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martedì 18 giugno 2013 22:22

Posticipato al 31 gennaio 2014 il termine previsto per la trasmissione all’AVCP dei dati e delle informazioni di cui alla legge anticorruzione ex art.1 c. 32 L. n. 190/2012

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Viste le numerose telefonate ed email pervenute alla G.A. in ordine agli obblighi di comunicazione all'AVCP ex articolo 32 comma 1 della legge n. 190/2012 si ritiene opportuno ripubblicare in data odierna il comunicato del 13.06 c.m. di avvenuto RINVIO al 31 gennaio 2014 del termine per i relativi adempimenti. Più precisamente, alla luce del complesso iter normativo, iniziato con l’entrata in vigore della legge 190 del 2012 (28 novembre 2012) e terminato da ultimo soltanto con l’adozione del d.lgs 33 del 2013 (20 aprile 2013) il termine di natura ordinatoria inizialmente previsto per la trasmissione all’AVCP dei dati e delle informazioni di cui all’art. 1 comma 32 è stato posticipato al 31 gennaio 2014, dovendo riguardare tutte le procedure indette da dicembre 2012. Per accedere al comunicato del Presidente del 13.6.2013 che - ai fini di una più dettagliata e completa indicazione dei dati e delle informazioni da fornire ad opera delle amministrazioni interessate l'Autorità - contiene altresì una serie di chiarimenti concernenti le prime indicazioni operative già fornite nella richiamata deliberazione n. 26/2013, cliccare sul titolo sopra linkato. (Gazzetta Amministrativa, comunicato 17.06.2013)

 
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martedì 11 giugno 2013 21:57

Controlli interni e ciclo della perfomance nei Comuni: on line il documento DPF-ANCI

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Il Dipartimento della Funzione pubblica, con il contributo dell’Associazione nazionale Comuni italiani (ANCI) ha realizzato il documento dal titolo "Controlli interni e ciclo della performance alla luce dell’art.3 D.L 174/12". Il Position Paper illustra quali siano le implicazioni che la recente normativa sulla disciplina dei controlli ha sul ciclo di gestione della perfomance e suggerisce alcune buone pratiche finalizzate a migliorare il performance management Il Paper presenta le innovazioni normative del D.L. 174/2012, convertito nella legge 213/12, che ha tra i suoi obiettivi il progressivo sviluppo del sistema dei controlli nei Comuni e il miglioramento degli equilibri finanziari. In tema di controlli interni la legge 213/2012 esplicita, infatti, tre nuove tipologie di controlli: il controllo degli equilibri finanziari il controllo sugli organismi gestionali esterni all’ente (in particolare le società partecipate) il controllo della qualità dei servizi Le indicazioni del position Paper sottolineano l’importanza d’integrare i controlli integrando il sistema di misurazione, di unire, in modo coerente e conseguente, i documenti a supporto del ciclo di gestione della perfomance e di assicurare evidenza e visibilità ai documenti di rendicontazione. Il documento nasce nel contesto del Progetto "Valutazione delle Performance" avviato nel 2010 dal Dipartimento della Funzione pubblica. Per scaricare il documento cliccare sul titolo sopra linkato. (Funzione Pubblica, news 5.6.2013)

 
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martedì 11 giugno 2013 21:57

Codice di comportamento dei dipendenti pubblici: pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Regolamento

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In g.u. n.129 del 4-6-2013 è stato pubblicato il Decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62 "Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165". Il codice di comportamento definisce i doveri minimi di diligenza, lealta',imparzialita' e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare. Le previsioni del Codice sono peraltro integrate e specificate dai codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni. (DPR 16.4.2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 129 del 4.6.2013)

 
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martedì 11 giugno 2013 21:57

Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della controversia concernente il provvedimento di conferimento dell’incarico di dirigente di secondo livello del ruolo sanitario ai sensi del d. lgs. n. 502 del 1992

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In base all’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza (v., ex plurimis, T.A.R. Sicilia, Palermo, 8.11.2012, n. 2271; T.A.R. Campania, Napoli, 20.1.2004, n. 229), a seguito soprattutto delle conclusioni raggiunte in data 11 dicembre 2003 dalla Commissione di studio istituita dai Presidenti della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato in presenza dei contrasti giurisprudenziali insorti in tema di riparto di giurisdizione nella descritta materia, "Il concetto di procedura concorsuale – ha chiarito la Commissione –evoca una procedura caratterizzata dalla valutazione dei candidati e dalla compilazione finale di una graduatoria. Pacificamente vi rientrano sia le procedure concorsuali connotate dall’espletamento di prove stricto sensu intese, sia i concorsi per titoli. Non concretano procedure concorsuali, invece, le assunzioni che non sono basate su di una logica selettiva: si pensi alle chiamate dirette, nonché alle procedure di mera verifica di idoneità dei soggetti da assumere, in quanto titolari di riserva o iscritti in apposita lista. È, infatti, chiaro che detta valutazione di idoneità mira solo alla verifica della capacità in termini assoluti del soggetto e non è caratterizzata dalla comparazione finalizzata alla compilazione di una graduatoria, che rappresenta la nota caratterizzante del concorso per l’accesso all’impiego, anche per soli titoli. La medesima cosa si deve dire relativamente alla selezione del dirigente per la copertura dell’incarico, anche laddove la scelta sia confinata nell’ambito di una lista di soggetti idonei in quanto dotati dei requisiti necessari: detta selezione è il frutto di una scelta comparativa di carattere non concorsuale in quanto non caratterizzata dallo svolgimento di prove o selezioni sulla base di una lex specialis, né dalla compilazione di una graduatoria finale". Tali considerazioni, svolte dalla Commissione proprio in relazione alla fattispecie dell’art. 15-septies del d. lgs. 502/1992, si attagliano particolarmente al caso di specie, nel quale l’avviso adottato in esecuzione della deliberazione del Direttore Generale della U.S.L. n. 893 del 2.7.2003 precisa, a p. 3, che "non si dà luogo a graduatoria" e che "in caso di più candidati all’incarico da conferire l’Azienda procederà alla stipula del contratto individuale di lavoro a "tempo determinato" ai sensi delle vigenti disposizioni contrattuali, sulla base di una rosa di "idonei" selezionati dal Direttore Amministrativo congiuntamente al Responsabile dello Staff della Direzione Aziendale e sanitaria tenuto conto della valutazione comparata dei curricula dei candidati medesimi". Appare evidente, quindi, che non ricorre, nel caso di specie, il carattere concorsuale della selezione che radica e giustifica, ai sensi dell’art. 63, comma 4, d. lgs. 165/2001, la giurisdizione del g.a. Si versa, infatti, in ipotesi di procedura selettiva non concorsuale, che si svolge senza alcuna prova per i candidati, ma sulla base di una sola valutazione dei curricula, e che non conduce ad alcuna graduatoria finale, ma alla nomina, avente sostanzialmente carattere fiduciario, del dirigente a tempo determinato, da parte del Direttore Generale, nell’ambito di una rosa di nomi selezionati unicamente mediante l’esame degli stessi curricula. Un simile riparto della giurisdizione in materia, del resto, risponde a quanto hanno evidenziato anche le Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 15764 del 19.7.2011 in relazione all’analoga fattispecie dell’art. 15-ter del d. lgs. 502/1992, affermando, in punto di giurisdizione, principi che vale la pena qui ricordare per la loro assoluta analogia di ratio rispetto alla fattispecie in oggetto. La configurazione giuridica delle modalità di conferimento degli incarichi di dirigente del ruolo sanitario – del tutto assimilabile anche alle mansioni dirigenziali di carattere non sanitario, come nel caso di specie, ai sensi del comma 2 dell’art. 15-septies del d. lgs. 502/1992 – è stata più volte precisata dalla Corte regolatrice della giurisdizione, che ne ha tratto specifiche conseguenze sul piano della tutela dei diritti. Ai fini del riparto della giurisdizione per le relative controversie, infatti, le Sezioni Unite hanno rilevato che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della controversia concernente il provvedimento di conferimento dell’incarico di dirigente di secondo livello del ruolo sanitario ai sensi del d. lgs. n. 502 del 1992, dovendosi escludere che la procedura per il conferimento di detto incarico abbia natura di procedura concorsuale per il solo fatto che ad essa sono ammessi anche soggetti estranei al S.S.N. e soggetti che, seppur medici del servizio sanitario, siano legati comunque con rapporto di lavoro ad enti diversi rispetto a quello che indice la procedura. "Nella disciplina per il conferimento dell’incarico di dirigente medico non è presente alcun elemento idoneo a ricondurre la stessa ad una procedura concorsuale, ancorché atipica: la commissione si limita alla verifica dei requisiti di idoneità dei candidati alla copertura dell’incarico, in esito ad un colloquio ed alla valutazione dei curricula, senza attribuire punteggi o formare una graduatoria, semplicemente predisponendo un elenco di candidati, tutti idonei perché in possesso dei requisiti di professionalità previsti dalla legge e delle capacità manageriali richieste in relazione alla natura dell’incarico da conferire; l’elenco viene sottoposto al direttore generale il quale, nell’ambito dei nominativi indicati dalla commissione, conferisce l’incarico sulla base di una scelta di carattere essenzialmente fiduciario, affidata alla sua responsabilità manageriale (cfr. Cass., Sez. un., n. 25042 del 2005; n. 5920 del 2008)" (Cass., Sez. Un., 19.7.2011, n. 15764). I suddetti principi sono, infine, confortati dalla decisione n. 196 del 2005 della Corte costituzionale, che ha rimarcato come, nella materia in esame, il riparto della giurisdizione debba essere operato sulla base della natura dell’atto di conferimento dell’incarico dirigenziale. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 30.5.2013, n. 2947)

 
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In base all’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza (v., ex plurimis, T.A.R. Sicilia, Palermo, 8.11.2012, n. 2271; T.A.R. Campania, Napoli, 20.1.2004, n. 229), a seguito soprattutto delle conclusioni raggiunte in data 11 dicembre 2003 dalla Commissione di studio istituita dai Presidenti ... Continua a leggere

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martedì 11 giugno 2013 21:57

L'utilizzo nel ricorso della formula di stile con cui si chiede l'annullamento degli "atti presupposti, connessi e conseguenti" non vale ad estendere l'impugnazione nei riguardi di atti non specificamente indicati in epigrafe

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Si attenziona la sentenza depositata dalla IV Sezione del Consiglio di Stato in quanto in essa si precisa che ai fini della richiesta di annullamento di atti contenuta nel ricorso non vale il generico richiamo che ritualmente viene fatto dai legali con la formula di stile di "richiesta di annullamento degli atti presupposti, connessi e conseguenti", e neppure la mera citazione di un atto in ricorso. L’utilizzo della ricordata formula di stile non vale infatti ad estendere l'impugnazione nei riguardi di atti non specificamente indicati in epigrafe. In base ai principi sempre affermati dalla giurisprudenza sulla struttura e sul contenuto del ricorso (poi confluiti nell’art. 40 del c.p.a. ) la mera citazione di un determinato atto presupposto, non è sufficiente a radicarne l’impugnazione in quanto i provvedimenti impugnati devono essere specificamente inseriti nell’oggetto della domanda ed a questi devono essere direttamente collegate le specifiche censure. Si tratta dunque di un’espressione che per la sua genericità di formulazione è priva di qualsiasi valenza processuale, perché non è affatto idonea alla specifica individuazione e delimitazione dell’impugnativa. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.5.2013, n. 2960)

 
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martedì 11 giugno 2013 21:57

L'emanazione di un provvedimento espresso (sia positivo che negativo) dopo la proposizione del ricorso giurisdizionale contro il silenzio-rifiuto della P.A. determina la cessazione materia del contendere

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Costituisce approdo consolidato in giurisprudenza quello secondo cui (si veda ancora di recente Cons. Stato Sez. IV, 22-01-2013, n. 355) "l'emanazione di un provvedimento espresso (sia positivo che negativo) dopo la proposizione del ricorso giurisdizionale contro il silenzio-rifiuto della P.A., non può non avere effetti estintivi sulla materia del contendere, in quanto il privato ha ottenuto il risultato al quale mira il giudizio, ossia il superamento della situazione di inerzia procedimentale e di violazione/elusione dell'obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso entro i termini all'uopo previsti; nel caso in cui il provvedimento sopravvenuto sia ritenuto illegittimo, per motivi evidentemente diversi dalla mera tardività, il privato deve proporre contro di esso una nuova impugnazione. E’ stato poi correttamente rimarcato, in passato, che (Cons. Stato Sez. V, 17-09-2010, n. 6978) l'interesse all'impugnazione del silenzio della P.A., perdurante malgrado la sussistenza dell'obbligo di provvedere, e cioè di portare al termine il procedimento amministrativo, non viene meno per il solo fatto che sia stato emesso un atto meramente istruttorio o comunque interno; esso trova invece un limite nell'adozione di un atto che, sebbene endoprocedimentale, provochi un arresto del procedimento. In tale caso, è l'atto endoprocedimentale a dover essere impugnato secondo gli ordinari rimedi, avendo esso un effetto preclusivo lesivo dell'interesse al successivo sviluppo del procedimento E’ quindi indubbio che l'interesse all'impugnazione del silenzio non viene meno per il solo fatto che sia stato emesso un atto meramente istruttorio o comunque interno (Cons. St. Sez.VI 1.3.2010 n. 1168, Sez. IV, 10 aprile 2009, n. 2241; Cons. St., sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1123). E’ del pari certo che non basta un qualsiasi atto ad interrompere l'inerzia e tanto meno un atto avente mero contenuto endoprocedimentale, e non già provvedimentale. A diverse conclusioni, invece, si deve giungere laddove ci si trovi al cospetto di un atto che, sebbene endoprocedimentale, provochi un arresto del procedimento. Ciò in quanto scopo del ricorso avverso il silenzio - rifiuto, è quello di ottenere un provvedimento esplicito dell'amministrazione che elimini lo stato di inerzia e assicuri al privato la definizione della propria pretesa. (così, Cons. St., sez. IV, 15 settembre 2010, n. 6892).....L’oggetto del giudizio sul silenzio è quello (ed unicamente quello) di fare cessare l’inerzia dell’amministrazione, ed allorchè essa cessa il giudizio diventa improcedibile: le tematiche relative alle "cause" dell’inerzia protrattasi e poi cessata, la tempistica procedimentale asseritamente illegittima assunta, etc, riverberano in sede di giudizio risarcitorio, ma non possono condurre ad una statuizione "accertativa autonoma" in sede di giudizio sul silenzio, pur quando lo stesso come nel caso di specie, sia cessato (ex multis: Cons. Stato Sez. V, 15-12-2005, n. 7125 "essendo stato più volte affermato che il decorso del termine stabilito dalla legge per la formazione del silenzio-rifiuto non comporta la perdita della potestà di decidere dell'Amministrazione se ne deve concludere che deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse un eventuale ricorso contro l'inerzia dell'Amministrazione qualora il provvedimento esplicito venga adottato successivamente. Ciò è avvenuto nel caso di specie in cui avendo l'appellante proposto ricorso avverso il silenzio-rifiuto, formatosi, su una sua istanza per il rilascio di concessione edilizia, la P.A. -seppure oltre il termine di 60 giorni- si sia esplicitamente pronunciata sull'istanza in questione con provvedimento di diniego esplicito e motivato."). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.5.2013, n. 2968)

 
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Costituisce approdo consolidato in giurisprudenza quello secondo cui (si veda ancora di recente Cons. Stato Sez. IV, 22-01-2013, n. 355) "l'emanazione di un provvedimento espresso (sia positivo che negativo) dopo la proposizione del ricorso giurisdizionale contro il silenzio-rifiuto della P.A., non ... Continua a leggere

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martedì 11 giugno 2013 21:57

Indennità di trasferimento d'autorità: il modo ordinario per calcolare la distanza tra sedi è quello che la computa tra le due case comunali

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L’attribuzione della indennità di trasferimento di autorità, prevista dall’art. 1, comma 1, l.29 marzo 2001, n.86, è subordinata al requisito generale della distanza minima non inferiore ai dieci chilometri tra la sede di provenienza e quella di destinazione (di recente, Consiglio di Stato, ad.plen. 16 dicembre 2011, n.23). Questa sezione ha ritenuto che anche successivamente all’entrata in vigore della l.29 marzo 2001, n.86, il personale previsto dall’art. 1 di tale legge ha diritto ad ottenere l’indennità di trasferimento nella sola ipotesi in cui la nuova sede di servizio sia ubicata ad una distanza superiore a 10 km rispetto a quella di provenienza (Cons. Stato, IV, 19 dicembre 2008, n.6417). Già nel vigore della legge n. 100 del 1987, pur in mancanza di una specifica disciplina, era stato ritenuto dalla giurisprudenza (Cons. di Stato, Ad. Plen. 28 aprile 1999, n. 7; Sez. IV, 10 marzo 2004, n. 1156) che l'indennità di trasferimento, per la parte non direttamente disciplinata, dovesse intendersi sottoposta allo stesso regime giuridico dell'indennità di missione, nel quale si colloca l'elemento della distanza minima (dieci Km) tra la sede di servizio e quella di trasferimento (v. da ultimo, Cons. Stato, IV, 26 settembre 2008, n. 4637). Secondo l’Adunanza Plenaria richiamata, lo scopo essenziale della legge del 2001 è quello di rideterminare, incrementandolo sensibilmente, il trattamento economico collegato al trasferimento di autorità, senza incidere, però, sul presupposto applicativo generale, sempre costituito dalla distanza minima di dieci chilometri tra la sede di provenienza e quella di destinazione. Quanto alla sussistenza del requisito, la parte appellante sostiene che esso non sussisterebbe, in quanto la distanza chilometrica tra case comunali, attestata dall’Aci, dimostra la misura di soli nove chilometri tra Terlizzi e Molfetta. Il Collegio osserva che la decisione della Adunanza Plenaria del 2011 fa riferimento alla distanza che deve calcolarsi tra la sede di servizio e la sede di destinazione, senza ulteriori specificazioni, nel senso che non chiarisce se la distanza è tra sedi intese come uffici di servizio, se tra case comunali o se tra ogni punto di vicinanza dei comuni limitrofi. A tal riguardo vengono quindi menzionate altre leggi, aventi analoghe finalità. Quanto alle modalità di calcolo, l’art. 6 della legge 836 del 1973 prevede che "ai fini della corresponsione delle indennità, le distanze chilometriche si misurano per i viaggi compiuti in ferrovia, tra la stazione ferroviaria di partenza e quella del luogo in cui la missione è compiuta. Se la stazione è fuori del centro abitato o della località isolata da raggiungere, la distanza fra la stazione e il relativo centro abitato o la località isolata viene portata in aumento. Per i viaggi compiuti con mezzi diversi dalla ferrovia le distanze si computano dalla casa municipale del comune ovvero dalla sede dell’ufficio (caserma, scuola, ecc.) nel caso in cui questo si trovi in una frazione o in una località isolata. Se il dipendente viene comandato in missione in luogo compreso fra la località sede dell’ufficio e quella di abituale dimora, le distanze di cui ai precedenti commi si computano dalla località più vicina al luogo di missione. Nel caso invece che la località di missione si trovi oltre la località di dimora, le distanze si computano da quest’ultima località". L’art. 1 della legge 26 luglio 1978 n.417 (recante "adeguamento del trattamento economico di missione e di trasferimento dei dipendenti statali") prevede che "per sede di servizio si intende il centro abitato o la località isolata in cui hanno sede l’ufficio o l’impianto presso il quale il dipendente presta abitualmente servizio". Nello stesso senso l’art. 1 del D.P.R. 16 gennaio 1978 n.513 disciplinante il "trattamento economico di missione e di trasferimento dei dipendenti civili dello Stato" ribadisce che "per sede di servizio si intende il centro abitato o la località isolata in cui hanno sede l’ufficio o l’impianto presso il quale il dipendente presta abitualmente servizio". Secondo l’invocato art. 6 della legge n.836 del 18 dicembre 1973, per i viaggi compiuti con mezzi diversi dalla ferrovia le distanze si computano dalla "casa municipale del comune" ovvero dalla sede dell’ufficio (caserma, scuola, ecc.), (solo) nel caso in cui questo si trovi in una frazione o località isolata. Pertanto, il modo ordinario per calcolare la distanza tra sedi è quello che la computa tra le due case comunali. Nella specie, come detto, in modo incontestato, l’attestazione dell’Aci dimostra che la distanza è di soli nove chilometri e che essa è stata calcolata appunto "tra la casa comunale del comune di partenza e quella del comune di arrivo", che è proprio uno dei criteri vari, se non il principale, per le modalità di calcolo della distanza. D’altronde, come osservato dalla Adunanza Plenaria che si è interessata della questione, per assicurare la coerenza e ragionevolezza dell’ordinamento, ne deve derivare un effettivo disagio, al quale corrisponde il riconoscimento della indennità di missione. Il disagio deve essere effettivo, tanto che la norma più recente ha chiarito che l’indennità non spetta qualora il trasferimento, anche se in sede situata a distanza superore a dieci chilometri, tuttavia sia nell’ambito dello stesso Comune. Allo stesso modo, secondo lo spirito della legge, tale disagio non può rinvenirsi nella ipotesi di distanza tra case comunali inferiori a dieci chilometri. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.5.2013, n. 2973)

 
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L’attribuzione della indennità di trasferimento di autorità, prevista dall’art. 1, comma 1, l.29 marzo 2001, n.86, è subordinata al requisito generale della distanza minima non inferiore ai dieci chilometri tra la sede di provenienza e quella di destinazione (di recente, Consiglio di Stato, ad.plen ... Continua a leggere

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martedì 11 giugno 2013 21:57

La c.d. "liberalizzazione" delle farmacie, nel mantenere una proporzione tra il loro numero e l’entità della popolazione e nel prescrivere che esse siano idoneamente ubicate, mira a coniugare le esigenze dell’utenza di miglioramento nella fruizione del servizio farmaceutico e le esigenze generali ad una più ampia copertura del territorio

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Il legislatore del 2012 non ha espunto la programmazione dal "sistema farmacie", in particolare la pianificazione numerica e territoriale, essendosi limitato a variarne taluni parametri, a snellirne le forme e ad assegnarne la competenza in via ordinaria ai comuni e non più alle regioni (se non in via straordinaria ed in funzione sostituiva, nel quadro della loro competenza in tema "di vigilanza sulle farmacie" di cui all’art. 32 della legge 23 dicembre 1978 n. 833). Ciò appare non solo ragionevole sotto ogni aspetto, ma pienamente conforme al dichiarato intento dell’intervenuta normativa di rimuovere limiti e restrizioni a loro volta non ragionevoli e non proporzionati alle perseguite finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l’iniziativa economica privata è libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti, e di ammettere solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni a valori costituzionalmente tutelati, quali il diritto alla salute, e possibili contrasti con obiettivi parimenti tutelati, quali l’utilità sociale, oltreché con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica. In particolare, la c.d. "liberalizzazione" delle farmacie attuata con la normativa in parola, nel mantenere una proporzione tra il loro numero e l’entità della popolazione e nel prescrivere che esse siano idoneamente ubicate, mira non solo all’adeguamento ai principi anzidetti anche di estrazione comunitaria, bensì essenzialmente a coniugare le esigenze dell’utenza di miglioramento nella fruizione del servizio farmaceutico e, in ultima analisi, le esigenze generali ad una più ampia copertura del territorio per finalità di tutela della salute dei cittadini, con quelle, commerciali, dell’esercente ad un bacino d’utenza ritenuto adeguato in relazione a quei principi. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 31.5.2013, n. 2990)

 
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Il legislatore del 2012 non ha espunto la programmazione dal "sistema farmacie", in particolare la pianificazione numerica e territoriale, essendosi limitato a variarne taluni parametri, a snellirne le forme e ad assegnarne la competenza in via ordinaria ai comuni e non più alle regioni (se non in ... Continua a leggere

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martedì 11 giugno 2013 21:57

La giurisdizione esclusiva in materia di pensioni dei pubblici dipendenti si estende alle controversie relative ad atti di recupero di ratei di pensione erogati e non dovuti

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Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno più volte affermato che spettano alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti tutte le controversie concernenti la sussistenza del diritto, la misura e la decorrenza del diritto a pensione dei dipendenti pubblici nonché quelle che involgono la soluzione di questioni comunque incidenti sul contenuto del diritto e sull’ammontare del trattamento e che prevale, ai fini della giurisdizione, il contenuto oggettivo del rapporto, ossia la sussistenza del diritto ad una pensione di un certo ammontare; è, dunque, il contenuto pubblicistico del rapporto dedotto in giudizio l’elemento di discrimine della giurisdizione, anche se la vicenda specifica riguardi non già il pagamento della pensione ma la restituzione di somme percepite allo stesso titolo e la regola non soffre deroga neppure, ad esempio, nel caso in cui si contesti l’esperibilità, ai fini del recupero, del procedimento di riscossione adottato (v., per tutte: 23 giugno 1993, n. 6952; 16 novembre 2007, n. 23731; 18 giugno 2008, n. 16530). Il Consiglio di Stato, in più occasioni, ha affermato che ogni contestazione in ordine alla legittimità o meno del discusso recupero di ratei di pensione deve avvenire a mezzo del rimedio devoluto alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti e che la giurisdizione esclusiva in materia di pensioni dei pubblici dipendenti si estende alle controversie relative ad atti di recupero di ratei di pensione erogati e non dovuti, venendo in discussione l’an o il quantum del trattamento pensionistico (cfr. IV 25 giugno 2010, n. 4108; V, 23 novembre 2010, n. 8156; in tema di demarcazione tra la giurisdizione amministrativa e quella contabile cfr. ad esempio, recentemente, Cons. Stato, VI, 21 dicembre 2012, n. 6641 e IV, 15 febbraio 2013, n. 923). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 31.5.2013, n. 2995)

 
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martedì 11 giugno 2013 21:57

L'ingiunzione fiscale è valida ed efficace indipendentemente dalle modalità con le quali viene notificata

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Innanzi al Consiglio di Stato l'appellante ha lamentato l'erroneità della sentenza del TAR di nella parte in cui non ha ritenuto sussistente l'assoluta ed insanabile nullità della notificazione dell'ingiunzione n. 393/s del 17 gennaio 2000 del Comune per incompetenza del soggetto notificatore. Ad avviso dell'appellante, infatti, l'atto comunale impugnato sarebbe inefficace a causa dell'omessa notificazione a mezzo dell'ufficiale giudiziario o dell'usciere dell’Ufficio di conciliazione (ora messi di conciliazione per effetto dell’art. 1 della legge n. 16 del 1957) necessaria ai sensi dell'art. 2 del R.D. n. 639 del 1910. Il motivo è stato ritenuto infondato dal Consiglio di Stato atteso che per orientamento giurisprudenziale "l'ingiunzione fiscale è valida ed efficace indipendentemente dalla sua notifica, non costituendo la mancanza di questa ostacolo alla proposizione di una domanda volta ad accertare l'illegittimità o l'infondatezza della pretesa tributaria in essa contenuta, una volta che il provvedimento sia stato esternato e il soggetto interessato ne abbia avuto conoscenza piena, tanto da essere in grado di spiegare una opposizione per ottenerne la caducazione" (Cass. Civile, 20 settembre 2006, n. 20360). (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 31.5.2013, n. 2996)

 
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martedì 11 giugno 2013 21:57

Accesso ai documenti amministrativi: sono inammissibili le istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni

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A norma dell'art. 24, comma 7 della legge n. 241/1991 "deve…essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici" (cfr. al riguardo, per il principio, Cons. St., Ad. Plen. 4.2.1997, n. 5; Cons. St., sez. VI, 24.3.1998, n. 498, 26.1.1999, n. 59, 20.4.2006, n. 2223; 27.10.2006, n. 6440, 13.12.2006, n. 7389; Cons. St., sez. V, 21.10.1998, n. 1529; circa la protezione preminente, accordata dall’ordinamento giuridico all’accesso finalizzato alla tutela in giudizio, rispetto ad eventuali interessi contrapposti ed in particolare all’interesse alla riservatezza di soggetti terzi cfr. anche Cons. St., sez. VI, 3.2.2011, n. 783; Cons. St, sez. V, 17.9.2010, n. 6953; Cons. St., sez. IV, 9.5.2011, n. 2753; sull’obbligo delle autorità amministrative di accogliere le istanze di accesso, quando l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione sia superiore all’interesse tutelato dal rifiuto di divulgare cfr. anche Corte Giustizia CE, sez. IV, 16.12.2010, n. 266). L’accesso ai documenti amministrativi, d’altra parte, costituisce "principio generale dell’attività amministrativa, al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza", pur richiedendosi per l’accesso un "interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, collegata al documento al quale è chiesto l’accesso", con inammissibilità delle istanze di accesso "preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni", essendo tale controllo estraneo alle finalità, perseguite attraverso l’istituto di cui trattasi (artt. 22, commi 3, 1 lettera b e 24, comma 3 L. n. 241/90 cit.). Nella situazione in esame, la società richiedente si muove nell’ambito di ragioni difensive già poste a base di un giudizio civilistico avviato, con istanza iniziale sufficientemente ampia da consentire la successiva puntualizzazione della stessa, dopo la consegna di parte degli atti richiesti. Quanto alla natura della documentazione richiesta, va osservato che, in base all’art. 22, comma 1, lettera d), per "documento amministrativo" deve intendersi "ogni rappresentazione grafica, foto cinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie di contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale": anche atti di natura privatistica, coinvolti in una procedura di amministrazione straordinaria, effettuata nell’interesse pubblico al sostegno delle imprese, va considerata dunque documentazione amministrativa e può essere oggetto di accesso, fino a quando (come dispone lo stesso art. 22 L. n. 241/90, al sesto comma) l’Amministrazione abbia "l’obbligo di detenere i documenti…ai quali si chiede di accedere": quanto sopra, deve ritenersi, anche ove tale obbligo sia riferibile solo ad attività materiali di passaggio di consegne al termine della procedura, o abbia per oggetto la mera archiviazione dei documenti stessi. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 31.5.2013, n. 3012)

 
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martedì 11 giugno 2013 21:57

Alla Giunta competono tutti gli atti rientranti nelle funzioni "di indirizzo e controllo politico-amministrativo" che non siano assegnati agli altri organi di governo, mentre ai dirigenti è attribuita tutta la gestione, amministrativa, finanziaria e tecnica, comprensiva dell'adozione di tutti i provvedimenti, anche discrezionali

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Come chiarito dalla giurisprudenza all'interno del sistema di cui al d.lgs. n. 267/2000 (T.U. enti locali) esiste una netta separazione di ruoli tra organi di governo locale e relativa dirigenza, dove ai primi spettano i compiti di indirizzo (la fissazione delle linee generali cui attenersi e degli scopi da perseguire), e alla seconda quelli di gestione. Più in particolare, alla Giunta competono tutti gli atti rientranti nelle funzioni "di indirizzo e controllo politico-amministrativo" che non siano assegnati agli altri organi di governo (artt. 48-107 T.U. cit.), e per converso ai dirigenti è attribuita tutta la gestione, amministrativa, finanziaria e tecnica, comprensiva dell'adozione di tutti i provvedimenti, anche discrezionali, incluse le autorizzazioni e concessioni (e quindi anche i loro simmetrici atti negativi), e sugli stessi dirigenti incombe la diretta ed esclusiva responsabilità della correttezza amministrativa della medesima gestione (art. 107, commi 3 e 6, T.U. cit.) (Cons. St., Sez. V, 7 aprile 2011, n. 2154, cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.). Ne discende, da un lato, che è del tutto fisiologico che la Giunta municipale, verificata la presenza di una eventuale illegittimità dell’atto dirigenziale, esponga il suo avviso compulsando il dirigente competente ad intervenire mercé il potere di autotutela, che è a lui riservato in quanto titolare in materia del potere di amministrazione attiva; dall’altro, che non spetta all’interessato alcuna facoltà di intervento nel procedimento che si conclude con l’adozione da parte della Giunta comunale dell’atto di indirizzo e controllo politico-amministrativo, che non è atto immediatamente lesivo delle ragioni dell’interessato, ma necessita della successiva adozione del provvedimento dirigenziale in autotutela che, ferma restando la correttezza delle ragioni espresse dalla Giunta, potrebbe non seguire a causa della necessità di far prevalere, ad esempio, l’affidamento del privato, dovendosi confrontare l’organo procedente con i limiti fissati dall’art. 21-nonies, l. n. 241/90; ovvero a causa dei fatti o interessi che potrebbero emergere d’ufficio o su sollecitazione del privato in sede istruttoria. In definitiva non si ravvisa alcuna lesione del diritto alla partecipazione procedimentale effettiva a carico dell’appellante (cfr., in materia di annullamento di titoli edilizi, i principi sviluppati da Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8291 cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 3.6.2013, n. 3024)

 
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Come chiarito dalla giurisprudenza all'interno del sistema di cui al d.lgs. n. 267/2000 (T.U. enti locali) esiste una netta separazione di ruoli tra organi di governo locale e relativa dirigenza, dove ai primi spettano i compiti di indirizzo (la fissazione delle linee generali cui attenersi e degli ... Continua a leggere

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martedì 11 giugno 2013 21:57

Spetta ai dirigenti comunali e, nei comuni privi di personale di tale qualifica, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, l’adozione degli atti di gestione ovvero di attuazione degli indirizzi politico – amministrativi attribuiti esclusivamente agli organi di governo (sindaco, consiglio comunale e giunta), tra cui i provvedimenti in materia urbanistica ed edilizia

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A seguito della separazione tra attività di indirizzo politico – amministrativo e attività gestionale, spetta ai dirigenti comunali e, nei comuni privi di personale di tale qualifica, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, l’adozione degli atti di gestione ovvero di attuazione degli indirizzi politico – amministrativi attribuiti esclusivamente agli organi di governo (sindaco, consiglio comunale e giunta), tra cui a titolo esemplificativo, i provvedimenti in materia urbanistica ed edilizia (C.d.S., sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5232; 5 ottobre 2005, n. 5312; 4 maggio 2004, n. 2694), assegnazione e revoca dell’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica (C.d.S., sez. V, 31 gennaio 2007, n. 405; 30 agosto 2006, n. 5073), autorizzazione all’apertura o al mancato mantenimento in esercizio di un passo carrabile (C.d.S., sez. V, 21 novembre 2005, n. 6413), provvedimento di chiusura temporanea di un esercizio commerciale (in applicazione degli artt. 14 della legge 30 aprile 1962, n. 283, e 21, ultimo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689. C.d.S., sez. V, 14 maggio 2004, n. 3143). Se è vero poi che restano attribuite al sindaco le potestà di gestione connesse alle funzioni di ufficiale di governo (C.d.S., sez. V ottobre 2005, n. 5312), tale speciali potestà danno vita a provvedimenti contingibili ed urgenti connotati dall’eccezionalità e dalla imprevedibilità di fatti che rendono indispensabile prevenire ed eliminare gravi pericoli per l’incolumità dei cittadini e che non possono essere fronteggiati con i normali mezzi apprestati dall’ordinamento (C.d.S., sez. V, 10 febbraio 2010, n. 670; 11 dicembre 2007, n. 6366; sez. VI, 13 giugno 2012, n. 3490). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 3.6.2013, n. 3034)

 
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Prove di concorso: le valutazioni delle Commissioni giudicatrici non sono sindacabili dal giudice se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico o un errore di fatto od una contraddittorietà ictu oculi rilevabile

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Le valutazioni espresse dalle Commissioni giudicatrici in merito alle prove di concorso, seppure qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell’elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio) e non come ponderazione di interessi costituiscono pur sempre l’espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica e/o culturale ovvero attitudinale dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico o un errore di fatto o, ancora una contraddittorietà ictu oculi rilevabile ( tra le tante, Cons. Stato sez. IV n.3855/2011 già citata; idem 2 marzo 2011 n.1350; 3 dicembre 2010 n.8504; 29 febbraio 2008 n.774; 22 gennaio 2007 n. 179 ). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 4.6.2013, n. 3057)

 
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martedì 11 giugno 2013 21:57

L'art. 21-nonies L. n. 241/90 non fissa alcun termine ultimo oltre il quale l'esercizio dell'attività di autotutela dell'Amministrazione risulti illegittima

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E’ legittimo il comportamento dell’Amministrazione che emenda la propria precedente condotta conformando seppure tardivamente, la propria azione al rispetto concreto della legge (arg. ex Consiglio Stato sez. IV, 12 febbraio 2013 n. 834; Consiglio Stato sez. V, 24 febbraio 1996, n. 232). Quanto al profilo temporale, l'art. 21-nonies L. 7 agosto 1990 n. 241 non fissa alcun termine ultimo oltre il quale l'esercizio dell'attività di autotutela risulti illegittima, lasciando all’Amministrazione la valutazione della ragionevolezza in ordine alla tempistica della vicenda (cfr. Consiglio di Stato sez. VI 27 febbraio 2012 n. 1081). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 4.6.2013, n. 3056)

 
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E’ legittimo il comportamento dell’Amministrazione che emenda la propria precedente condotta conformando seppure tardivamente, la propria azione al rispetto concreto della legge (arg. ex Consiglio Stato sez. IV, 12 febbraio 2013 n. 834; Consiglio Stato sez. V, 24 febbraio 1996, n. 232). Quanto al ... Continua a leggere

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martedì 11 giugno 2013 21:57

L’associazione sindacale è legittimata ad impugnare atti concernenti singoli iscritti, solo se ed in quanto i provvedimenti concretizzino anche una lesione dell’interesse collettivo statutariamente tutelato

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Le associazioni sindacali di categoria sono in ogni caso prive di legittimazione ad agire per azioni in cui l’interesse dedotto in giudizio riguardi solamente una parte dei singoli associati, o in ogni caso in cui le posizioni delle categorie rappresentate possano essere tra loro contrapposte, di modo che l’associazione si pone in conflitto di interesse con alcuni dei suoi associati ( sez. VI,14 luglio 1999, n. 943 ). In ogni caso , l’associazione sindacale è legittimata ad impugnare atti concernenti singoli iscritti , solo se ed in quanto i provvedimenti concretizzino anche una lesione dell’interesse collettivo statutariamente tutelato risolvendosi, altrimenti, l’azione in una non consentita sostituzione processuale con possibilità di realizzare un contrasto potenziale tra i vari iscritti (cfr. Cons. Stato sez VI, 27 marzo 2012,n.2208; sez. V, 26 ottobre 2011, n. 5709; sez. VI, 14 luglio 1999, n. 943).....I sindacati, viceversa, sono associazioni private non riconosciute, ossia figure organizzative libere e non soggette a vigilanza, verifiche o controlli pubblici, con carattere pluralistico e ad adesione eventuale. In ragione di tale libertà, e del pluralismo che ne discende, essi rappresentano, su base volontaria, solo i loro iscritti – e non tutti gli appartenenti alla categoria – e per ciò che concerne le relazioni sindacali. Non sono, quindi, enti esponenziali della categoria di riferimento e dunque - indipendentemente dalle autoqualificazioni statutarie – non possono essere considerati come portatori, ciascuno, di un proprio compito generale di difesa, anche in giudizio, dell’interesse dell’intera categoria unitariamente considerata. Questi elementi di base, che precedono la questione dell’eventuale rappresentatività e della sua verifica, appaiono già dirimenti. Con riferimento alla rappresentatività potrebbe porsi in concreto il tema della sufficiente qualificazione per la rappresentanza degli interessi degli iscritti in sede amministrativa: ma comunque non di rappresentanza "istituzionalizzata" in giudizio di interessi del settore lavorativo di riferimento, in luogo degli individui che ne sono titolari. L’istituzionalizzazione presuppone, infatti, una attribuzione ex lege ( e non in base ad un mero statuto) della tutela degli interessi di tutti gli appartenenti a un gruppo sociale, e in loro luogo: siano essi iscritti o meno. Solo così, in ipotesi, potrebbe ricorrere uno dei "casi espressamente previsti dalla legge" che dà luogo a una sostituzione processuale ai sensi del ricordato art. 81 cod. proc. civ. Ma una tale attribuzione, coerentemente con il pluralismo sindacale che deriva dalla libertà associativa e dalla libertà di iscrizione, non risulta prevista.E’per questo che un sindacato non ha in giudizio l’automatica rappresentanza istituzionale degli interessi della categoria ( vale a dire di tutti i lavoratori del settore ) , e l’interesse che può tutelare in giudizio non consiste in quello dei singoli suoi associati. Perciò non ha una legittimazione processuale come quella di cui si discute. Così, è stato rilevato che la lesione delle norme a tutela dei diritti sindacali non può essere oggetto di ricorso del sindacato, posto che l’interesse che legittima il gravame deve essere diretto e personale e deve avere ad oggetto un diritto soggettivo o un interesse legittimo;diversamente si avrebbe un ricorso a carattere popolare,spettante a qualsiasi soggetto,che è invece ammesso in via eccezionale solo in casi determinati ( Cons. Stato,I, 3 novembre 1999,n.983 ). Ed è stato altresì rilevato, che la legittimazione ad intervenire in giudizio di una organizzazione sindacale non può discendere dalla mera finalità statutaria di difesa dei suoi appartenenti,perché occorre che dalla controversia emergano specifici e concreti elementi lesivi di altrettanto specifici e concreti diritti e poteri rappresentativi riconosciuti iure proprio al sindacato ( Cons. Stato, IV , 9 novembre 1995,n. 898 ). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 3.6.2013, n. 3033)

 
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martedì 11 giugno 2013 21:57

Gli atti non provvedimentali non sono direttamente impugnabili, salvo allorquando assumono carattere di immediata lesività, come nel caso di pareri vincolanti negativi, che non lasciano all’interessato alcun dubbio sul contenuto e sull’esito della decisione finale

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I pareri sono da ritenersi atti endoprocedimentali, mentre la valenza lesiva deve attribuirsi soltanto al provvedimento, inteso come atto che costituisce, modifica o estingue posizioni soggettive. Nel caso di impugnativa di titolo edilizio a favore di altri, la valenza lesiva deve essere attribuita soltanto alla concessione, non sussistendo l’onere (ma solo eventualmente la facoltà) di abbracciare nell’impugnativa (che peraltro implicitamente li comprende quali atti presupposti) i pareri di tenore positivo. I pareri sono atti non provvedimentali, come tali valutativi e strumentali alla emanazione di un determinato provvedimento. Gli atti non provvedimentali non sono direttamente impugnabili, perché come tali insuscettibili di produrre effetti lesivi nelle situazioni giuridiche facenti capo a terzi. Fanno eccezione, caso che non rientra nella specie, gli atti endoprocedimentali allorquando assumono carattere di immediata lesività, come nel caso di pareri vincolanti negativi, che non lasciano all’interessato alcun dubbio sul contenuto e sull’esito della decisione finale (Cons. Stato, IV, 28 marzo 2012, n.1829; Consiglio Stato, sez. V, 2 aprile 2001, n. 1902). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.6.2013, n. 3184)

 
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Per stabilire se un atto sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile) o di conferma in senso proprio, occorre verificare se sia stato adottato (o non) senza nuova istruttoria e nuova ponderazione di interessi

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Allo scopo di stabilire se un atto amministrativo è meramente confermativo, e perciò non impugnabile, o di conferma in senso proprio e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini, occorre verificare se l'atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione di interessi. In particolare, non può considerarsi meramente confermativo rispetto a un atto precedente l'atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l'esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, come nella specie, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può dare luogo a un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dare vita a un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione. Ricorre, invece, l'atto meramente confermativo (di c.d. conferma impropria) quando l'Amministrazione, a fronte di un'istanza di riesame, si limita a dichiarare l'esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione. Al fine di stabilire se un atto sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile) o di conferma in senso proprio, occorre verificare se sia stato adottato (o non) senza nuova istruttoria e nuova ponderazione di interessi (Consiglio di Stato sez. V, 3 ottobre 2012, n. 5196; Consiglio di Stato sez. VI, 31 marzo 2011, n. 1983). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.6.2013, n. 3184)

 
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Allo scopo di stabilire se un atto amministrativo è meramente confermativo, e perciò non impugnabile, o di conferma in senso proprio e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini, occorre verificare se l'atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ... Continua a leggere

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Non è illegittimo il provvedimento conclusivo del procedimento adottato dall'Amministrazione oltre il termine di trenta giorni stabilito dall'art. 2 della L. n. 241/90

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Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato ha rilevato relativamente al termine per la conclusione del procedimento amministrativo che, è ben vero che – a norma dell’art. 2, comma 2, della legge n. 241 del 1990 – il procedimento amministrativo deve, di regola, concludersi entro trenta giorni dal suo avvio e che, nel caso di specie, tale termine risulta ampiamente oltrepassato (il dato non è contestato). Senonché, per giurisprudenza costante, il mancato rispetto di tale termine non produce l’illegittimità del provvedimento tardivo, per trattarsi di un termine che, non essendo indicato come perentorio, ha funzione solo acceleratoria, cosicché il ritardo nell’adottare il provvedimento non comporta decadenza della potestà amministrativa, né illegittimità del provvedimento conclusivo (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. VI, 1° dicembre 2010, n. 8371; Id., sez. IV, 12 giugno 2012, n. 2264). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.6.2013, n. 3172)

 
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martedì 11 giugno 2013 21:57

Il periodo di congedo straordinario è equiparato a quello in cui viene svolta attività lavorativa per l’amministrazione di appartenenza per tutti gli effetti giuridici ed economici

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In base al principio, recato dall’art. 2 l. n. 478/1984, il periodo di congedo straordinario è equiparato a quello in cui viene svolta attività lavorativa per l’amministrazione di appartenenza per tutti gli effetti giuridici ed economici (Cons. St. Sez. VI, 4.9.2007, n. 4628; 30.12.2005, n. 7590).La ratio della disposizione è da ricercarsi, come riconosciuto dallo stesso Tar, nella necessità di riservare un trattamento di favore al vincitore del corso di dottorato, per assicurare il godimento di un diritto costituzionalmente garantito, preservando le condizioni economiche derivanti dal trattamento goduto in costanza di lavoro nonché tutti i diritti di progressione in carriera , di previdenza e di quiescenza. E’, invero, facoltà dell’interessato optare per la borsa di studio – come previsto dal primo periodo dell’art. 2 – ovvero, in caso di ammissione a corsi di dottorato senza borsa di studio .o di rinuncia ad essa, conservare il trattamento economico in godimento presso l’amministrazione presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro- come previsto dal secondo periodo della stessa disposizione - dovendo in entrambi i casi essere garantiti i benefici di legge, sotto il profilo della progressione in carriera e della validità del periodo di dottorato ai fini previdenziali. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.6.2013, n. 3161)

 
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martedì 11 giugno 2013 21:57

Ricostruzione di carriera del pubblico dipendente: la decorrenza degli accessori è identica a quella dei singoli ratei stipendiali spettanti per le qualifiche ora per allora

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Sul diritto alla corresponsione alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali in caso di ricostruzione di carriera del pubblico dipendente, a seguito di giudicato amministrativo, vale il principio per cui la decorrenza degli accessori è identica a quella dei singoli ratei stipendiali – ovvero alle differenze rispetto a quelli percepiti - spettanti per le qualifiche ora per allora. Detti accessori vanno, pertanto, corrisposti secondo i principi espressi da Cons. Stato , Ad. Pl. 15 giugno 1998, n. 3 e da Cons. Stato Ad. Plen., 5 giugno 2012, n. 18, in corretta esecuzione del giudicato che ha riconosciuto il diritto alla ricostruzione della carriera giuridica ed economica (Cons. St. Sez. V, 31.12.2003, n. 9321; Sez. IV, 15.12.2003, n. 8221). (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.6.2013, n. 3159)

 
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martedì 11 giugno 2013 21:57

Avviato il censimento dei CED della P.A.

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L'Agenzia per l'Italia Digitale ha avviato il censimento dei Centri Elaborazione Dati (CED) delle pubbliche amministrazioni come previsto l’art. 33-septies "Consolidamento e razionalizzazione dei siti e delle infrastrutture digitali del Paese" del Decreto Legge n. 179 del 18 ottobre 2012, come convertito dalla Legge 221/2012. Precisa l'Agenzia che si tratta di un adempimento di particolare importanza per il futuro delle infrastrutture IT delle pubbliche amministrazioni. Sulla base del censimento, che raccoglierà varie informazioni di tipo geografico, logistico, tecnico e gestionale dei CED tramite un questionario online a disposizione della PA, AgID elaborerà le linee guida per la definizione del relativo piano triennale di razionalizzazione. Il piano, previa consultazione pubblica, sarà presentato entro il 30 settembre 2013 al Presidente del Consiglio dei ministri che, d'intesa con la Conferenza unificata, emanerà un decreto di adozione entro dicembre 2013. Operativamente la rilevazione è gestita dalla Fondazione Ugo Bordoni. Per scaricare il position paper con i contenuti e le modalità delle attività cliccare sul titolo sopra linkato. (Agenzia per l'Italia Digitale, comunicato del 6.6.2013)

 
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