News 10 Dicembre 2013 - Area Amministrativa
Precariato: pubblicata la circolare della Funzione Pubblica sugli indirizzi per favorire il superamento del precariato
La Corte di Conti ha registrato in data 4.12.2013 la circolare n° 5 del 21 novembre 2013, firmata dal ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione Gianpiero D'Alia, che fornisce i primi indirizzi alle pubbliche amministrazioni sulle misure volte a favorire il superamento del precariato, contenute nel nuovo decreto legge 101/2013 sul pubblico impiego divenuto legge. La circolare, disponibile sul sito del Dipartimento della Funzione Pubblica, fornisce indicazioni e chiarimenti sulle procedure di reclutamento di personale nelle Pa. "Il decreto - si legge nella premessa della circolare - si colloca nell'ambito delle misure necessarie e urgenti del Governo". Gli obiettivi - spiega il testo - sono "razionalizzare e ottimizzare i meccanismi assunzionali", "garantire gli standard operativi e i livelli di efficienza ed efficacia dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, valorizzando anche l'esperienza professionale maturata con contratti a tempo determinato" e "favorire la mobilità del personale in eccedenza". "Pur non potendo fornire una piena soluzione al problema, vista la difficile situazione della finanza pubblica e le conseguenti limitazioni in materia di assunzioni a tempo indeterminato - conclude la premessa - le previsioni normative forniscono efficaci strumenti d'intervento". Per accedere alla lettura della circolare cliccare su "Accedi al Provvedimento".
La Corte di Conti ha registrato in data 4.12.2013 la circolare n° 5 del 21 novembre 2013, firmata dal ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione Gianpiero D'Alia, che fornisce i primi indirizzi alle pubbliche amministrazioni sulle misure volte a favorire il superamento del precar ... Continua a leggere
La Bussola della Trasparenza premiata in Europa
Nel corso della conferenza finale dell'edizione EPSA 2013, (European Public Sector Award), la "Bussola della Trasparenza", è stata premiata tra le migliori e più innovative esperienze delle pubbliche amministrazioni europee. La Bussola della Trasparenza è lo strumento ideato dal Dipartimento dellaFunzione Pubblica per consentire a cittadini e pubbliche amministrazioni di verificare quanto è trasparente un sito web pubblico e di confrontarlo con i siti di altre PA attraverso grafici e statistiche.
Nel corso della conferenza finale dell'edizione EPSA 2013, (European Public Sector Award), la "Bussola della Trasparenza", è stata premiata tra le migliori e più innovative esperienze delle pubbliche amministrazioni europee. La Bussola della Trasparenza è lo strumento ideato dal Dipartimento della ... Continua a leggere
Anticorruzione: differito al 31 gennaio 2014 il termine per la pubblicazione dell'attestazione degli OIV
È differito al 31 gennaio 2014 il termine per la pubblicazione dell’attestazione degli OIV, o delle strutture analoghe, sull’assolvimento degli obblighi di pubblicazione relativi al 2013, prevista dalla delibera n. 50/2013. L’attestazione dovrà essere comunque effettuata con riferimento ai dati pubblicati al 31 dicembre 2013. Con apposita delibera di prossima pubblicazione sarà resa nota la struttura del documento di attestazione e della griglia di rilevazione per l’anno 2013 e saranno fornite indicazioni operative ulteriori sulla loro redazione e sulle modalità di trasmissione all’A.N.AC. Il documento di attestazione e la griglia di rilevazione dovranno essere pubblicati all’interno della sezione "Amministrazione trasparente", sotto-sezione di primo livello "Disposizioni generali", sotto-sezione di secondo livello "Attestazioni OIV o di struttura analoga" del proprio sito istituzionale.
È differito al 31 gennaio 2014 il termine per la pubblicazione dell’attestazione degli OIV, o delle strutture analoghe, sull’assolvimento degli obblighi di pubblicazione relativi al 2013, prevista dalla delibera n. 50/2013. L’attestazione dovrà essere comunque effettuata con riferimento ai dati pub ... Continua a leggere
Occupazione al Sud: firmato protocollo d'intesa per il rilancio dell'occupazione e dell'autoimprenditorialità tra Ministero del Lavoro e le Regioni del Sud
Il protocollo firmato dal Ministro del Lavoro e dalle quattro regioni meridionali, Sicilia-Calabria-Puglia-Campania, si prefigge di stimolare e rilanciare l'occupazione e promuovere altresì i processi di autoimprenditorialità, per aiutare concretamente i giovani ad inserirsi nel mercato del lavoro,nell'ottica del fondamentale raccordo con i territori, con l'utilizzo degli strumenti che si hanno già a disposizione nonchè con le risorse europee e nazionali che potranno disporsi a decorrere dal 1° gennaio 2014 e riconducibili al piano "garanzia giovani". Obiettivo primario è quindi quello di aumentare l'occupazione giovanile perseguendo il rafforzamento delle politiche attive del lavoro avvalendosi anche di una reale cooperazione tra pubblico e privato. Non di meno risulta determinante, al riguardo, intervenire urgentemente per rendere i Centri per l'Impiego pubblici maggiormente efficienti, monitorando e valutando costantemente performance e risultati raggiunti. Il coordinamento dell'attività scaturente da detto protocollo viene affidato ad una struttura di governance operativa attraverso Italia Lavoro che avrà sede presso il Ministero del Lavoro. Per maggiori informazioni cliccare su "Accedi al Provvedimento".
Il protocollo firmato dal Ministro del Lavoro e dalle quattro regioni meridionali, Sicilia-Calabria-Puglia-Campania, si prefigge di stimolare e rilanciare l'occupazione e promuovere altresì i processi di autoimprenditorialità, per aiutare concretamente i giovani ad inserirsi nel mercato del lavoro, ... Continua a leggere
Interventi per il contenimento della spesa pubblica: il vostro contributo alla spending review con la diffusione degli applicativi gratuiti del Governo "Amministrazione Trasparente" ed "Albo Pretorio on line"
nell'incontro tenutosi presso il MEF in data 04/12/2013 tra il Commissario Straordinario per la spending review Dott. Carlo Cottarelli ed il Prof. Avv. Enrico Michetti, sono stati presentati i risultati conseguiti nell'anno in corso in termini di riduzione della spesa pubblica dal progetto GazzettaAmministrativa della Repubblica Italiana. Da un punto di vista squisitamente economico, a seguito di un indagine di mercato, si e' peraltro evidenziato con riferimento ai soli costi minimi un risparmio per la spesa pubblica, per il 2013, pari a 56 milioni di euro. Una diffusione capillare, poi, sull'intero territorio nazionale, determinerebbe, sempre con riferimento ai soli costi minimi, un risparmio annuo a regime di circa 455 milioni di euro ai quali andranno aggiunti i risparmi derivanti dall'abbattimento dei costi del contenzioso amministrativo, contabile e tributario. Un ruolo rilevante in termini di contenimento della spesa pubblica è stato determinato dagli applicativi gratuiti (Albo Pretorio on line ed Amministrazione Trasparente) messi a disposizione dal Governo Italiano per il tramite della Gazzetta Amministrativa della Repubblica Italiana a tutti gli Enti gravati dalla vigente normativa. Gli applicativi di cui sopra potranno essere facilmente scaricati visitando la sezione Albo e Trasparenza. Gli applicativi MIPA peraltro, sono gli unici aggiornati in tempo reale con le modifiche normative e giurisprudenziali. Lo staff è a disposizione delle P.A. per l'immediata attivazione del servizio ai n. Tel. 06.3242351- 06.3242354 o mail servizi@gazzettaamministrativa.it, info@gazzettaamministrativa.it Invitiamo tutti i nostri utenti a contribuire all'abbattimento della spesa pubblica diffondendo e comunicando a tutte le Pubbliche Amministrazioni l'opportunità di poter usufruire gratuitamente dell'Amministrazione Trasparente e dell'Albo Pretorio on line.
nell'incontro tenutosi presso il MEF in data 04/12/2013 tra il Commissario Straordinario per la spending review Dott. Carlo Cottarelli ed il Prof. Avv. Enrico Michetti, sono stati presentati i risultati conseguiti nell'anno in corso in termini di riduzione della spesa pubblica dal progetto Gazzetta ... Continua a leggere
Digitalizzazione delle Pubbliche Amministrazioni: nuove norme in materia di protocollazione e conservazione dei documenti informatici
Aggiornano il quadro normativo per la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni. Il Ministro per la Pubblica Amministrazione e la semplificazione ha firmato due decreti adottati in attuazione di alcune disposizioni del Codice dell'amministrazione digitale, in materia di protocollazione e conservazione dei documenti informatici. I due decreti forniscono un importante supporto alla digitalizzazione dell'amministrazione pubblica che, pur adottando da tempo gli strumenti informatici, non ha ancora adeguato i suoi processi a modelli in grado di sfruttare in pieno le potenzialità dei nuovi mezzi. Gli schemi innovano e rendono più ampio il quadro delle regole tecniche vigenti in materia, aggiornando quelle sul protocollo informatico e la conservazione dei documenti elettronici, la cui introduzione risale, rispettivamente, all'ottobre del 2000 e al febbraio 2004. Con riferimento alle regole tecniche per il protocollo informatico viene modificato il DPCM 31 ottobre 2000 per adeguarlo al nuovo contesto normativo, che prevede la trasmissione dei documenti non solo mediante l'utilizzo della posta elettronica, ma anche attraverso la PEC o in cooperazione applicativa basata sul Sistema Pubblico di Connettività e sul Sistema Pubblico di Cooperazione. Apportando modifiche alla deliberazione CNIPA n. 11/2004 è stato inoltre introdotto il concetto di "sistema di conservazione", che assicura la conservazione a norma dei documenti elettronici e la disponibilità dei fascicoli informatici, stabilendo le regole, le procedure, le tecnologie e i modelli organizzativi da adottare per la gestione di tali processi.
Aggiornano il quadro normativo per la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni. Il Ministro per la Pubblica Amministrazione e la semplificazione ha firmato due decreti adottati in attuazione di alcune disposizioni del Codice dell'amministrazione digitale, in materia di protocollazione e con ... Continua a leggere
Pubblico Impiego: la validazione della Relazione sulla performance è condizione inderogabile per l’accesso agli strumenti per premiare il merito
L'Autorità Nazionale Anticorruzione con apposito comunicato evidenzia come l’art. 14, c. 6, del d.lgs. n. 150/2009 stabilisce che la validazione delle Relazione sulla performance è condizione inderogabile per l’accesso agli strumenti per premiare il merito di cui al Titolo III dello stesso decreto.Quanto alle modalità ed ai tempi per la validazione della Relazione sulla performance da parte dell’OIV, l'Autorità rinvia a quanto stabilito nella propria delibera n. 6/2012.
L'Autorità Nazionale Anticorruzione con apposito comunicato evidenzia come l’art. 14, c. 6, del d.lgs. n. 150/2009 stabilisce che la validazione delle Relazione sulla performance è condizione inderogabile per l’accesso agli strumenti per premiare il merito di cui al Titolo III dello stesso decreto. ... Continua a leggere
Occupazione giovanile: nuovo strumento del contest on-line per diffondere le iniziative sul programma Garanzia-Giovani
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, coadiuvato dall’Agenzia Tecnica Italia Lavoro, promuove una "gara sul web" per l’ideazione di strumenti da implementare nella "campagna di comunicazione" che accompagnerà l’attuazione del "programma Garanzia Giovani" (Youth Guarantee). Lo scopo della campagna straordinaria, sul Web, è quello di informare i giovani sulle misure che verranno attivate a sostegno dell’occupazione, tali da ispirare le categorie sociali interessate, per poter sfruttare le opportunità previste dal Piano Nazionale per la Garanzia Giovani, all’interno del contesto Europeo, che si concretizzerà a partire dal gennaio 2014, con lo scopo primario di favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Tale attività verrà realizzata con l’ausilio della piattaforma telematica "Zooppa. com", quale strart-up italiana che promuove la diffusione di sistemi di "intelligenza creativa collettiva", che fornirà lo spazio virtuale necessario alla partecipazione del più ampio numero possibile di giovani, per un progetto a loro rivolto e teso a diffondere idee e proposte creative. Per maggiori informazioni sulla gara di idee, i messaggi da esternare, le attività richieste e i premi, cliccare su "Accedi al Provvedimento".
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, coadiuvato dall’Agenzia Tecnica Italia Lavoro, promuove una "gara sul web" per l’ideazione di strumenti da implementare nella "campagna di comunicazione" che accompagnerà l’attuazione del "programma Garanzia Giovani" (Youth Guarantee). Lo scopo del ... Continua a leggere
Nuove opportunità per le Pubbliche Amministrazioni nel bando "Premio Nazioni Unite per la Pubblica Amministrazione - edizione 2014"
La Presidenza del Consiglio – Dipartimento Funzione Pubblica ha segnalato l’avviso del Dipartimento Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite inerente il bando di concorso per assegnare un premio per le pubbliche amministrazioni che sarà destinato a quattro diverse categorie di Istituzioni, ovvero: amministrazioni centrali, amministrazioni locali, università/scuole, organizzazioni non governative e associazioni professionali. L’intento è quello di premiare le istituzioni che contribuiscono a dare visibilità ad esperienze di buona amministrazione rinnovando i propri servizi resi a cittadini e imprese. Le candidature vanno inviate entro il 18 dicembre 2013 a mezzo del seguente link: http://www.unpan.org/applyunpsa2014
La Presidenza del Consiglio – Dipartimento Funzione Pubblica ha segnalato l’avviso del Dipartimento Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite inerente il bando di concorso per assegnare un premio per le pubbliche amministrazioni che sarà destinato a quattro diverse categorie di Istituzioni, ov ... Continua a leggere
Anticorruzione: vanno pubblicati on line i Codici di comportamento delle pubbliche amministrazioni
I codici di comportamento adottati dalle pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 54, comma 5, d.lgs. n. 165/2001, del Codice generale di cui al D.P.R. del 16 aprile 2013, n. 62 e nel rispetto delle Linee guida adottate dall’Autorità Anticorruzione con delibera n. 75/2013, dovranno essere pubblicati sui siti istituzionali delle rispettive amministrazioni. All’Autorità dovrà essere inviato esclusivamente il link alla pagina pubblicata.
I codici di comportamento adottati dalle pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 54, comma 5, d.lgs. n. 165/2001, del Codice generale di cui al D.P.R. del 16 aprile 2013, n. 62 e nel rispetto delle Linee guida adottate dall’Autorità Anticorruzione con delibera n. 75/2013, dovranno essere pubbl ... Continua a leggere
Procedure concorsuali: l’assimilazione al servizio di ruolo di quello pre-ruolo è possibile soltanto se sia prevista espressamente dal bando
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV
In base alla giurisprudenza l’assimilazione al servizio di ruolo di quello pre-ruolo in sede di procedura concorsuale è possibile soltanto laddove sia prevista in modo espresso (così Consiglio di Stato, VI, 19 ottobre 2009, n. 6384). La finalità per cui si richiede il requisito del servizio "effettivo di ruolo" per l’ammissione ad una procedura concorsuale è specifica e distinta da quella propria del riconoscimento del servizio pre-ruolo per la ridefinizione dello status giuridico ed economico del dipendente. Nella procedura concorsuale si persegue infatti lo scopo di stabilire i requisiti dei partecipanti, atti a garantirne la esperienza giudicata necessaria per il servizio che sono chiamati a svolgere ove vincitori, e se uno di questi requisiti è individuato nella prestazione di un periodo di servizio di ruolo è perché si intende impiegare personale che abbia acquisito tutte le qualificazioni richieste per il servizio di ruolo ed operato con la continuità e pienezza di impiego proprio di tale tipo di servizio. Del tutto distinto è invece lo scopo del riconoscimento del servizio pre-ruolo per la ricostruzione della carriera, che è fatto in sede e fasi diverse da quelle del procedimento concorsuale per l’accesso alla carriera, ex post nel corso di essa, al fine di assicurare che quel servizio non sia considerato inesistente nella definizione della anzianità giuridica ed economica del dipendente, essendo stato effettivamente prestato pur se non in posizione di ruolo. La regola del bando prevedeva soltanto (genericamente, senza alcuna altra specificazione o aggiunta) l’attribuzione di punti 1,5 per ciascun anno di servizio maturato in B3 e punti 1 per ciascun anno di servizio maturato in B2 e B1. In tale quadro ne consegue che l’assimilazione al servizio di ruolo di quello pre-ruolo quale requisito per l’ammissione a procedure concorsuali è possibile soltanto se prevista espressamente. Allo stesso modo, la assimilazione anche ai fini del punteggio da attribuire in sede di valutazione – oltre che ai fini dell’ammissione - è possibile solo se prevista espressamente; al contrario, nella specie, la regola fissata dal comunicato n. 5 del 29 marzo 2006 è che "i servizi non continuativi con il servizio a tempo indeterminato non sono valutabili"; il comunicato del 18 febbraio 2004 stabilisce che "la valutabilità della anzianità di servizio non di ruolo prestato è limitata all’ultimo periodo". Da tale insieme di regole non si può evincere una valutabilità del servizio pre-ruolo – definito non valutabile ai fini della anzianità – ai soli fini della esperienza professionale acquisita, come pretenderebbe l’appello sulla base dei ragionamenti sopra riportati, non essendovi alcuna regola espressa e specifica in tal senso, che, essa sola, riuscirebbe a supportare le pretese di parte appellante.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV
In base alla giurisprudenza l’assimilazione al servizio di ruolo di quello pre-ruolo in sede di procedura concorsuale è possibile soltanto laddove sia prevista in modo espresso (così Consiglio di Stato, VI, 19 ottobre 2009, n. 6384). La finalità per cui si richiede il requisito del servizio "effet ... Continua a leggere
Il Consiglio di Stato chiarisce le modalità di riammissione in servizio del dipendente pubblico sospeso obbligatoriamente in conseguenza della misura cautelare restrittiva della libertà personale e fissa le condizioni necessarie per la sospensione cautelare facoltativa prima del rinvio a giudizio del dipendente
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV
La controversia sottoposta all’esame del Consiglio di Stato riguarda la questione se l’Amministrazione, di fronte alla cessazione degli effetti di una misura interdittiva disposta dal Giudice penale, abbia l’obbligo di riammettere in servizio il dipendente immediatamente ed automaticamente, dal momento stesso della cessazione degli effetti di tale misura o se invece abbia la facoltà di decidere diversamente sia in ordine all’an che al quando. Al riguardo, occorre premettere che la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. St., sez. VI, 3 luglio 2006, n. 4244) ritiene che: - nel campo del pubblico impiego, la sospensione cautelare obbligatoria dal servizio è un atto dovuto da parte dell’amministrazione, in conseguenza di una misura cautelare restrittiva della libertà personale, che impedisce la prestazione dell’attività lavorativa e dunque interrompe il sinallagma; tale sospensione cautelare obbligatoria non cessa automaticamente quando cessa la misura cautelare penale, occorrendo un provvedimento di revoca (cfr. Cons. St., sez. VI, 30 aprile 2002, n. 2327; id., 24 maggio 1996, n. 732; id., 15 aprile 1996, n. 551; sez. IV, 18 gennaio 1996, n. 53; sez. IV, 15 maggio 1995, n. 335); ciò in quanto l’amministrazione non è in grado di conoscere la data della cessazione della misura cautelare penale, essendo pertanto onere del dipendente che aspiri ad essere riammesso in servizio, cooperare con l’amministrazione, notiziandola del venir meno dell’impedimento alla riattivazione del rapporto di lavoro (cfr. Cons. St., sez. VI, 30 aprile 2002, n. 2327); - l’amministrazione è tenuta a revocare la sospensione cautelare obbligatoria disposta nei confronti di un dipendente con decorrenza dalla data in cui ha notizia della cessazione della misura cautelare penale, e dunque del venire meno dell’impedimento allo svolgimento del sinallagma; dalla data di conoscenza della cessazione della misura cautelare penale, decorre anche il termine entro cui l’amministrazione deve valutare se riammettere il dipendente in servizio, ovvero applicare la sospensione cautelare facoltativa (cfr. Cons. St., sez. VI, 30 aprile 2002, n. 2327, secondo cui l’amministrazione ha la facoltà, a seguito della revoca della sospensione cautelare obbligatoria, di valutare se debba disporsi la sospensione cautelare facoltativa, ove siano ritenute sussistenti ragioni di pubblico interesse, ostative alla ripresa del servizio); - per disporre la sospensione cautelare facoltativa del dipendente pubblico in pendenza di indagini penali, non è necessario che vi sia stato il rinvio a giudizio del dipendente medesimo, essendo sufficiente che siano in corso le indagini penali preliminari, e che il dipendente sia stato già sottoposto a misura cautelare restrittiva della libertà personale, successivamente cessata (cfr. Cons. St., sez. V, 16 giugno 2005, n. 3165; Cons. St., sez. VI, 27 gennaio 2003, n. 398; id., 17 marzo 2000, n. 1439; id., 10 marzo 1999, n. 249; Cons. St., sez. IV, 18 giugno 1998, n. 959; id., 18 giugno 1998, n. 953; C.G.A.R.S., 8 maggio 1997, n. 88; Cons. St., sez. II, 17 gennaio 1996, n. 878; Cons. St., sez. VI, 5 giugno 1995, n. 419; id., 29 luglio 1995, n. 579; id., 23 giugno 1995, n. 617); - le condizioni necessarie per la sospensione cautelare facoltativa prima del rinvio a giudizio del dipendente sono: a) che siano pendenti indagini penali preliminari; b) che il dipendente sia stato già sottoposto a misura cautelare restrittiva della libertà personale, poi cessata; c) che i fatti su cui pendono le indagini penali preliminari siano direttamente attinenti al rapporto di lavoro o siano tali da comportare, se accertati, l’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso; - la valutazione dell’amministrazione, in materia di sospensione cautelare facoltativa del dipendente pubblico, costituisce una tipica manifestazione del suo potere discrezionale, sindacabile dal giudice amministrativo solo ove risulti manifestamente irragionevole e non comporta la necessità di esporre le ragioni per le quali i fatti contestati al dipendente devono considerarsi particolarmente gravi, potendo tale giudizio essere implicito nella gravità del reato a lui imputato, nella posizione d’impiego rivestita dal dipendente, nella commissione del reato in occasione o a causa del servizio, con la conseguente impossibilità di consentirne la prosecuzione (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 334/2001; C.G.A.R.S., 7 dicembre 2000, n. 487; Cons. St., sez. IV, n. 3157/2000; id., n. 953/1998; id., n. 959/1998 e sez. V, n. 579/1995). Tanto premesso, nella specie il ricorrente, sospeso obbligatoriamente dal servizio dal 21.11.1993 al 22.12.1993, e nuovamente sospeso, per effetto di misura interdittiva disposta dal giudice penale, dal 22.12.1993 al 22.2.1994, e dal 21.3.1994 al 21.5.1994, ha reclamato il trattamento economico per i due periodi (dal 23.2.1994 al 20.3.1994 e dal 24.5.1994 al 19.1.1995) non coperti dai provvedimenti di sospensione dal servizio. Ciò in quanto detti periodi si collocano, il primo tra la data di presentazione dell’istanza di riammissione in servizio e quella di applicazione della misura interdittiva disposta dal G.I.P., il secondo tra la data di presentazione della nuova istanza di riammissione e il giorno precedente a quello di riassunzione in servizio. Il decreto ministeriale 30 novembre 1994 n. 66235 (annullato dal T.A.R.), considerato che il ricorre te non ha assunto la veste di imputato e ritenuto di dover procedere alla riammissione in servizio, ha revocato la sospensione obbligatoria dal servizio disposta con i DD.MM. n. 71770 e n. 50603 rispettivamente del 23.11.1993 e 5.5.1994 ed ha disposto la corresponsione del trattamento economico - con conseguente revoca dell’assegno alimentare - a decorrere dalla data di riammissione in servizio, mentre non ha disposto alcunché in relazione ai due periodi che si collocano al di fuori dell’efficacia temporale dei provvedimenti di sospensione dal servizio. Alla luce dei principi esposti dalla summenzionata giurisprudenza deve ritenersi, da un lato, che il diritto alla percezione dell’intero trattamento economico è correlato all’effettivo ripristino del sinallagma e, cioè, può essere configurato solo a decorrere dall’effettiva ripresa del servizio, e, dall’altro, che al dipendente può spettare un risarcimento per la tardiva ripresa del servizio solo nel caso in cui il ritardo sia colpevolmente ascrivibile alla condotta dell’amministrazione.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV
La controversia sottoposta all’esame del Consiglio di Stato riguarda la questione se l’Amministrazione, di fronte alla cessazione degli effetti di una misura interdittiva disposta dal Giudice penale, abbia l’obbligo di riammettere in servizio il dipendente immediatamente ed automaticamente, dal mom ... Continua a leggere
Giudizio di ottemperanza: la verifica dell'azione amministrativa è ancorata al criterio di adeguatezza del nuovo provvedimento in relazione ai principi ed ai comandi concretamente contenuti nella decisione da eseguire
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV
Nell'ambito del giudizio di ottemperanza, la giurisdizione è sempre estesa "al merito" a norma dell'art. 7 sesto comma, dell’art. 34, primo co. lett. d) e 134, primo comma lett. a) del c.p.a. . In tali casi, la verifica dell'azione amministrativa è ancorata al criterio di adeguatezza del nuovo provvedimento in relazione ai principi ed ai comandi concretamente contenuti nella decisione da eseguire. In caso di ulteriore, persistente e grave inottemperanza il giudice può ricorrere ai poteri sostitutivi previsti alla legge. Se così non fosse, la tutela giurisdizionale amministrativa si ridurrebbe ad un mero, ed inutile, "flatus vocis" in palese violazione dei principi generali in materia di effettività della tutela giurisdizionale dell’ordinamento nazionale e internazionale, di cui agli artt. 24 comma 1, 103, comma 1, e 113 della Costituzione ed agli artt 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV n. 10 giugno 2013 n.3185). In tale prospettiva, anche l’orientamento (cfr. Cassazione civile sez. un. 19 gennaio 2012, n. 736), secondo il quale le decisioni di legittimità del Consiglio di Stato sono comunque soggette al sindacato delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per violazione dei limiti esterni della giurisdizione, non concerne la presente sede. Il giudizio di ottemperanza non può risolversi in una generalizzata nullificazione della portata stessa della decisione amministrativa, e non può menomare il diritto del ricorrente vittorioso di conseguire concretamente il bene della vita riconosciutogli nella sentenza. Ciò perché i rapporti con l'area riservata all'amministrazione sono già stati implicitamente risolti dalla decisione da eseguire e costituiscono -- sia per l’amministrazione che per lo stesso giudice dell'ottemperanza -- elementi irretrattabili. L'amministrazione nell’eseguire una sentenza di legittimità certamente può far luogo alla definizione della fattispecie che più ritiene congrua per l'interesse pubblico affidato alle sue cure, ma ciò solo nell’alveo delle prescrizioni, di natura conformativa, derivanti dall'impianto motivazionale del giudicato.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV
Nell'ambito del giudizio di ottemperanza, la giurisdizione è sempre estesa "al merito" a norma dell'art. 7 sesto comma, dell’art. 34, primo co. lett. d) e 134, primo comma lett. a) del c.p.a. . In tali casi, la verifica dell'azione amministrativa è ancorata al criterio di adeguatezza del nuovo pro ... Continua a leggere
Spese giudiziali: i "giusti motivi" che consentono al giudice la compensazione delle spese di giudizio
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI
In base a un consolidato orientamento nel processo amministrativo il giudice ha ampi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali ovvero per escluderla, con il solo limite che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio. Tale discrezionalità è sindacabile in sede di appello nei limiti in cui la statuizione sulle spese possa ritenersi illogica o comunque errata, alla stregua dell'eventuale motivazione adottata, ovvero tenendo conto da un lato, in punto di diritto, del principio in base al quale, di regola, le spese seguono la soccombenza e dall'altro, in punto di fatto, della vicenda e delle circostanze emergenti dal giudizio (sul punto –ex plurimis -: Cons. Stato, IV, 9 ottobre 2012, n. 5253). La giurisprudenza di questo Consiglio ha, altresì, chiarito che i ‘giusti motivi’, in base ai quali il giudice dispone la compensazione tra le parti in causa delle spese del giudizio in deroga al criterio generale della soccombenza fissati dall'art. 92, c.p.c., richiamato dall'art. 26, c.p.a., anche se non puntualmente specificati, debbano quanto meno essere desumibili dal contesto della decisione (in tal senso –ex plurimis -: Cons. Stato, IV, 28 novembre 2012, n. 6023).
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI
In base a un consolidato orientamento nel processo amministrativo il giudice ha ampi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali ovvero per escluderla, con il solo limite che non può condannare all ... Continua a leggere
Azione contro il silenzio: la trattazione della domanda risarcitoria nelle forme del giudizio ordinario costituisce una facoltà discrezionale del giudice adito
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V
Dalla formulazione letterale dell’art. 117, comma 6, cod. proc. amm. emerge che la trattazione della domanda risarcitoria connessa all’azione avverso il silenzio nelle forme del giudizio ordinario costituisce una facoltà discrezionale del giudice adito. Ciò si ricava ad avviso del Consiglio di Stato in particolare dall’impiego del verbo servile "può", il quale regge sintatticamente tanto la proposizione relativa alla definizione della domanda avverso il silenzio quanto quella successiva, concernente la conversione del giudizio nel rito ordinario per la trattazione della domanda risarcitoria. Non altrimenti si spiega il ricorso a tale verbo, essendo evidente che, laddove avesse inteso formulare una prescrizione vincolante per il giudice, il legislatore avrebbe impiegato l’indicativo: "definisce con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e tratta con il rito ordinario la domanda risarcitoria". L’argomento letterale è corroborato da due ordini di considerazioni, una di carattere logico, l’altra di tipo sistematico. Sotto il primo profilo, a ben guardare, la facoltà cui la norma allude è proprio quella concernente il rito con cui trattare la domanda risarcitoria. Infatti, l’azione contro il silenzio deve necessariamente essere trattata e decisa nelle forme del giudizio in camera di consiglio ai sensi dell’art. 87, comma 2, lett. b), cod. proc. amm., visto il principio di indisponibilità da parte del giudice e delle parti delle norme disciplinano le forme del procedimento con cui trattare una domanda (in questo senso cfr. Ad. plen. 4 giugno 2011, n. 10 e 9 agosto 2012, n. 32). Per contro, nessuna norma del codice del processo amministrativo impone un rito per la trattazione delle domande risarcitorie. Pertanto, posto che queste ultime sono conosciute dal giudice amministrativo unicamente in via consequenziale, esse seguono il rito della domanda principale, se proposte cumulativamente a quest’ultima mentre, laddove siano azionate in via autonoma, in virtù di quanto prevede l’art. 7, comma 4, cod. proc. amm., esse seguono il rito ordinario, non rientrando in alcuna delle tassative ipotesi in cui il citato art. 87, comma 2, prevede invece il giudizio in camera di consiglio. Il che, se comporta la generale possibilità di una loro definizione in esito all’udienza camerale fissata per la trattazione della domanda cautelare, in virtù del disposto dell’art. 60 cod. proc. amm., non si vede perché questa possibilità debba essere negata nel giudizio avverso il silenzio. Sul piano sistematico, quest’ultima disposizione, nonché l’art. 74 cod. proc. amm., postulano che il giudice abbia un potere di apprezzamento in ordine al grado di completezza dell’istruttoria ed alla conseguente superfluità dell’ulteriore svolgimento del giudizio (come del resto è previsto in sede processuale civile, all’esito delle memorie di precisazione delle domande ed istruttorie ex art. 183, comma 6, cod. proc. civ.). Di questo potere costituisce allora puntuale applicazione al rito sul silenzio il comma 6 dell’art. 117 cod. proc. amm. in esame, il quale è dunque strutturato in termini di facoltà di conversione del rito e non già di obbligo in tal senso.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V
Dalla formulazione letterale dell’art. 117, comma 6, cod. proc. amm. emerge che la trattazione della domanda risarcitoria connessa all’azione avverso il silenzio nelle forme del giudizio ordinario costituisce una facoltà discrezionale del giudice adito. Ciò si ricava ad avviso del Consiglio di Sta ... Continua a leggere
Pubblico impiego: gli elementi rilevatori dell’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente per la giurisprudenza amministrativa
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è constante nel ritenere che «in tema di qualificazione di un rapporto di lavoro come subordinato o autonomo, gli indici sostanziali che possono considerarsi rivelatori di un vero e proprio rapporto di pubblico impiego consistono nella natura pubblica dell’ente datore di lavoro, nella diretta correlazione dell’attività lavorativa prestata con i fini istituzionali perseguiti, nell’effettivo inserimento del lavoratore nell’organizzazione dell’ente, nell’orario predeterminato e assoggettato a controllo, nella retribuzione prefissata e a cadenza mensile, nel carattere continuativo, professionale e in via prevalente, se non esclusiva, delle prestazioni lavorative effettuate» (tra gli altri, Cons. Stato, sez. V, 5 novembre 2012, n. 5594; id.,18 aprile 2012, n. 2249). La stessa giurisprudenza ha affermato che «in relazione agli indici rivelatori del rapporto di pubblico impiego incombe su chi ne invoca la sussistenza l’onere di dimostrare i relativi principi di prova» (Cons. Stato, sez. V, n. 5594 del 2012, cit.; id., sez. VI, 6 giugno 2008, n. 2718). Nella fattispecie in esame tale prova non è stata fornita, in quanto l’appellante, come risulta dalla stessa lettura dei motivi di gravame, si è limitato a generiche asserzioni, con richiami indeterminati a dichiarazioni rese dalle parti. Ma anche qualora si volesse ritenere che l’appellante, mediante il materiale probatorio acquisito al processo, abbia assolto all’onere di provare i fatti dedotti, ugualmente la domanda sarebbe infondata per inidoneità dei fatti stessi addotti ad assurgere al rango di elementi rilevatori dell’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente. Ciò in quanto: a) con riferimento al potere disciplinare, i fatti rilevanti sono quelli in grado di dimostrare l’esistenza di un controllo del datore lavoro «del tutto equivalente a quello esercitato sui propri dipendenti (es.: timbratura, strumenti di rilevazione dell’orario» e non, come nella specie, quelli riferibili a forme generiche di controllo; b) con riferimento agli orari di lavoro, gli stessi devono essere predeterminati e fissi e non, come nella specie, di natura variabile; c) con riferimento alla retribuzione, la stessa deve essere predefinita e a cadenza mensile e non, come nella specie, dipendente dal lavoro effettivamente prestato e corrisposto non dall’amministrazione ma direttamente dagli assistiti (la simulazione delle modalità di pagamento non è stata anch’essa provata). Nessuna censura è stata rivolta nei confronti del capo della sentenza che ha ritenuto non provata l’esclusività del rapporto di lavoro.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è constante nel ritenere che «in tema di qualificazione di un rapporto di lavoro come subordinato o autonomo, gli indici sostanziali che possono considerarsi rivelatori di un vero e proprio rapporto di pubblico impiego consistono nella natura pubblica dell’e ... Continua a leggere
Il verbale redatto dagli ispettori del lavoro ai sensi del d.lgs. n. 758 del 1994 non è un atto amministrativo e non può essere impugnato davanti al giudice amministrativo
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI
Osserva il Consiglio di Stato nella sentenza in esame che in base ad un orientamento giurisprudenziale "l'atto con cui il funzionario ispettivo, nella sua qualità di ufficiale di polizia giudiziaria, accerta, ai sensi dell'art. 20 del d.lgs. n. 758 del 1994, la fattispecie contravvenzionale e contestualmente dispone prescrizioni all'impresa datrice di lavoro, fissando un termine per l'eliminazione delle irregolarità, non è annoverabile tra i provvedimenti amministrativi, dovendosi ad esso attribuire, invece, natura di atto di polizia giudiziaria, rispetto al quale il giudice amministrativo difetta di giurisdizione" (Cons. di Stato, Sez. VI, 31 ottobre 2011, n. 5821). Inoltre identico orientamento giurisprudenziale è stato assunto - in materia di sicurezza ed igiene del lavoro - anche dalla Corte di Cassazione che, recentemente, ha statuito che " la prescrizione di regolarizzazione impartita dall'organo di vigilanza ex art. 20 del d.lgs. n. 758 del 1994, richiamato dall'art. 15 del d.lgs. n. 124 del 2004, non è un provvedimento amministrativo, ma un atto tipico di polizia giudiziaria, non connotato da alcuna discrezionalità, neppure tecnica, ed emesso sotto la direzione funzionale dell'autorità giudiziaria ex art. 55 c.p.p.. Ne consegue che il relativo verbale non può essere impugnato davanti al giudice amministrativo, restando ogni questione devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario penale, presso il quale ogni doglianza può essere fatta valere nel procedimento conseguente all'eventuale inottemperanza della prescrizione" (Cass. Civ. Sez. Unite, 9 marzo 2012, n. 3694). Da quanto precede deriva, dunque, che il provvedimento impugnato nel presente giudizio, emanato ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. n. 124 del 2004 che richiama l'art 20 del d.lgs. n. 758 del 1994, non può essere qualificato come atto amministrativo, in quanto adottato dall’ispettore del lavoro nella sua funzione di ufficiale di polizia giudiziaria nel corso degli accertamenti dal medesimo effettuati dai quali sono emerse fattispecie configuranti ipotesi di reato, la cui fondatezza dovrà essere successivamente verificata dalla competente autorità giudiziaria.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI
Osserva il Consiglio di Stato nella sentenza in esame che in base ad un orientamento giurisprudenziale "l'atto con cui il funzionario ispettivo, nella sua qualità di ufficiale di polizia giudiziaria, accerta, ai sensi dell'art. 20 del d.lgs. n. 758 del 1994, la fattispecie contravvenzionale e conte ... Continua a leggere
La notificazione da parte dell'amministrazione dell'atto, senza timbro e firma, in copia non autentica e' una mera irregolarità
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI
Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha ribadito le conclusioni della sentenza appellata per quanto riguarda la prospettata nullità dell’atto, notificato senza timbro e firma, in copia non autenticata, nonché in forma di determinazione e non di decreto, affermando che debbono considerarsimere irregolarità non vizianti sia il nomen iuris, formalmente impresso al provvedimento (quando risultino corretti, come nel caso di specie, i contenuti ed i presupposti normativi dell’atto, nonché la competenza dell’Autorità emanante), sia la notifica del provvedimento stesso in mera copia non autenticata e priva di firma, ove il testo trasmesso sia conforme, con validi effetti comunicativi, a un provvedimento legittimamente emanato e regolarmente sottoscritto, che l’Amministrazione ha poi depositato agli atti del giudizio (cfr. fra le tante, per il principio: Cons. Stato, V, 29 dicembre 2009, n. 8916, 28 dicembre 2011, n. 6936 e 17 gennaio 2013, n. 263).
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI
Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha ribadito le conclusioni della sentenza appellata per quanto riguarda la prospettata nullità dell’atto, notificato senza timbro e firma, in copia non autenticata, nonché in forma di determinazione e non di decreto, affermando che debbono considerarsim ... Continua a leggere
Lavoratori socialmente utili: l'art. 45, comma 8, della legge n. 144 del 1999 non garantisce l'automatica "stabilizzazione" dei lavoratori socialmente utili, ma solo un percorso riservato per l’accesso al pubblico impiego
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI
Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame dichiara di condividere quanto affermato dal primo giudice sulla insussistenza del diritto dei lavoratori socialmente utili all’assunzione nelle pubbliche amministrazioni di cui si tratta, essendo prevista la riserva dei posti a loro favore al fine della partecipazione ad un avviamento a selezione, come peraltro già chiarito in giurisprudenza affermandosi che "E’ vero in diritto…che i ricorrenti, lavoratori socialmente utili, avevano diritto, L. 17 maggio 1999, n. 144, ex art. 45, comma 8, all’avviamento a selezione L. 28 febbraio 1987, n. 56, ex art. 16 per la quota riservata (30% dei posti). Il cit. art. 45, comma 8, prevede infatti che, in favore dei lavoratori impegnati in lavori socialmente utili assoggettati alla disciplina di cui al D.Lgs. 1 dicembre 1997, n. 468, art. 12 e’ riservata una quota del 30 per cento dei posti da ricoprire mediante avviamenti a selezione di cui all’art. 16 cit.. Questo è sì un diritto soggettivo, ma ha ad oggetto non già direttamente l’assunzione, bensì la partecipazione ad un "avviamento a selezione" con chiamata nominativa in vista di un inquadramento nei livelli retributivo - funzionali per i quali non e’ richiesto il titolo di studio superiore a quello della scuola dell’obbligo. Quindi in generale i lavoratori socialmente utili hanno diritto ad essere richiesti dalle amministrazioni pubbliche con chiamata nominativa, nel rispetto dell’art. 16 cit. (e in particolare della graduatoria circoscrizionale), per essere sottoposti a selezione (tale e’ appunto l’avviamento a selezione) al fine di verificare, tra l’altro, il possesso dei requisiti per l’accesso al pubblico impiego; e ciò anche se in ipotesi i lavoratori socialmente utili iscritti nell’elenco della circoscrizione fossero in numero inferiore ai posti riservati. Insomma l’art. 45, comma 8, non garantisce la automatica "stabilizzazione" dei lavoratori socialmente utili, ma solo un percorso riservato per l’accesso al pubblico impiego. Ove la pubblica amministrazione, obbligata alla chiamata, frapponga ostacoli - come nella specie non facendo la chiamata a selezione ex art. 16 per i posti riservati ma mettendoli tutti a concorso - i lavoratori socialmente utili non hanno diritto per cio’ solo alla costituzione del rapporto di pubblico impiego." (Cass. civ. 25 novembre 2010, n. 23928). Così come è da condividere, in coerenza con tale quadro, l’ulteriore asserzione del primo giudice per cui nella normativa di disciplina della fattispecie risulta posta la sussistenza di vacanze in organico quale condizione preliminare per l’attivazione del procedimento di applicazione della riserva, tramite l’avvio a selezione della prevista quota del 30 per cento, essendo riferita la quota ai "posti da ricoprire" (art. 45, comma 8, della legge n. 144 del 1999), sussistendo inoltre la condizione anche prevista dal citato art. 587 del d.lgs. n. 297 del 1994.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI
Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame dichiara di condividere quanto affermato dal primo giudice sulla insussistenza del diritto dei lavoratori socialmente utili all’assunzione nelle pubbliche amministrazioni di cui si tratta, essendo prevista la riserva dei posti a loro favore al fine dell ... Continua a leggere
Ai fini della validità della procura rilasciata su foglio separato è sufficiente che essa sia stata notificata unitamente all'atto cui accede
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV
Secondo una giurisprudenza consolidata ai fini della validità della procura rilasciata su foglio separato è sufficiente che essa sia stata notificata unitamente all'atto cui accede, in quanto la collocazione della procura, anche se contenuta in foglio separato, è idonea a conferire la certezza circa la provenienza dalla parte del potere di rappresentanza e a dar luogo alla presunzione di riferibilità della procura al giudizio cui l'atto stesso fa riferimento (cfr. Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 2008, n. 5033; Cons. Stato, sez. V, 12 dicembre 2009, n. 7792).
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV
Secondo una giurisprudenza consolidata ai fini della validità della procura rilasciata su foglio separato è sufficiente che essa sia stata notificata unitamente all'atto cui accede, in quanto la collocazione della procura, anche se contenuta in foglio separato, è idonea a conferire la certezza circ ... Continua a leggere
Enti Locali: la revoca del Presidente del Consiglio Comunale non può prescindere da fatti specifici inerenti la carica, ancorché gli stessi non siano commessi nell’esercizio delle funzioni presidenziali, e dalla conseguente valutazione che i componenti dell’organo da tali fatti traggono in ordine alla persistente validità dell’iniziale investitura
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V
L’art. 39 t.u.e.l. attribuisce al presidente del consiglio comunale poteri direttivi, di iniziativa ed impulso necessari al funzionamento degli organi collegiali. Il comma 1 prevede che al titolare di detto ufficio spetta la convocazione e direzione dei lavori e delle attività del consiglio; il successivo comma 4 gli demanda l’obbligo di assicurare che sulle questioni sottoposte al consiglio siano preventivamente ed adeguatamente informati i componenti dell’organo. Si tratta dunque di attribuzioni di carattere necessario, visto che il citato comma 1 dell’art. 39 contempla anche la figura del vicario, e che non si esauriscono sul piano interorganico dei rapporti e delle relazioni interne al consiglio, tant’è vero che il comma 5 del suddetto art. 39 prevede che in caso di mancata convocazione possa provvedervi il Prefetto. In linea con questa disciplina normativa, la dottrina e la giurisprudenza della Quinta Sezione del Consiglio di Stato sono concordi nell’annettere alla figura del presidente rilievo istituzionale. In particolare, la giurisprudenza della Sezione, parte della quale richiamata anche nella delibera di revoca qui impugnata, ha affermato che: - la funzione del Presidente del Consiglio comunale è di carattere istituzionale e non politica, per cui la sua revoca non può che essere causata dal cattivo esercizio di tale funzione, tale da comprometterne la neutralità, non potendo essere motivata sulla base di una valutazione fiduciaria di tipo strettamente politico (sentenza 25 novembre 1999, n. 1983); - nel solco di questa pronuncia, in una successiva decisione si è affermato che la figura del presidente dell’organo consiliare è posta dall’ordinamento degli enti locali a garanzia del corretto funzionamento di detto organo e della corretta dialettica tra maggioranza e minoranza, per cui la revoca "non può essere causata che dal cattivo esercizio della funzione, in quanto ne sia viziata la neutralità, e dev’essere motivata perciò con esclusivo riferimento a tale parametro e non ad un rapporto di fiduciarietà politica" (sentenza 6 giugno 2002, n. 3187); - segue il precedente richiamato dal TAR (sentenza 4 marzo 2004, n. 1042), in cui si è data una maggiore portata al novero delle valutazioni fondanti la revoca, giungendosi ad affermare che essa esprime valutazioni di carattere "latamente politico", in funzione di ricomporre "l’ordinato assetto dei rapporti istituzionali tra gli organi di indirizzo politico-amministrativo del comune", ogniqualvolta questo "risulta alterato il ruolo di garante imparziale assegnato dal presidente"; - vi sono anche pronunce maggiormente restrittive, che circoscrivono i motivi fondanti la revoca alle sole violazioni commesse nell’esercizio di funzioni inerenti alla carica di presidente del consiglio comunale (sentenza 20 ottobre 2004, n. 6838); - quindi, la Sezione ha precisato che possono costituire ragioni legittimamente fondanti la revoca in questione tutti quei comportamenti, tenuti o meno all’interno dell’organo, i quali, costituendo violazione degli obblighi di neutralità ed imparzialità inerenti all’ufficio, sono idonei a fare venire meno il rapporto fiduciario alla base dell’originaria elezione del presidente (sentenza 18 gennaio 2006, n. 114). A conclusione di questo excursus, il Consiglio di Stato di Stato nella sentenza in esame ricava una regola di carattere generale, che la Sezione ha costantemente affermato, dando luogo ad un indirizzo ormai consolidato. Detta regola muove dall’incontestabile rilievo istituzionale della funzione di presidente del consiglio, trascendente gli equilibri politici, che pure ne fondano la costituzione attraverso l’elezione in seno all’organo consiliare, di garante del regolare funzionamento di quest’ultimo e dell’ordinato svolgersi della dialettica tra le forze politiche in esso presenti. Altrettanto pacifico è che sia l’elezione a presidente del consiglio comunale che la relativa revoca esprimono una scelta fiduciaria delle forze politiche rappresentate nell’organo consiliare, con la quale queste, rispettivamente, convergono verso una personalità in grado di rispondere alle suddette necessità istituzionali o, al contrario, manifestano il ripensamento di quella scelta iniziale. Sulla base di questa premessa la Sezione ha quindi affermato il principio secondo cui la revoca (come del resto l’elezione) trae origine da apprezzamenti di carattere politico e tuttavia non esprime una scelta libera nei fini, dovendo comunque sempre porsi nel solco del perseguimento delle finalità normative, non disponibili dai componenti del consiglio e dalle forze in esso presenti, di garantire la continuità della funzione di indirizzo politico-amministrativo dell’ente comunale. In questa prospettiva si sono quindi ricostruiti i tratti sostanziali dell’atto di revoca del presidente del consiglio comunale ed i relativi ambiti entro i quali può muoversi il sindacato di legittimità del giudice amministrativo nei suoi confronti. A differenza dell’elezione, che costituisce un atto favorevole e viene emessa in assenza di qualsiasi verifica sull’operato del titolare dell’ufficio presidenziale, la revoca, al contrario, non può prescindere da fatti specifici inerenti la carica, ancorché gli stessi non siano commessi nell’esercizio delle funzioni presidenziali, e dalla conseguente valutazione che i componenti dell’organo da tali fatti traggono in ordine alla persistente validità dell’iniziale investitura. Sotto questo profilo, la Sezione ha esercitato il proprio sindacato sugli atti di revoca in questione, apprezzandone la congruenza rispetto al suddetto fine, attraverso l’esame delle tipiche figure sintomatiche dell’eccesso di potere, quali in particolare la carenza di motivazione, il travisamento dei fatti, la contraddittorietà tra fatti e decisione, l’ingiustizia ed illogicità di quest’ultima. Si è così chiarito che il giudice amministrativo è chiamato ad un duplice ordine di verifiche, e cioè: in primo luogo, ad accertare l’effettiva sussistenza dei fatti, affinché la revoca non si fondi su presupposti inesistenti o non adeguatamente esternati nel provvedimento; ed in secondo luogo, ad apprezzare la non arbitrarietà e plausibilità della valutazione politica in forza della quale l’organo consiliare ritiene che i suddetti fatti influiscano negativamente sull’idoneità a ricoprire la funzione. Quest’ultimo apprezzamento, come peraltro si è avuto modo di specificare nei ricordati precedenti, non può che arrestarsi ad una verifica meramente estrinseca, limitata cioè al piano dell’evidente irragionevolezza ed ingiustizia della decisione, pena altrimenti lo sconfinamento del sindacato giurisdizionale in ambiti riservati ad opinabili, ma non per questo illegittime, valutazioni politico-discrezionali................Infatti, si tratta nel complesso di giudizi di critica politica che, se ammissibili per i singoli consiglieri, perché complessivamente riconducibili alle prerogative di controllo politico sull’amministrazione di detto ufficio (art. 43 t.u.e.l.), sono altrettanto evidentemente preclusi al rappresentante istituzionale dell’organo di indirizzo politico-amministrativo. Come ampiamente visto sopra attraverso i richiami ai precedenti di questa Sezione in materia, quest’ultimo deve rimanere estraneo alla contesa politica, sia nell’esercizio della funzione presidenziale che quale esponente di un partito politico presente in consiglio, altrimenti venendo meno quelle esigenze di tutela della stabilità della carica istituzionale rispetto a possibili arbitri delle altre forze partitiche.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V
L’art. 39 t.u.e.l. attribuisce al presidente del consiglio comunale poteri direttivi, di iniziativa ed impulso necessari al funzionamento degli organi collegiali. Il comma 1 prevede che al titolare di detto ufficio spetta la convocazione e direzione dei lavori e delle attività del consiglio; il suc ... Continua a leggere
E' improcedibile il ricorso proposto contro gli atti iniziali o intermedi di un procedimento in mancanza dell'impugnazione dell'atto finale la cui adozione implica nuove ed ulteriori valutazioni d'interessi
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza in esame osserva, (in tal senso, tra tante, Consiglio Stato sez. IV, 6 novembre 2008, n. 5507) che quando l'atto finale, pur partecipando della medesima sequenza procedimentale in cui si colloca l'atto preparatorio, non ne costituisce conseguenza inevitabile perché la sua adozione implica nuove ed ulteriori valutazioni d'interessi, l'immediata impugnazione dell'atto preparatorio non fa venir meno la necessità di impugnare anche l'atto finale, pena l'improcedibilità del ricorso (alla luce di tale principio, nella specie il Collegio ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto contro la determinazione dell'Amministrazione di procedere al rinnovo delle prove di concorso a pubblico impiego, che non era stato seguito dalla impugnazione dell'atto di approvazione della susseguente graduatoria; così Consiglio di Stato sez. III, 1 febbraio 2012, n. 503). Quando sono impugnati gli atti iniziali o intermedi di un procedimento - che risultino immediatamente lesivi, come l’esclusione, immediatamente estintiva di una posizione di favore per il soggetto - e poi non segue l' impugnazione dell'atto finale che attribuisce ad altri uno status od una utilità, l'inoppugnabilità di tale atto fa diventare improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, l'impugnativa proposta contro gli atti intermedi (nella specie, gli interessati avevano impugnato gli atti in base ai quali l’università aveva attivato il procedimento per l’iscrizione al corso di medicina, ma non anche il provvedimento che, al termine del procedimento, ha approvato la graduatoria finale; in termini Consiglio Stato sez. VI, 26 giugno 2006, n. 4067; Cons. St., sez. V, 5 settembre 2002 n. 4464). Per accedere alla lettura della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza in esame osserva, (in tal senso, tra tante, Consiglio Stato sez. IV, 6 novembre 2008, n. 5507) che quando l'atto finale, pur partecipando della medesima sequenza procedimentale in cui si colloca l'atto preparatorio, non ne costituisce consegu ... Continua a leggere
Notifica all'estero di atti giudiziari ed extragiudiziari: e' inesistente la notificazione del ricorso in Polonia per posta e anche a mezzo ufficiale giudiziario italiano, e non tramite l’ufficio giudiziario polacco designato
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI
Secondo la Suprema Corte, l'art. 142 c.p.c., in tema di notificazione a persona non residente, nè dimorante, nè domiciliata nella Repubblica, attribuisce il valore di fonte primaria alle convenzioni internazionali, in difetto delle quali o per il caso che sia impossibile applicarle - e solo allora- è dato ricorso alla disciplina codicistica sussidiaria e tra queste anche quella di cui all'art. 151 c.p.c. (Cass. civ., Sez. Unite, 22 giugno 2007, n. 14570). Di conseguenza, nella specie, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, non si può prescindere, alla stregua della Convenzione dell'Aja del 1965, dalle particolari modalità di notifica previste dalla specifica normativa polacca (tramite uffici giudiziari) e queste non possono essere superate in applicazione di forme sostitutive o di (generali) canoni, quali il raggiungimento dello scopo e l’effettività del contraddittorio, se la parte notificataria si costituisce per eccepire la regolarità del procedimento notificatorio e i suoi presupposti di operatività. In tal caso infatti la notificazione inficiata, non essendo entrata a far parte della realtà dell'ordinamento, non è passibile di sanatoria né per mezzo della rinnovazione disposta dal giudice ai sensi dell'art. 291 c.p.c., né mediante la costituzione in giudizio dell'altra parte (Cass. civ., Sez. I, 29 maggio 1997, n. 4746; Sez. II, 13 febbraio 1996, n. 1084). D’ altronde, la sanatoria per raggiungimento dello scopo può concepirsi solo in relazione ad un atto nullo, non in relazione ad un atto inesistente, dato che la situazione di effettiva conoscenza dell'atto da parte del destinatario ottenuta senza l'impiego del prescritto procedimento di notificazione e con l'uso dello strumento previsto, determinando l’assoluta divergenza rispetto alle dovute forme e modalità, non ne consente la sussunzione nella sfera del rilevante giuridico e la notifica eseguita deve essere considerata tamquam non esset e, pertanto, insuscettibile di sanatoria (Cass.civ., Sez. lavoro, 13 febbraio 1999, n. 1195; Sez. II, 29 luglio 1995, n. 8372). Nella fattispecie la notificazione del ricorso è avvenuta atipicamente in via diretta, per posta e anche a mezzo ufficiale giudiziario italiano, ma non tramite l’ufficio giudiziario polacco designato (Tribunale amministrativo). La legge 6 febbraio 1981, n. 42 ha reso esecutiva in Italia la Convenzione dell'Aja del 15 novembre 1965, relativa alla notifica all'estero di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale, e la Polonia, nell’aderire a detta Convenzione, ha dichiarato di opporsi alle forme alternative di notifica diretta previste dall’art. 10 (tramite posta, o da uffici dello Stato di origine ad uffici dello Stato di destinazione, o da parte di uffici dello Stato di destinazione). Orbene, come ha avuto già modo di chiarire questo Consiglio (sez. IV, 13 febbraio 2007, n. 604), in adesione agli indirizzi della Corte di cassazione civile (Sez. I , 7 aprile 2006, n. 8242; 8 agosto 2003, n. 11966), in tale contesto, non vi è spazio perché possa trovare applicazione l'art. 151 c.p.c., la cui portata, ampia che sia, trova un limite insuperabile nella notifica da eseguirsi all'estero, allorché per essa siano previste specifiche modalità da convenzioni internazionali intervenute tra gli Stati interessati o alle quali essi abbiano aderito, sottolineando, altresì, come la rilevanza imperativa di tali prescrizioni si desuma proprio dalle disposizioni dell'art. 142 c.p.c. In altre parole, la citata Convenzione dell'Aja è vincolante se la legge interna dello Stato del foro stabilisca, ai fini della notificazione o comunicazione, il meccanismo che un atto deve seguire per la sua trasmissione all’estero e, nel concreto, l’art. 142 c.p.c. precisa quanto sopra ricordato nell’interpretazione datane dalla giurisprudenza. Tanto postula, in via dirimente, che la notifica del ricorso di primo grado deve considerarsi inesistente, né sussistono i presupposti individuati dalla giurisprudenza per la concessione dell'errore scusabile, stante la ricordata imperatività della citata disposizione del codice di procedura civile ed attesa la mancanza nell’atto introduttivo notificato degli elementi caratteristici del modello delineato dalla legge, vale a dire la sua estraneità allo schema legale tipico degli atti di notificazione in Polonia, secondo la Convenzione dell'Aja. La società appellata insiste sul fatto che la notifica eseguita sia conforme al Regolamento CE n. 1393/2007, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile e commerciale, in particolare quanto alle previste forme di notifica alternative. E’ da osservare in contrario che l’art. 1, comma 1, del predetto regolamento ne stabilisce l’applicabilità alla sola materia civile e commerciale, con esplicita esclusione della materia amministrativa.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI
Secondo la Suprema Corte, l'art. 142 c.p.c., in tema di notificazione a persona non residente, nè dimorante, nè domiciliata nella Repubblica, attribuisce il valore di fonte primaria alle convenzioni internazionali, in difetto delle quali o per il caso che sia impossibile applicarle - e solo allora ... Continua a leggere
Pubblico impiego: gli atti di micro – organizzazione, direttamente ed unicamente incidenti sulla concreta gestione del rapporto di lavoro, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, ai fini del riparto di giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego occorre distinguere tra gli atti di macro – organizzazione (concernenti le linee fondamentali di organizzazione degli uffici ed i modi di conferimento degli incarichi dirigenziali), assoggettati a principi e regole pubblicistiche, e atti di micro – organizzazione, che si collocano al di sotto della soglia di configurazione degli uffici pubblici, con cui si dispone l’organizzazione dei singoli uffici, regolati dalla disciplina privatistica (ex multis, C.d.S., sez. V, 16 gennaio 2012, n. 138; 20 dicembre 2011, n. 6705; 15 febbraio 2010, n. 816): appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie concernenti i primi (atti di macro – organizzazione), nei cui confronti, quali atti presupposti rispetto a quelli di organizzazione e gestione dei singoli rapporti di lavoro, sono astrattamente configurabili posizioni di interesse legittimo (potendo essi produrre effetti immediatamente pregiudizievoli per il dipendente ed essendo peraltro irrilevante – ai fini della giurisdizione – la loro incidenza riflessa sullo stesso rapporto di lavoro); mentre gli atti di micro – organizzazione, direttamente ed unicamente incidenti sulla concreta gestione del rapporto di lavoro, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario (Cass. SS.UU., 3 novembre 2011, n. 22733; 5 novembre 2005, n. 21592; 9 febbraio 2009, n. 3052; 1° dicembre 2009, n. 25254); Sulla base di tali principi il Consiglio di Stato ha affermato che nel caso di specie la controversia non concerne la legittimità di un atto di macro – organizzazione nel senso delineato dalla ricordata giurisprudenza, bensì un atto negoziale di gestione del rapporto di lavoro degli avvocati dipendenti dell’amministrazione regionale, concernente in particolare le concrete modalità di rilevazione delle presenze giornaliere, modalità, ad avviso degli interessati, estemporanee, non concordate, sproporzionate, irragionevoli e contrastanti con le loro peculiari prestazioni lavorative e, come tali, anche lesive della loro autonomia professionale; né è utilmente invocabile il precedente reso dalle sezione (n. 730 del 2012) in quanto relativo ad un atto di vera e propria macro – organizzazione dell’intera area della dirigenza della Provincia di Salerno. L'appello e' stato, quindi respinto, appartenendo la controversia de qua alla giurisdizione del giudice ordinaria.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, ai fini del riparto di giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego occorre distinguere tra gli atti di macro – organizzazione (concernenti le linee fondamentali di organizzazione degli uffici ed i modi di conferimento degli inc ... Continua a leggere
Giudizio elettorale: l'erronea indicazione del prenome del candidato non implica di per sé alcuna incertezza in ordine alla volontà dell'elettore né configura un mezzo di riconoscimento
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V
L’indicazione, sia pure inesatta, del nominativo del candidato in corrispondenza della pertinente lista lascia comunque chiaramente intendere la volontà dell’elettore di attribuire sia il proprio voto alla lista, sia la propria preferenza per un candidato che non può che essere identificato, in assenza di omonimie, con l’unico il cui nome risulti consonante con quello apposto sulla scheda. Né può ritenersi che l’erronea indicazione del prenome possa compromettere l’espressione del voto a guisa di segno di riconoscimento. All’uopo occorrerebbe, infatti, che in concreto possa ritenersi "in modo inoppugnabile" che l’elettore intendesse farsi riconoscere (art. 64, comma 2, d.P.R. n. 570/1960), laddove l’errata indicazione del nome del candidato nella specie è invece agevolmente spiegabile in termini di inesatta informazione o di innocua confusione. Secondo l’uniforme interpretazione giurisprudenziale la norma in rilievo, nello stabilire la nullità del voto contenuto in schede che presentino segni tali da denotare una sicura volontà dell'elettore di farsi riconoscere, deve essere intesa in senso oggettivo, ossia considerando nulle quelle schede che rechino scritte o segni estranei alle esigenze di espressione del voto, e che non trovino ragionevoli spiegazioni nelle modalità con cui l'elettore ha inteso esprimere il suffragio (C.d.S., V, 18 novembre 2011, n. 6070; 18 gennaio 2006, n. 109). Ciò posto, nella presente vicenda l’indicazione del prenome del candidato, benché a rigore non necessaria, non può essere ritenuta estranea alle esigenze di espressione del voto, stante la funzione tipica del c.d. nome di battesimo di concorrere alla piena identificazione del soggetto. Quanto alla mera circostanza che nello specifico tale nome sia stato indicato in modo errato, la stessa non può valere, proprio perché ragionevolmente spiegabile in termini di deficit informativo o di innocua confusione, quale indice di una volontà di provocare un riconoscimento (C.d.S., V, 22 febbraio 2001, n. 1020 : l'erronea indicazione del prenome del candidato, in assenza di candidati di altre liste aventi lo stesso cognome, non implica di per sé alcuna incertezza in ordine alla volontà dell'elettore né configura un mezzo di riconoscimento, tale errore ben potendo essere un mero difetto mnemonico, non improbabile poiché il voto di preferenza non necessariamente riflette una conoscenza diretta del candidato prescelto). Senza dire, poi, che l’appellante, per far invalidare a titolo di segno di riconoscimento la scheda in discorso (dal Seggio a tempo debito valutata, sia pure a favore del solo candidato a Sindaco indicatovi), avrebbe avuto l’onere, rimasto invece inadempiuto, di proporre sul punto un rituale e tempestivo ricorso incidentale.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V
L’indicazione, sia pure inesatta, del nominativo del candidato in corrispondenza della pertinente lista lascia comunque chiaramente intendere la volontà dell’elettore di attribuire sia il proprio voto alla lista, sia la propria preferenza per un candidato che non può che essere identificato, in ass ... Continua a leggere
Mansioni superiori: rientra nella discrezionalità del legislatore individuare le concrete situazioni nelle quali lo svolgimento di mansioni superiori dà titolo a benefici di contenuto economico o giuridico
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V
Secondo giurisprudenza pacifica, alla quale può farsi riferimento per i fini di cui all’art. 74 del codice del processo amministrativo (C. di S., VI, 27 luglio 2010, n. 4880; da ultimo C. di S., III, 15 dicembre 2011, n. 6576, che anzi dichiara l’inammissibilità della pretesa di inquadramento fondata sulle mansioni superiori svolte se svincolata dall’impugnazione dell’atto di conferimento della qualifica), nell'ambito del pubblico impiego lo svolgimento di fatto di mansioni superiori a quelle dovute in base all'atto di inquadramento è del tutto irrilevante ai fini sia economici che di progressione in carriera, salvo che una norma non disponga diversamente, a causa dell'inapplicabilità al pubblico impiego dell'art. 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, dell'art. 2103 cod. civ. e dell'art. 36 Cost., l'operatività di quest'ultimo trovando un limite invalicabile nel successivo art. 97. Quanto alla pretesa alle differenze stipendiali, deve essere rilevato come sia pacifica in giurisprudenza anche l’affermazione secondo la quale "nell'ambito del pubblico impiego lo svolgimento di fatto da parte del dipendente di mansioni superiori a quelle dovute in base all'inquadramento è del tutto irrilevante, sia ai fini economici, sia ai fini della progressione di carriera, salva l'esistenza di un'espressa disposizione che disponga diversamente; né la domanda del dipendente, tesa ad ottenere la retribuzione superiore a quella riconosciuta dalla normativa applicabile, per effetto dello svolgimento delle mansioni superiori, può fondarsi sull'art. 36 cost. in quanto il principio della corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e alla quantità del lavoro prestato non trova incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo con altri principi di pari rilievo costituzionale, quali quelli di cui agli art. 97 e 98; ovvero sugli art. 2126 c.c., concernente solo l'ipotesi della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato, e 2041 c.c. stante, per un verso, la natura sussidiaria dell'azione di arricchimento senza causa e, per altro verso, la circostanza che l'ingiustificato arricchimento postula un correlativo depauperamento del dipendente, non riscontrabile e dimostrabile nel caso del pubblico dipendente che, come nel caso di specie, ha comunque percepito la retribuzione prevista per la qualifica rivestita; comunque, nel pubblico impiego, presupposto indefettibile per la stessa configurabilità dell'esercizio di mansioni superiori è anche l'esistenza di un posto vacante in pianta organica, al quale corrispondano le mansioni effettivamente svolte, oltre che un atto formale d'incarico o investitura di dette funzioni, proveniente dall'organo amministrativo a tanto legittimato, non potendo l'attribuzione delle mansioni e il relativo trattamento economico essere oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi" (da ultimo C. di S., V, 19 novembre 2012, n. 5852). C. di S., IV, 24 aprile 2009, n. 2626 ha poi precisato che "fino all'entrata in vigore del d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387, che con l'art. 15 ha reso anticipatamente operativa la disciplina dell'art. 56, d.lg. 3 febbraio 1993 n. 29, la retribuibilità delle mansioni superiori svolte dal dipendente pubblico non trovava base normativa in alcuna norma o principio generale desumibile dall'ordinamento e, quindi, non nell'art. 2126 c.c., che concerne solo l'ipotesi della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato, né nell'applicazione diretta dell'art. 36 cost., la cui incondizionata applicazione al pubblico impiego è impedita dalle contrastanti previsioni degli artt. 97 e 98 cost. né, infine, nell'art. 2041 c.c., in ragione della sussidiarietà dell'azione di arricchimento senza causa". Sulla base di tale ricostruzione il Collegio condividendo l’orientamento sopra riportato ha rilevato come nel caso di specie le mansioni superiori vantate dall’appellante sarebbero state svolte in un periodo precedente l’entrata in vigore del d. lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, con la conseguenza che la pretesa risulta in contrasto con la normativa appena richiamata. L’appellante sostiene peraltro che la stessa normativa, in particolare l’art. 15 del d. lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, non è conforme agli articoli 3 e 36 della costituzione, chiedendo quindi che venga sollevato incidente di costituzionalità. La questione deve essere dichiarata manifestamente infondata, per un ordine di ragioni assimilabile a quello che ha condotto alle conclusioni sopra riportate. C. di S., VI, 22 gennaio 2001, n. 177, condivisa dal Collegio, ha affermato che l'art. 36 Cost. non costituisce fonte diretta di integrazione del rapporto di pubblico impiego, per quanto concerne la determinazione dei compensi da corrispondere al dipendente, ma un criterio di valutazione della legittimità degli atti autoritativi adottati dall'Amministrazione; pertanto, la norma de qua non può essere invocata al fine di ottenere un trattamento economico differenziato in caso di svolgimento delle funzioni di qualifica superiore. Inoltre, i requisiti costituzionali di proporzionalità e di sufficienza della retribuzione devono essere valutati, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, « non già in relazione ai singoli elementi che compongono il trattamento economico, ma considerando la retribuzione nel suo complesso », sicché non può essere considerata sproporzionata o insufficiente la retribuzione prevista da una norma per il pubblico dipendente in possesso di una certa qualifica, se questi svolga mansioni il cui esercizio è consentito solo sulla base del previo superamento del concorso. La sentenza richiamata quindi ha rilevato che il solo svolgimento di mansioni superiori non è sufficiente a fondare il diritto a percepire un trattamento retributivo più favorevole in quanto tale elemento deve essere collocato nella più ampia logica del trattamento stipendiale globalmente inteso; inoltre, l’attribuzione di un trattamento economico più favorevole sulla base di una mera situazione di fatto è in contrasto con l’art. 97 della Costituzione. Tale premessa consente di affermare che rientra nella discrezionalità del legislatore individuare le concrete situazioni nelle quali lo svolgimento di mansioni superiori dà titolo a benefici di contenuto economico o giuridico. In altri termini, solo l’apprezzamento compiuto dal legislatore consente di superare il principio secondo il quale soltanto chi supera il prescritto concorso può ricevere un determinato beneficio economico, superiore a quello spettante in base alla qualifica in suo possesso.
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V
Secondo giurisprudenza pacifica, alla quale può farsi riferimento per i fini di cui all’art. 74 del codice del processo amministrativo (C. di S., VI, 27 luglio 2010, n. 4880; da ultimo C. di S., III, 15 dicembre 2011, n. 6576, che anzi dichiara l’inammissibilità della pretesa di inquadramento fonda ... Continua a leggere
Concorsi pubblici: il giudice amministrativo non può sindacare i quesiti scelti dalla Commissione se congruenti e attinenti alle materie d'esame
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V
Nella sentenza in esame la Quinta sezione del Consiglio di Stato ha ribadito il consolidato insegnamento della giurisprudenza amministrativa a tenore del quale "nei concorsi a posti di pubblico impiego la determinazione del concreto contenuto delle prove d'esame costituisce espressione di un ampiopotere tecnico discrezionale della Commissione, sindacabile solo per ragioni di assoluta illogicità o incongruenza manifesta, ciò che nella specie non è oggettivamente riscontrabile essendo i quesiti prescelti del tutto congruenti e pienamente attinenti alle materie d'esame".
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V
Nella sentenza in esame la Quinta sezione del Consiglio di Stato ha ribadito il consolidato insegnamento della giurisprudenza amministrativa a tenore del quale "nei concorsi a posti di pubblico impiego la determinazione del concreto contenuto delle prove d'esame costituisce espressione di un ampio ... Continua a leggere