dell’Esercito, della Marina e dell'Aeronautica"), disciplinante, ai sensi dell’art.3 della legge, anche i sottufficiali della Guardia di Finanza: "Il sottufficiale in congedo assoluto non ha obblighi di servizio" (comma 1). "Il sottufficiale in congedo assoluto conserva il grado e l’onore dell’uniforme ed è soggetto alle disposizioni di legge riflettenti il grado e la disciplina" (comma 2). Ciò significa che anche nei confronti del militare in congedo assoluto permane la soggezione al potere disciplinare, in particolare per le sanzioni di stato qual è la perdita del grado per rimozione (anche) per motivi disciplinari, di cui al successivo art. 60 comma 1 n. 6). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.5.2013, n. 2732)
Nel giudizio in esame il Collegio ha ritenuto infondato il motivo del ricorso incentrato sul rilievo secondo il quale il procedimento disciplinare non avrebbe potuto essere attivato, e tantomeno concluso con l’irrogazione della sanzione disciplinare, per essere stato l’interessato collocato in cong ... Continua a leggere
Concorsi pubblici: non sono sindacabili in sede di legittimità i tempi dedicati dalla commissione esaminatrice alla valutazione delle prove di esame dei candidati
Secondo l’orientamento costante della giurisprudenza "non sono sindacabili in sede di legittimità i tempi dedicati dalla commissione esaminatrice di un pubblico concorso o di un giudizio idoneativo alla valutazione delle prove di esame dei candidati" (Cons. Stato, sez. III, 14 settembre 2011, n. 5122), poiché i componenti della commissione hanno particolari professionalità che consentono di valutare la maggiore o minore preparazione del candidato in base all’andamento della prova orale. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.5.2013, n. 2723)
Secondo l’orientamento costante della giurisprudenza "non sono sindacabili in sede di legittimità i tempi dedicati dalla commissione esaminatrice di un pubblico concorso o di un giudizio idoneativo alla valutazione delle prove di esame dei candidati" (Cons. Stato, sez. III, 14 settembre 2011, n. 51 ... Continua a leggere
È' errore scusabile, l’errore di notifica dell'impugnazione derivato da erronea indicazione contenuta nella sentenza appellata e dalla mancata attivazione della parte interessata a richiedere la correzione dell'errore materiale
Qualora l’errore di notifica dell'impugnazione sia derivato da erronea indicazione contenuta nella sentenza appellata e dalla mancata attivazione della parte interessata a richiedere la correzione dell' errore materiale, va riconosciuto l’errore scusabile, che può essere dichiarato anche a prescindere da una domanda di parte e comporta di conseguenza la rimessione in termini per la rinnovazione della notificazione dell’appello (cfr., in termini, C.G.A. 22 aprile 2005, n. 275). In tal caso, peraltro, non è necessario disporre la rinnovazione della notificazione, atteso che l’appellato si è, comunque, costituito, così sanando il relativo vizio e rendendo inutile un ulteriore atto di notificazione. Né rileva la circostanza che la costituzione sia avvenuto al solo dichiarato fine di evidenziare l’inesistenza della notificazione. Costituendosi con una difesa svolta soltanto sulla questione dell’eventuale inesistenza della notificazione, infatti, l’appellato ha, comunque, dimostrato di aver avuto conoscenza, seppure aliunde, della proposta impugnazione e di averla avuta in tempo utile per svolgere le sue difese anche nel merito. Pertanto, appurato che il vizio che inficia la notifica non è l’inesistenza, bensì la nullità, e che tale nullità è giustificata da errore scusabile (dovuto all’erronea indicazione contenuta nella sentenza di primo grado), ne consegue che tale costituzione consente di ritenere instaurato il contraddittorio, senza che sia necessario disporre la rinnovazione della notificazione. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.5.2013, n. 2717)
Qualora l’errore di notifica dell'impugnazione sia derivato da erronea indicazione contenuta nella sentenza appellata e dalla mancata attivazione della parte interessata a richiedere la correzione dell' errore materiale, va riconosciuto l’errore scusabile, che può essere dichiarato anche a prescind ... Continua a leggere
Riconoscimento della parità scolastica: il principio di libertà nell'iniziativa economica deve essere coordinato con il principio se info cui la legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse la piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali
Nel settore del riconoscimento della parità scolastica, il principio di libertà nell'iniziativa economica deve essere coordinato con il concomitante principio (di pari rango costituzionale) secondo cui la legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse la piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali; - le previsioni di cui all'art. 1 della l. 62 del 2000 (le quali, nell'interpretazione dinanzi fornitane, ostano all'accoglimento delle tesi degli appellanti), declinate nella particolare materia che ne occupa, costituiscono ad un tempo previsioni finalizzate ad assicurare l'uniforme trattamento fra le varie tipologie di allievi e norme di indirizzo e coordinamento a finalità sociali dell'attività di insegnamento svolta con moduli imprenditoriali; - le richiamate previsioni (in se non irragionevoli e non contrarie ai limiti generali propri dell’interpositio legislatoris) sembrano introdurre un adeguato sistema di regole e limiti legali in tema di istituzione di nuovi corsi, in se compatibile con la logica dell'organicità dell'intervento normativo in subjecta materia; - in definitiva, l'indubbio favor costituzionale per il principio di libertà dell'iniziativa economica non può condurre a un indiscriminato ed antisistemico vantaggio in favore degli operatori professionali del settore dell'istruzione, in specie laddove tale vantaggio postuli una ingiustificabile deroga a princìpi e limiti posti a presidio di altri interessi e valori di pari rango costituzionale. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.5.2013, n. 2717)
Nel settore del riconoscimento della parità scolastica, il principio di libertà nell'iniziativa economica deve essere coordinato con il concomitante principio (di pari rango costituzionale) secondo cui la legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, d ... Continua a leggere
Per il Consiglio di Stato e' inammissibile il diniego di riammissione in sevizio di un ex dipendente, per il solo motivo che costui abbia superato l’età di 40 anni
La riammissione in servizio di cui all’art. 132 t.u. è un istituto di carattere eccezionale (derogando alle regole generali in materia di costituzione del rapporto d’impiego) e l’amministrazione ha la facoltà di avvalersene unicamente in quanto riconosca in concreto di aver interesse ad assicurarsile prestazioni di un determinato soggetto. In questa luce si potrebbe anche discutere se e quanto dettagliata debba essere la motivazione dell’eventuale diniego. Ma, nel momento in cui al diniego viene data una motivazione specifica (come nella vicenda in esame), inevitabilmente si apre il varco al sindacato sull’eccesso di potere, se non altro in base al parametro della ragionevolezza. E non sembra accettabile, sotto il profilo della ragionevolezza, un criterio di massima che esclude a priori la riammissione di un ex dipendente, per il solo ed unico motivo che costui abbia superato l’età di 40 anni, senza collocare questo elemento nell’ambito di una valutazione complessiva estesa ad altri fattori: ad esempio, la durata del pregresso rapporto di servizio e quella del periodo intercorso fra la cessazione dal servizio e la domanda di riammissione; oppure le ragioni che avevano indotto il dipendente a dimettersi dal servizio, il genere di attività lavorativa svolta nel frattempo, e via dicendo. D’altra parte, non si può dire che corrisponda alle comuni esperienze, nel mondo attuale, che l’età di 40 anni sia troppo avanzata, non si dice per intraprendere un’attività lavorativa interamente nuova, ma per tornare a svolgere l’attività già esercitata fruttuosamente per un lungo periodo di tempo (venti anni, nel caso dell’attuale appellato) e abbandonata solo per un breve periodo. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 20.5.2013, n. 2701)
La riammissione in servizio di cui all’art. 132 t.u. è un istituto di carattere eccezionale (derogando alle regole generali in materia di costituzione del rapporto d’impiego) e l’amministrazione ha la facoltà di avvalersene unicamente in quanto riconosca in concreto di aver interesse ad assicurarsi ... Continua a leggere
Controversie attinenti al rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti: ai fini della determinazione della giurisdizione, il termine del 15 settembre 2000 ha lo scopo di fissare un limite interno alla giurisdizione amministrativa nell’ottica della previsione di una decadenza sostanziale dall’azione
Al fine della corretta discriminazione dei limiti temporali per l’individuazione della giurisdizione in materia di controversie attinenti al rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti deve farsi riferimento alla data di notifica dell’atto introduttivo di giudizio e non a quella del successivo perfezionamento del rapporto processuale che si realizza con il deposito del ricorso, in quanto il richiamo contenuto nell’art. 45, comma 17, del d. lgs. 31 marzo 1998 n. 80 alla data del 15 settembre 2000, deve considerarsi come termine di decadenza per la proponibilità della domanda giudiziale e non come limite temporale della persistenza della giurisdizione (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 4.6.2010, n. 3554; Cons. St., sez. V, 18.2.2009, n. 946; Cons. St., Sez. VI, 8.8.2008, n. 3909; Cons. St., sez. VI, 13.6.2008, n. 2939; Cons. St., Sez. V, 21.6.2007, n. 3390; Cons. St., sez. IV, 27.11.2010, n. 8259).La questione può ormai dirsi pacifica ed in tal senso si sono pronunciati, come detto, sia la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 213 del 26 maggio 2005, sia la Corte di Cassazione con la sentenza delle Sez. Un., 15.1.2007, n. 616, sia questo Consiglio di Stato che, in particolare, ha precisato come la norma "ha stabilito il termine del 15 settembre 2000 non al fine di delimitare il rapporto tra giurisdizione amministrativa ed ordinaria, bensì allo scopo di fissare un limite interno alla giurisdizione amministrativa nell’ottica della previsione di una decadenza sostanziale dall’azione" (Cons. St., sez. VI, 27.6.2005, n. 3394). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 20.5.2013, n. 2699)
Al fine della corretta discriminazione dei limiti temporali per l’individuazione della giurisdizione in materia di controversie attinenti al rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti deve farsi riferimento alla data di notifica dell’atto introduttivo di giudizio e non a quella del successivo perfe ... Continua a leggere
È violativa del giudicato, e tale violazione può essere fatta valere in sede di ottemperanza, la condotta dell’Amministrazione che, seppur formalmente non in contrasto con il dispositivo della sentenza, ne tradisca tuttavia la portata conformativa, quale desumibile appunto dalla motivazione
Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato ha precisato che e' violativa del giudicato, e tale violazione può essere fatta valere in sede di ottemperanza, la condotta dell’Amministrazione che, seppur formalmente non in contrasto con il dispositivo della sentenza, ne tradisca tuttavia la portata conformativa, quale desumibile appunto dalla motivazione. La tradizionale affermazione secondo cui il giudicato amministrativo è un "giudicato a formazione progressiva" e che il giudizio di ottemperanza non ha natura meramente esecutiva, ma anche cognitiva, vuole esprimere proprio questo principio, ovvero che la regola di comportamento che deriva dal giudicato in capo all’Amministrazione non è solo quella scolpita nel dispositivo. Si tratta, al contrario, di una regola più ampia, dotata di margini di elasticità e suscettibile di essere puntualizzata e concretizzata dal giudice dell’ottemperanza. L’individuazione del reale contenuto di tale regola è così oggetto di un processo di formazione progressiva, nel senso che essa viene definitivamente esplicitata proprio nel giudizio di ottemperanza, il quale, quindi, non è meramente esecutivo, ma anche cognitivo, dovendo il giudice dell’ottemperanza anzitutto delimitare la reale portata della regola conformativa derivante dal giudicato ottemperando. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 17.5.2013, n. 2680)
Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato ha precisato che e' violativa del giudicato, e tale violazione può essere fatta valere in sede di ottemperanza, la condotta dell’Amministrazione che, seppur formalmente non in contrasto con il dispositivo della sentenza, ne tradisca tuttavia la portata co ... Continua a leggere
Permesso di soggiorno: mancando la conclusione del procedimento di emersione, non può essere rilasciato il permesso di soggiorno per motivi di lavoro (o in attesa di occupazione, nel caso di motivata cessazione del rapporto)
La giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. III, 14 novembre 2012, n. 5736 e 25 marzo 2013, n. 1638) afferma che il contratto di soggiorno, ex art. 1-ter, del d.l. 78/2009, introdotto dalla legge di conversione 102/2009, necessariamente presuppone la volontà di addivenirvi anche della parte datoriale, di modo che: - mancando la conclusione del procedimento di emersione, non può essere rilasciato il permesso di soggiorno per motivi di lavoro (o in attesa di occupazione, nel caso di motivata cessazione del rapporto), e ciò quand'anche debba ritenersi provata l'esistenza del rapporto di lavoro nel periodo di legge, dal momento che è ineludibile condizione della regolarizzazione la stipula del contratto di soggiorno, sia pure per il periodo pregresso in cui il rapporto ha avuto luogo. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 31.5.2013, n. 2977)
La giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. III, 14 novembre 2012, n. 5736 e 25 marzo 2013, n. 1638) afferma che il contratto di soggiorno, ex art. 1-ter, del d.l. 78/2009, introdotto dalla legge di conversione 102/2009, necessariamente presuppone la volontà di addivenirvi anche della parte dato ... Continua a leggere
Accesso ai documenti: il dipendente pubblico è portatore di un interesse qualificato alla conoscenza degli atti e documenti che riguardano la propria posizione lavorativa
In materia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni il dipendente è portatore di un interesse qualificato alla conoscenza degli atti e documenti che riguardano la propria posizione lavorativa, atteso che gli stessi esulano dal diritto alla riservatezza e che l'art. 22 della l. 241/1990 garantisce l'accesso ai documenti amministrativi relativi al rapporto di pubblico impiego "privatizzato", anche se le eventuali controversie attinenti ad detto rapporto sono devolute alla giurisdizione del Giudice Ordinario (cfr., per tutti, T.A.R. Campania Napoli, VI Sezione, 3 Febbraio 2011 n. 645). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 27.5.2013, n. 2894)
In materia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni il dipendente è portatore di un interesse qualificato alla conoscenza degli atti e documenti che riguardano la propria posizione lavorativa, atteso che gli stessi esulano dal diritto alla riservatezza e che l'art. 22 della l. 241/ ... Continua a leggere
La comunicazione di avvio del procedimento è superflua tutte le volte che la conoscenza sia comunque intervenuta, sì da ritenere già raggiunto in concreto lo scopo cui la comunicazione tende
In base ad un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, "le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, dovendosipiuttosto interpretare nel senso che la comunicazione è superflua, con prevalenza dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa, […] tutte le volte che la conoscenza sia comunque intervenuta, sì da ritenere già raggiunto in concreto lo scopo cui tende" la comunicazione prevista dall'art. 7 della legge n. 241 del 1990 (ex plurimis: Cons. di Stato, Sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4925 e 18 aprile 2012, n. 2286), ciò che può pure rilevarsi quando il richiedente abbia avuto notizia delle ragioni ostative all’accoglimento di una istanza. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 31.5.2013, n. 3015)
In base ad un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, "le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, dovendosi ... Continua a leggere
La cd. ricostruzione della carriera e' riconosciuta nei soli casi in cui un rapporto di lavoro già in corso fosse stato illegittimamente interrotto
La cd. ricostruzione della carriera, quale peculiare esempio di restitutio in integrum e' stata riconosciuta nei (soli) casi in cui un rapporto di lavoro già in corso fosse stato illegittimamente interrotto, a tutela quindi di interessi oppositivi se non di veri e propri diritti soggettivi; e non anche nelle ipotesi nelle quali il rapporto fosse ancora da instaurare (o fosse ancora del tutto precario) e l’interesse vantato fosse di natura pretensiva o comunque qualificabile alla stregua di un’aspettativa (v., per la distinzione, Cons. St. Ad. Plen. 10/1991 e, più di recente, Cons. St. VI, n. 2735/2008). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 17.5.2013, n. 2690)
La cd. ricostruzione della carriera, quale peculiare esempio di restitutio in integrum e' stata riconosciuta nei (soli) casi in cui un rapporto di lavoro già in corso fosse stato illegittimamente interrotto, a tutela quindi di interessi oppositivi se non di veri e propri diritti soggettivi; e non a ... Continua a leggere
La pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge ne determina il venir meno in via retroattiva ed erga omnes
La Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204, nel rilievo che in materia di servizi pubblici la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si giustifica solo quando si contestino provvedimenti od atti equipollenti integranti esercizio di potere autoritativo della pubblica amministrazione, ha dichiarato l'illegittimità dell’art. 33, co. 1, del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, come sostituito dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205, nella parte in cui affida a detta giurisdizione esclusiva "tutte le controversie" riguardanti quella materia, anziché le sole "controversie relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore". Al riguardo, sicuramente erronea è la tesi di parte appellata secondo cui la retroattività degli effetti della pronunzia della Corte avrebbe valore non erga omnes, bensì nell’ambito del solo procedimento nel corso del quale è stata sollevata la definita questione di legittimità costituzionale. Invero, in base al combinato disposto dell'art. 136 cost. e dell'art. 30 della legge 11 marzo 1953 n. 87, la pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge ne determina il venir meno in via retroattiva ed erga omnes, poiché opera la ricognizione di un vizio originario ed intrinseco della norma stessa, la cui eliminazione dall'ordinamento non è assimilabile a quella disposta per effetto di abrogazione in virtù di altra norma sopravvenuta; ciò con l'unico limite degli effetti che la norma censurata ha già prodotto irrevocabilmente, quali la preclusione nascente dal giudicato, la scadenza dei termini di prescrizione o di decadenza, l'esaurimento del rapporto, nella specie non verificatisi per quanto esposto sopra. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 23.5.2013, n. 2795)
La Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204, nel rilievo che in materia di servizi pubblici la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si giustifica solo quando si contestino provvedimenti od atti equipollenti integranti esercizio di potere autoritativo della pubblica amministrazione, h ... Continua a leggere
I presupposti per la retribuibilita' dello svolgimento di mansioni superiori
L’art. 29, co. 2, del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 subordina la possibilità di riconoscere le differenze retributive per l’espletamento fattuale di mansioni superiori al ricorrere delle seguenti tre condizioni, giuridiche e di fatto, operanti in modo concomitante: (a) l’effettivo espletamento delle suddette mansioni per un periodo eccedente i sessanta giorni nell'anno solare; (b) le mansioni devono essere svolte su un posto di ruolo, esistente nella pianta organica, vacante e disponibile; (c) l’incarico deve essere stato previamente attribuito dall’organo gestorio, competente, con una formale deliberazione e da tale deliberazione deve emergere l’avvenuta verifica dei presupposti di cui innanzi, nonché l’assunzione di tutte le relative responsabilità (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. III, 14 novembre 2012 n. 5734). Anche l’art. 55 del d.P.R. del D.P.R. 28 novembre 1990 n. 384, che si riferisce specificamente all’area non medica, subordina il conferimento di mansioni superiori, oltre all’attivazione delle "procedure concorsuali" per "provvedere alla regolare copertura" del posto vacante, ad analoghe condizioni di legittimità in essa puntualmente indicate, quali l’attribuzione con apposito "provvedimento formale", dunque adottato secondo le vigenti disposizioni dal competente organo gestorio e fatta salva, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 207 del 1985, ivi richiamato, la responsabilità degli amministratori che dispongano l’utilizzazione in parola oltre il limite semestrale e normativamente stabilito. Inoltre, in mancanza dei riferiti presupposti, è da ritenersi che non possa essere utilmente invocato l’art. 36 Cost., il quale esprime un principio che non trova applicazione diretta nel pubblico impiego, concorrendo in quest’ambito altri e diversi principi di pari rilevanza (art. 97 Cost.) attinenti all’organizzazione degli uffici pubblici; né l’art. 2126 cod. civ., che non concerne il diritto al compenso per lo svolgimento di mansioni superiori in via di fatto nel pubblico impiego, ponendo invece il principio della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di un contratto nullo o annullabile (cfr., ex multis, Cons. St., sez. III, 8 maggio 2012 n. 2631 e sez. V, 19 novembre 2012 n. 5852). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 23.5.2013, n. 2796)
L’art. 29, co. 2, del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 subordina la possibilità di riconoscere le differenze retributive per l’espletamento fattuale di mansioni superiori al ricorrere delle seguenti tre condizioni, giuridiche e di fatto, operanti in modo concomitante: (a) l’effettivo espletamento del ... Continua a leggere
Non configura inadempimento degli obblighi contrattuali la remunerazione delle prestazioni in plus orario del personale tecnico sanitario in misura inferiore alle tre ore settimanali, che costituiscono solo il limite massimo ammissibile
Con ricorso proposto avanti al T.A.R. per il Lazio un dipendente dell’A.U.S.L. RM G con la qualifica di tecnico di laboratorio ed in servizio presso il laboratorio di analisi dell’Ospedale civile di Tivoli – avanzava domanda per l’accertamento del diritto al pagamento di somme a titolo di plus orario da retribuire nel quadro dell’istituto dell’incentivazione alla produttività, quale disciplinato dall’art. 59 del d.P.R. 25 giugno 1983 n. 348, nonché dagli artt. 66, comma 6, del d.P.R. n. 270 del 1987 e 57, comma 6, del d.P.R. n. 384 del 1990. E’ concorde l’orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato nel ritenere che la retribuzione delle prestazioni rese in plus orario, anche nelle diverse qualificazioni della compartecipazione o della cointeressenza, non ha luogo in base alle sole clausole del contratto collettivo di lavoro, che danno rilievo, agli effetti del trattamento economico, alle prestazioni ambulatoriali, divisionali e dei servizi di diagnosi e cura, assolte oltre l’orario settimanale di servizio e non remunerate a diverso titolo (da ultimo Cons. St., Sez. III^, n. 193 del 15 gennaio 2013) Stante il carattere rigido delle norme che regolano il trattamento economico dei pubblici dipendenti, nei diversi istituti del trattamento ordinario e dei trattamenti accessori - non derogabile da prassi applicative o da scelte dirigenziali – è sempre richiesto a monte un preventivo atto autoritativo dell’amministrazione, che ha effetto autorizzatorio e contestualmente conformativo dell’espletamento delle prestazioni in plus orario, che si riflette sull’assetto organizzatorio dell’ente quanto all’utilizzo delle risorse umane e dei mezzi finanziari disponibili ai fini dell’ ottimale perseguimento dei compiti di assistenza e di cura (cfr. sul principio Cons. St., Sez. III, n. 783 del 15 febbraio 2012; V, n. 3808 del 16 giugno 2010; n. 1124 del 25 febbraio 2009). Non possono, quindi, essere retribuite prestazioni in plus orario rese per scelta selettiva ed unilaterale del dipendente e che non trovino riscontro nella valutazione di necessità e di utilità da parte dell’ amministrazione, in base a piani di lavoro ed a verificate esigenze, sotto il controllo dell’ente, che non resta neutro ogni qual volta si richiedano prestazioni eccedenti l’ ordinario orario servizio (cfr. Cons. St. V. n. 3808 del 2010 cit.; n. 1218 del 30 ottobre 1989). Va quindi respinta la domanda della ricorrente tesa a quantificare in 144 ore annue il tetto delle prestazioni suscettibili di remunerazione, in luogo delle 56 ore e 20 minuti che l’ Amministrazione ha qualificato come tetto massimo retribuibile, che non trova sostegno in un provvedimento organizzativo interno dell’ ente, volto ad individuare le aree di impiego in cui ammettere le prestazioni in plus orario, i soggetti a ciò abilitati, la destinazione delle risorse che a tal fine possono essere utilizzate.Non può avere ingresso la domanda formulata dalla ricorrente in termini risarcitori, onde conseguire la remunerazione del plus orario nella misura massima di tre ore settimanali, quale stabilita dagli artt. 71, secondo comma, del d.P.R. n. 270 del 1987 e 61, secondo comma, del d.P.R. n. 384 del 1990.La remunerazione del plus orario, ai sensi delle disposizioni in precedenza richiamate, va invero effettuata "nei limiti del fondo a disposizione" quale previsto, rispettivamente, dagli artt. 67 e 58 dei menzionati dd.P.R. Non configura, pertanto, inadempimento degli obblighi contrattuali la remunerazione delle prestazioni in plus orario del personale tecnico sanitario in misura inferiore alle tre ore settimanali, che costituiscono solo il limite massimo ammissibile mentre, in presenza di più limitate risorse economiche, appartiene alla sfera di discrezionalità dell’azienda sanitaria locale la possibilità di stabilire il compenso al di sotto della soglia massima prevista dal contratto collettivo. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 23.5.2013, n. 2799)
Con ricorso proposto avanti al T.A.R. per il Lazio un dipendente dell’A.U.S.L. RM G con la qualifica di tecnico di laboratorio ed in servizio presso il laboratorio di analisi dell’Ospedale civile di Tivoli – avanzava domanda per l’accertamento del diritto al pagamento di somme a titolo di plus orar ... Continua a leggere
La motivazione "per relationem" è consentita con riferimento ad altri atti dell'Amministrazione, che devono però essere indicati e resi disponibili, non necessariamente attraverso la materiale allegazione al provvedimento, ma attraverso la loro "accessibilità"
Ai sensi dell'art. 3, l. 7 agosto 1990 n. 241, in via generale, la motivazione "per relationem" è consentita con riferimento ad altri atti dell'Amministrazione, che devono però essere indicati e resi disponibili, non necessariamente attraverso la materiale allegazione al provvedimento, ma attraverso la loro "accessibilità". La motivazione "per relationem" è sufficiente ad assolvere l’obbligo motivazionale specialmente allorquando il provvedimento amministrativo è preceduto da atti istruttori, da pareri, o costituisce espressione sintetica di concrete valutazioni operate da organi altamente qualificati, nell'ambito di appositi sub procedimenti tecnici, a condizione che dal complesso degli atti del procedimento siano evincibili le ragioni giuridiche che supportano la decisione (Consiglio di Stato, sez. IV, 27 febbraio 2013, n. 1202 e 31 marzo 2012, n. 1914; sez. VI, 24 febbraio 2011, n. 1156; sez. V, 15 novembre 2012, n. 5772). Inoltre, sempre in via generale, la motivazione assume connotati di minore pregnanza in caso di adesione alle risultanze di atti presupposti e del complesso dell’istruttoria, mentre richiede una espressione più diffusa e approfondita solo nel caso di discostamento da quelle risultanze. (Consiglio di Stato, sez. V, 24 gennaio 2013, n. 445; sez. VI, 23 febbraio 2004, n. 685). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 30.5.2013, n. 2941)
Ai sensi dell'art. 3, l. 7 agosto 1990 n. 241, in via generale, la motivazione "per relationem" è consentita con riferimento ad altri atti dell'Amministrazione, che devono però essere indicati e resi disponibili, non necessariamente attraverso la materiale allegazione al provvedimento, ma attravers ... Continua a leggere
Le circolari ministeriali e gli studi del Consiglio nazionale del notariato non hanno alcun valore normativo
Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato afferma "in disparte lo studio del Consiglio nazionale del notariato, che ha un interesse dottrinario, ma non ha alcun valore normativo (ed è anche abbastanza fonte di perplessità il fattoo che esso sia stato esibito in giudizio), va escluso parimenti che possa avere tale valore la circolare ministeriale (che, peraltro, in argomento si esprime in maniera molto netta, affermando che per spazi per parcheggi devono intendersi "gli spazi necessari tanto alla sosta quanto alla manovra ed all'accesso dei veicoli"), atteso che è pacifico in giurisprudenza che le circolari amministrative, in quanto atti di indirizzo interpretativo, non sono vincolanti per i soggetti estranei all'amministrazione, mentre per gli organi destinatari esse sono vincolanti solo se legittime, e ciò in quanto le circolari amministrative sono atti diretti agli organi ed uffici periferici ovvero sottordinati, e non hanno di per sé valore normativo o provvedimentale o, comunque, vincolante per i soggetti estranei all'amministrazione, ben potendo quindi essere disapplicate anche d'ufficio dal giudice investito dell'impugnazione dell'atto che ne fa applicazione (Consiglio di Stato, sez. V, 15 ottobre 2010 n. 7521; id., sez. IV, 21 giugno 2010, n. 3877)." (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.5.2013, n. 2916)
Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato afferma "in disparte lo studio del Consiglio nazionale del notariato, che ha un interesse dottrinario, ma non ha alcun valore normativo (ed è anche abbastanza fonte di perplessità il fattoo che esso sia stato esibito in giudizio), va escluso parimenti c ... Continua a leggere
Nei giudizi sul silenzio dell’Amministrazione, il giudice amministrativo non può andare oltre la declaratoria di illegittimità dell'inerzia e l'ordine di provvedere
In linea di massima, nei giudizi sul silenzio dell’Amministrazione, il giudice amministrativo non può andare oltre la declaratoria di illegittimità dell'inerzia e l'ordine di provvedere; gli resta precluso il potere di accertare direttamente la fondatezza della pretesa fatta valere dal richiedente,sostituendosi all'Amministrazione stessa. Le disposizioni relative, ove interpretate diversamente, attribuirebbero illegittimamente, in modo indiscriminato, una giurisdizione di merito (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 maggio 2010, n. 3270). Pertanto, nell'ambito del giudizio sul silenzio, il giudice potrà conoscere della accoglibilità dell'istanza: a) nelle ipotesi di manifesta fondatezza, allorché siano richiesti provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati in cui non c'è da compiere alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni e fermo restando il limite della impossibilità di sostituirsi all'Amministrazione; b) nell'ipotesi in cui l'istanza sia manifestamente infondata, sicché risulti del tutto diseconomico obbligare l’Amministrazione a provvedere laddove l'atto espresso non potrebbe che essere di rigetto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1468). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.5.2013, n. 2902)
In linea di massima, nei giudizi sul silenzio dell’Amministrazione, il giudice amministrativo non può andare oltre la declaratoria di illegittimità dell'inerzia e l'ordine di provvedere; gli resta precluso il potere di accertare direttamente la fondatezza della pretesa fatta valere dal richiedente, ... Continua a leggere
Per lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose è sufficiente la presenza di elementi relativi alle collusioni o alle forme di condizionamento da parte dell’organizzazione criminale, che consenta di individuare la sussistenza di un rapporto tra quest’ultima e gli amministratori dell’ente reputato infiltrato
La natura dello scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, ai sensi del ripetuto art. 143 del Dlg 267/2000 non è di tipo sanzionatorio, ma preventivo. Sicché, per l’emanazione del relativo DPR di scioglimento, è sufficiente la presenza di elementi relativi alle collusioni o alle forme di condizionamento da parte dell’organizzazione criminale, che consenta di individuare la sussistenza di un rapporto tra quest’ultima e gli amministratori dell’ente reputato infiltrato. Non a caso l’art. 143, nel disciplinare la potestà di scioglimento per infiltrazioni mafiose, adopera una terminologia ampia e indeterminata. In tal modo il legislatore permette indagini sulla sussistenza di rapporti tra gli amministratori e la criminalità organizzata, sulla scorta di circostanze che presentino un grado di significatività e di concludenza serio, pur se di livello inferiore rispetto a quello che legittima l'azione penale o l'adozione di misure di sicurezza. Tali vicende, come poi in effetti è accaduto nel caso dell’appellante, vanno considerate nel loro insieme, ché solo dal loro esame complessivo si può ricavare, da un lato, il quadro ed il grado del condizionamento mafioso e, dall’altro, la ragionevolezza della ricostruzione di quest’ultimo qual presupposto per la misura dello scioglimento del corpo deliberante dell’ente (cfr. Cons. St., VI, 10 marzo 2011 n. 1547). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 28.5.2013, n. 2895)
La natura dello scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, ai sensi del ripetuto art. 143 del Dlg 267/2000 non è di tipo sanzionatorio, ma preventivo. Sicché, per l’emanazione del relativo DPR di scioglimento, è sufficiente la presenza di elementi relativi alle collusioni o all ... Continua a leggere
Prescrizione dei crediti di lavoro: in ragione della regola della corrispettività tra prestazione e contro prestazione - nella misura entro la quale va esercitato il diritto deve essere ricompreso anche il momento iniziale del periodo di effettivo lavoro
Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame rileva anzitutto che l’articolo 2963 del Cod. civ., e segnatamente il secondo comma in base al quale dies a quo non computatur, disciplina il "computo dei termini di prescrizione", ossia la misura del tempo entro il quale va esercitato un diritto. Ma non costituisce il criterio di computo per l’attività lavorativa, dove - in ragione della regola della corrispettività tra prestazione e contro prestazione - va necessariamente ricompreso anche il momento iniziale del periodo di effettivo lavoro: un mese di servizio prestato inizia il primo giorno e termina con l’ultimo, non con il primo giorno del mese successivo. D’altro canto, applicando il criterio di cui al secondo comma dell’articolo citato, un sol giorno di servizio non potrebbe avere valenza giuridica ed economica perché, come dies a quo, non potrebbe essere computato. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.5.2013, n. 2875)
Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame rileva anzitutto che l’articolo 2963 del Cod. civ., e segnatamente il secondo comma in base al quale dies a quo non computatur, disciplina il "computo dei termini di prescrizione", ossia la misura del tempo entro il quale va esercitato un diritto. Ma no ... Continua a leggere