Gazzetta Informa News 16 Aprile 2013 - Area Amministrativa
Elezioni dei Sindaci, dei consigli comunali, dei consigli circoscrizionali fissate per i giorni 26 e 27.5.2013, e per i giorni 9 e 10.6.2013: disciplina per la comunicazione politica e la parità di accesso alle informazioni per le emittenti locali e la stampa quotidiana e periodica
È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la delibera con la quale l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni introduce le disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parita' di accesso ai mezzi di informazione relative alle campagne per l'elezione diretta dei sindaci e dei consigli comunali, nonche' dei consigli circoscrizionali, fissate nei mesi di maggio e giugno 2013 finalizzate a dare concreta attuazione ai principi del pluralismo, dell'imparzialita', dell'indipendenza, dell'obiettivita' e della completezza del sistema radiotelevisivo che si applicano nei confronti delle emittenti locali che esercitano l'attivita' di radiodiffusione televisiva e sonora privata e della stampa quotidiana e periodica negli ambiti territoriali interessati dalla consultazione. L'elenco dei comuni interessati dalle consultazioni elettorali e' reso disponibile sul sito web dell'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni: www.agcom.it. Le disposizioni di cui al presente provvedimento non si applicano ai programmi e alle trasmissioni destinati ad essere trasmessi esclusivamente a livello nazionale o in ambiti territoriali nei quali non e' prevista alcuna consultazione elettorale. Per accede al testo della delibera cliccare sul titolo sopra linkato. (Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni n. 258/13/CONS, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 85 del 11.4.2013)
È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la delibera con la quale l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni introduce le disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parita' di accesso ai mezzi di informazione relative alle campagne per l'elezione di ... Continua a leggere
Codice dell'Amministrazione Digitale: pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che disciplina l'indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti (INI-PEC)
L'art. 6-bis, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 concernente "Codice delle amministrazione digitale", istituisce presso il Ministero dello sviluppo economico il pubblico elenco denominato "Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti (INI-PEC)". A sua volta i commi 6 e 7 dell'art. 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n.185 hanno introdotto l'obbligo, per le imprese costituite in forma societaria e per i professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato, di comunicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata rispettivamente al Registro delle Imprese e agli Ordini Collegi professionali di appartenenza, poi esteso anche alle imprese individuali dalla Legge n. 221/2012. Con il decreto in esame vengono stabilite: a) la modalita' di realizzazione e gestione operativa dell'INI-PEC, nonche' le modalita' di accesso allo stesso; b) le modalita' e le forme con cui gli Ordini ed i Collegi professionali comunicano e aggiornano gli indirizzi di posta elettronica certificata relativi ai professionisti di propria competenza. Per la gestione il Ministero si avvale di InfoCamere attraverso una infrastruttura tecnologica e di sicurezza, che rende disponibili gli indirizzi PEC per il tramite del Portale telematico, suddiviso in due sezioni ovvero "Sezione Imprese" e "Sezione Professionisti", il quale consente l'acquisizione e la fruizione delle informazioni in formato aperto. L'accesso all'INI-PEC e' consentito alle pubbliche amministrazioni, ai professionisti, alle imprese, ai gestori o esercenti di pubblici servizi ed a tutti i cittadini tramite il Portale telematico consultabile senza necessita' di autenticazione. (Decreto Ministero dello Sviluppo Economico 19.3.2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 83 del 9.4.2013)
L'art. 6-bis, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 concernente "Codice delle amministrazione digitale", istituisce presso il Ministero dello sviluppo economico il pubblico elenco denominato "Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e de ... Continua a leggere
Trasparenza delle P.A.: il corretto utilizzo dell'applicativo istituzionale di G.A. evita le sanzioni dettate dal Dlgs n. 33/2013
La Funzione Pubblica indica tutte le sanzioni introdotte dalla nuova normativa di riordino della disciplina riguardante la trasparenza, pubblicità e diffusione delle informazioni da parte delle Pubbliche Amministrazioni. Si ricorda agli utenti che l'applicativo per adeguare i siti internet alla nuova normativa e' gratuitamente fruibile da tutte le amministrazioni che possono da subito inviare via mail alla Gazzetta Amministrativa della Repubblica Italiana (info@gazzettaamministrativa.it) la richiesta di attivazione dell'applicativo web. Tutte le P.A. verranno contattate direttamente dallo staff tecnico/giuridico ed a breve verrà attivata una apposita sezione on line sul sito www.gazzettaamministrativa.it nella quale verranno fornite tutte le informazioni utili. Per accedere alla schema di sanzioni cliccare sul titolo sopra linkato. (Funzione Pubblica, comunicato del 11.4.2013)
La Funzione Pubblica indica tutte le sanzioni introdotte dalla nuova normativa di riordino della disciplina riguardante la trasparenza, pubblicità e diffusione delle informazioni da parte delle Pubbliche Amministrazioni. Si ricorda agli utenti che l'applicativo per adeguare i siti internet alla nuo ... Continua a leggere
Responsabile della prevenzione della corruzione: sospeso l'invio della comunicazione della nomina del Responsabile
Le amministrazioni non devono inviare la comunicazione della nomina del Responsabile della prevenzione della corruzione fino alla pubblicazione sul sito www.civit.it delle modalità che Civit renderà note a breve sul proprio sito istituzionale. (Civit, comunicato del 10.4.2013)
Le amministrazioni non devono inviare la comunicazione della nomina del Responsabile della prevenzione della corruzione fino alla pubblicazione sul sito www.civit.it delle modalità che Civit renderà note a breve sul proprio sito istituzionale. (Civit, comunicato del 10.4.2013) ... Continua a leggere
Pagamenti della PA: nuovo programma riusabile per la gestione sanitaria
L'Agenzia per l'Italia Digitale rende noto che il Catalogo del Riuso si arricchisce di un nuovo programma per la gestione dei pagamenti in ambito sanitario. Il Sistema Regionale Accordo Pagamenti (SIRAP), realizzato dalla Regione Lazio, è un programma che consente di gestire in maniera coerente e uniforme le fatturazioni e i relativi pagamenti dei fornitori delle Aziende Sanitarie e delle Aziende ospedaliere della Regione Lazio. Il software sviluppato assume una forte rilevanza alla luce dei ritardi nei pagamenti accumulati dalle pubbliche amministrazioni e si propone come utile strumento per la razionalizzazione della spesa pubblica in termini di riduzione degli interessi per le somme dovute, del contenzioso e dell’abbassamento del numero dei giorni per effettuare i pagamenti. Le amministrazioni che desiderano chiarimenti sull’utilizzo dei programmi presenti nel catalogo o supporto nell’inserimento di nuovi prodotti possono rivolgersi al Centro di competenza sul Riuso tramite posta elettronica (inforiuso@digitpa.gov.it ; protocollo@pec.agid.gov.it ;) o telefono 06 85264295. (DigitPA, comunicato del 12.4.2013)
L'Agenzia per l'Italia Digitale rende noto che il Catalogo del Riuso si arricchisce di un nuovo programma per la gestione dei pagamenti in ambito sanitario. Il Sistema Regionale Accordo Pagamenti (SIRAP), realizzato dalla Regione Lazio, è un programma che consente di gestire in maniera coerente e u ... Continua a leggere
Ora la Cipolla Rossa e' solo di Tropea
"Tondo Piatta" o primaticcia, "Mezza Campana" o medio precoce, "Allungata" o tardiva così si presenta la cipolla rossa di Tropea che si distingue in 1) Cipollotto (di colore: bianco-rosato - violaceo e sapore dolce, tenero), 2) Cipolla da consumo fresco (di colore bianco-rosso fino al violaceo e sapore dolce e tenero), 3) Cipolla da serbo (di colore rosso-violaceo e sapore dolce e croccante). La zona di produzione comprende tutto o in parte, dei alcuni comuni calabresi quali: a) Provincia di Cosenza: parte dei comuni di Fiumefreddo, Longobardi, Serra d'Aiello, Belmonte, Amantea; b) Provincia di Catanzaro: parte dei comuni di Nocera Terinese, Falerna, Gizzeria, Lamezia Terme, Curinga; c) Provincia di Vibo Valentia: parte dei comuni di Pizzo, Vibo Valentia, Briatico, Parghelia, Zambrone, Zaccanopoli, Zungri, Drapia, Tropea, Ricadi, Spilinga, Joppolo, Nicotera. Nella delimitazione poi delle aree importante e' non sbagliare mulattiera ed avere con se una bussola giacche' per esempio "L'area che ricade nel comune di Falerna ha forma di un quadrilatero i cui lati sono rappresentati a nord dal limite comunale di Falerna fino alla localita' Marepitano, incrociando la mulattiera percorrendola in direzione Sud per circa 1 Km fino a raggiungere il naturale confine del vallone, il lato ovest e' rappresentato dalla ex S.S. tirrenia inf. che rappresenta il lato che chiude il quadrato. L'area di coltivazione che ricade parzialmente nei territori amministrativi di Gizzeria e Lamezia Terme ha per limite nord l'incrocio tra la S.S. Tirrenia inf. n. 18 e la strada comunale nei pressi del lago La Vota. La strada comunale percorsa verso est, attraversando il torrente Casale, Torre S. Caterina, contrada Specchi, il torrente Spilinga fino ad arrivare ad incrociare la diramazione della S.S. Tirrenia nei pressi del Bastione di Malta. Da qui si arriva alla statale nei pressi del Km 402, giungendo all'incrocio di una mulattiera che percorrendola in direzione sud attraversa la localita' Passo di Mandra e il c.a. Paradiso, il Torrente Bagni in localita' Cafarone. Da questo punto si procede in direzione sud-est per circa 600 m fino ad incrociare il Torrente Cantagalli e andando verso sud si arriva vicino all'aeroporto che si costeggia sul lato ovest per circa 200 m passando nei pressi della localita' Generale e con la mulattiera si arriva ad incrociare il fiume Amato in localita' Tregna. Si percorre la mulattiera verso sud attraversando Torre Amato in localita' Pagliarone e S. Nicola che segna il limite sud di detta area che costeggia l'insediamento industriale della Sir. Da questo limite si risale verso nord attraverso la mulattiera passando per la localita' Praia e Torrazzo fino all'incrocio con la strada comunale e superando il fiume Amato si prosegue fino alla loc. Cafarone all'altezza della congiunzione T. Bagni e T. Cantagalli. Con la mulattiera si arriva in localita' Marinella e all'incrocio con la S.S. Tirrenia n. 18 e della sua diramazione nei pressi di Gizzeria lido e torrente Spilinga. Si prosegue lungo la statale verso nord fino ad incontrare ed inglobare tutti i terreni della loc. Maricello e Lago la Vota chiudendo la perimetrazione di detta area". (Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali provvedimento del 26.3.2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 87 del 13.4.2013)
"Tondo Piatta" o primaticcia, "Mezza Campana" o medio precoce, "Allungata" o tardiva così si presenta la cipolla rossa di Tropea che si distingue in 1) Cipollotto (di colore: bianco-rosato - violaceo e sapore dolce, tenero), 2) Cipolla da consumo fresco (di colore bianco-rosso fino al violaceo e sa ... Continua a leggere
Nell'interpretazione dell'atto amministrativo la sostanza dell'atto prevale sul nomen juris che la P.A. abbia inteso utilizzare
Consiglio di Stato
Per pacifica giurisprudenza, “ai fini della qualificazione di un rapporto giuridico non deve aversi riguardo tanto al nomen juris speso dalle parti per designarlo, quanto alle caratteristiche da esso effettivamente rivestite nella sua concreta attuazione” (Cons. Stato Sez. V, 19-11-2012, n. 5848);parimenti, è stato rimarcato, quanto alla qualificazione del provvedimento, che “nell'interpretazione dell'atto amministrativo, ai fini della sua qualificazione, si deve tener conto non del nomen juris assegnatogli dall'autorità emanante, ma del suo effettivo contenuto e di quanto esso effettivamente dispone: ciò, in quanto la sostanza dell'atto prevale sul nomen juris che la P.A. abbia inteso utilizzare.”(T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 22-10-2012, n. 791). È costante, infatti, l'indirizzo giurisprudenziale in base al quale, nell'interpretazione dell'atto amministrativo, ai fini della sua qualificazione, si deve tener conto non del nomen juris assegnatogli dall'autorità emanante, ma del suo effettivo contenuto e di quanto esso effettivamente dispone (cfr T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 14 novembre 2011, n. 8828): ciò, in quanto la sostanza dell'atto prevale sul nomen juris che la P.A. abbia inteso utilizzare (v. C.d.S., Sez. V, 16 settembre 2011, n. 5211 ma si veda anche ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 3 novembre 2009, n. 10782, T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 21 luglio 2011, n. 614).
Consiglio di Stato
Per pacifica giurisprudenza, “ai fini della qualificazione di un rapporto giuridico non deve aversi riguardo tanto al nomen juris speso dalle parti per designarlo, quanto alle caratteristiche da esso effettivamente rivestite nella sua concreta attuazione” (Cons. Stato Sez. V, 19-11-2012, n. 5848); ... Continua a leggere
Selezione interna per posto di portavoce istituzionale: in virtù della natura fiduciaria della figura professionale la relativa controversia ex art. 63 dlgs n. 165/01 rientra nella giurisdizione del giudice civile
Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha rilevato come l’interesse ad ottenere il posto di portavoce istituzionale, in virtù di un incarico diretto ed attesa la natura fiduciaria della figura professionale in questione, " non attiene in alcun modo alla materia dei concorsi pubblici per l’accesso al pubblico impiego, bensì a posizioni pretensive del dipendente afferenti alla pretesa progressione verticale, indipendentemente da qualsivoglia ipotesi di procedimento concorsuale o selettivo". E ai sensi dell’art. 63 del decreto leg.vo n.165/2001, vigente al momento della proposizione del ricorso, la giurisdizione su tale tipo di controversie sfugge al giudice amministrativo per rientrare in quella del giudice civile. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.4.2013, n. 2040)
Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha rilevato come l’interesse ad ottenere il posto di portavoce istituzionale, in virtù di un incarico diretto ed attesa la natura fiduciaria della figura professionale in questione, " non attiene in alcun modo alla materia dei concorsi pubblici per l’ac ... Continua a leggere
Divieto di detenzione di armi: l’intervenuta estinzione per oblazione del reato non incide sul giudizio prognostico di non abuso delle armi da parte del titolare, che ben può essere basato su elementi anche soltanto di carattere indiziario
Esercitandosi il potere di vietare la detenzione di armi con riguardo all'interesse pubblico all'incolumità dei cittadini ed alla prevenzione del pericolo che può derivare dall'uso delle armi nonché in riferimento alla condotta ed all'affidamento che il soggetto può dare in ordine alla possibilitàdi abuso delle stesse, anche un singolo, oggettivamente incontrovertibile, fatto relativo all’abuso delle armi, pur in presenza di una condotta complessivamente esente da mende, è tale da far venir meno il necessario margine assoluto di sicurezza circa il buon uso delle armi, che solo può consentirne la legittima detenzione. Una volta, dunque, che il fatto stesso risulti valutato in termini prognostici di pericolosità senza che emergano elementi di irrazionalità od arbitrarietà, risulta evidente altresì che il lasso di tempo intercorso tra il fatto ed il provvedimento interdittivo non può in alcun modo considerarsi indice di contraddittorietà dell’azione amministrativa, avendo anzi l’Autorità non incongruamente inteso basare la propria valutazione sui fatti come accertati in sede penale (pur con ésiti di archiviazione del relativo procedimento); fatti che rivelano, come s’è detto, quanto meno un’insufficiente capacità di dominio dei proprii impulsi ed emozioni da parte dell’interessato ( cfr.: Consiglio di Stato, sez. VI, 24 novembre 2010, n. 8220; id., 10 dicembre 2010, n. 8707; id., 8 ottobre 2008, n. 4918; id., 18 gennaio 2007, n. 63 ), nella misura in cui essi sono ascrivibili ad "un eccesso colposo di legittima difesa" (v., ancora, in tal senso, l’indicato provvedimento di archiviazione). Né, per finire, indizi favorevoli ad una diversa qualificazione del veduto comportamento dell’odierno appellante sono ricavabili dall’intervenuta estinzione per oblazione del reato di esplosioni pericolose pure a lui ascritto per l’occasione, dal momento che il fatto in sé (l’esplosione di colpi di arma da fuoco, in un luogo abitato e sulla pubblica via, con tutti i rischi ch’esso comporta), nella sua sussistenza e nella sua attribuibilità all’imputato, emerge dalla stessa contestazione e ch’esso si rivela, come già detto, più che sufficiente a sorreggere il controverso giudizio prognostico di non abuso delle armi da parte del titolare, che ben può essere basato su elementi anche soltanto di carattere indiziario ( Consiglio di Stato, Sez. VI, 6.7.2010, n. 4280 ), laddove, nel caso di specie, si è in presenza di elementi aventi connotazione ben più pregnante dei meri indizi. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 15.4.2013, n. 2035)
Esercitandosi il potere di vietare la detenzione di armi con riguardo all'interesse pubblico all'incolumità dei cittadini ed alla prevenzione del pericolo che può derivare dall'uso delle armi nonché in riferimento alla condotta ed all'affidamento che il soggetto può dare in ordine alla possibilità ... Continua a leggere
La comunicazione ex art. 7 della Legge n. 241/90 è da ritenersi superflua quando l’interessato è venuto comunque a conoscenza di vicende che, per la loro natura conducono necessariamente all’adozione di provvedimenti obbligati
Consiglio di Stato
La giurisprudenza ritiene che le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo di cui agli artt. 7 e segg. della legge 7 agosto 1990 n. 241 non vanno applicate meccanicamente e formalisticamente, nel senso che debba essere annullato ogni procedimento in cui sia mancata la fase formalmente partecipativa. Esse vanno interpretate nel senso che la comunicazione è da ritenersi superflua - e riprendono, pertanto, espressione i principi di economicità e di speditezza dai quali è retta l’attività amministrativa -, quando l’interessato è venuto comunque a conoscenza di vicende che, per la loro natura conducono necessariamente all’adozione di provvedimenti obbligati, come nel caso di cui si controverte. L’ipotesi tipica, nell’ambito della quale la omissione della comunicazione di avvio risulta non viziante o sanata ex post, è stata ben presto individuata dalla giurisprudenza con riferimento ai procedimenti per i quali è normativamente previsto un qualche atto attraverso il quale sia possibile realizzare una partecipazione dell’interessato, uguale a quella che gli consente la comunicazione di cui al citato art. 7 (cfr V Sez. 9.8.1996, n. 999)
Consiglio di Stato
La giurisprudenza ritiene che le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo di cui agli artt. 7 e segg. della legge 7 agosto 1990 n. 241 non vanno applicate meccanicamente e formalisticamente, nel senso che debba essere annullato ogni procedimento in cui sia mancata la fase f ... Continua a leggere
È legittima la motivazione del provvedimento se è completa e logica in virtù degli elementi contenuti in altro atto che, in ragione del rinvio, diviene parte integrante
Consiglio di Stato
La motivazione di un provvedimento è da ritenere pienamente legittima quando essa, come nel caso di specie, sia completa e logica in virtù degli elementi contenuti in altro atto che, in ragione del rinvio, diviene parte integrante del primo a termini dell’art. 3 della legge n. 241/1990, norma di principio generale al riguardo. Resta fermo che il rinvio deve essere tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione attraverso l’atto richiamato per relationem che, pertanto, deve essere accessibile o, meglio, allegato (Cd.S.: Sez. IV, 17.12.2008, n. 6274; Sez. V, 11.1.2011, n. 68).
Consiglio di Stato
La motivazione di un provvedimento è da ritenere pienamente legittima quando essa, come nel caso di specie, sia completa e logica in virtù degli elementi contenuti in altro atto che, in ragione del rinvio, diviene parte integrante del primo a termini dell’art. 3 della legge n. 241/1990, norma di pr ... Continua a leggere
La corresponsione di interessi sulle somme già percepite a seguito di ricostruzione di carriera
Il T.A.R. ha rilevato come in materia di "diritto agli emolumenti" vige, nel panorama amministrativo il consolidato principio secondo cui il discrimen per la maturazione del credito lavorativo è costituito dalla "fonte" dello stesso. E’ giurisprudenza costante, infatti che qualora la fonte sia unatto normativo avente forza di legge, la maturazione del diritto coincide con la scadenza dell’emolumento, in quanto il provvedimento amministrativo che ne fa applicazione ha natura meramente ricognitiva; qualora, invece, la fonte sia da individuare in un atto amministrativo di natura discrezionale, il diritto sorge a far data dall’adozione del provvedimento, ancorché lo stesso abbia efficacia retroattiva, trattandosi, in tal caso, di atto costitutivo del diritto. Ciò premesso, il T.A.R. per la Puglia, con argomentazione a parere del Collegio immune da vizi, ha correttamente individuato la fonte del diritto azionato dalla ricorrente nell’atto di reinquadramento adottato dall’Amministrazione. La questione della individuazione della decorrenza del diritto alla rivalutazione monetaria ed agli interessi su somme erogate con ritardo ai pubblici dipendenti, nel caso in cui il diritto patrimoniale trovi fonte direttamente in un provvedimento amministrativo (come nel caso di specie), va risolta nel senso che la data di maturazione è quella del provvedimento, ancorché questo abbia efficacia retroattiva. Tale conclusione va applicata alle questioni attinenti al rapporto fra giudicato amministrativo e corresponsione di accessori (interessi legali e rivalutazione monetaria). Infatti, anche in caso di estensione del giudicato che comporta l’attribuzione retroattiva di benefici economici, non spettano interessi e rivalutazione monetaria sulle somme corrisposte, atteso che il periodo di tempo preso in considerazione dall’Amministrazione per disporre la retroattività della corresponsione dei benefici economici è giuridicamente irrilevante rispetto al sorgere di obbligazioni accessorie, che postulano la effettiva nascita di un credito principale. Pertanto, il diritto alla corresponsione di interessi legali e rivalutazione monetaria ai sensi dell’art. 429, 3° comma, c.p.c., sui crediti retributivi tardivamente soddisfatti, spetta esclusivamente a partire dalla completa esigibilità del credito principale, che normalmente si identifica con la data di adozione del provvedimento costitutivo, tranne i casi eccezionali, in cui la natura del disposto inquadramento sia meramente dichiarativa (in forza di legge, regolamento o contrattazione collettiva); ovvero risulti attuativo di un giudicato che specificatamente abbia fissato la decorrenza di tali accessori (Consiglio di Stato, Sezione V, 13 giugno 2008. n. 2964). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 9.4.2013, n. 1947)
Il T.A.R. ha rilevato come in materia di "diritto agli emolumenti" vige, nel panorama amministrativo il consolidato principio secondo cui il discrimen per la maturazione del credito lavorativo è costituito dalla "fonte" dello stesso. E’ giurisprudenza costante, infatti che qualora la fonte sia un ... Continua a leggere
Rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo le controversie che attengono all'espletamento di un concorso interno per il passaggio da una posizione ad un’altra nell'ambito della stessa area
La Corte di Cassazione a Sezioni unite ha individuato i criteri di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo per le controversie in tema di procedure concorsuali afferenti al rapporto di pubblico impiego privatizzato (Cass., SS.UU.,12 ottobre 2009, n. 21558; 9 settembre 2009, n. 3051; 25 novembre 2008, n. 28058; 29 novembre 2006, n. 25277). Essa ha in particolare chiarito, con riferimento all'area di giurisdizione assegnata al giudice amministrativo dall'art. 63, quarto comma, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, che la nozione di assunzione va riferita non solo all'immissione per la prima volta in impiego, ma anche a tutti quei casi in cui, in esito a procedura selettiva e di valutazione comparativa, debba attribuirsi una nuova qualifica cui si colleghi una diversa posizione di status nell'ambito dell'assetto organizzativo dell'ente. Tale conclusione viene ad armonizzarsi con l'indirizzo segnato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale che - in un ordinamento del pubblico impiego articolato per qualifiche funzionali, e non più in carriere, a loro volta comprendenti più qualifiche - postula, nel quadro dei principi dettati dagli artt. 51 e 97 della Costituzione, la necessità del previo esperimento del concorso, aperto anche a soggetti esterni, per il conferimento di posti di qualifica, di livello o di fascia funzionale superiore, venendosi ad integrare una vera e propria forma di reclutamento, con modifica della posizione di status e novazione del rapporto di impiego (ex multis Corte costituzionale, 29 maggio 2002, n. 218; 4 gennaio 1999, n. 1; 30 ottobre 1997, n. 320). È stata pertanto riconosciuta: a) la giurisdizione del giudice amministrativo nelle controversie relative a concorsi per soli candidati esterni; b) identica giurisdizione su controversie relative a concorsi misti, restando irrilevante che il posto da coprire sia compreso o meno nell'ambito della medesima area funzionale alla quale sia riconducibile la posizione di dipendenti interni ammessi alla procedura selettiva; in tal caso, infatti, la circostanza che non si tratti di passaggio ad un'area diversa viene vanificata dalla presenza di possibili vincitori esterni; c) ancora la giurisdizione amministrativa quando si tratti di concorsi per soli interni che comportino passaggio da un'area funzionale ad un'altra spettando, poi, al giudice del merito la verifica di legittimità delle norme che escludono l'apertura del concorso all'esterno; d) giurisdizione ordinaria nelle controversie attinenti a concorsi per soli interni, che comportino passaggio da una qualifica ad un'altra, ma nell'ambito della medesima area funzionale. Conforme è la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che declina la giurisdizione ordinaria per le controversie che attengono all'espletamento di un concorso interno per il passaggio da una posizione ad un’altra nell'ambito della stessa area (cfr. ex multis Cons. Stato, VI, 15 dicembre 2010, n. 8920; 13 maggio 2008, n. 2231; 22 agosto 2007, n. 4479). Deve osservarsi che l'accorpamento in un'unica area professionale di diverse qualifiche, anche con differenziazione delle posizioni economiche, assegna ad esse una configurazione unitaria e compiti omogenei, ancorché graduati per il livello, tipo di impegno ed affinamento professionale. All'esito del concorso non segue quindi il mutamento della posizione di inquadramento, che resta sempre collegata alla stessa area professionale, ma il conferimento di una diversa posizione in relazione al contenuto dei compiti assegnati. Si versa, allora, a fronte di un'attività dell'Amministrazione di gestione del rapporto di lavoro secondo le regole del C.C.N.L.. in un quadro ordinamentale teso a valorizzare l'esperienza professionale acquisita, senza mutare l'area di inquadramento. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 9.4.2013, n. 1944)
La Corte di Cassazione a Sezioni unite ha individuato i criteri di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo per le controversie in tema di procedure concorsuali afferenti al rapporto di pubblico impiego privatizzato (Cass., SS.UU.,12 ottobre 2009, n. 21558; 9 sette ... Continua a leggere
Ricostruzione della carriera del pubblico dipendente: individuazione delle somme dovute durante il periodo di interruzione del servizio illegittimamente disposto dall'amministrazione
In caso di ricostruzione della posizione di carriera di un pubblico dipendente, ai fini della corresponsione degli emolumenti non percepiti durante il periodo di interruzione del servizio illegittimamente disposta dall'amministrazione, le somme attribuibili per il detto periodo di interruzione sonodovute in virtù dell'effetto ripristinatorio e, per quanto giuridicamente e materialmente possibile, restitutorio della sentenza di annullamento dell'atto interruttivo del rapporto di servizio. Coerente con la natura restitutoria del credito così insorto è che dalle somme dovute siano sottratti quegli emolumenti che presuppongano l'effettiva prestazione del servizio (evenienza che non può farsi rientrare nella "fictio juris" di ricostruzione "ex post" degli effetti di un rapporto di impiego ipotizzato come operante anche durante il periodo di interruzione), quali ad esempio gli straordinari o corrispettivi legati all'effettiva presenza o alla valutabilità della qualità del lavoro (Consiglio Stato, sez. VI, 20 marzo 2007, n. 1315). Pertanto solo se le pretese del ricorrente fossero state assistite da idonea prova circa la effettiva prestazione della attività lavorativa poteva essere riconosciuto il relativo diritto. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 9.4.2013, n. 1934)
In caso di ricostruzione della posizione di carriera di un pubblico dipendente, ai fini della corresponsione degli emolumenti non percepiti durante il periodo di interruzione del servizio illegittimamente disposta dall'amministrazione, le somme attribuibili per il detto periodo di interruzione sono ... Continua a leggere
Le conseguenze derivanti dall'accertamento della falsità della dichiarazione resa ai sensi dell'art. 75 del d.p.r. 445 del 2000
Consiglio di Stato
L’art. 75 del d.p.r. 445 del 2000 stabilisce che “qualora dal controllo…emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione…il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”. La norma si inserisce in un contesto in cui alla dichiarazione sullo status o sul possesso di determinati requisiti è attribuita funzione probatoria, da cui il dovere del dichiarante di affermare il vero. Ne consegue che la dichiarazione “non veritiera” al di là dei profili penali, ove ricorrano i presupposti del reato di falso, nell’ambito della disciplina dettata dalla l. n. 445 del 2000, preclude al dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era indirizzata la dichiarazione o comporta la decadenza dall’utilitas conseguita per effetto del mendacio. In tale contesto normativo, in cui la “dichiarazione falsa o non veritiera” opera come fatto, perde rilevanza l’elemento soggettivo ovvero il dolo o la colpa del dichiarante. In conseguenza non possono trovare ingresso le doglianze della società ricorrente in ordine alla propria estraneità alla fattispecie della “dichiarazione non veritiera” per essersi limitata ad indicare il proprio legale rappresentante quale soggetto in possesso dei requisiti personali e professionali che lo stesso aveva autocertificato ex d.p.r. n. 445 del 2000, inducendola in errore. Infatti, quest’ultima circostanza, senz’altro rilevante in sede penale, in quanto ostativa alla configurazione del falso ideologico, attesa la mancanza dell’elemento soggettivo, ovvero della volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e della consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, non assume rilievo nell’ambito della l. n. 445 del 2000, in cui il mendacio rileva quale inidoneità della dichiarazione allo scopo cui è diretto. Ne consegue che al di là della catalogazione dell’art. 75, se o meno norma sanzionatoria, la comminatoria di decadenza è la naturale conseguenza dell’inidoneità della dichiarazione non veritiera a raggiungere l’effetto cui era preordinata.
Consiglio di Stato
L’art. 75 del d.p.r. 445 del 2000 stabilisce che “qualora dal controllo…emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione…il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”. La norma si inserisce in un contes ... Continua a leggere
Agli psicologi già convenzionati con il servizio sanitario prima della loro immissione in ruolo, ai sensi della legge n. 207/1985, non spetta il riconoscimento, come rapporto di pubblico impiego, del periodo precedente la loro immissione in ruolo
Agli psicologi già convenzionati con il servizio sanitario prima della loro immissione in ruolo, ai sensi della legge n. 207 del 1985, non spetta il riconoscimento, come rapporto di pubblico impiego, del periodo precedente la loro immissione in ruolo (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1354 del 10 marzo 2012; in termini Sez. V, n. 1743 del 23 marzo 2009)." Si è, al riguardo, ricordato che negli anni immediatamente successivi alla costituzione del servizio sanitario nazionale (legge n. 833 del 1978) si sopperiva alle crescenti domande di servizi sanitari e assistenziali con rapporti di lavoro "convenzionati" per mansioni che non erano previste dalle allora vigenti piante organiche dei soggetti pubblici erogatori delle prestazioni. In particolare, l’art. 73 del d.P.R. n. 761 del 1979 (decreto legislativo concernente lo stato giuridico del personale del servizio sanitario nazionale) aveva previsto, a titolo transitorio e limitatamente ad un triennio, la prosecuzione dei rapporti convenzionali «già instaurati tra comuni, province e loro consorzi ed enti ospedalieri con operatori esplicanti attività in servizi sanitari»; e ciò in deroga alle regole ordinarie circa l’assunzione in servizio nel pubblico impiego. La durata del periodo transitorio è stata poi più volte prorogata, fino a quando la legge n. 207 del 1985, all’art. 3, ha disposto che il personale di cui al citato art. 73 poteva venire «inquadrato a domanda... previo accertamento dei titoli, nei ruoli nominativi regionali con la posizione funzionale iniziale, con esclusione di ogni riconoscimento di anzianità». La citata norma ha quindi previsto la cessazione del regime di proroga dei rapporti convenzionali con una sorta di sanatoria per i soggetti interessati che potevano accedere a rapporti di pubblico impiego in deroga alle norme sulle assunzioni in servizio. E ciò anche per la intrinseca ambiguità dei rapporti convenzionali in essere che verosimilmente, al pari di quello dell’appellante, risultavano al confine fra il contratto d’opera e il lavoro subordinato o parasubordinato. Il legislatore ha peraltro ritenuto di non poter consentire anche la valutazione di una anzianità pregressa perché i rapporti convenzionali, per quanto vicini al lavoro subordinato, non ne avevano comunque tutte le caratteristiche. In ogni caso, tale scelta normativa, considerata la natura di sanatoria della disposizione indicata, della quale anche l’appellante ha beneficiato, non può ritenersi affetta da profili di illegittimità costituzionale. Della indicata disposizione ha beneficiato, come si è detto, anche l’attuale appellante che non risulta aver peraltro impugnato i relativi provvedimenti di inquadramento. Né risulta aver impugnato, come evidenziato dal T.A.R., gli atti con i quali le veniva conferito (e rinnovato) l’incarico di natura convenzionale. Si deve aggiungere che l’art. 3 della legge n. 207 del 1985, nel precludere la decorrenza retroattiva dell’inquadramento, ha in sostanza escluso anche il riconoscimento della natura subordinata del precedente rapporto, con i relativi effetti retributivi e previdenziali. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 9.4.2013, n. 1927)
Agli psicologi già convenzionati con il servizio sanitario prima della loro immissione in ruolo, ai sensi della legge n. 207 del 1985, non spetta il riconoscimento, come rapporto di pubblico impiego, del periodo precedente la loro immissione in ruolo (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1354 del 10 ma ... Continua a leggere
Per procedere all'annullamento in autotutela di un illegittimo provvedimento di inquadramento e' sufficiente l'esigenza di ripristinare la legalità violata
In caso di annullamento d'ufficio di un illegittimo provvedimento di inquadramento, che abbia determinato ingiustificati oneri per l'Erario, non occorre una specifica motivazione sull'interesse pubblico all'intervento in autotutela, in quanto tale interesse è in re ipsa, ed è quello a risparmiare ead evitare spese non giustificate in base alla normativa, il che significa che per procedere all'annullamento d'ufficio di un inquadramento illegittimo è sufficiente l'esigenza di ripristinare la legalità violata (in tal senso v. Cons. Stato, III, n. 5481/2012 e VI, n. 1550/2009). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 15.4.2013, n. 2022)
In caso di annullamento d'ufficio di un illegittimo provvedimento di inquadramento, che abbia determinato ingiustificati oneri per l'Erario, non occorre una specifica motivazione sull'interesse pubblico all'intervento in autotutela, in quanto tale interesse è in re ipsa, ed è quello a risparmiare e ... Continua a leggere
L'utilizzo dei contratti a progetto negli appalti: per la validità di tali contratti e' necessaria l’individuazione di una precisa attività temporalmente e funzionalmente delimitata con un risultato finale ad essa rapportato
Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato ha ribadito che in merito all’utilizzo di contratti a progetto, ai sensi degli artt. 61 e 69 D. Lgs. 10.9.03 n. 276 è indispensabile per la validità di tali contratti l’individuazione di un progetto specifico, ossia di una precisa attività temporalmentee funzionalmente delimitata con un risultato finale ad essa rapportato, attività che non può identificarsi ovviamente in toto con una organizzazione aziendale (Cons. Stato, V, 17 settembre 2008 n. 4420). Cio posto nel caso di specie il Collegio ha rilevato come le mansioni basilari oggetto del servizio posto in gara consistono nella tipica messa a disposizione di energie lavorative e non di una collaborazione autonoma finalizzata ad uno scopo, per cui se in linea di principio non può negarsi la possibilità all’esecutore di un appalto pubblico di servizi di avvalersi di lavoratori a progetto, si deve rilevare che nella fattispecie in esame difettavano i presupposti per l’utilizzo di queste figure con la conseguenza che i costi del lavoro di cui all’offerta dell’aggiudicataria – connessi appunto a lavoratori a progetto - non rispettavano i valori minimi risultanti dalle tabelle ministeriali. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 9.4.2013, n. 1916)
Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato ha ribadito che in merito all’utilizzo di contratti a progetto, ai sensi degli artt. 61 e 69 D. Lgs. 10.9.03 n. 276 è indispensabile per la validità di tali contratti l’individuazione di un progetto specifico, ossia di una precisa attività temporalmente ... Continua a leggere
La parte soccombente, quando adisce il giudice di appello, non può limitarsi a riproporre i motivi di doglianza già dedotti e disattesi dal primo Giudice, ma deve anche indicare le ragioni per le quali le conclusioni cui quest'ultimo è pervenuto non potrebbero essere condivise
Secondo l’insegnamento giurisprudenziale, non può ammettersi nell’atto di appello la mera riproposizione dei motivi di primo grado ove compiutamente disattesi dal T.A.R., senza sviluppare alcuna confutazione della statuizione del giudice di primo grado. Nel giudizio di appello, che non è un iudicium novum, la cognizione del giudice investe le questioni dedotte dall’appellante attraverso l’enunciazione di specifici motivi, e tale requisito di specificità dei motivi esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime (C.d.S., IV, 9 ottobre 2010, n. 7384). La parte soccombente, quando adisce il giudice di appello, non può, pertanto, limitarsi a riproporre (come nella specie) i motivi di doglianza già dedotti e disattesi dal primo Giudice, ma deve anche indicare le ragioni per le quali le conclusioni cui quest'ultimo è pervenuto non potrebbero essere condivise. Nell'attuale sistema di giustizia amministrativa il giudizio di primo grado non è difatti un passaggio obbligato che il soggetto è costretto suo malgrado a percorrere pur di giungere dinanzi al Giudice di appello, e di ottenere da questi la decisione finale sulla fondatezza della pretesa, ma è una fase essenziale del processo amministrativo, nel corso della quale il giudice adito confronta le opposte tesi e dichiara quale va ritenuta fondata (V, 17 ottobre 2008, n. 5065). Da qui l’onere dell'appellante di investire puntualmente il decisum di prime cure e, in particolare, di precisare i motivi per cui questo sarebbe erroneo e da riformare (tra le tante: V, 6 ottobre 2009, n. 6094, e 23 dicembre 2008, n. 6535; VI, 24 aprile 2009, n. 2560, e 9 settembre 2008 , n. 4300). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 9.4.2013, n. 1915)
Secondo l’insegnamento giurisprudenziale, non può ammettersi nell’atto di appello la mera riproposizione dei motivi di primo grado ove compiutamente disattesi dal T.A.R., senza sviluppare alcuna confutazione della statuizione del giudice di primo grado. Nel giudizio di appello, che non è un iudiciu ... Continua a leggere
Limiti alla spesa sanitaria: nell’esercizio della funzione programmatoria le Regioni hanno un ampio potere discrezionale nello stabilire come le risorse disponibili per il sistema sanitario debbano essere utilizzate
Nel vigente quadro normativo, spetta alle Regioni provvedere con atti autoritativi e vincolanti di programmazione, alla fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario regionale e di distribuire le risorse disponibili per singola istituzione o per gruppi di istituzioni, nonché di provvedere alla determinazione dei preventivi annuali delle prestazioni, assicurando l'equilibrio complessivo del sistema sanitario dal punto di vista organizzativo e finanziario (fra le più recenti: Consiglio di Stato, Sez. III, 30 gennaio 2013, n. 598). Anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, chiamata ad affrontare la questione della legittimità degli atti di programmazione delle risorse, con la fissazione dei tetti di spesa, intervenuti in corso d’anno, ha affermato che «alle Regioni è … affidato il compito di adottare determinazioni di natura autoritativa e vincolante in tema di limiti alla spesa sanitaria, in coerenza con l'esigenza che l'attività dei vari soggetti operanti nel sistema sanitario si svolga nell'ambito di una pianificazione finanziaria» (decisioni n. 3 e n. 4 del 12 aprile 2012). Ed ha aggiunto che tale attività di pianificazione delle risorse, in quanto necessaria, può essere esercitata anche nel corso dell’anno di riferimento. Si è poi precisato che l’osservanza del tetto di spesa rappresenta un vincolo ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il servizio sanitario nazionale può erogare e può quindi permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato (Consiglio di Stato, Sez. III, 14 dicembre 2012, n. 6432). Anche la Corte Costituzionale, nel sottolineare l'importanza del collegamento tra responsabilità e spesa, ha evidenziato che l'autonomia dei vari soggetti ed organi che operano nel settore, deve essere necessariamente correlata alle disponibilità finanziarie e non può prescindere dalla limitatezza delle risorse e dalle esigenze di risanamento del bilancio nazionale (Corte Costituzionale 28 luglio 1995, n. 416). Nell’esercizio della indicata funzione programmatoria le Regioni hanno quindi un ampio potere discrezionale nello stabilire come le risorse disponibili per il sistema sanitario debbano essere utilizzate, ed esercitano tale potere tenendo conto di molteplici esigenze quali il diritto degli assistiti alla fruizione di prestazioni sanitarie adeguate, l'efficienza delle strutture pubbliche, le legittime aspettative degli operatori privati che operano secondo logiche imprenditoriale, l'interesse pubblico al contenimento della spesa (Consiglio di Stato, Sez. III, 14 gennaio 2013 n. 134). In tale quadro anche il sistema di regressione tariffaria per le prestazioni sanitarie che eccedono il tetto massimo prefissato, deve ritenersi espressione del potere autoritativo di fissazione dei tetti di spesa e di controllo pubblicistico della spesa sanitaria e si giustifica sia con la considerazione che, ove venisse consentito lo sforamento dei tetti complessivi di spesa fissati, il potere di programmazione regionale ne risulterebbe vanificato, sia con l’ulteriore considerazione che i soggetti erogatori delle prestazioni possono effettuare le opportune programmazioni della rispettiva attività sulla base delle risorse loro assegnate (Consiglio di Stato, Sez. III, 5 febbraio 2013 n. 679). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 9.4.2013, n. 1913)
Nel vigente quadro normativo, spetta alle Regioni provvedere con atti autoritativi e vincolanti di programmazione, alla fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario regionale e di distribuire le risorse disponibili per singola istituzione o per gruppi di istituzi ... Continua a leggere
Diritto di accesso ai documenti: al proprietario del fondo vicino a quello su cui siano state realizzate nuove opere spetta il diritto di accesso a tutti gli atti abilitativi edilizi quando faccia valere l’interesse ad accertare il rispetto delle previsioni urbanistiche
Consiglio di Stato
Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato ha applicato il consolidato principio giurisprudenziale che riconosce al proprietario del fondo vicino a quello su cui siano state realizzate nuove opere il diritto di accesso a tutti gli atti abilitativi edilizi quando faccia valere –inter alia - l’interesse ad accertare il rispetto delle previsioni urbanistiche (in tal senso – ex plurimis -: Cons. Stato, IV, 4 maggio 2010, n. 2966; id., IV, 21 novembre 2006, n. 6790).
Consiglio di Stato
Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato ha applicato il consolidato principio giurisprudenziale che riconosce al proprietario del fondo vicino a quello su cui siano state realizzate nuove opere il diritto di accesso a tutti gli atti abilitativi edilizi quando faccia valere –inter alia - l’int ... Continua a leggere
Lo svolgimento di mansioni superiori nel settore sanitario: in assenza di un formale atto d’incarico adottato dall’organo gestorio dell’unità sanitaria locale, e' irrilevante ai fini retributivi l'esistenza di un mero ordine di servizio
Per costante orientamento della giurisprudenza amministrativa in generale e salva diversa e specifica disposizione di legge (quale l’art. 29 del d.P.R. n. 761 del 1979 di cui poi si dirà), lo svolgimento di mansioni superiori nell’ambito del pubblico impiego, prima del tutto ininfluente sul piano giuridico e su quello economico, ha assunto rilevanza solo dopo solo dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 387 del 1998, il quale all’art. 15 ha espunto le parole "a differenze retributive o" dall’art. 56, co. 6, del d.lgs. n. 29 del 1993 (che, nel testo sostituito dall’art. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998, a sua volta negava il diritto appunto "a differenze retributive o" ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale fino all’entrata in vigore dei nuovi contratti collettivi), così rendendo operativa unicamente da allora la disciplina di cui allo stesso art. 56 per la parte economica (cfr. Ad. plen., 24 marzo 2006 n. 3). Nel settore sanitario, peraltro, la diversa e specifica disposizione di legge suaccennata si rinviene nell’art. 29, co. 2, del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 (recante "stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali"). Tale disposizione, tuttavia, subordina la possibilità di riconoscere le differenze retributive per l’espletamento di mansioni superiori al ricorrere delle seguenti tre condizioni, giuridiche e di fatto, operanti in modo concomitante: (a) l’effettivo espletamento delle suddette mansioni per un periodo eccedente i sessanta giorni nell'anno solare; (b) le mansioni devono essere svolte su un posto di ruolo, esistente nella pianta organica, vacante e disponibile; (c) l’incarico deve essere stato previamente attribuito dal competente organo gestorio con una formale deliberazione, unico atto idoneo a costituire l’obbligo del dipendente di darvi esecuzione, e da tale deliberazione deve emergere l’avvenuta verifica dei presupposti di cui innanzi, nonché l’assunzione di tutte le relative responsabilità pure ai fini dei connessi oneri finanziari (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. III, 14 novembre 2012 n. 5734). Anche ai sensi del d.P.R. del D.P.R. 28 novembre 1990 n. 384 (recante "regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 6 aprile 1990 concernente il personale del comparto del Servizio sanitario nazionale"), ed in particolare dell’art. 121 che si riferisce specificamente all’area medica, il conferimento di mansioni superiori per un periodo eccedente i sessanta giorni nell’anno solare è subordinato, oltre all’attivazione delle "procedure concorsuali" per "provvedere alla regolare copertura" del posto vacante, ad analoghe condizioni di legittimità puntualmente indicate, quali l’attribuzione con apposito "provvedimento formale secondo le vigenti disposizioni", dunque adottato dal competente organo gestorio, fatta salva, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 207 del 1985, ivi richiamato, la responsabilità degli amministratori che dispongano l’utilizzazione in parola oltre il limite semestrale normativamente stabilito. In mancanza dei riferiti presupposti, è da ritenersi che non possa essere utilmente invocato l’art. 36 Cost., il quale esprime un principio che non trova applicazione diretta nel pubblico impiego, concorrendo in quest’ambito altri e diversi principi di pari rilevanza (artt. 98 e, soprattutto, 97 Cost.) attinenti all’organizzazione degli uffici pubblici; né l’art. 2126 cod. civ., che non concerne il diritto al compenso per lo svolgimento di mansioni superiori in via di fatto nel pubblico impiego, ponendo invece il principio della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di un contratto nullo o annullabile (cfr., ex multis, Cons. St., sez. III, 8 maggio 2012 n. 2631 e sez. V, 19 novembre 2012 n. 5852). In tale quadro, è indiscutibile come, in assenza del prescritto atto formale d’incarico adottato dall’organo gestorio dell’unità sanitaria locale, resti del tutto irrilevante ai fini retributivi il fatto che l'appellante sia stato delegato a svolgere le mansioni di responsabile della suindicata unità operativa e che tali mansioni abbia effettivamente espletato. La "delega" sopra menzionata non è infatti idonea a fondare il diritto rivendicato,trattandosi sostanzialmente di mero ordine di servizio e non provenendo dall’organo gestorio dianzi precisato. Deve pertanto condividersi il diniego opposto all’attuale appellante dall’Amministrazione, basato sulla carenza del prescritto atto formale d’incarico. Non supera tale rilievo la lettura del cit. art. 29 del d.P.R. n. 761 del 1979 in correlazione col disposto dell’art. 7 del d.P.R. 27 marzo 1969 n. 128 (recante "ordinamento interno dei servizi ospedalieri"), in base alla quale il diritto al compenso differenziale dell’aiuto ospedaliero che svolga le funzioni di primario in posto d’organico vacante e disponibile è stato affermato, in deroga ai predetti criteri e principi, a prescindere da atti organizzativi formali d’incarico; ciò in relazione alla natura delle funzioni di cui trattasi, non essendo concepibile che una struttura ospedaliera alla quale debba essere preposto un primario resti priva dell’organo di vertice che ne assuma le specifiche responsabilità previste appunto dal detto art. 7, co. 3, riguardanti tutte le attività esercitate nella struttura stessa, ivi comprese, significativamente, quelle di diagnosi e cura dei degenti (cfr., tra le più recenti, Cons. St., sez. III, 28 marzo 2012 n. 1826 e 10 luglio 2012 n. 4100). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 15.4.2013, n. 2024)
Per costante orientamento della giurisprudenza amministrativa in generale e salva diversa e specifica disposizione di legge (quale l’art. 29 del d.P.R. n. 761 del 1979 di cui poi si dirà), lo svolgimento di mansioni superiori nell’ambito del pubblico impiego, prima del tutto ininfluente sul piano g ... Continua a leggere
Sulla Rotta Linate-Fiumicino, non ci sarà più il monopolio Alitalia
Confermato dal Consiglio di Stato il provvedimento dell'Autorità Garante per la concorrenza e il mercato che obbliga Alitalia a cedere quattro coppie di slot sulla rotta Linate-Fiumicino per i voli della prima mattina e della tarda serata. Il Consiglio di Stato ha, infatti, rigettato il ricorso inappello proposto dalla società Alitalia – Compagnia Aerea Italiana s.p.a. avverso la sentenza del T.A.R. del Lazio con cui è stato respinto il ricorso da essa proposto avverso il provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con cui si è conclusa l’istruttoria relativa agli effetti concorrenziali determinati dall’operazione di concentrazione autorizzata a seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 134 del 2008 e si è sancita la necessità di rimuovere la situazione di sostanziale monopolio sulla rotta Linate-Fiumicino determinatasi a seguito della richiamata operazione di concentrazione, attraverso la cessione obbligatoria e a titolo gratuito (entro il 28 ottobre 2012) di quattro coppie di slot sulla tratta in questione, relative ai voli del primo mattino e della tarda serata. Per accedere al testo della sentenza cliccare sul titolo sopra linkato. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 12.4.2013, n. 2002)
Confermato dal Consiglio di Stato il provvedimento dell'Autorità Garante per la concorrenza e il mercato che obbliga Alitalia a cedere quattro coppie di slot sulla rotta Linate-Fiumicino per i voli della prima mattina e della tarda serata. Il Consiglio di Stato ha, infatti, rigettato il ricorso in ... Continua a leggere
Il Consiglio di Stato salva "Bettino Craxi"
Nel giudizio in esame, tra gli altri, la Fondazione Bettino Craxi impugna la sentenza del TAR che ha in parte dichiarato inammissibile ed in parte ha respinto il ricorso proposto avverso le ordinanze recanti l’ordine di sospensione delle opere edilizie nonché l’ingiunzione al ripristino dell’originaria destinazione d’uso del predetto appartamento, in fatto destinato, nella parte concessa in sub- comodato alla Fondazione Craxi , "per la tenuta e la conservazione dell’Archivio Bettino Craxi, videoteca e cineteca". Il Consiglio di Stato ha accolto l'appello rilevando che ai sensi dell’art. 32 della legge n. 383 del 7 dicembre 2000 (recante la disciplina delle associazioni di promozione sociale) la sede delle associazioni di promozione sociale ed i locali nei quali si svolgono le relative attività sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, indipendentemente dalla destinazione urbanistica. La disposizione, dettata da un chiaro favor per tal genere di associazioni, comporta la compatibilità urbanistica ex lege degli insediamenti relativi a tali attività associative, a prescindere dalle destinazioni di zona. La Fondazione Craxi è un’associazione di promozione sociale di tal che, già in base a tale disposizione normativa di rango primario, non può porsi nel caso di specie un problema di eventuale incompatibilità della destinazione d’uso di fatto impressa ai locali destinati ad ospitare una parte dell’archivio, della videoteca e della cineteca della fondazione (compatibilità che, appunto, discende dalla legge, a prescindere da un provvedimento autorizzativo puntuale). In ogni caso, appare dirimente osservare che non vi è alcuna differenza di carico urbanistico, in base alla classificazione delle destinazioni d’uso contenuta nell’art. 6 delle norme tecniche di attuazione del PRG del Comune di Roma, articolata in sette distinte funzioni (a. abitative; b. commerciali, c. servizi; d. turistico-ricettive;e. produttive; f. agricole; g. parcheggi non pertinenziali) e contenenti la specifica indicazione, per ciascuna funzione o sub-funzione, del carico urbanistico attribuito, tra la funzione abitativa e quella direzionale- privato (prevista all’interno della funzione servizi, cui andrebbe aggregata la destinazione attribuita in fatto dalla Fondazione Craxi alla porzione d’immobile dalla stessa detenuta). Ora, poichè in base all’art. 6 cit., comma 4, l’introduzione di nuovi usi e funzioni all’interno dell’unità immobiliare non comporta cambio di destinazione d’uso se i nuovi usi non eccedono, nel complesso e con successive modificazioni, sia il 25% del Sul dell’unità immobiliare, sia i 250 mq di SUL, se non appartengono ad una più alta categoria di carico urbanistico, se non sottraggono destinazioni originarie a parcheggio, se non comportano frazionamento catastale, ritiene il Collegio che l’introduzione nell’appartamento de quo di un nuovo uso parziale (a locali destinati alla consultazione e alla visione del materiale raccolto), in quanto rientrante nelle condizioni ed entro i limiti dimensionali di cui al citato art. 6, comma 4, delle vigenti N.T.A. del PRG di Roma, non ha comportato un cambio di destinazione d’uso rilevante a livello giuridico. A fronte della prova fornita dalla odierna appellante, a mezzo del deposito in atti di una perizia giurata che comprova il rispetto dei suddetti limiti dimensionali del cambio di destinazione d’uso, è rimasta priva di riscontro l’affermazione della Amministrazione comunale riguardo al superamento dei suddetti limiti di superficie, a tutto concedere, avrebbe dovuto fondare il presupposto giuridico del provvedimento di ripristino impugnato in primo grado. Peraltro, anche ove si rilevi un cambio di destinazione la Fondazione appellante non risulta carente di titolo edilizio. Infatti, ove il suddetto cambio di destinazione avvenga, come nella specie, nell’ambito di categorie classificate in ragione di analogo carico urbanistico, il provvedimento abilitativo per ottenere il suddetto cambio è la DIA, ai sensi del sesto comma del citato art. 6 delle norme tecniche di attuazione al PRG del Comune di Roma. L’odierna appellante ha prodotto a suo tempo (in data 10 luglio 2008) una DIA per lavori di manutenzione straordinaria proprio in funzione della destinazione di alcuni locali dell’appartamento ad archivio, cineteca e videoteca, di guisa che non può dirsi sfornita di titolo edilizio. Peraltro, è corretto ritenere che nella fattispecie non possa trovare applicazione, ratione temporis, la sopravvenuta (rispetto al titolo edilizio) legge regionale 11 agosto 2008, n.15, il cui art. 35, nel modificare il terzo comma dell’art. 7 della legge regionale 2 luglio 1987, n. 36, ha previsto che il permesso di costruire (in luogo della concessione edilizia) sia il titolo idoneo ad effettuare il cambio di destinazione d’uso di unità immobiliare che comporti il passaggio da una categoria all’altra dello strumento urbanistico generale. Ora, poiché ai sensi dell’art. 10, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001, le Regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività è da ritenere (secondo la consecutio temporale delle disposizioni normative) che la Regione Lazio abbia a tanto provveduto proprio con della legge 11 agosto 2008, n. 15, e cioè con il primo intervento successivo e conforme (anche sul piano nominalistico) al citato Testo unico dell’edilizia (d.P.R. n. 380 del 2001). Prima dell’entrata in vigore della legge regionale n. 15 del 2008, doveva dunque trovare applicazione il Testo unico dell’edilizia (che all’art. 10, comma 1, prevede il permesso di costruire solo per i cambi di destinazione d’uso nell’ambito nelle zone omogenee "A") e, limitatamente al territorio del Comune di Roma, il richiamato art. 6, comma 6, delle norme tecniche di attuazione al PRG, applicabile, secondo il suo stesso incipit, in "assenza di normativa regionale sulle destinazioni d’uso e sui titoli abilitativi necessari per la modifica delle stesse". (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 12.4.2013, n. 1998)
Nel giudizio in esame, tra gli altri, la Fondazione Bettino Craxi impugna la sentenza del TAR che ha in parte dichiarato inammissibile ed in parte ha respinto il ricorso proposto avverso le ordinanze recanti l’ordine di sospensione delle opere edilizie nonché l’ingiunzione al ripristino dell’origin ... Continua a leggere
Riserva di posti nei concorsi pubblici: il requisito della disoccupazione, che trova il suo presupposto nell’iscrizione negli appositi elenchi, deve sussistere al momento della presentazione della domanda e può non sussistere al momento dell’assunzione
L’art. 7, comma 2, della legge 12 marzo 1999, n. 68, nell’indicare le modalità delle assunzioni obbligatorie, stabilisce che per le assunzioni di cui all’art. 36, comma 1, lettera a) del d. lgs. n. 29 del 1993 (sostituito dall’art. 35, comma 1, lettera a) del d. lgs. n. 165 del 2001) gli appartenenti alle categorie protette - iscritti nell’elenco di cui all’art. 8, comma 2 della predetta legge in cui possono essere inseriti esclusivamente quelli che risultano disoccupati - hanno diritto alla riserva dei posti nei limiti della complessiva quota d’obbligo e fino al cinquanta per cento dei posti messi a concorso. Osserva il Collegio che la chiarezza del disposto normativo non consente di condividere la decisione che il giudice di prime cure ha dato della normativa vigente, atteso che detto articolo stabilisce per tabulas che soltanto i soggetti iscritti nell’elenco di cui all’art. 8, comma 2 della predetta legge, in quanto disoccupati, hanno titolo alla riserva dei posti. A quanto precede deve aggiungersi che l’art. 16, comma 2 della l. n. 68 del 1999 - che dispone che i lavoratori disabili "che abbiano conseguito l’idoneità nei concorsi pubblici possono essere assunti, ai fini dell'adempimento dell'obbligo di cui all'articolo 3, anche se non versino in stato di disoccupazione e oltre il limite dei posti ad essi riservati nel concorso" - non si pone in contrasto con le sopracitate norme, ma anzi, disciplinando una fattispecie diversa e cioè quella successiva al conseguimento dell’idoneità, le completa e le integra prevedendo che ai fini dell’assunzione il lavoratore disabile possa anche non trovarsi in stato di disoccupazione e ciò con l’evidente ratio di non penalizzare i soggetti interessati a causa della durata imprevedibile dell’iter concorsuale. Tale indirizzo risulta, peraltro, confermato dalla giurisprudenza, che ha affermato che "il legislatore del 1999 ha innovato solo per quanto riguarda lo stato di disoccupazione al momento dell’assunzione e non per quello della partecipazione" e ciò in quanto tale requisito "deve considerarsi sempre il presupposto necessario" per l’accesso alle riserve di posto di cui agli artt. 1 e 3 della citata legge (Consiglio di Stato, Sez. VI, 14 dicembre 2006, n. 7395; Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 marzo 2003, n. 1271). Il medesimo orientamento risulta corroborato anche dalla decisione della Corte Costituzionale che ha stabilito che, in base al combinato disposto degli artt. 7, 8 e 16 della l. n.68 del 1999, "il principio, secondo cui le quote di riserva nelle assunzioni presso le pubbliche amministrazioni postulano necessariamente lo stato di disoccupazione del soggetto - costante nella vigenza della legge 2 aprile 1968, n. 482 - persiste anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 68 del 1999" (Corte Costituzionale, 11 maggio 2006, n. 190). In conclusione il Collegio deve rilevare che dal combinato disposto degli artt. 7, comma 2, 8, comma 2 e 16, comma 2 della citata l. n. 68 del 1999 discende che il requisito della disoccupazione, che trova il suo presupposto nell’iscrizione negli appositi elenchi, deve sussistere al momento della presentazione della domanda e può non sussistere al momento dell’assunzione e che, di conseguenza, l’interpretazione della vigente normativa effettuata dal Tar per la Campania nella sentenza in epigrafe impugnata - oltre a non essere conforme al dettato normativo - risulta anche in contrasto con la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato e con le statuizioni della Corte Costituzionale. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 12.4.2013, n. 1992)
L’art. 7, comma 2, della legge 12 marzo 1999, n. 68, nell’indicare le modalità delle assunzioni obbligatorie, stabilisce che per le assunzioni di cui all’art. 36, comma 1, lettera a) del d. lgs. n. 29 del 1993 (sostituito dall’art. 35, comma 1, lettera a) del d. lgs. n. 165 del 2001) gli appartenen ... Continua a leggere
Emissioni sonore: la previsione di sanzioni amministrative e penali non esclude la possibilità del sindaco di adottare provvedimenti contingibili ed urgenti diretti a far fronte ad una situazione di emergenza in materia di emissione sonore
Consiglio di Stato
Ad avviso del Consiglio di Stato la previsione di sanzioni amministrative e penali non esclude la possibilità del sindaco di adottare provvedimenti contingibili ed urgenti, privi di carattere sanzionatorio e diretti invece a far fronte ad una situazione di emergenza in materia di emissione sonore,specificamente previsti dall’art. 9 della legge n. 447 del 1995, come del resto dà atto lo stesso appellante.
Consiglio di Stato
Ad avviso del Consiglio di Stato la previsione di sanzioni amministrative e penali non esclude la possibilità del sindaco di adottare provvedimenti contingibili ed urgenti, privi di carattere sanzionatorio e diretti invece a far fronte ad una situazione di emergenza in materia di emissione sonore, ... Continua a leggere
Controversie promosse contro le soppresse Unità Sanitarie Locali: i rapporti obbligatori afferenti alle soppresse unità sanitarie locali (U.S.L.) non sono stati trasferiti alla responsabilità delle neoistituite aziende di unità sanitaria locale (A.U.S.L.), ma spettano alla competenza esclusiva delle apposite gestioni liquidatorie costituite presso le Regioni, con la conseguenza che nessuna legittimazione passiva può spettare alle AUSL per debiti contratti di una soppressa USL, ancorché confluita nella struttura della nuova azienda
Secondo consolidata giurisprudenza (v., ex plurimis, Cons. Giust. Amm. Sic., 2.7.2010, n. 968; Cons. Stato, sez. V, 26.1.2001, n. 275), con la soppressione delle Unità Sanitarie Locali e l’istituzione delle Aziende U.S.L., non si è verificata una successione a titolo universale delle seconde nei rapporti giuridici di cui erano titolari le prime in quanto, mediante l’art. 6, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 e l’art. 2, comma 14, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, sono stati chiaramente individuati nelle Regioni i soggetti giuridici obbligati ad assumere a proprio carico i debiti pregressi delle USL, mediante apposite "gestioni stralcio", rimaste di pertinenza delle Regioni anche quando sono state trasformate in "gestioni liquidatorie" e affidate ai Direttori generali delle Aziende USL. In seguito alla costituzione delle così dette "gestioni stralcio", e poi delle "gestioni liquidatorie", si è in tal modo distinta, mediante un espediente contabile, l’attività di accertamento delle obbligazioni degli Enti soppressi da quella relativa alle Aziende di nuova istituzione. Le Regioni hanno attribuito le funzioni di Commissari liquidatori ai Direttori generali delle Aziende U.S.L. Questi, tra l’altro, amministrano e liquidano le situazioni debitorie delle U.S.L. esistenti alla data di subentro delle nuove Aziende. Fino a quando non si disporrà con un provvedimento specifico l’estinzione delle gestioni liquidatorie, già gestioni stralcio, la legittimazione processuale spetta soltanto ad esse, perché, pur essendo prive di personalità giuridica e agendo nell’interesse e per conto dell’Ente regionale, hanno un’autonomia funzionale, amministrativa e contabile e una propria capacità processuale, sia pure limitata alla gestione (v., sul punto, Cass. 19 maggio 1999, n. 4847; Cons. Stato, VI, 22 gennaio 2001, n. 184). Detta giurisprudenza, inoltre, in merito al dibattuto problema concernente i rapporti fra le soppresse "Unità Sanitarie Locali" e le nuove strutture denominate "Aziende Unità Sanitarie Locali", ha avuto modo di ribadire che, in virtù dell’art., 6 comma 1, della l. 23 dicembre 1994 n. 724, come integrato dall’art. 2 comma 14 della l. 28 dicembre 1995 n. 549, i rapporti obbligatori afferenti alle soppresse unità sanitarie locali (U.S.L.) non sono stati trasferiti alla responsabilità delle neoistituite aziende di unità sanitaria locale (A.U.S.L.), ma spettano alla competenza esclusiva delle apposite gestioni liquidatorie costituite presso le Regioni, con la conseguenza che nessuna legittimazione passiva può spettare alle AUSL per debiti contratti di una soppressa USL, ancorché confluita nella struttura della nuova azienda (Cons. Stato, Sez. V, 6 febbraio 2001, n. 484). Tali principi, costituenti ormai ius receptum, sono stati ribaditi anche da questa sezione nella sentenza del 13.7.2011, n. 4223. Ne discende che nel caso di specie l’appello, notificato alla Azienda Sanitaria Locale Caserta 1, deve essere dichiarato inammissibile, non essendo stato invece proposto nei confronti della Gestione Liquidatoria ex U.S.L. n. 12. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 12.4.2013, n. 1987)
Secondo consolidata giurisprudenza (v., ex plurimis, Cons. Giust. Amm. Sic., 2.7.2010, n. 968; Cons. Stato, sez. V, 26.1.2001, n. 275), con la soppressione delle Unità Sanitarie Locali e l’istituzione delle Aziende U.S.L., non si è verificata una successione a titolo universale delle seconde nei ra ... Continua a leggere
Sanità, mansioni superiori per saltum: non è consentita l’attribuzione di differenze retributive superiori a quelle corrispondenti alla qualifica immediatamente superiore
Con riferimento allo svolgimento di mansioni superiori all’originario inquadramento in ambito sanitario, in applicazione dell’art. 36 della Cost. e con riguardo ad una specifica norma (l’art. 29 del d.P.R. n. 761 del 1979), la Corte Costituzionale abbia a suo tempo riconosciuto spettare il trattamento economico superiore ai dipendenti del Servizio sanitario nazionale qualora svolgano mansioni superiori per un periodo eccedente i sessanta giorni dell’anno solare (cfr., sul punto, Corte Cost., 23.2.1989 n. 57 e 19.6.1990 n. 296). La giurisprudenza consolidata di questo Consiglio ritiene, peraltro, che il principio di corrispondenza della retribuzione alla qualità e quantità del lavoro prestato, di cui all’art. 36 della Cost., invocato anche dal ricorrente, debba essere posto in correlazione con altri principi (tratti dagli artt. 97 e 98 Cost.) di pari rilevanza costituzionale per cui, anche laddove trovi applicazione l’art. 29 del d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761, che accorda nel settore sanitario effetti giuridici ed economici allo svolgimento di mansioni superiori, l’attuazione del sopra enunciato precetto, al quale si è richiamata la Corte Costituzionale, trova limitazioni e temperamenti. È richiesta, in particolare, la presenza di altre due condizioni (oltre quella di una specifica previsione normativa): - che l’interessato abbia coperto un posto vacante di livello immediatamente superiore a quello assegnato in base ai provvedimenti di nomina o di inquadramento; - che il soggetto sia stato incaricato di ricoprire uno specifico posto sulla base di una determinazione formale illegittimamente assunta ma non illecita, avuto riguardo alla causa dell’atto (Cons. St., sez. III, 31.5.2011, n. 3265). Il riconoscimento del diritto retributivo dei dipendenti delle unità sanitarie locali, in seguito allo svolgimento di mansioni superiori, sussiste solo ove queste ultime appartengano a qualifica funzionale immediatamente più elevata di quella dagli stessi rivestita. Nei casi come quello di specie, cioè di svolgimento per saltum di mansioni superiori, dato che l’appellante, inquadrato all’epoca nella posizione di veterinario collaboratore, chiede il riconoscimento di retribuzione di prima qualifica dirigenziale, non è consentita tale l’attribuzione di differenze retributive superiori a quelle corrispondenti alla qualifica immediatamente superiore, in quanto il principio di equa retribuzione sancito dall’art. 36 della Costituzione e sulla cui base la giurisprudenza è pervenuta al riconoscimento al lavoratore del diritto ad un poziore trattamento economico, va contemperato con altri principi costituzionali e, in specie, con quello del buon andamento dei pubblici uffici sancito dall’art. 97 della Costituzione. Tale principio, infatti, risulterebbe compromesso ove, nell’ambito del pubblico impiego, fosse consentita un’acritica e indiscriminata valorizzazione, sia pure ai soli fini retributivi ex art. 2126 del codice civile, delle prestazioni svolte dal dipendente con l’astratta possibilità di pervenire all’inaccettabile conseguenza che non potrebbe, in ipotesi, negarsi l’adeguamento del trattamento economico a un dipendente di modesto profilo funzionale che sia stato chiamato a svolgere mansioni di qualifica apicale. La destinazione del dipendente a mansioni superiori alla sua qualifica è stata sempre concepita in realtà, proprio in omaggio al surricordato principio costituzionale di buon andamento dei servizi pubblici, come episodio del tutto eccezionale, connotato dal duplice limite della temporaneità dell’utilizzazione del dipendente nelle più elevate funzioni e dell’idoneità professionale del medesimo a svolgere mansioni eccedenti la qualifica rivestita. La Sezione ha già avuto modo di chiarire, quanto a tale ultima condizione, che "la capacità professionale per le superiori mansioni è stata presuntivamente riconosciuta al dipendente di qualifica funzionale immediatamente inferiore in base alla comune regola d’esperienza che il titolare di una determinata qualifica sia, di norma, in possesso di sufficiente preparazione tecnica per svolgere compiti propri della qualifica immediatamente superiore, mentre uguale valutazione non può essere fatta per dipendenti inquadrati in livelli inferiori" (Cons. St., sez. III, 29.3.2012, n. 1872). Nel bilanciamento tra i due opposti valori, quello dell’art. 36 Cost. e quello dell’art. 97 Cost., deve quindi prevalere quest’ultimo, dovendosi scongiurare il rischio che, attraverso il riconoscimento di differenze retributive per saltum, venga ad essere compromesso, anche indirettamente, il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, soprattutto in riferimento, come accade nel caso di specie, all’assunzione di compiti apicali che competono alla figura del dirigente. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 12.4.2013, n. 1986)
Con riferimento allo svolgimento di mansioni superiori all’originario inquadramento in ambito sanitario, in applicazione dell’art. 36 della Cost. e con riguardo ad una specifica norma (l’art. 29 del d.P.R. n. 761 del 1979), la Corte Costituzionale abbia a suo tempo riconosciuto spettare il trattame ... Continua a leggere